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consulta e zecche rosse

07 dicembre, 2014

Un Fidelio… lumaca apre la stagione scaligera

Eccomi qua a commentare a caldo immagini e suoni (arrivati sotto forma di… pixel&bit) del Fidelio scaligero che ha aperto la (lunga, causa Expo) stagione del Piermarini.

La prima constatazione è l’insopportabile lunghezza dell’interpretazione di Barenboim: che è troppo abituato a Wagner (dove effettivamente eccelle, bisogna riconoscerglielo) ma poi pretende di mettere tutti su quel letto di procuste. Se si esclude il finale (e ci mancava pure…) i suoi sono stati tempi letargici, a partire già dall’Ouverture.

E a proposito non posso esimermi dal fare l’ennesima considerazione sulla bizzarra idea di Barenboim di propinarci la Leonore 2 in luogo dell’Ouverture che Beethoven (sì, proprio un tale Beethoven, guarda te!) aveva faticosissimamente composto per la versione definitiva dell’opera (mai più riveduta o emendata nemmeno col binocolo, nei 14 anni che ancora restarono da vivere al genio di Bonn!) Il colmo della faccenda è che la presentazione dell’allestimento dell’opera nel video pubblicato sul sito del Teatro é accompagnata proprio dalle note dell’Ouverture giusta!

Siamo alle solite, il Kapellmeister di turno (mi spiace dir questo di un Direttore che considero un grande uomo, prima ancora che famoso musicista) vuol farci credere di saperne di più dell’Autore in persona, così butta nel cesso l’ultima trovata dell’Autore medesimo per ripescare… che cosa? La penultima? Che sarebbe perlomeno una gustosissima mela matura: la Leonore 3. Invece no, proprio no, quella che ci viene propinata è la Leonore 2! Il che ti fa lo stesso effetto del mangiare una mela ancora un filino acerba, quando in testa hai il dolce gusto della mela matura: un effetto decisamente sgradevole. Sì, perché sappiamo che per l’uomo tutto è relativo, e tornare indietro è sempre in qualche modo irritante; o ammissibile soltanto se motivato da ragioni, diciamo così, scientifiche. Il che nel mondo musicale si traduce in pratiche ben precise: un festival, o un concerto o al massimo un CD. Ma un SantAmbrogio è – nel bene e nel male – un pranzo di gala dove, se proprio si decide di boicottare le arance, andrebbero almeno servite le mele mature, mica quelle acerbe!

Quanto alla sequenza dei primi due numeri dell’opera (duetto e aria di Marzelline) nel video succitato (a 3’43”) la Warner accenna ad una discussione avuta con Barenboim e a divergenze di vedute rispetto alle sue (di lei) consuetudini. Ora, lei ha già messo in scena Fidelio a Glyndebourne, dapprima nel 2001, poi ancora nel 2006 (da dove è stato prodotto un CD) e sempre nella versione definitiva, quindi quelle che lei chiama sue consuetudini sono in realtà lo standard: prima il duetto e poi l’aria. Ma allora perché parla di divergenze con il maestro? La spiegazione più plausibile è che Barenboim, come fa nel suo CD, scegliendo la Leonore 2 dovesse poi anticipare l’aria, per ragioni di rapporti tonali. E questo è ciò che ci si aspettava facesse anche qui. Invece non è così: abbiamo ascoltato tutti che in apertura c’è il duetto. Come si spiega? Evidentemente lo scambio voluto dal maestro non era accettabile dalla Warner perché ne sconvolgeva l’impostazione registica! E così alla fine la regista deve aver convinto il maestro a ripristinare la sequenza di Beethoven (che però male si armonizza con l’ouverture scelta da Barenboim!) Ora, il solo pensare che due personaggi profumatamente pagati (dai soldi nostri!) abbiano passato ore e ore e forse giorni a discutere del miglior modo per travisare la volontà di Beethoven è davvero deprimente. Purtroppo queste sono, lo ripeto, pisciatine di cane, spacciate per filologia/filosofia. Shame!     

Lo spettacolo della Warner è sostanzialmente lo stesso di Glyndebourne, nel bene e nel male. Domanda: perché non acquistare il prodotto esistente, invece di rifarlo (con tutto ciò che questo avrà comportato a livello di costi) praticamente uguale?

Ho detto nel bene e nel male perché la regista non si inventa cose strane né storie fantasiose: siamo in una prigione (che poi sia una ex-fabbrica, è cosa che nè guasta, né arricchisce) dove una donna travestita cerca il marito ingiustamente incarcerato e alla fine riesce a farlo liberare, approfittando di una provvidenziale ispezione del ministro della giustizia. Apperò, proprio come scritto nel libretto… che noia (smile!) Quindi tutto bene, non fosse che la Warner si fa contagiare dalla stessa malattia di Barenboim (quella delle mele acerbe) e così fa finire l’opera, mentre suona un DO maggiore da spaccare i timpani e abbagliare le pupille, come era nella prima versione del 1805, al buio e sotto una nevicata, invece che sulla piazza assolata del carcere! Certo che Beethoven era proprio un bambino ingenuo che credeva alle favole…

Anja Kampe è Leonore/Fidelio: siccome la ricordo nel ruolo con Abbado (2008) dove nel piccolo Valli di Reggio Emilia già si sentiva poco, aspetto di sentirla dal vivo per verificare se nel frattempo ha imparato a… farsi sentire (smile!) anche senza un microfono in bocca.

Klaus Florian Vogt è il Florestan all’età di 12 anni (stra-smile!) Effettivamente Pizarro doveva essere proprio un pazzo maniaco  per incarcerare un bambino. A parte le battute, va bene che il personaggio non è proprio da Heldentenor, anzi, ma qui si sta esagerando in senso contrario. Perché non basta fare le note giuste, o sbaglio? E il fatto che a Bayreuth lo abbiano catapultato nei panni di Lohengrin dimostra soltanto che anche lassù sono fuori di testa. Fra l’altro, nei parlati sembra invece avere una voce da adulto!

Il migliore, e di gran lunga, del cast è il Rocco di Kwangchul Youn: ma non lo scopriamo oggi, e in fondo ha fatto lodevolmente ciò che ci si aspetta da un grande professionista.

Falk Struckmann è un Pizarro dignitoso, ma nulla più: forse i tempi strascicati di Barenboim non lo aiutano, e così sembra faticare a reggere il fiato.

Onesta e non più la prestazione di Peter Mattei come Don Fernando.

La seconda coppia dell’opera non mi è parsa particolarmente eccitante: Mojca Erdmann e Florian Hoffmann si arrabattano alla meglio, come Marzelline e Jaquino, ma senza mai dare un colpo d’ala.

A parte un incespicamento (così mi è parso, potrei sbagliare) nel finale, si salva per fortuna il coro di Bruno Casoni, che fornisce anche due solisti (Oreste Cosimo e Devis Longo) che non avrebbero fatto peggio dei titolari dei ruoli di Jaquino e Pizarro.

Per il pubblico pare sia andato tutto bene, e anche di più: beati loro e per quanto mi riguarda spero proprio di essere smentito a breve.          

2 commenti:

mozart2006 ha detto...

Un Florestan di 12 anni? Io avevo pensato che fosse la sorella di Florestan.... lol!

daland ha detto...

@mozart2006
ah sì, la sorella Eusebia!

Ciao!