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15 febbraio, 2025

Orchestra Sinfonica di Milano - 24-25.16 – Eun Sun Kim

Una giovane ma già affermata direttrice coreana (ha già diretto una Bohème alla Scala, ma l'Archivio scaligero non la nomina nemmeno...) sale per la prima volta sul podio dell’Auditorium di largo Mahler per dirigere un concerto che ci porta da Mozart (sub-judice…) a Korngold.

È infatti di un Mozart non propriamente genuino che si ascolta la Sinfonia concertante K297b per oboe, clarinetto, corno e fagotto con accompagnamento di archi, oboi e corni.

Quest'opera è tuttora oggetto di dispute e diatribe, quanto alla sua autenticità. Si sa che Mozart (in gita nel 1778 a Parigi con la mammina, che purtroppo di lì a poco vi morirà e vi verrà sepolta, dopo un misero funerale cui assistettero solo Wolfgang e un amico) si era impegnato a comporre una Concertante per quattro solisti di Mannheim (col flauto al posto del clarinetto). Ma né un originale, né copie autentiche o attendibili sono mai emersi e ciò che abbiamo a disposizione - e che ha dato il nome (francamente usurpato) all'opera - è soltanto un manoscritto di dubbia provenienza, scovato e fatto ricopiare a Berlino da tale Otto Jahn quasi un secolo dopo la presunta composizione e, guarda caso, proprio mentre costui si apprestava a pubblicare una sua biografia di Mozart!

C'è comunque chi sostiene sia musica troppo grande (escludendo magari il modesto accompagnamento orchestrale…) per non essere del Teofilo; chi invece ipotizza sia un pastiche (tre movimenti, tutti nello stesso MIb, orrore!) messo insieme da sconosciuti sulla base di ricordi di qualche concerto; chi pensa sia stata effettivamente scritta da Mozart a Parigi (col flauto al posto del clarinetto) ma poi andata davvero perduta, e quindi riscritta – a memoria – dal compositore per il nuovo organico di solisti; chi invece sospetta che a Parigi Mozart non abbia composto proprio un bel nulla di quel pezzo (tant'è che il concerto dei solisti di Mannheim per i quali era stato commissionato non ebbe luogo…) dopodichè si sarebbe inventato per papà Leopold la scusa del manoscritto non restituitogli dallo sbifido committente (Joseph LeGros) e solo successivamente avrebbe buttato giù qualcosa (la parte solistica) senza portarlo a termine; e così via immaginando.

Quanto alla pratica, la versione che si esegue normalmente è quella rinvenuta (?!) da Jahn e pubblicata nel 1886 da Breitkopf col titolo Concertantes Quartett, che è entrata ed uscita dal catalogo Köchel come in una porta girevole: dapprima inserita fra le opere perdute; poi nel 1936 (Einstein) immessa nel catalogo principale; poi, dalla sesta edizione del 1960, relegata nel limbo dei supplementi, dove si trova ancor oggi: la NMA (Neue-Mozart-Ausgabe) la inserisce nella Serie X/29/1: Opere di incerta paternità

[A proposito, perché non impiegare l’IA, invece dei musicologi, per questo tipo di ricerche? I risultati sono… ehm, proprio artificiali!] 

Insomma, una storia lunga, travagliata e certamente non ancora chiusa. Ad esempio, il solito (ultimo in ordine cronologico di una lunga serie) primo della classe (Robert D.Levin, nella fattispecie, autore del saggio Who Wrote the Mozart Four-Wind Concertante?) ha provato a ri-arrangiare il brano sulla base di complesse ricerche statistiche sulle tecniche compositive di Mozart. Intanto ha riesumato il flauto (in luogo dell'oboe, che prende a sua volta il posto dell'espunto clarinetto); poi ha fatto intervenire i solisti da subito, già sulla prima esposizione dei temi dell'Allegro (di cui ha riscritto completamente la cadenza); ha tagliato molta parte orchestrale (dove effettivamente si incontrano bizzarrìe formali assai poco mozartiane…) e anche qualche sezione di quella solistica, ugualmente ritenuta fuori-forma (sempre mozartianamente parlando); ha redistribuito qua e là le linee degli strumenti solisti; ha tagliato le 4 misure introduttive orchestrali dell'Adagio; nel conclusivo Andantino con variazioni ha espunto totalmente le 10 apparizioni dell'interludio orchestrale (che precede le altrettante variazioni al tema, trasformandosi effettivamente quasi nel tema principale di un rondò…) introducendo al loro posto la ripetizione di tutte le (22) linee melodiche dei solisti.

