allibratori all'opera

bianca o nera?
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01 giugno, 2010

Ecco il salvatore

"Mi occupo di morte e sofferenza perché mi interessano. Ho visto molta gente che soffre, e credo che ciò sia uno dei temi più interessanti oggi in Europa. Viviamo nella paura, ma dobbiamo capire che c'è anche un sollievo, che ci viene parlando delle nostre paure".

XYZ (*) ammette di temere morte, dolore e sofferenza quando si tratta della sua famiglia. Ma dal momento che questa è una paura cui nessuno può sfuggire, lui ha voluto occuparsi artisticamente della cosa. Lui intende aiutare la gente a venire a patti con la propria mortalità.

Oh, my god! (in slang: minchia!)

(*) XYZ è tale Calixto Bieito, ndr.

29 marzo, 2010

Il Parsifal di Bieito, al prezzo di quello di Wagner

Io devo condividere i miei pensieri e le mie sensazioni con il pubblico. Devo comunicarli, per questo sono diventato regista.

Mai definizione più appropriata fu data del fenomeno deteriore del Regietheater.

Il signor Bieito ha dei pensieri? Ha delle sensazioni? Le vuole/deve comunicare. Fantastico, siamo tutti occhi e orecchie!

Ma che ti combina il furbastro? Mica si mette a faticare per comporre testi e musica di un dramma, che ci comunichi i suoi pensieri e sensazioni, no!

Lui prende testi e – soprattutto – musica di un'opera d'arte ormai da secoli (si può dire) entrata nell'Olimpo, e li usa per vestirci i suoi brillanti pensieri e sensazioni!

E il pubblico paga per vedere il suo Parsifal, come per vedere quello di Wagner!

Ecco alcune sentenze del maestro da incorniciare:

Per me Parsifal tratta della crisi della religione. All'inizio del ventesimo secolo i simboli religiosi erano molto importanti. Oggi li abbiamo persi, ne abbiamo altri: Cristiano Ronaldo e David Beckam, in questa direzione si muove la nostra società.

La musica di Wagner sottintende un'architettura di arte. In scena presentiamo un'architettura, che simbolizza la fine del mondo. Ciò è appropriato per Wagner, che si spinse sempre ai confini per guardare nell'abisso. Ciò dà l'impressione dell'Apocalisse: un'architettura della fine del mondo.

Per me Parsifal rappresenta il poveraccio, culturalmente rozzo. Verrà stilizzato come un eroe, un nuovo Gesù Cristo. È il nuovo super-modello della società.

Sì, sono considerazioni davvero siderali; dico, chi sono al confronto Hegel, Goethe, Schopenhauer, Freud, Baricco?

Interessante la nota sulla locandina del Teatro: avvertiamo il nostro pubblico che in questo allestimento sono presenti scene di esplicita violenza, per cui preghiamo di tenerne conto in caso di presenza di minori o bambini.

Qualcuno (non molti) cerca ancora di dissentire.

11 aprile, 2009

A Berlino si sono montati la testa


Sì, certo, c’è stato il 1989, il muro fatto a pezzi, la Unter den Linden e la 17 Giugno senza più soluzione di continuità, Potsdamer Platz rimessa a lustro da Piano, il Bundestag tornato a casa dal paesino di provincia dov’era relegato dalla disfatta del Terzo Reich... ma forse a Berlino esagerano, credendosi l’ombelico del mondo.

Ecco come la Tageszeitung (TSZ) commenta l’ultima impresa artistica (l’Armida di Gluck) del solito Calixto: sotto il titolo - di per sè inequivocabile - sexy-teatro erotomane, si legge quanto segue: “...qualcosa di così radicale e disinibito che solo a Berlino è oggi possibile (vedere). Il sexy-teatro erotomane di Bieito in ogni altra città sarebbe uno scandalo, mentre a Berlino viene compreso ed acclamato.”

No, non vi montate la testa, amici berlinesi: il vero scandalo è che uno dei vostri tre teatri d’opera inviti - un giorno sì e l’altro pure - registi come Bieito a sfogare le loro turbe psichiche, e che tanta gente - evidentemente amante del porno e non dell’opera - paghi per assistere a simili idiozie.
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Qui da noi siamo più ruspanti: ai pornostar gli facciamo fare la pubblicità delle patatine.
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04 aprile, 2009

Se Bardi l’avesse previsto...

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Il Corriere della Grisi riporta in primo piano l’ormai annoso problema delle regìe di opera, pubblicando un decalogo di regole di comportamento cui i registi - e i loro datori di lavoro, sovrintendenti e direttori di teatri - dovrebbero attenersi, allo scopo di limitare, da un lato, il fenomeno della sistematica distorsione della natura delle opere, e dall’altro di calmierare i costi di allestimenti che coniugano la scelleratezza artistica con un ormai insostenibile sperpero di risorse del contribuente.

