XIV

da prevosto a leone
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11 novembre, 2020

Grazie Firenze, grazie Mehta

La figuraccia (dei tecnici) di ieri sera è stata fortunatamente riparata, con la diffusione in differita della Creazione, che ci ha permesso di godere di un’esecuzione che definirei di eccellente livello.

Mehta stupisce ogni giorno di più per la concentrazione e il piglio con cui guida le masse strumentali e corali; e i solisti (Volle su tutti) si sono egregiamente distinti, facendoci passare due ore indimenticabili (e facendoci dimenticare i guai che ci affliggono di questi tempi).

Quindi: grazie di cuore a tutti e... non mollate!


10 novembre, 2020

Contagiata anche la Creazione di Haydn-Mehta in streaming

Si moltiplicano le iniziative delle istituzioni musicali che propongono produzioni a-porte-chiuse irradiate in streaming sulla rete.

Questa sera è stata la volta del Maggio fiorentino, che ci voleva offrire una delle opere corali più grandiose dell’intera produzione degli ultimi secoli, Die Schöpfung di Joseph Haydn, diretta dal venerabile Zubin Mehta, che in questi tempi di coronavirus sembra aver moltiplicato le forze e le presenze sul podio...

Peccato che il virus abbia contagiato anche la tecnologia, che ha diffuso immagini passabili e suoni precisamente da polmonite interstiziale!

(Dico, se il contagio adesso si diffonde anche tramite web... ah padron, siam tutti morti!)


15 aprile, 2020

Per i nati nel terzo millennio


Sono loro che (virus permettendo) potranno constatare se la nostra Liebe Erde fra 50 anni sarà salva o... perduta (per loro, mica lei).


Lascio volentieri a loro di stare alla finestra per godersi la suspence, o invece di agire coscientemente per raggiungere uno dei due opposti obiettivi, rispetto ai quali si può star certi che la Liebe Erde sia del tutto indifferente (fin dai tempi dell’Eden lei non fa che ripetere, agli umani pirlotti, imperturbabile: ahò, so’ ccazzi vostri, mica miei...) 

Così ho pensato fosse meglio tornare un filino indietro nel tempo, precisamente a prima di quel giorno che vide l’inizio del più incredibile spettacolo mai messo in scena. E, per combattere uno degli effetti indesiderati del Covid-19, mi sono riavvicinato a quella mirabile opera d’arte che risponde al nome di Die Schöpfung, che mi ero ripromesso di ascoltare a Bologna fra qualche giorno, obiettivo finito in discarica, con mascherine, guanti usati e tutto il resto.  

Tempo fa (son passati più di sette anni!) avevo scritto alcune brevi note sull’intera opera, in occasione di un’esecuzione delle formazioni di Helmuth Rilling al MITO, prendendone poi in particolare esame l’Introduzione, da Haydn battezzata Die Vorstellung des Chaos (La rappresentazione del Caos) che in sole 58 battute evoca con grandissima sapienza lo scenario preesistente alla decisione divina di creare il... creato. 

Insomma, anche Dio, proprio come noi quarantenati in casa (ma Lui non era minacciato da un coronavirus) si cominciò ad annoiare di un eterno e immutabile tran-tran (il Caos, appunto) nel quale si era rinchiuso chissà perchè, e decise di... ripartire. Anzi, stando a sedicenti cosmo-esperti, di far prendere finalmente un po’ d’aria a quella sua incommensurabile massa che aveva rinchiuso nel suo microscopico appartamento, un vero buco... nero. Poi, qualche miliardo (?) di anni più tardi, scappatogli l’occhio su quel granello di polvere chiamato Terra, decise che era il caso di spedirci, magari camuffato da virus come questa volta, uno dei suoi tanti - peraltro sempre inascoltati - #macheminchiastateaffa’? Mica per niente il vecchio Josephus, nella sua musicale narrazione, si fermò all’Eden, preferendo non incamminarsi su una strada che avrebbe trasformato il suo Oratorio in una... via-crucis.
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Com’è noto, la prima esecuzione dell’Oratorio (domenica 29 aprile 1798) avvenne a Vienna in forma privata, nel sontuoso palazzo del Principe Schwarzenberg. Un anno dopo (martedi 19 marzo 1799) si ebbe la prima pubblica, sempre a Vienna. Ma una particolare prima fu quella di domenica 27 marzo 1808, nella Sala delle Feste dell’Università della capitale austriaca. Haydn era presente ed acclamato dalla folla, ma ormai malconcio (gli resterà poco più di un anno di vita) tanto da dover abbandonare la sala dopo la prima parte dell’Oratorio. Quell’esecuzione (sul podio Antonio Salieri) fu la prima ad essere fatta in pubblico in lingua italiana (anche qui il Principe Lobkowitz l’aveva già fatta eseguire a casa sua tempo addietro).



