XIV

da prevosto a leone
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16 ottobre, 2015

Orchestraverdi 14-15 – Concerto n° 55


Eiji Oue fa il suo ritorno in Auditorium dopo quasi due anni (da un’ignominiosa Sesta di Mahler!) per dirigere Mozart e Shostakovich (più il prezzemolo Campogrande, stavolta austriaco).

Oue inizia proprio da spavento, dimenandosi sul podio con gesti da… pavone, o da clown, fate voi: Campogrande e Mozart ne sono vittime; poi per fortuna si placa e in Shostakovich ridiventa un direttore quasi normale.

Torna anche una vecchia conoscenza de laVERDI, Natasha Korsakova, che stavolta ci offre il Terzo Concerto del Teofilo. Denominato Straßburg, dal tema dell’Allegretto che compare nel Rondeau finale, che riproduce quasi alla lettera quello di una danza molto popolare a Vienna, si dice opera di tale Georg von Reutter, Maestro di Cappella di Corte ed infatti chiamata La Strasbourgeoise de Reuter.

La bellissima Natasha – in un lungo immacolato, come già nell’ultima sua apparizione qui nel 2013, si lancia nel veemente Allegro iniziale con grande foga, sciorinando una bellissima cadenza; per poi placarsi nel cullante Adagio (del cui incipit si ricorderà Ciajkovski, grande ammiratore di Mozart, nella chiusa dell’Andante della sua Quinta). Poi affronta con delicatezza e sobrietà il Rondeau, che si chiude proprio alla chetichella… 
                                                                               
Successo pieno ricambiato con due celeberrimi bis bachiani: la ciaccona in RE minore (debitamente accorciata, per non far notte) e la giga in MI maggiore.
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Eccoci quindi alla sterminata Leningrado di Shostakovich, udita qui quasi 3 anni fa con Caetani.

Sinfonia a programma, verrebbe da definirla, o meglio: una sinfonia nella quale fa irruzione la guerra. Che si materializza col sostituire al canonico sviluppo dei due gruppi tematici dell’Allegretto iniziale quel gigantesco quanto volgare episodio di marcia, un tema (mutuato da Lehàr, di cui Bartók si fece beffe nel suo Concerto per orchestra) reiterato in non meno di 11 varianti e chiuso da una colossale coda. Ma in un certo senso è comprensibile che anche un’austera Sinfonia debba prendere atto che… la guerra non è un pranzo di gala!   

Oue non si smentisce e stiracchia i tempi a suo piacimento, però la cosa passa quasi inosservata, al cospetto della sontuosa prestazione dei ragazzi, che in questo repertorio hanno pochi rivali. E allora un Auditorium piacevolmente affollato si spella le mani per i suoi beniamini, così anche il giallo ne approfitta per godersi gli applausi, convinto di averli meritati (stra-smile!)

22 febbraio, 2013

Orchestraverdi – concerto n.23


Otto stagioni sono l’oggetto del concerto di questa settimana, per il quale torna sul podio Jader Bignamini in (bella, ad onor del vero!) compagnia della violinista Natasha Korsakova, un’ospite non nuova de laVerdi (l’avevamo ascoltata un paio di anni fa in Shostakovich) che si presenta fasciata da un lungo nero dotato di spacco vertiginoso. Chissà se è per vedere (e ascoltare, ovviamente) lei che l’Auditorium di Largo Mahler, a dispetto del nevischio imperversante su Milano, è stato letteralmente preso d’assalto (ed esaurite risultano anche le due prossime repliche)!

Quattro sono le celeberrime Stagioni di Antonio Vivaldi, e le altre quattro sono Las cuatro estaciones porteñas di un re del tango, Astor Piazzolla. In questo video Bignamini spiega l’approccio usato per presentarcele: un approccio non certo nuovo, dacchè l’accostamento fra le stagioni vivaldiane e quelle bairensi non è una primizia, essendo spesso oggetto di concerti ed esibizioni. Quindi l’ordine di presentazione non ha poi moltissime possibili varianti: prima le une, poi le altre; oppure, più spesso, una mescolanza delle otto stagioni ordinate per calendario (primavera-primavera, etc.) oppure, come in questo caso, per contemporaneità fra le stagioni dei due emisferi.
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I concerti vivaldiani fanno parte dell’op.8, stampata in Amsterdam attorno al 1725 e pomposamente consacrata a tale Venceslao, Conte di Marzin (o Morzin) un nobile mecenate boemo che aveva incontrato e apprezzato Vivaldi durante uno dei suoi soggiorni italiani:


Vivaldi scrisse personalmente (o forse impiegò farina del sacco di altri, chissà…) i testi poetici richiamati nei quattro concerti tripartiti, trascrivendo i singoli versi sui corrispondenti righi delle partiture, ed aggiungendo sulle stesse alcuni sottotitoli, come schematicamente rappresentato nelle figure che seguono.

