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09 marzo, 2024

Orchestra Sinfonica di Milano – Stagione 23-24.15

Tutta America nel Concerto di questa settimana, e giustamente è un’americana di nascita (non di origine) Alondra de la Parra, a dirigerlo, tornando qui dopo la sua ultima apparizione risalente ad una data davvero disgraziata per l’Umanità: lo scorso 7 ottobre!

La serata è aperta da Aaron Copland con la sua Appalachian Spring Suite, precisamente il brano con cui la Direttora aveva esordito qui in Auditorium nel 2021, alla ripresa post-Covid (rimando quindi ad alcune note scritte in quella circostanza).
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Ecco poi Leonard Bernstein e le sue Danze Sinfoniche da West Side Story.

Il famoso musical è una moderna ambientazione (a NewYork) di Romeo&Juliet, con Jets e Sharks ad impersonare Montecchi e Capuleti e Tony e Maria nei ruoli dei protagonisti. La suite, intitolata Symphonic dances, presenta i principali motivi del musical raccolti in nove numeri. (Qui l’Autore in una sua esecuzione del 1985, che possiamo seguire nei dettagli in Appendice.)

Bernstein rappresentò musicalmente l'incompatibilità fra le due gang facendo ampio uso dello sbifido tritono, anche nei momenti più lirici, come il celeberrimo Maria (ne sentiamo il motivo nel 5° e 6° numero, ma con sfumature diverse anche al 2° e 7°) che sale da tonica a dominante passando appunto per la quarta aumentata. Ma nell'Adagio finale (che chiude sia l'Opera che la Suite) troviamo nientemeno che una reminiscenza (nello stesso REb!) del wagneriano tema della Redenzione!

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La serata si è chiusa con George Gershwin e il suo An American in Paris.

Scritto nel 1928 dopo un viaggio nella capitale francese, questo balletto rapsodico subito si presenta con baldanza mista a spensieratezza: è il turista che se ne va a spasso per la città, col naso all'insù e le orecchie tese.

Parigi è una città dal traffico già caotico, e non mancano quindi automobili e taxi che strombazzano allegramente. In mezzo al trambusto arrivano anche le note di una filastrocca (Che cosa importa a me, se non son bella) forse nota altrettanto bene in Italia che a Parigi.

Ora, stanco per la lunga camminata, l'americano si riposa un poco e inevitabilmente sogna il suo paese, e il blues in primo luogo, su un motivo che rimane poi al centro del brano, e che pure lo concluderà. Accanto ad esso però arriva anche un ricordo allegro, il charleston della Louisiana.

Un'ultima veloce scorribanda per le strade della Ville lumière culmina nel Grandioso dove corno inglese, clarinetti e sax contralto ribadiscono per l'ultima volta il tema americano, prima del poderoso accordo di FA maggiore che chiude il brano.
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La simpatica Alondra – ieri il suo fisico da modella abbigliato da moderna sacerdotessa maya - ha saputo cogliere e restituirci il meglio delle tre composizioni: la sognante e arcadica atmosfera dei pionieri di Copland; i ritmi indiavolati della leggendaria Broadway di Bernstein e il multicolore affresco parigino (con ricordi yankee) di Gershwin.

Il suo è stato quindi un gran trionfo con ovazioni e urletti proprio americani di un pubblico entusiasta. Lei ha voluto simpaticamente elogiare e ringraziare l’Orchestra, alla quale (oltre che al pubblico!) ha concesso un meritato bis con il numero di Mambo da WSS.

Dal pubblico le sono stati recapitati mazzi di fiori e mimosa e pure una bandiera tricolore del suo Mexixo, con il quale si è decorata il petto. Insomma, un’autentica fiesta de la Parra
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Appendice. Danze da West Side Story.

1. (10”) Prologue (Allegro moderato). Crescente rivalità fra le due bande (Jets e Sharks).

2. (4’12”) Somewhere (Adagio). Visione onirica della fratellanza fra le due bande. (7’13”) Prima vaga apparizione del tema wagneriano della Redenzione.

3. (8’32”) Scherzo (Vivace e leggiero). Il sogno continua fuori dall’oppressiva città, all’aria aperta e al sole.

4. (10’18”) Mambo (Meno Presto). Si torna al mondo reale e le due gang tornano a fronteggiarsi.

5. (12’37”) Cha-cha (Andantino con grazia). Primo incontro danzante fra i futuri amanti, Tony e Maria (della quale si affaccia, danzante, il tema).

6. (13’37”) Meeting Scene (Meno mosso). Primo scambio di parole fra i due, sul tema di Maria.