La traduzione (dal testo tedesco di Gottfried van Swieten) riportata nella versione ritmica dello spartito (stampato da Artaria a Vienna) fu opera di un italiano, Giuseppe (de) Carpani, poeta di corte e grande ammiratore di Haydn, del quale si vantava di essere amico e sul quale scrisse le Haydine, lettere immaginarie recanti aneddoti, ricordi e... pettegolezzi riguardanti il compositore, e diverse notizie proprio relative all’Oratorio. Ne cito una perchè credo si applicherebbe ancor oggi a tanti cantanti e direttori che - convinti di apportare valore aggiunto all’originale - si prendono ogni sorta di libertà: 

L’Haydn era così severo in fatto di pretta esecuzione di questa sua musica, che assistendo ad una prova (...) diede una sonora lezione alla notissima cantante la signora Campi, che, dotata di grande estensione, forza e volubilità di voce, mal poteva di solito frenarsi nella profusione degli abbellimenti. Giunta era la prova ad un passo rimarchevole del primo finale, quando l’Haydn prorompe in un grido, e, sospesa ogni cosa, volgesi bruscamente alla cantante, e le dice: “Cosa sono queste note? Io non le ho scritte. Chi gliele ha consigliate?” (La saputella aveva sostituito ad una semi-breve tenuta un suo ghiribizzo di volatine, che infrascando d’incongrue note il passo, lo stravisavano.) La sbigottita cantante rispose: “Perdoni, sig. maestro. Quelle note ce le ho poste io, perchè mi parea che facessero bene.” “E se facessero bene, soggiunse l’Haydn, le avrei poste io prima di lei. Fanno male, e perciò non le voglio; canti come sta, e ci guadagneremo ambidue.”

Per omaggiare Haydn quel giorno dell’esecuzione in italiano, Carpani, cui era stato assegnato un posto in sala proprio dietro alla poltrona su cui sedeva il vegliardo, portato lì di peso, compose per l’occasione questo breve sonetto, che verrà persino musicato da Salieri: 

   A un muover sol di sue possenti ciglia
      Trar dal nulla i viventi e l’Universo,
      E spinger Soli per cammin diverso,
      E immensa attorno a lor d’astri famiglia;
   E natura sì ordir, che, di sè figlia,
      Si rinnovi ogni istante, e il dente avverso
      Le avventi invan lo Struggitor perverso,
      Se Dio lo volle e il fe‘, qual meraviglia?
   Ma ch’uom l’opra di Dio stupenda e rara
      Eguagliar tenti con pittrici note,
      E la renda al pensier presente e chiara,
   Non possibil cimento a ognun parea.
      Haydn, tu il festi. In te chi tutto puote
      Tanto versò di sua divina idea.    

La versione italiana di Carpani (assai aulica nello stile) fu oggetto, nell’800, di parecchie esecuzioni dell’Oratorio in diverse città italiane, come dimostrano numerose edizioni a stampa del libretto, comparse a Bologna, Cremona, Firenze, Milano, Napoli, Roma, Venezia. (Per curiosità, le edizioni fiorentine suddividono l’Oratorio in due parti, 1+2 / 3.) In tempi recenti non risultano esecuzioni, nè quindi registrazioni, in lingua italiana. 