I tentativi di Vivaldi di imitare la natura (e/o le reazioni e i sentimenti che si provano al contatto di essa) oggi ci possono sembrare patetici, ma non va dimenticato che il nostro aveva a disposizione mezzi assai limitati, e non certo le macchine del vento (vedi Strauss) né tanto meno i nastri magnetici registrati col cinguettar di un usignolo (Respighi)! Inoltre i concerti sono per complessi di soli archi, quindi il reverendo nemmeno si potè giovare (come Beethoven nella Pastorale) di flauti-usignoli, oboi-quaglie e clarinetti-cuculi! Né di timpani o di grancasse a simulare tuoni e temporali.


Nell’Allegro iniziale c’è la scena dei ruscelli (le fonti) dove Vivaldi impiega quartine di semicrome ad evocare lo scorrere calmo ma continuo delle acque. Qualcosa di simile sentiremo 150 anni più tardi nella Moldava… In compenso simili semicrome (in sestine) verranno impiegate da Wagner per evocare lo stormir di fronde (il Waldweben nel Siegfried); il quale mormorio è invece rappresentato da Vivaldi (all’inizio del Largo) con semicrome puntate seguite da biscrome, proprio a darci l’idea dell’incresparsi irregolare del fogliame.

Insomma, fenomeni diversi possono essere evocati dallo stesso stilema musicale, e uno stesso fenomeno da stilemi diversi. A dimostrazione, ce ne fosse ancora bisogno, che la musica mai e poi mai può descrivere alcunché, ma soltanto richiamare vagamente alla nostra sensibilità oggetti, fenomeni o personaggi. I quali, se non esplicitamente e preventivamente esposti in un programma o in didascalie, ci rimarrebbero del tutto indecifrabili al puro udirne i motivi musicali.


Nell’Allegro compaiono (come in Beethoven) tre volatili (cucù, tortorella e cardellino): è invariabilmente il violino solista a doverli impersonare, e non può far altro che differenziarne il canto attraverso il ritmo impresso alla melodia, mancandogli la qualità fondamentale, il diverso timbro. E Vivaldi fa effettivamente miracoli, nel tentativo di presentarci tutta questa varietà ornitologica con questi limitatissimi mezzi…

Nell’Adagio-Presto centrale e poi nel Presto finale abbiamo l’evocazione di tuoni e di un classico temporale, e guarda caso molti dei mezzi musicali impiegati da Vivaldi sono analoghi, se non identici, a quelli relativi ai tuoni del movimento iniziale della Primavera. Simili urla di vento udiremo infine anche nell’Inverno. Certo che la mancanza di timpani (tuoni) e di un bell’ottavino (per lampi e saette) si fa sentire, e come!


Nell’Allegro iniziale, curiosa la rappresentazione di ubriachi, dove il violino cerca di mostrare l’effetto dei fumi dell’alcol, i giramenti di testa e il barcollare incerto della persona:


L’Allegro conclusivo, che dovrebbe rappresentare la caccia, in effetti è un menuetto dietro il quale inizialmente si intravedono, più che preparativi di carattere venatorio, leziosi balletti di corte! Poi l’atmosfera si muove assai con la comparsa di schioppi e cani e le terzine che evocano la belva fuggente. Però ci vuole una bella fantasia per associare questa musica allo scenario proposto!


Nell’iniziale Allegro non molto è curiosa e meticolosa allo stesso tempo la cura che Vivaldi pone nel differenziare due fenomeni di battimento (di piedi e di denti) legati alle basse temperature. Per rappresentare i secondi il prete rosso introduce una rudimentale poliritmia, con il violino solista che suona in corda doppia 32 biscrome a battuta (4/4), i violini che suonano 16 semicrome e le viole che suonano 8 crome.

Nel Largo, il sottotitolo La Pioggia è scritto sulla parte dei violini (primi e secondi) che suonano arpeggi di MIb in pizzicato, proprio ad evocare il rumore di sgocciolamento che arriva alle nostre orecchie, ovattato, mentre ce ne stiamo al calduccio davanti al caminetto!