7. (14’18”) Cool Fugue (Allegretto). Sempre sul tema di Maria, danza dei Jets per caricarsi alla battaglia contro gli Sharks.

8. (18’02”) Rumble (Molto allegro). Battaglia, in cui restano uccisi i due capi, Riff e Bernard. (19’33”) Cadenza del flauto.

9. (20’10”) Finale (Adagio). Maria introduce una processione che sembra rifarsi al sogno di Somewhere. Tema wagneriano della Redenzione (Götterdämmerung).

01 ottobre, 2021

laVerdi 21-22. Concerto 1

Entrando in Auditorium, subito una confortante sorpresa: la sala è tornata normale! Le file di poltrone rimosse causa regole di distanziamento sono state rimesse al loro posto, grazie all’aumentata capienza ammessa per i teatri. E la presenza di pubblico è tornata ad essere quasi... normale. Speriamo davvero che i vaccini stiano facendo il loro dovere! E al pubblico la Presidente Ambra Redaelli ha voluto personalmente dare il ri-benvenuto nella casa de laVerdi, fra l’altro reduce da una meritoria operazione di transizione ecologica (sanificatori dell’aria ed elettricità da fotovoltaico). 

Bene. Dopo due appuntamenti mancati causa virus, finalmente Alondra de la Parra ha avuto il piacere (almeno così si spera, a giudicare dall'accoglienza ricevuta) di dirigere laVerdi nel primo concerto in abbonamento di questa prima tranche della stagione 21-22.

La simpatica 41enne, newyorkese di nascita ma di origine messicana (il nome non ha nulla a che vedere con la capitale britannica... è una variante di Alejandra ma è anche l’allodola) ha ormai una lunga carriera alle spalle ed è sempre più presente anche nelle sale da concerto europee (in Italia è già stata ospite di Santa Cecilia). 

Con lei il tenore tedesco (a dispetto del nome francese...) Julian Prégardien (suo compagno anche nella vita) che ha interpretato Mahler (Fahrenden Gesellen) e Ravel (Cinq mélodies): lo stesso accoppiamento già sperimentato in passato (qui a Copenhagen lo scorso anno). I due brani vocali erano incastonati in altrettanti brani strumentali (musiche da balletto) di ambientazione americana, di Copland (nord) e Milhaud (sud).

La serata si è quindi aperta con Aaron Copland e la sua Appalachian Spring Suite.

Si tratta di una - oggi la più eseguita - delle diverse musiche tratte dal Balletto per Martha del 1944: balletto composto appunto per la danzatrice e coreografa Martha Graham e strumentato per un ensemble di 13 esecutori (doppio quartetto d’archi, contrabbasso, pianoforte, flauto, clarinetto e fagotto). Qui il video di un’esecuzione del Balletto del 1958 trasmessa in televisione.

La trama e il titolo furono ispirati da due diverse fonti, e pure... contraddittorie: la prima da una raccolta di Edward Deming Andrews (A Gift to be Simple) di danze, canzoni e usanze delle comunità rurali di pionieri Shakers; da essa Copland citò in particolare il famoso Simple Gifts, musicato come tema con variazioni nell’Interludio. Il secondo (proposto dalla coreografa dedicataria dell’opera, che decise anche di ambientare la vicenda in Pennsylvania) da una poesia (The Dance) di Hart Crane, che magnifica una sorgente d’acqua (Spring) delle Appalachian Mountains, la lunga catena montuosa che occupa gran parte dell’Est degli USA, Pennsylvania compresa. Dove peraltro gli Shakers mai misero piede... L’altro significato di Spring - Primavera - torna poi comodo a caratterizzare l’ambientazione bucolica del brano.

Nel 1945 Copland produsse una prima versione della Suite, destinata ad una grande orchestra e costituita da circa il 75% delle musiche del balletto (24 su 32 minuti all’incirca) ottenuta tramite un grosso taglio - 3 delle 8 sezioni - prima della sezione finale, la ristrutturazione della sezione 4 (tema con variazioni, il Simple Gift) e altri piccoli tagli qua e là. Successivamente - nel 1954 su richiesta di Eugene Ormandy per la Philadelphia Orchestra - Copland realizzò una versione per grande orchestra della partitura dell’intero Balletto, ma lo fece in modo alquanto frettoloso ed abborracciato, prendendo come base la Suite (?!) e inserendovi, ristrumentati, i principali tagli del 1945.