Un’altra traduzione italiana (apocrifa) compare in un’edizione (del 1805?) della partitura d’orchestra apparsa a Parigi, con testi in francese e italiano. Ne scrisse, in termini assai negativi (chissà perchè?) proprio Carpani in una delle sue letterine su Haydn. Lo stesso testo italiano si trova, aggiunto a penna sotto quello tedesco, su uno spartito dell’Editore Mollo (Vienna, 1800) conservato in Spagna. Esiste una traduzione, in linguaggio più moderno (senza riferimenti all’autore) riportata su programmi di sala della Scala e del MITO. E un’altra ancora sul sito l’Orchestra Virtuale del Flaminio (legato a Santa Cecilia) purtroppo incompleta nella terza parte.

Quanto alla musica, il manoscritto originale pare sia andato perduto, e ci restano le edizioni di Mollo e (più tardi) di Breitkopf. Una versione manoscritta apocrifa è custodita da una Fondazione brasiliana, che l’ha caricata in rete (IMSLP): interessante notare come l’Oratorio vi sia diviso in due parti (1 / 2+3) con indicazione dei tempi di esecuzione (1h10’ + 1h05’ = 2h15’) assai più lunghi degli odierni tempi medi, che stanno poco o tanto sotto le 2h. 

E quindi veniamo al sodo, cioè ad ascoltare questo capolavoro. Il primo suggerimento va (noblesse oblige) a quell’Uomo (assai prima che musicista) che fu Lenny Bernstein. Nel giugno del 1986 (poche settimane dopo il disastro nucleare di Chernobyl) diresse l’Oratorio nella grande basilica barocca incorporata nel monastero benedettino di Ottobeuren, in Baviera, con l’Orchestra e il Coro della Radio locale. Impiegò cinque (e non tre) solisti di canto, fra i quali spiccano i nomi di Kurt Moll (Raphael) e Lucia Popp (Eva). A margine della rappresentazione Bernstein registrò, all’aperto, fra le aiuole su un lato del monastero, e con lo stesso abbigliamento del concerto, un breve pistolotto che meriterebbe di esser mandato a memoria da tutti, ma soprattutto da coloro che reggono (senza merito alcuno, va detto) le sorti di questo nostro granello di polvere. 

Più vicino a Haydn e alla sua terrena vicenda è il secondo suggerimento: che ci porta ad Eisenstadt. Haydn trascorse quasi 30 anni della sua esistenza (dal 1761 al 1790) in questa cittadina a sud di Vienna, dividendo il suo tempo (soprattutto in estate) con il vicino paesetto di Fertőd, distante 40Km in linea d’aria, appena a sud dell’attuale confine che separa Austria e Ungheria. Nelle due località sorgono altrettanti palazzi della famiglia dei Principi Esterházy (in particolare quello di Fertőd intendeva rivaleggiare con... Versailles) della quale Haydn fu (sotto Nicola I) Maestro di cappella.


Purtroppo Nicola I fu uno spendaccione morto pieno di debiti, ereditati dal figlio Antonio che non trovò di meglio - per risanare le sue finanze - che disfarsi anche della sua cappella, Haydn incluso. Ascoltiamo quindi l’Oratorio nella grande sala del palazzo di Eisenstadt, dove Haydn aveva tante volte allietato le ore del suo mecenate con le sue Sinfonie e Quartetti. Lo interpretano - in occasione del 200° anniversario dalla sua scomparsa - Orchestra e Coro austro-ungarici (e tre soli solisti di canto) diretti da uno che (insieme al fratello Ivan) perpetua la tradizione musicale sette-ottocentesca dell’era asburgica: Ádám Fischer (o meglio: Fischer Ádám, come si usa a casa sua).

Non c’è due senza tre? Certamente: ma il tre lo lascio alla libera scelta di ciascuno: in rete, ma son certo anche in molti scaffali casalinghi, c’è ampia disponibilità di questi suoni... celestiali.