Nelle sezioni estreme tornano venti e maltempo, ma anche corse e scivolate sul ghiaccio: e il povero violino solista, con i colleghi, deve far miracoli per rappresentarli plausibilmente, anche se il risultato, ammettiamolo pure, non cambierebbe se le diverse didascalie venissero magari rimescolate a piacere!
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Quanto ai tanghi di Piazzolla, che non sono stati propriamente concepiti come un corpus organico, non hanno certo pretese descrittive, ma sono più che altro rievocazioni poetiche della vita del porto di Baires.

Musicalmente, uno degli stilemi ricorrenti è un inciso di due semicrome che ricompare quasi come un tic in tutte le stagioni:


Qui una interessante interpretazione del Quartetto Artemis.

La versione che ascoltiamo in questa occasione (ci sono svariati arrangiamenti di questi tanghi) è opera abbastanza recente di un russo (Leonid Desyatnikov) che ha voluto evidentemente rivestire Piazzolla con qualcosa di Vivaldi, a cominciare dal violino principale, che diventa protagonista dei quattro tanghi, nei quali Desyatnikov ha pure infilato qualche chiara reminiscenza vivaldiana, a costo di qualche forzatura, come il MI maggiore del veneziano messo in chiusura del SOL minore della Primavera di Piazzolla.
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La coppia Bignamini-Korsakova fa davvero scintille: lui sempre impeccabile e pulitissimo nel gesto (ed avendo sia Vivaldi che Piazzolla mandati a memoria…) lei a sfoggiare la sua tecnica sopraffina, ma anche una grande sensibilità di interprete. Ai lodati sono da aggiungere il violoncello di Tobia Scarpolini (in particolare nell’Autunno bairense) la viola di Gabriele Mugnai e il violino di Luca Santaniello.

Il successo è tale che non può mancare un bis, con la ripetizione del Largo dall’Inverno: che, devo dire, a me più che la pioggia ha sempre richiamato alla mente la classica slitta di SantaKlaus che se ne scivola dolcemente sulla neve diffondendo cullanti suoni di sonagli.

Ma non finisce qui, poiché la fascinosa discendente del grande Rimsky ci regala anche la Sarabanda in RE minore, dalla seconda Partita bachiana.
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A fine mese, in singolare coincidenza con il prepensionamento del Papa (per il quale laVerdi ha più volte suonato) una sesquipedale costruzione sonora del tardoromanticismo: la Terza di Mahler! 

19 novembre, 2010

Stagione dell’OrchestraVerdi - 11


Concerto (quasi) tutto russo per il ritorno di Damian Iorio sul podio de laVerdi. 
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Si comincia però con un brano di rarissima esecuzione: il poema sinfonico L'infinito di Aldo Finzi, compositore italico vissuto – non proprio tranquillamente, essendo lui ebreo in epoca di leggi razziali - nella prima metà del novecento. Iorio ricorda brevemente la figura del musicista, prima di dare l'attacco. A proposito, è da segnalare la lodevole iniziativa dell'Associazione Aldo Finzi Diacronia che mette a disposizione gratuitamente le partiture del musicista, oltre ad organizzare eventi a scopo benefico.

 
Opera del 1933, ma chiaramente legata al tardo-romanticismo - a partire dall'ipertrofica orchestra, che comprende due arpe, celesta e pianoforte, oltre a percussioni di ogni risma - il poema sinfonico è strutturato in tre sezioni, le due estreme piuttosto lente e con sonorità assai tenui, che chiudono all'interno quella più mossa e rumorosa. La prima, Calmo in SI maggiore, tempo prevalente 3/4, rappresenta inizialmente una quiete, rotta soltanto da interventi dei corni; poi è un lento e progressivo crescendo, con reminiscenze mahleriane (nona sinfonia e Abschied) che culmina in un climax caratterizzato da una perorazione in fortissimo di corni e tromboni (che riprendono un analogo motivo esposto assai prima dalle trombe, ripresa poi dagli archi che tornano alla calma iniziale per preparare la seconda sezione dell'opera: Mosso, in DO minore, tempo 2/4 ma con diverse escursioni a 6/8 e 9/8; la sezione presenta ancora reminiscenze mahleriane e wagneriane, ed è caratterizzata prevalentemente da un ritmo in metro dattilo (croma-semicroma-croma) che stringe fin poi a diminuire verso la terza sezione, assai breve, ancora SI maggiore, Calmo in 3/4. Prima della chiusura torna – nelle trombe - il motto udito nella sezione iniziale, poi tutta l'orchestra (trombe tacendo!) esala in pianissimo l'ultimo accordo nella tonalità principale.