Di certo v’è da chiedersi se Giovanni Bardi avrebbe deciso lo stesso di fondare la sua Camerata, se avesse previsto che fine avrebbe fatto l’opera lirica, anzi il dramma per musica da lui così fermamente voluto, a 500 anni di distanza.

Perchè - purtroppo - ciò che Bardi inventò è una cosa talmente speciale e unica al mondo che - unica, appunto, fra tutte le arti - si presta alle più stampalate (o anche serie a volte) manipolazioni, adulterazioni, ai più grotteschi o cervellotici stravolgimenti fra ciò che l’Artista autore aveva ideato e scritto sulla carta e ciò che un tizio, chiamato regista, si arroga il diritto di mettere in scena. Colui che dovrebbe essere il servo di quell’opera e quindi della volontà del suo Autore, è oggi assurto al ruolo di libero ricreatore dell’opera originale. E spesso e volentieri si tratta di ricreazioni che andrebbero gratificate mettendo il ricreatore a ricrearsi nell’ora d’aria di un carcere. Invece sono ricompensate con cachet milionari.

Tanto per fare un esempio, ve lo immaginate un regista che ambientasse l’Enrico IV ai giorni nostri, calando il Re d’Inghilterra, che so, nei panni del George W. Bush che si appresta a far guerra all’Iraq, dopo aver messo a ferro e fuoco l’Afghanistan? Sentite come esordirebbe il 43:

Scossi ancor come siamo
e spalliditi dai recenti affanni,
non concediamo tuttavia respiro
a questa nostra spaurita pace
e, con voce pur rotta dall’affanno,
ritorniamo a parlar dell’altra guerra
da portare su più lontani lidi.

Una gran farsa, diciamolo pure, nulla più. E infatti nessuno ha avuto - per ora almeno - il coraggio di proporre una simile stupidaggine.

Invece un Bieito qualunque può impunemente rappresentare il Ratto ambientandolo in un postribolo, con sesso orale esplicito... tanto c’è la musica di Mozart che lo salva, e il pubblico medio poco bada alla “trama”, addirittura alle parole e al fatto che il regista abbia stravolto la prima e manipolato le seconde. Perchè se la performance musicale è di livello, si passa sopra anche alle più bieche idiozie del regista, anzi quasi le si apprezza perchè allora sembrano dare un tocco di vita e di novità ad oggetti che altrimenti apparirebbero, appunto, come ammuffiti in un museo (oh, che barba, rivedere la Gioconda di Leonardo per la ventesima volta; godiamoci quella baffuta di Duchamp, che è più moderna!) Sembra poi un paradosso, ma quanto più le regìe sono strampalate ed arbitrarie, tanto più necessitano di un’esecuzione musicale (canto e orchestra) di primissimo ordine, poichè il pubblico in fin dei conti è andato lì principalmente per ascoltare la musica e apprezzare il canto, non perchè attirato dalla profondità dei testi o dalla plausibilità della trama (manco per Wagner... che è tutto dire).

Sul fronte più serio, i Carsen e gli Herheim, come i loro maestri-brechtiani-DDR-impastranati alla Götz Friedrich, mettono in scena spettacoli che sono - in se stessi - delle opere d’arte ma, appunto, sono il Parsifal di Herheim (non di Wagner) o l’Alcina di Carsen (non di Händel).

Oggi si arriva ormai (Carsen docet, proprio con Alcina) a far forza alla musica, con tagli anche sostanziali precisamente funzionali allo stravolgimento che il regista ha fatto del soggetto. Domani, per le stesse ragioni (modernità, appeal verso il pubblico, innovazione) si arriverà anche ad intervenire sui righi, sull’orchestrazione, e così via.

A ben pensarci, ne può uscire un business enorme: basta immaginare quante versioni diverse, una più interessante dell’altra, si potrebbero scrivere del Fidelio, del Lohengrin, dell’Otello!
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28 gennaio, 2008

L’ultima di Calixto

La bizzarra moda di rappresentare il (presunto) significato, e non il significante, che sta alla base del cosiddetto Regietheater, ha trovato negli ultimi anni un nuovo campione in Calixto Bieito.

Costui - come altri sedicenti artisti - magari avrà anche delle idee originali in testa, quali: la disumanità del capitalismo, la perdita di valori nella nostra società, l’incomunicabilità fra gli uomini, la mercificazione del sesso, e altri simili arditi filosofeggiamenti. Orbene, invece di prendersi la briga, come ci si dovrebbe aspettare da un artista, di scrivere piéces teatrali sui suoi soggetti, magari musicandole egli stesso, o facendole musicare da qualcuno... e poi cercare di rappresentarle da qualche parte, cosa fa un tipo alla Bieito?