01 ottobre, 2014

Mehta creatore alla Scala

 

La stagione concertistica del Teatro è stata aperta Iunedi da Zubin Mehta con l’esecuzione dell’oratorio Die Schöpfung (La creazione) di Josephus Haydn. Ieri sera la prima delle due repliche (oggi l’ultima) in un Piermarini che presentava più di un vuoto qua e là.


A Milano quest’opera era ultimamente risuonata un paio d’anni fa nella Sala grande del Conservatorio, proposta in chiusura del MITO-2012 da Helmuth Rilling con i suoi complessi orchestrali e vocali di Stoccarda. Nell’occasione avevo scritto alcune note, focalizzate principalmente su quell’autentico gioiello che è l’Ouverture.

Rispetto a Rilling, Mehta ha messo in campo una squadra un po’ più nutrita: il coro SATB di Casoni era di 60 elementi (17-17-14-12) rimasti in 59 proprio alla fine per la defezione di un soprano (speriamo per lei non si sia trattato di nulla di grave…) e gli strumentisti erano 50 (51 nella terza parte, dove si aggiunge un terzo flauto) più timpani e tastiera.

Ai tre interpreti principali - il soprano Julia Kleiter, il tenore Peter Sonn e il basso Thomas E.Bauer - si è aggiunta Lilly Jørstad, mezzosoprano dell’Accademia scaligera, per cantare 4 Amen (neanche una quarantina di note…) nell’Andante conclusivo (di solito per questa incombenza si fa avanzare una componente del coro). La Kleiter non mi è parsa impeccabile, soprattutto negli acuti e nelle volate di semicrome che costellano la sua parte. Meglio han fatto il tenore e il basso.

Con scelta (per me) infelice, anche se non rara, si è fatto dopo la seconda parte un intervallo in piena regola, che finisce per rompere l’unità dell’opera e la concentrazione del pubblico: credo che un’ora e cinquanta minuti filati dovrebbero essere più che sopportabili sia per gli interpreti che per il pubblico.

Ad ogni buon conto, il successo è stato pieno e meritato.  

24 settembre, 2012

Una grande Creazione di Rilling al Conservatorio


Chiusura (o quasi…) in grande stile per il MITO-2012 al Conservatorio, dove ieri sera è stato presentato – peccato per i grandi vuoti in sala… - il monumentale oratorio Die Schöpfung (La creazione) di Haydn

Ad interpretarlo la Internationale Bachakademie Stuttgart, la prestigiosa formazione (che comprende le voci della Gächinger Kantorei e gli strumentisti del Bach-Collegium Stuttgart) diretta dal venerabile Helmuth Rilling, che ne fu il fondatore quasi 60 anni fa! Solisti di canto il soprano Julia Sophie Wagner (nei ruoli di Gabriel ed Eva) il tenore Lothar Odinius (Uriel) e il basso Markus Eiche (Raphael e Adamo). 

Il testo dell'Oratorio, di provenienza albionica ma di dubbia paternità, fu poi predisposto per Haydn da un nobile austriaco – tale Barone Gottfried Freiherr van Swieten – e ricalca da vicino la Bibbia (Genesi e Salmi) e il Paradise Lost di Milton. Il primo verso, recitato da Raphael l'Arcangelo, è proprio Im Anfange schuf Gott Himmel und Erde (Genesi, 1,1: In principio Dio creò il cielo e la terra.)  

Haydn pensò bene di anteporre all'Oratorio una specie di Ouverture, cosa del tutto logica e consueta, però attenzione, non vi inserì temi ripresi poi nel corso dell'opera (qualche motivo effettivamente lo risentiamo più avanti) ma ne fece propriamente un Preludio alla Creazione, intitolando queste 58 battute in 4/4 Die Vorstellung des Chaos, La rappresentazione del Caos. (Si noti che questo è anche l'unico sottotitolo che compare in tutta la partitura.) 