 
Un lavoro interessante, anche se non mi sentirei di scandalizzarmi per la sua scarsa notorietà. Di sicuro, se anche alla Scala (dopo laVerdi) si programma Il lago incantato di Liadov, allora anche all'Infinito di Finzi va accordato il permesso di soggiorno (smile!)

 
Impeccabile comunque l'esecuzione (al contrario di questa, della prima americana!)

 
Poi arriva Natasha Korsakova con il suo violino per interpretare il Concerto op.99 di Shostakovich. Natasha è indubitabilmente quella che in tutti i bar (maschilisti, ma ce ne sono di femministi?) si definirebbe una gran gnocca (non per nulla è testimonial di una nota casa di moda). E poi nel testo albionico della sua biografia si trovano queste perle: è di decenza (sic!) greco-russa (in effetti discende nientedopodomanichè dal grande Nicolai) e un tale che scrive su un giornale tedesco afferma di provare, ascoltandola, un'esperienza musicale peccaminosamente bella. Ohibò, vuoi vedere che suona nuda? mi son detto – confortato anche dalle foto sul suo sito - e ho subito riesumato il mio binocolo da marina da portarmi al concerto!

 
Poi, continuando a leggere la sua biografia, ho notato che il primo auditorium della lista di quelli frequentati dalla bella Natasha è proprio il nostro, quello di Largo Mahler, che viene prima di catapecchie di provincia come la Gewandhaus e il Concertgebow. E allora mi è venuto il sospetto che ci sia sotto qualche traffico più o meno losco, data la nazionalità della ragazza e i trascorsi filo-sovietici del management de laVerdi (smile!) In effetti lei è di casa in Italia ed ha pure suonato per il nostro Presidente, quello buono, intendiamoci (qui non si tratta di bunga-bunga, ma di musica classica, chiaro?) forse per via dei suoi (del Presidente intendo) trascorsi comunisti (ri-smile!) Battute a parte, la bella Natasha è pure brava, anche se ho personalmente trovato l'esperienza vissuta ascoltandola… tutto fuorchè peccaminosa (mi viene il dubbio che fosse quel cronista tedesco ad avere qualche problemino – o qualche birra - di troppo).

 
Il Concerto di Shostakovich (qui il dedicatario David Oistrakh) – in 4 movimenti, un'eccezione alla regola classica – fu tenuto parecchio nel cassetto dall'Autore, che aspettò prudentemente che baffone Stalin e soprattutto il suo procacciatore artistico Zdanov togliessero l'incomodo, prima di decidersi a pubblicarlo (della serie: certe vacanze-premio in Siberia meglio evitarle, se possibile).

 
È un concerto di quelli tosti, dove c'è di tutto: grande ispirazione e religiosità nel Moderato notturno iniziale, un primo risveglio nel successivo Scherzo, dove il dialogo del violino con i fiati, chiamati via via ad interventi solistici, si fa serrato, particolarmente nella sezione centrale, sfociando nell'ostinato e poderoso finale. Il terzo movimento (Passacaglia) si apre con una cupa introduzione di timpani e corni (qualcuno ci vede un richiamo al motto della Quinta beethoveniana) seguita da un corale di matrice squisitamente russa, poi il violino sembra riprendere il languido discorso interrotto nel primo movimento, quindi assume un incedere più deciso e sonorità più marcate, per tornare a spegnersi, accompagnato dal mesto ritmare della tuba; per poi concludere con una lunghissima cadenza,dapprima di sapore quasi bachiano, e poi sfociante in una serie di passaggi di alto virtuosismo. E infine uno dei classici, inconfondibili, tarantolati Presto di questo autore, dove il solista e l'orchestra sembrano inseguirsi in una forsennata discesa senza freni, una reminiscenza del mahleriano Burleske (che dà il nome al movimento) fino al repentino schianto conclusivo.

 
La Korsakova ottiene un gran successo: la tecnica è sopraffina, il suono caldo e chiaro, ma soprattutto grande è stata la sensibilità interpretativa, in specie nei movimenti lenti ed in particolare nella cadenza. Forse qualcosa da ridire avrà la sua sponsor Laura Biagiotti, del cui pregevole lungo nero Natasha ha usato un paio di pieghe per asciugare il sottomento del suo (certo più prezioso ancora) violino!

