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quattro chiacchiere al petrus-bar
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13 gennaio, 2011

Rondò 2011


Come preventivo antidoto contro la melassa diatonica (smile!) che questa sera mi verrà propinata da laVerdi (a base di Haydn e Brahms) ieri sera ho fatto una scorta di musica moderna, in buona parte contemporanea. L'occasione era fornita da Divertimento Ensemble, diretto da Sandro Gorli, che ha inaugurato la sua ottava stagione di Incontri con la Musica – dal primo '900 ad oggi, stagione che si chiuderà mercoledi 8 giugno.  

I concerti sono sempre preceduti da una presentazione, spesso con la presenza degli autori di composizioni in programma. Ieri sera, assente Luca Francesconi, erano ospiti Stefano Gervasoni e Daniele Ghisi, dei quali sono state poi eseguite tre composizioni recenti, recentissime o nuove di zecca, fra le quali è stato per l'occasione incastonato nientemeno che Prokofiev. Il loro fratello maggiore, per così dire, Alessandro Solbiati, dopo aver doverosamente stigmatizzato l'attuale andazzo di tagli e colpi d'accetta alle risorse per la cultura, li ha sollecitati a raccontarci le loro esperienze di compositori di oggi. Quanto ai brani in esecuzione, alcune note sul programma di sala orientavano in qualche modo l'ascoltatore; che, diciamolo francamente, ha sempre qualche difficoltà a districarsi con musica come questa.

Ecco infatti la musica. Ad aggiungersi all'Ensemble, in qualità di solista, il venerabile Salvatore Accardo.

Escludendo Prokofiev, che qui è ospite di riguardo, ma… non fa testo, le altre tre composizioni hanno una comune caratteristica: di avere, se non proprio un programma, almeno un'ispirazione, o connessione – aperta o criptica, o magari solo apparente - con l'esterno. Se nessuno si offende, usando categorie obsolete ed ottocentesche (?) si potrebbero definire dei poemi sinfonici del terzo millennio.

Il primo dei quali, eseguito dall'Ensemble, è Da Capo II di Francesconi, del 2007, per 8 strumenti: Flauto(+Ottavino), Clarinetto, Fagotto, Pianoforte, Percussioni (Vibrafono, Marimba, Glockenspiel), Violino, Viola e Violoncello. A prima vista, parrebbe scoperto il riferimento culturale (smile!) del titolo. In realtà Francesconi già aveva composto un primo brano con quel titolo in tempi non sospetti ('85-86). L'attuale Direttore artistico della Biennale Musica di Venezia ci propone – parole sue – un processo, un meccanismo di trasformazione, in un unico grande "arco" che deve risultare comprensibile come un gesto pittorico. Personalmente lo vedo come un gesto di pittura astratta (smile!) sulla cui immediata comprensibilità ci sarebbe da discutere. Una novità tecnica che si comincia ad apprezzare qui (ma sarà sfruttata al massimo grado nel brano di Gervasoni) consiste nel fare emettere al pianoforte suoni prodotti in modo, diciamo, non convenzionale: appoggiando le mani sulle corde, o direttamente percuotendole con una bacchetta; il che costringe l'esecutore (ieri la bravissima Maria Grazia Bellocchio) ad acrobazie ginniche, oltre che a spostare lo spartito su un improvvisato leggìo dentro la coda dello strumento. Il che ci spiega anche la vera ragione del fatto che il coperchio dello stesso venga tenuto sollevato (smile!)

Segue un classico, la lunga Sonata n°1 op.80 per violino e pianoforte di Sergei Prokofiev. Composta a cavallo della seconda guerra mondiale, di ispirazione quasi cimiteriale, come lo stesso autore ebbe a dire. Accardo è accompagnato dalla Bellocchio ed anzi si sistema quasi addosso a lei, coprendone la figura agli occhi dello spettatore; questa inconsueta e bizzarra dislocazione si spiega con la necessità, per Accardo, di sbirciare lo spartito collocato sul leggìo del pianoforte; spartito che in realtà, come una partitura, reca insieme i due righi del pianoforte sovrastati da quello del violino. Per carità, non è qui il caso di incolpare il famoso violinista di mancata mandata a memoria di una sonata tanto difficile, quanto desueta… ma forse c'era qualche altro sistema logistico per risolvere meglio il problema. Quanto all'esecuzione, Accardo è parso assai compassato, anche in quei momenti che – stando ai ricordi di testimoni auricolari – Prokofiev voleva suonati quasi con ferocia fisica. Grande successo e – siamo alle solite – gente che dopo l'intervallo (allietato da degustazioni di vino offerto dallo sponsor della serata) se ne va alla chetichella.


Tocca ancora all'Ensemble (tutti bravissimi musicisti, non c'è che dire!) eseguire, di Gervasoni, Prato prima presente. Composizione del 2009 per: Flauto, Oboe, Clarinetto, Percussioni, Pianoforte, Violino, Viola e Violoncello. La sottostante filosofia è – per intenderci – quella del Ragazzo della Via Gluck (là dove c'era l'erba – appunto, il prato prima presente - ora c'e una città) cioè di come la civiltà di oggi, per costruire quella di domani, si rapporti con (o non si curi di) quella di ieri. In effetti c'è un tappeto sonoro che può rimandare ad un prato, popolato da insetti che si aggirano nell'erba (magari anche da bambini che ci giocano); sul quale si odono brusche irruzioni di qualche palazzinaro di turno, piuttosto che armoniosi interventi à la Renzo Piano. Naturalmente è un'impressione personale, al limite della battuta; quanto all'assunto dell'opera (…il prato è come la pagina bianca per il compositore: non è mai del tutto bianca, del tutto neutra, del tutto indifferente a ciò che il compositore si permetterà di metterci sopra) è di sicuro intrigante, e lascia trasparire la coscienza – e anche il peso – dell'eredità musicale che un compositore contemporaneo si trova sulle spalle. Quanto al risultato estetico dello sforzo di Gervasoni… credo che per apprezzarlo sarebbe necessario (quanto meno per uno come me) studiare assai!