Si propone come regista di drammi wagneriani (o di opere mozartiane o verdiane) calati nella nostra moderna società. Con ciò ottiene alcuni interessanti (per lui) risultati:

1. non fa alcuna fatica a scrivere parole, nè musica: li trova già bell’e pronti;
2. non ha alcun problema di promozione della sua immagine, poichè utilizza quella di artisti e di opere collaudati da decenni, se non da secoli di successi in tutti i teatri del mondo;
3. più il pubblico fischia le sue regie, meglio per lui! È il miglior modo per farsi pubblicità ed essere scritturato da teatri la cui importanza è inversamente proporzionale alla preparazione e alla serietà dei rispettivi sovrintendenti.

L’ultima? Una performance a Stoccarda, dove si rappresenta uno spaccato dell’infernale società capitalistica moderna: un manager che ha perso il posto, che vede intorno a sè soltanto disumanità ed arrivismo e che si riduce disperato a cospargersi di benzina, minacciando di darsi fuoco; un gommone che trasporta clandestini, guidato a frustate da un manager in carriera; una donna-oggetto, che vede ogni sua sensibilità soffocata da una famiglia di benpensanti e diventa ossessionata dal far del bene a qualcuno; manager e impiegati di aziende concorrenti che si abbandonano ad orgiastici festini - con conigliette (che escono come cagnolini da una cuccia) e champagne - distruggendo frigoriferi e lavatrici (i prodotti del capitale, già, perchè c’è anche il consumismo!) Il lato davvero debole, quasi incomprensibile, di questa straordinaria opera d’arte è il lieto fine che la conclude, col povero manager disoccupato che trova nella donna pia amore, pace, pietà e tutti i valori positivi!

L’opera, chiederete... Ma perchè, non basta quanto sopra?

E invece sì, c’è anche l’opera: il Fliegende Holländer di Wagner.

Ma, a supportare adeguatamente il capolavoro di Bieito, potevano andar benissimo anche Tannhäuser o Lohengrin, statene pur certi. Il Ring invece lo hanno già interpretato a loro modo altri registi più famosi, e il Calixto dovrà aspettare... però chissà che i prossimi Leiter di Bayreuth non ci facciano un pensierino.

08 gennaio, 2008

Ancora sul Regietheater

“Immaginate un Parsifal ambientato in una moderna megalopoli, dove Klingsor è un magnaccia impotente che gestisce un bordello; egli usa Kundry per sedurre i membri del circolo del Gral, una banda rivale di spacciatori. Il Gral è gestito da Amfortas, ferito, il cui padre, Titurel, è perennemente in delirio da extradose; Amfortas è messo terribilmente sotto pressione dai membri della sua banda, che pretendono da lui il rituale, cioè la distribuzione della razione giornaliera di droga. Parsifal è un giovane inesperto, figlio di una ragazza-madre senza fissa dimora, è in cerca di droga, e ”prova il dolore”, rifiutando le avances di Kundry, mentre questa gli fa sesso orale...”

Niente male, vero? Chissà se Stefan Herheim ci propinerà un’opera d’arte di questo genere, il prossimo 25 luglio a Bayreuth! (speriamo proprio di no, anche se ci sono precedenti inquietanti, che ce lo mostrano come un antesignano di tale Calixto Bieito).

Tanto comunque - possiamo starne certi - ci penserebbe il nostro bravo Daniele a salvar tutto, facendo emergere dall’Orchestergraben quell’unico, inossidabile, indistruttibile, incorruttibile blob che è la musica di Wagner, che si fa un baffo di qualsivoglia offesa si cerchi di arrecarle, e che resiste - altera - ad ogni attacco di approfittatori senza scrupoli, assoldati da Spielleiter a loro volta imbecilli e rincoglioniti, o più spesso in cerca di pubblicità a buon mercato.

La messa-in-scena virgolettata sopra è stata - per nulla scherzevolmente - immaginata da Slavoj Zizek, un’autentica autorità nel campo della filosofia e della psicanalisi, oltre che wagneriano sopraffino, che l’ha definita “il mio sogno privato”. Sostenendo che Wagner, per continuare a mantenersi vivo, deve alimentarsi con sempre nuovi allestimenti, di tutte le tendenze e di tutte le fogge.

Ahilui non accorgendosi che - invece - il nesso causa-effetto è esattamente l’opposto! Troppo spesso la regia, le scene, i costumi, invece che essere il mezzo che serve a far arrivare al pubblico l’opera che l’Artista ha voluto propinarci (che è il fine) vengono fatti assurgere a fine, per raggiungere il quale ci si serve, come mezzo di sicuro successo, dei drammi di Wagner.

Insomma, la differenza che passa fra: servire e servirsi di.
(nobbuono)