Ora, sappiamo che nella Bibbia mai si parla di Caos – inteso come ciò che preesisteva alla creazione dell'universo – e che il Caos è invece un concetto ben più antico, usato dai Greci e prima ancora dagli Ittiti. I moderni esegeti della Bibbia lo impiegano per immaginare quella realtà disordinata cui Dio avrebbe posto ordine con la creazione di cielo e terra (e di tutto il resto… Uomo incluso). E di sicuro Haydn a questo pensò decidendo di anteporre al racconto biblico il suo Preludio.  

Bene, chiunque di noi si ponesse l'obiettivo di evocare in musica il concetto di Caos, molto probabilmente penserebbe a cose del tipo: stridenti dissonanze, improvvise esplosioni di suoni e rumori, continui cambi di tempo e di ritmo, anzi propriamente assenza di ritmo e tempo, insomma: un totale disordine sonoro prodotto da strumenti magari impiegati fuori e contro le loro stesse naturali prerogative. Oppure, come fece il buon Wagner nel preludio del Rheingold, il semplice silenzio, rotto magari da un indistinto ronzio, un sordo rumore di fondo evocante l'abissale nulla cosmico. 

Haydn? Beh, il nostro buon credente deve aver ragionato così: anche se prima della creazione c'era il Caos, esso non poteva però preesistere a Dio! Ergo, anche il Caos doveva essere necessariamente un prodotto di Dio, anche se un prodotto magari ancora rozzo, che infatti Dio decise in seguito di, ehm… perfezionare. Ecco perché la Vorstellung, ben lungi dal presentarci un caos sonoro, è invece un mirabile, perfettamente strutturato e ordinato brano musicale, nel quale l'Autore semplicemente introduce alcune deviazioni rispetto alle vigenti regole canoniche di composizione. Deviazioni nemmeno poi troppo gravi né così scandalose per i suoi tempi, e addirittura trascurabili per noi, che ormai da più di un secolo ad autentici caos sonori abbiamo dovuto, volenti o nolenti, allenare le nostre orecchie.
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Già sui righi della partitura compaiono in chiave i tre bemolli, che ci preparano al DO minore (o al MIb maggiore) quindi tonalità classiche del diatonismo, ma poi nella prima battuta – quella che ci dovrà inevitabilmente presentare lo scenario originale, ciò che preesisteva anche al Caos - ascoltiamo tutti gli strumenti (escluso il terzo trombone e il controfagotto - che non suonano mai nella Vorstellung - e i corni) suonare con 18 voci, ad intervalli di ottave, un'unica nota: il DO (per noi la prima nota musicale!) forte (ma con forchetta decrescente) e lungo a piacere (corona puntata); insomma, sembra qui di vedere il Creatore, evocato da due sue ben precise prerogative: l'unità (la trinità verrà dopo…) e la solenne e imperturbabile eternità!  

Nelle tre successive battute (piano) a suonare sono soltanto gli archi (tutti con sordina) contrabbassi esclusi (curiosità: nel citato preludio del Rheingold, in analogo scenario, Wagner farà invece suonare solo i contrabbassi); nella battuta 2, ai violoncelli che continuano a suonare il DO (ma un'ottava più in alto) si aggiunge il MIb delle viole che ci salgono dal DO originario e quindi ci portano vagamente verso l'atmosfera di DO minore (è per caso il Caos visto musicalmente come un'emanazione minore di Dio?) ma nella seconda metà della battuta entrano i secondi violini con un LAb, raggiunto salendo dal DO sottostante: ohibò, qui abbiamo la triade fondamentale di LAb maggiore (altro che caos… come udiremo fra poco!) Che dura solo quella mezza battuta, chè nella terza viole e violoncelli degradano di un semitono, rispettivamente a RE e SI naturale, mentre i violini primi entrano con un FA e i secondi tengono ancora il LAb: abbiamo quindi qui un accordo di quattro note (SI-RE-FA-LAb) costituito da una sovrapposizione di tre terze minori: ciò che accademicamente è definito accordo di settima diminuita, che ha un sapore piuttosto sinistro. Ma dura solo mezza battuta, poiché i violini secondi scendono al SOL, producendo un effetto di accordo di dominante (di DO) ma solo per una semiminima, dato che i violini primi salgono al FA#, creando una momentanea dissonanza. Insomma, qualcosa si sta muovendo, e lo fa all'interno di uno scenario non certo caotico (nel senso che noi diamo comunemente al termine) ma musicalmente organizzato, sia pure con qualche piccolo… disordine.  