 
Il bis che ci viene concesso è di quelli inusuali, poiché coinvolge anche l'arpa e pochi archi dell'Orchestra. Ma la brava Natasha si vuol prendere una soddisfazione che il suo ruolo di solista (che per definizione la porta solo a calcare le tavole del palco, e non quelle della buca) le nega per definizione: suonare con l'orchestra la Méditation, dalla Thaïs di Massenet.

 
Da ultimo ancora una sinfonia, la Terza, di Rachmaninov (e meno male che non ne ha scritte altre, smile!) Leopold Stokovski ne fu il virtuale dedicatario: ne diresse la prima con la Philadelphia nel 1936, a poche settimane dal completamento. L'insuccesso a quanto pare convinse il bizzarro direttore a dimenticarsene per 40 anni, dopodiché la riesumò per un'incisione londinese. Anche quest'opera contravviene apparentemente i sacri canoni formali: i 4 tempi sono qui ridotti a 3 (a compensare preventivamente quello in eccesso nel concerto di Shostakovich, smile!) e una specie di Scherzo, invece di inglobare un Trio, è lui stesso inglobato nell'Adagio centrale. L'immancabile pisciatina di cane del Dies-Irae – il compositore ne soffriva il complesso, evidentemente - vi fa capolino, in modo esplicito nell'ultimo tempo, ma più cripticamente anche prima.

 
Il primo movimento è in forma-sonata: inizia in tempo lento, e vi viene esposto il motto in LA minore, che richiama vagamente l'introduzione della Piccola Russia (la seconda di Ciajkovski) e che introduce l'Allegro, nel quale spicca un tema cantabile, in MI, dei violoncelli. Al centro dello sviluppo un crescendo porta ad un accordo che i tecnici definiscono iper-dissonante, che introduce la ricapitolazione e poi la coda, col secondo tema che modula in LA maggiore, nel rispetto dei sacri canoni formali.

 
L'Adagio, ma non troppo si apre con un richiamo del corno al motto iniziale, seguito da un assolo del violino, cui il violoncello risponde à-la-Sibelius. Affiorano poi incisi dalla quasi contemporanea Rapsodia su Paganini, insieme a vaghi ricordi del secondo concerto per pianoforte, misti a un po' di Meistersinger! Ecco poi l'Allegro vivace annegato all'interno del movimento, che sembra addirittura ispirarsi all'Apprenti Sorcier! Di sicuro un bel minestrone, non c'è che dire… Poi si rientra nei ranghi, per riscaldare il suddetto minestrone, come da buone tradizioni di famiglia. Eccola: un gran pot-pourri di idee assai poco originali.

 
L'Allegro conclusivo mescola il motto iniziale con il Dies-Irae, dà spazio ad esibizioni solistiche (fagotti) e contempla una specie di fugato mutuato dalla seconda. Momenti di stasi idilliaca, rotti da brusche scosse dei bassi e alternati ad esplosioni in cui si ricapitolano temi già uditi, in un'orgia di percussioni da un-tanto-al-kilo. E infine il lento e progressivo crescendo che porta alla marziale chiusura, carica di enfasi pari alla totale inconsistenza estetica.

 
Chi ha analizzato nei dettagli la struttura della sinfonia ne ha messo in risalto l'estrema complessità, i sotterranei legami fra temi e motivi, l'impiego di scale esatonali e octotoniche, di modalità frigie, di peremennost e nega, e così via discettando. Resta il fatto che, a mio modesto avviso perlomeno, tutto questo armamentario per così dire tecnologico non basta a fare grande un'opera, quando essa è carente alla base di narrativa (musicale, s'intende) esteticamente apprezzabile, salvo forse che per un regista cinematografico in cerca di colonne sonore.

 
Qualcuno si è anche azzardato a fare paragoni fra questa sinfonia e la Patetica di Ciajkovski… a me pare francamente patetica la velleità di Rachmaninov di scrivere sinfonie siffatte in pieno novecento. Ma per sua fortuna, in USA, dove ormai risiedeva dopo aver fuggito il comunismo, non c'era nessuno Zdanov a censurarlo (smile!)

 
E così, mentre lui magari se la ride, dalla sua residenza di Valhalla, ad andarci di mezzo sono i poveri professori che, dopo aver fatto una fatica bestia per suonare la sua pretenziosa sinfonia, ricevono a malapena due striminziti applausi di cortesia. Ecco, opere come queste andrebbero tolte dal repertorio per legge (smile!) Per di più, fuori continua a piovere, governo l…

 
Sempre Iorio con brani da opere italiane la prossima settimana.
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