Poi, nel 1970, Copland predispose la Suite con la strumentazione per 13 esecutori. Quest’ultima, pubblicata nel 1972, è la versione ormai quasi universalmente eseguita e registrata, ed è quella programmata in questo concerto. Copland lasciò però ai Direttori la libertà di estendere il numero di archi da 9 fino a 28 (8-8-6-4-2), ed è ciò che viene spesso fatto, come nel nostro caso, dove si è andati anche oltre, schierando 34 archi (2 violini primi, due celli e due bassi in più dei 28). Ecco una registrazione del brano diretto proprio da Alondra de la Parra a Francoforte con un ensemble di una trentina di esecutori.

La storia delle tante versioni (alcune assai poco authoritative) dell’opera è stata accuratamente ricostruita in recenti studi, come questo del 2017, o quest’altro, mentre recentissimamente la Copland-Foundation ha promosso l’edizione critica dell’intera opera, in particolare mettendo riparo all’inadeguatezza della versione del Balletto di Copland del 1954.

Più sotto una succinta guida all’ascolto della Suite, seguendo la citata registrazione della direttora messicana.

La quale ha uno stile assai sobrio, scevro da movenze appariscenti; dirige scandendo quasi scolasticamente, ma efficacemente, ogni tempo della battuta, ma soprattutto mostra di averne approfondito ogni dettaglio, agogico e dinamico: cosa emersa proprio in questo brano e poi in Mahler.
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É infatti arrivato subito dopo il compagno della Direttora per interpretare le quattro canzoni del 24enne boemo (1884) intitolate Lieder eines fahrenden Gesellen, canti di un... nomade, insomma. L’ibridazione di Lied e Sinfonia, tanto caratteristica del Mahler giovane (ma anche di quello maturo...) trova qui uno dei suoi primi e chiari esempi, con due melodie delle quattro canzoni che Mahler riprenderà pochi anni dopo per infilarle nel suo Poema Sinfonico (poi promosso a Sinfonia) ispirato al Titan.   

Prégardien ha messo in bella evidenza la sua voce chiara (mozartiana, si potrebbe dire) che bene si accorda con la strumentazione tersa e leggera di Schönberg, impiegata qui in luogo di quella originale mahleriana. Poi la direzione della compagna, assai curata nei dettagli, ha fatto il resto, così l’accoglienza del pubblico è stata più che calorosa.    
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Ancora il tenore tedesco per le Cinq mélodies populaires grecques di Maurice Ravel, originariamente composte (1904) per accompagnamento pianistico e successivamente orchestrate (1 e 5) da Ravel stesso e le altre da Manuel Rosenthal. Fu il poliedrico Michel-Dimitri Calvocoressi (francese di origine greca) a raccogliere queste canzoni e a tradurne i testi in francese.

Le tonalità delle canzoni sono raccolte in un solo tono pieno: SOL, SOL#=LAb e LA; le prime due sono in modo minore, le altre tre, in maggiore. I tempi si alternano con regolarità, fra il vivace e il lento. 

1. Chanson de la mariée (Canzone della sposa) 2/4 SOL minore, Modéré.

2. Là-bas, vers l'église (Laggiù, presso la chiesa) 2/4 SOL# minore, Andante.

3. Quel galant m'est comparable (Quale spasimante può starmi a pari) 2/4 SOL maggiore, Allegro.

4. Chanson des cueilleuses de lentisques (Canzone delle raccoglitrici di lentischio) 3/4 (2/4) LA maggiore, Lent.

5. Tout gai! (Tutto è allegro!) 2/4 LAb maggiore, Allegro.

Più sotto i testi delle cinque canzoni con la traduzione italiana e brevi note sulla loro struttura motivica.

Canzoni che sono delle miniature, non più di 8 minuti di musica, ma di natura assai godibile, di un Ravel ancora quasi ottocentesco, che il tenore tedesco ha presentato con grazia ed eleganza, meritandosi altri convinti applausi. 
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Ha chiuso la serata Le boeuf sur le toit (balletto-pantomima del 1919) di Darius Milhaud: anche qui possiamo apprezzare l’interpretazione che ne ha dato Alondra a Parigi nel 2015.

Curiosa la vicenda della nascita dell’opera: Milhaud era reduce da due anni trascorsi a Rio (in servizio civile al seguito del plenipotenziario Paul Claudel) e si era innamorato del paese sudamericano e della sua musica popolare. Al ritorno in Francia aveva quindi composto il brano, per violino e pianoforte, destinato a fare da colonna sonora ad un qualunque film (muto) di Charlie ChaplinIl bizzarro titolo lo aveva preso da una canzone brasiliana (O Boi no Telhado) ascoltata a Rio, forse durante un carnevale.