Ora quella dissonanza lascia spazio ad una battuta suonata dai soli violini primi, che percorrono all'unisono, a partire dal precedente FA#, un semplice arco cromatico (con SOL-LAb-SOL) per poi cadere sul RE. Sembrerebbe la classica cadenza preparatoria per il DO (minore o maggiore) ed invece qui, a battuta 5, ecco riesplodere, forte, tutta l'orchestra (anche i corni adesso arrivano a dar manforte): al MIb e al DO (che ci porterebbero appunto a DO minore) si aggiunge il LAb di violini secondi, fagotti, flauti, oboe, corno, clarinetto e trombone, il tutto a creare l'accordo perfetto di LAb maggiore (la triade LAb-DO-MIb) tenuto per una minima (metà battuta) dall'intera orchestra e protratto fino a fine battuta da violini secondi, viole e violoncelli. Ci siamo quindi adagiati sulla sesta diminuita di DO; cosa possiamo immaginare? Il Creatore che è sceso dal suo trono di un paio di gradini (toni interi) per osservare il Caos, e che già pensa (la triade) che dovrà sporcarsi le mani?  

Ora seguono altre tre battute, in cui il Caos si agita viepiù: oltre agli archi entrano infatti in azione anche i fiati con funzione melodica (vedi le terzine ascendenti del fagotto) per arrivare (a battuta 9) ad un esito ancora imprevisto, come vedremo. Nella seconda metà della battuta 5 e nelle battute 6-7 i violini, le viole, i violoncelli, i flauti e il primo fagotto presentano linee che ricompariranno quasi identiche alle battute 41-42 (e questo già ci dice qualcosa della strutturazione della Vorstellung!) Lasciando il LAb maggiore, e tornando in piano, l'atmosfera ridiventa grigia, con il FA# dei primi violini e la discesa a RE e SI naturale (da MIb e DO) di viole e violoncelli. Nella seconda metà della battuta 6 i violini primi scendono al FA e i secondi al SOL, mentre entrano oboi e flauti: l'accordo diventa (dal basso) SI-RE-FA-SOL-LAb, quindi una settima diminuita rinforzata dal SOL, con il SI naturale e il LAb acuti di flauto e oboe a creare un'atmosfera davvero sinistra, agitata dall'inserimento del fagotto con due terzine ascendenti (SOL-SI-RE_SOL-SI-RE). Atmosfera che però presto si rischiara un poco, a metà della battuta 7, dove ci si sposta gradatamente verso il DO minore, anche con l'entrata dei clarinetti che suonano per terze sulla scala minore (SOL-MIb poi FA-RE) e le viole che arpeggiano con due terzine ascendenti sulla scala di DO minore. A battuta 8 sembra proprio che la risoluzione sul DO minore sia cosa fatta, visto l'incedere di clarinetti e fagotto e la preparazione di flauto e oboe (RE e FA# rispettivamente). Invece - ma guarda un po' - a battuta 9 esplode inaspettato il MIb maggiore. (Che sia il Creatore che risale sul trono, ma adesso fattosi trino, perché decisosi all'immane impresa?) 

Nelle battute da 10 a 20 si rimane – pur con una certa instabilità, vedi la dissonanza provocata dal SOLb nel trombone e dal LA naturale in clarinetto e violini secondi sul secondo quarto della battuta 12 – nell'atmosfera del MIb maggiore, ma appunto a battuta 20 c'è un'ardita modulazione che - passando dall'accordo di LAb minore e trasformando la tonica MIb in sopratonica - fa degradare la tonalità di un intero tono portando - a battuta 21 - ad un accordo pieno di REb maggiore (! è ancora Dio che scende un gradino per meglio osservare?) che viene rinforzato da pesanti crome puntate di tutti gli archi e dal clarinetto che ne percorre la triade discendente LAb-FA-REb. 