Chiude il concerto la prima assoluta di una composizione commissionata dall'Ensemble a Daniele Ghisi: De Selby Compendium, che impiega anche il Violino solista, insieme a Flauto, Oboe, Clarinetto(+basso), Fagotto, Tromba, Pianoforte, Percussioni, Violino, Viola, Violoncello e Contrabbasso. Il titolo si ispira ad un bizzarro personaggio letterario, prodotto dalla fertile fantasia di Brian O'Nolan: un misto di filosofo-demenziale, alchimista-pazzo, dottor-stranamore e una-bomber. Il giovanissimo Ghisi ci ha ricavato una specie di bigino in musica, affidando al violino (ancora Accardo, uno dei dedicatari dell'opera) il ruolo del protagonista, e al resto dell'Ensemble quello di descrivere le sue imprese e i suoi vaneggiamenti. Variazioni fantastiche su un tema di carattere cavalleresco: così qualcuno sottotitolò un poema sinfonico ispirato ad un altro bizzarro personaggio, per certi versi antesignano di De Selby... ma è acqua passata.

In ogni caso, come forse si sarà capito, le musiche eseguite qui (non parlo di Prokofiev…) appartengono ad un filone modernista che si potrebbe definire spirituale, in opposizione a quello, tutto materiale, dove il compositore si diverte (smile!) a manipolare suoni, anzi più spesso rumori (yes, mr. Ross!) nei cosiddetti studi di fonologia.

Francamente, è già qualcosa. (Adesso però, trangugiato l'antidoto, non vedo l'ora di avvelenarmi con Haydn e Brahms…)
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08 ottobre, 2010

Stagione dell’OrchestraVerdi - 5

 
Salvatore Accardo, in veste anche di Kapellmeister, ha presentato due opere di Mozart, nel quinto concerto all'Auditorium.

Senza podio né bacchetta per l'intero concerto, ha dapprima eseguito la Serenata Haffner. Imbracciando anche il violino - à la Boskovsky – nel secondo, terzo e quarto brano degli otto che costituiscono questa lunga e mirabile opera di un Mozart ventenne, e quindi già avviato verso il periodo della piena maturità. Complesso ridotto agli archi o poco più: i fiati classici. Esclusi invece i clarinetti, come pure i timpani (che un refuso del programma di sala cita nell'organico).

La prima parte della serenata comincia con l'Allegro maestoso, in RE maggiore, dove fa subito capolino, in corni e oboi, un frammento che anticipa scopertamente il Se vuol ballare delle Nozze.

Il secondo tempo (Andante, in SOL maggiore) chiama per la prima volta in causa il Violino principale, e qui Accardo comincia ad esibire la sua alta maestrìa, culminante nella cadenza, quasi concertistica, posta a 5 battute dalla conclusione.

Il terzo brano è un Menuetto in SOL minore, il cui incipit ci fa già intravedere quello – celeberrimo - della Sinfonia n°40. Emozionante qui il Trio, col Violino che guida la melodia, e i fiati – corni in evidenza - che lo accompagnano con garbo e delicatezza. Un gioiellino!

Ecco poi lo straordinario Rondò (Allegro) in SOL maggiore, col suo tema principale di semicrome in staccato. Sulle corone puntate che separano il tema principale da quelli secondari Accardo non manca di infilare delle mini-cadenze. Al termine depone lo strumento, e da qui in poi si limiterà a dirigere. Il pubblico - chi sa se per ammirazione o perché giudica finita la Serenata (che invece è solo a metà) - applaude calorosamente e Accardo ringrazia.

La seconda parte inizia con un nuovo Menuetto, aggettivato galante, in RE maggiore, con Trio in RE minore (e FA maggiore). Poi segue il secondo Andante in LA maggiore. Quindi il terzo Menuetto, che è in RE maggiore, con ben due Trii (SOL e RE).

Da ultimo, il Finale (Adagio, Allegro assai) in RE maggiore, tonalità d'impianto (come usano dire gli accademici). Qui è il fagotto che ha modo di mettersi in luce, chiamato a esaltanti, quanto difficili svolazzi di semicrome.

Esecuzione davvero impeccabile da parte del Maestro, ma anche di tutti i componenti dell'Orchestra, specie i fiati, qui a suonare, in pratica, come solisti. E meritati consensi da parte del (non proprio oceanico) pubblico.

Chiude il concerto la Sinfonia Linz (n°36, K425). Dove Mozart sposa il modello Haydn-iano, che prevede una introduzione in Adagio, prima dell'Allegro spiritoso, rigorosamente in forma-sonata. L'orchestra è ancor più leggera che nella Serenata: oltre ai clarinetti, qui vengono espulsi anche i flauti, ai cui leggìi si trasferiscono i fagotti, lasciando i loro posti alle trombe, per compattare l'ottetto dei fiati. In compenso appaiono i timpani, ma quella della brava Viviana Mologni è una presenza assolutamente discreta.

Nel Presto finale compare il secondo tema, nella tonalità di SOL maggiore (dominante del DO di impianto) che risentiremo nel Larghetto dell’ultimo concerto mozartiano, ma che sarà citato alla lettera – consciamente? - da Beethoven in una delle sue Sonatine per pianoforte:

Brillante e fresca – e rispettosa di tutti i ritornelli - l'esecuzione di Accardo, che trascina il pubblico in un lungo e strameritato applauso.

Prossimamente si torna all'accoppiata Schumann-Mahler, con un appuntamento tragico.