Ecco qui un'interessante esecuzione della ricostruzione di Levin dovuta alla Wiener Akademie con Martin Haselböckparte1(Allegro)parte 2(Adagio)parte3(Andantino con variazioni). Effettivamente va dato atto a Levin di aver messo in piedi un prodotto di tutto rispetto, di qualità e godibilità non certo inferiori a quelle del comunque spurio e apocrifo originale. Ma, diciamolo francamente, a questo punto qualunque Allevi di passaggio potrebbe inventarsi la sua propria variante della ricetta, con lo stesso grado di (in)credibilità.

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Qui invece (come nella precedente esecuzione di 13 anni fa, si rimane ancorati alla tradizione (quindi col clarinetto) e i solisti sono le quattro prime parti (quasi le stesse di allora) dell'Orchestra: Emiliano Greci all'oboe, Raffaella Ciapponi al clarinetto, Sandro Ceccarelli al corno e – subentrando al senior pari grado Andrea Magnani - Orsolya Juhasz al fagotto.

Quindi, dopo il Concerto per flauto e arpa di un paio di settimane fa, ecco un'altra occasione di mettersi in mostra per i bravi strumentisti de laVerdi. Che anche stavolta assaporano il loro momento di gloria, mettendosi in vista nei passaggi che di volta in volta li impegnano singolarmente, a coppie, in trio e tutti insieme. Da incorniciare l’Adagio con i mirabili dialoghi fra i quattro. E poi.nelle dieci variazioni finali, le volate dell’oboe, gli arabeschi del clarinetto, gli slanci eroici del corno e gli arpeggi agitati del fagotto. Insomma, una conferma che dietro questa musica non può non esserci lo zampino del Teofilo.

Così il quartetto è subissato da applausi di pubblico e colleghi e ci regala una moderna e indiavolata… comica serenata: la trascrizione dell’ultimo movimento del Quartetto per sax di Jean Françaix.

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Un altro ragazzo-prodigio, Erich Wolfgang Korngold, è l’autore del secondo brano in programma, la sua Sinfonia in Fa diesis, composta per la verità quando il ragazzo era cresciutello assai, avendo nel frattempo conquistato Hollywood, e soprattutto un bel mucchio di… bigliettoni verdi.

Ripropongo qui un mio precedente commento all’opera, che effettivamente non si merita le critiche e l’oblio di cui è caduta vittima. E devo dire che anche ieri Eun Sun Kim ha saputo far risaltare gli aspetti apprezzabili di questo lavoro, accentuandone tutti i contrasti che lo pervadono, fino alla nobile e ottimistica conclusione. 

Il suo gesto è quasi fatto di carezze, mai eccessivo, ricorda un suo celebrato connazionale, Myung-Whun Chung, del quale si avvia a raccogliere il testimone nel mondo musicale. E l’Orchestra l’ha coadiuvata dando il meglio per tensione emotiva e compattezza di suono.

Sala con molte poltrone vuote, complici anche lo sciopero dei mezzi pubblici e un temporale abbattutosi su Milano proprio nel pomeriggio: ma i presenti non hanno mancato di far sentire il calore del loro supporto a musicisti e Direttrice!


05 marzo, 2023

Vita scaligera da Bohème

Ieri la prima dell’antica Bohème scaligera, figlia del secolare Franco Zeffirelli, il cui allestimento compie proprio in questi giorni i 60 anni di ininterrotta presenza (23 stagioni!) al Piermarini: un vero record, a proposito di musei! Oggi è resuscitata da Marco Gandin e affidata ad una bacchetta coreana, di una ragazzina che sta di casa a San Francisco, quella di Eun Sun Kim.

Giusto quindi festeggiare queste ricorrenze irripetibili, ma…

Per rinfrescarmi la memoria avevo guardato in rete una recita fra quelle rimaste storiche, questa del 1979.

Ora, non voglio certo fare il passatista e proporre confronti improponibili (anche perchè sarebbero inevitabilmente impietosi!) fra i cast di 45 anni fa e quello di oggi.

Faccio invece qualche commento sul pubblico. Siamo proprio in un’altra epoca storica: allora si andava alla Scala come (e più che) a SanSiro. Come cartina di tornasole si osservi e si ascolti (nel video citato) ciò che accadeva in ciascuna delle prime tre chiusure di sipario: chiamate ripetute e un’autentica bolgia, urla selvagge e belluine, pubblico in delirio, insomma una partecipazione emotiva generale e al calor rosso.

Ieri sera, negli stessi momenti? Una sola uscita, quattro applausetti di circostanza e ciao. Pochi bravo! e qualche urletto soltanto alle uscite finali.

Quindi: siamo cambiati noi (in peggio o in meglio?) o si poteva fare qualcosa (o molto) di più per celebrare degnamente le due irripetibili ricorrenze?