A questo punto abbiamo quattro battute (22-25) fondamentali nell'economia strutturale della Vorstellung: oboe e flauto espongono (22-24) una linea melodica costituita da semiminima doppiopuntata e sforzata – semicroma – semiminima – semiminima, con andamento ad arco; la figurazione si ripete tre volte ad altezze crescenti di un tono intero: dal MIb, al FA, al SOL, da dove poi la melodia sale cromaticamente – battuta 25 – al LAb, al LA e da qui al SIb, tornato dominante di MIb. Queste tre figurazioni (che ricompariranno ad altezza diversa alle battute 45-48) sembrano dar l'idea di forze che cercano in qualche modo di organizzarsi e di emergere, ma ancora con grande fatica, come testimonia l'armonizzazione cupa con cui sono presentate. 

A battuta 25 siamo comunque tornati al MIb, che ora sembrerebbe instaurarsi stabilmente, come ci dicono gli arpeggi del secondo clarinetto sulla dominante. Ed a battuta 28 gli oboi, per terze, ripetono la sezione ascendente della figurazione esposta a 22-24, a velocità doppia (croma puntata – semicroma- croma) prima partendo da sopratonica-sensibile (FA-RE) e poi dalla mediante-tonica (SOL-MIb) in un'atmosfera a dir poco inebriante. Ma a battuta 29, allorquando sono i corni ad imitare gli oboi con le stesse figurazioni, ecco che il primo clarinetto, il primo oboe e il fagotto emettono degli autentici lamenti (una seconda minore che scende dal DOb sforzato al SIb) che inquinano l'atmosfera sognante che si era appena installata. Idem per la prima metà della battuta 30, dopodiché la figurazione, su un forte dell'orchestra ribadito da un secco colpo di timpano, porta ad una settima diminuita (SOLb-LA-DO-MIb) che sembra non promettere nulla di buono e invece… sfocia (battuta 31) ancora in MIb maggiore, con il primo clarinetto che ci arabesca una scala ascendente di più di due ottave (dal SIb grave al DO acuto). 

Nella battuta 32, dove il clarinetto si ferma sulla sesta di MIb (DO) e i violini secondi martellano sommessamente le loro crome sulla sopratonica FA, le viole restano ancora con note ribattute sul MIb, ma prima i contrabbassi e poi i violoncelli ripetono a canone stretto l'inciso ascendente (semiminima doppio puntata – semicroma – semiminima) dalla sottodominante LAb al DOb, creando così una tensione armonica che prepara una incredibile modulazione al SOLb maggiore (dominante REb): cose che riudiremo solo nel… Parsifal

L'atmosfera si incupisce di nuovo, mentre gli incisi ascendenti si ripetono negli archi bassi, nel fagotto, flauto, clarinetto, oboi; il flauto (battuta 36) aggiunge un veloce arpeggio, a partire dal FA#, scalando e scendendo ben sei terze minori, prima che il DO di violini primi e clarinetto e il FA# di viole ed oboe (battuta 38) ci portino verso il SOL, che reiterato con una velocissima scalata di due ottave del flauto, prepara, insieme ai martellanti rintocchi del timpano - DO e poi SOL - il pesantissimo ritorno (battuta 40) del DO, che la (quasi) intera orchestra scandisce con una sestina di semicrome seguita da una croma. Sembra quasi che Dio voglia ribadire la sua potenza e la sua immutabilità… però, a differenza della prima battuta della Vorstellung, qui deve picchiare i pugni sul tavolo (!) Ed anche il MIb dei corni (che all'inizio avevano taciuto) adesso macchia irrimediabilmente la sua immagine di minore

Ma è ciò che avviene ora che ci conferma cosa Haydn pensasse del Caos. Dalla seconda metà della battuta 40 e per altre due battute abbiamo la riproposizione (quasi) pari-pari delle battute 5-7: stesse note e stesse tonalità; poi, le sei battute dalla 43 alla 48 ci ripresentano – con l'intervento del clarinetto e qualche diversa infiorettatura del flauto al posto del fagotto - ciò che avevamo udito da battuta 20 a 25… ma in tonalità diversa e precisamente una terza minore sotto. Insomma, pare di essere di fronte ad un – sia pure embrionale – schema di forma-sonata! Il Caos… organizzato, per l'appunto! 

Le ultime 8 battute della Vorstellung poi… sembrano addirittura anticipare Tristan (è detto tutto). La chiusa, dopo le discese di flauto e clarinetto, è dei soli archi, su una triade, mesta e grave, di DO minore. 

Ecco: Dio ha osservato il Caos e si prepara (sembrerebbe quasi… di malavoglia!) ad intervenire. 
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In omaggio all'assunto secondo cui il durante e il dopo della creazione – però va tenuto presente che nel dopo qui non si va oltre l'Eden! – devono essere del tutto diversi dal prima, Haydn ha rivestito le tre parti dell'Oratorio (le prime due raccontano i sei giorni – 4+2 - del durante e la terza il dopo) di vesti musicali totalmente diverse da quelle della Vorstellung. Quanto questa è prevalentemente sofferta e cupa, tanto il resto è sereno e solare.  

In effetti tutta l'opera è pervasa di gioia ed ottimismo, assecondando in pieno le caratteristiche del testo, che innalza lodi alla potenza e alla provvidenza divina, esaltando le bellezze del creato, senza mai nemmeno sfiorarne gli aspetti tragici. Ammiriamo il leone e la pecorella, che popolano la terra crescendo e moltiplicandosi, ma non vediamo il leone che – per crescere e moltiplicarsi – azzanna la pecorella… (perché è la mano di Dio che nutre ogni creatura). Non manca nell'elenco degli animali il serpente, ma nulla lascia presagire che poi il rettile assumerà un ruolo decisivo nel portare Eva ed Adamo alla perdizione. Gli stessi fenomeni naturali, anche i più drammatici, come le tempeste e le folgori, vengono sempre descritti per evocare la grandezza del Creatore, mai i danni che provocano all'ambiente e a chi lo abita.  

In tutto il testo troviamo solo pochissimi e vaghi accenni – quasi soltanto dei presentimenti – ai risvolti negativi legati alle caratteristiche del creato: qui un semplice aggettivo – distruttore – a descrivere l'uragano; là il riferimento all'usignolo il cui petto non è ancora oppresso dal dolore; infine, l'ultima esternazione di Uriel, che esalta l'eterna beatitudine della coppia umana… finchè non si lasci vincere dal desiderio di avere, e soprattutto di sapere di più.  

Ma l'opera termina in gloria, con l'ennesima lode per il Creatore. E ciò che colpisce subito è la sua grandissima cantabilità, le sue melodie orecchiabili, schubertiane, quasi romantiche… lontane assai dai temi sempre severi, classici, colmi di austerità e seriosità - anche quando allegri - delle sinfonie e dei quartetti del sommo Josephus.
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Rilling e i suoi Musikanten – una compagine dalle dimensioni non ipertrofiche, meno di 40 strumentisti e meno di 50 coristi - ne hanno dato un'interpretazione pregevolissima (del resto si tratta di uno dei loro cavalli di battaglia) sia nelle pagine prettamente strumentali che nei grandi squarci corali. Discreta la prova dei solisti, fra cui è spiccata la bella voce di Julia Sophie Wagner; accettabili le prestazioni di Lothar Odinius e Markus Eiche (quest'ultimo un po' a corto di… potenza.)  

Caloroso successo e grandi applausi per tutti, fra i quali anche quelli di Erina Gambarini, Maestro del Coro de laVerdi – di cui Rilling è da anni uno dei Direttori principali ospiti – che nell'intervallo è andata a salutare il Maestro con cui i prossimi 17-18-20 gennaio proporrà in Auditorium il Requiem brahmsiano.