Poi fu Jean Cocteau a convincerlo a trasformare la musica, orchestrandola e facendone il supporto di un balletto moderno con una trama pur essa bizzarra assai, a partire dal sottotitolo, The nothing doing bar (Il bar del non far nulla). Vi compaiono diversi personaggi: ovviamente il Barman (col tema del ritornello del Rondò) poi una Signora russa, una Signora in decolletée, un Poliziotto, un Boxeur nero, un Bookmaker, un Signore in abito da cerimonia e un Nano nero che gioca al biliardo. La trama come detto è piuttosto demenziale, con decapitazione e resurrezione del Poliziotto al quale alla fine il Barman (responsabile dei misfatti) presenta un kilometrico conto.

É un quarto d’ora o giù di lì di musica accattivante (beh, col Brasile di mezzo ci vuol poco...) che però nasconde una complessa impalcatura strutturale, oltre che il ricorso a trucchi e innovazioni dell’epoca, tipo politonalità e simili arditezze. Quindi rimando a più sotto per altri dettagli sull’opera e una succinta guida all’ascolto della citata registrazione della Direttora mexicana.

Che ha confermato le sue qualità, meritandosi un autentico trionfo, applausi ritmati inclusi. Così lei e i ragazzi dell’orchestra (per questo brano cresciuta nell’organico fin quasi alla... normalità) ci hanno regalato come bis la ripresa del finale (dalla sezione dopo il Rondò 12) con il pubblico a scandire il ritmo con i battimani. 

Serata da incorniciare. 
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Note

Appalachian Spring.  

Contrariamente a quanto avveniva nell’800, dove le Suite dai balletti erano di norma una libera raccolta di numeri, senza alcun riferimento al soggetto dell’opera (la sequenza dei brani rispondeva caso mai a canoni estetici) questa di Copland è invece costituita dalla ripresa rigorosa della musica del Balletto (del quale quindi rispetta, per così dire, la trama) salvo l’espunzione di una parte ritenuta musicalmente ridondante e della ristrutturazione delle variazioni del Simple Gifts.

Qui una schematica tabella (derivata dal citato studio della Fondazione Copland) che mostra le strutture di Balletto e Suite:

Come si vede, a parte le sezioni espunte, per il resto le differenze si concentrano sul trattamento del Simple Gifts, ristrutturato nella sequenza e sottoposto a tagli e modifiche, principalmente per ragioni di concatenazione tonale (fra 4.4 e 4.5) legate proprio al grosso taglio delle sezioni 5-6-7. In totale, sulle meno di 980 battute del Balletto, i tagli nella Suite ammontano a 298 battute (circa il 30%) delle quali ben 219 sono dovute all’espunzione delle sezioni 5-6-7.

Veniamo quindi all’esecuzione di Alondra de la Parra, sulla base di alcuni commenti alla partitura forniti dello stesso Autore:

1. Prologo

12” Presentazione dei personaggi, uno a uno, in una luce soffusa.
Tonalità LA maggiore, Very slowly. Clarinetto e poi flauto espongono una dolce melopea, che introduce l’atmosfera bucolica del brano.

2. La valle dell’Eden

3’09” Sentimenti di esultanza e fede religiosa.
Siamo in Allegro, tonalità LA maggiore, poi (3’33”) DO maggiore e ancora (3’52”) LA maggiore e infine (4’28”) FA maggiore. Sentiamo (soprattutto da flauto e clarinetto) quelli che Mahler chiamava Naturlaute, suoni di natura, che evocano allegria e spensieratezza. Poi (5’20”) assumono un carattere più contemplativo e, appunto, religioso. È una classica atmosfera di pionieri che vivono a stretto contatto con la Natura e onorando il Creatore.

6’01” Duetto di sposa e promesso sposo. Scena di tenerezza e passioni.
Tempo Moderato, tonalità SIb maggiore. Dopo una breve introduzione degli archi che preparano il terreno, è il clarinetto (6’14”) ad esporre una melodia che richiama quella udita nell’Introduzione. Poi, improvvisamente (6’53”) gli archi attaccano una robusta melodia dal sapore atonale, interrotta dai fiati, dapprima (7’33”) con un passaggio in SOLb maggiore, poi (8’17”) da clarinetto e flauto con una nuova citazione dall’Introduzione, in MI maggiore e ancora (8’25”) in SI maggiore, ulteriormente sviluppata. Questa sezione dal sapore sentimentale è chiusa dagli archi e poi (9’25”) dal flauto.

9’36” L’Evangelista e i suoi seguaci. Sentimenti e danze popolari con suonatori di campagna.
Tempo Fast e tonalità SI maggiore, con frequenti modulazioni. Clarinetto e flauto sono i protagonisti di questa sezione, scatenandosi in impertinenti svolazzi, accompagnati qua e là dall’orchestra e supportati nel ritmo dal pianoforte. La tonalità svaria (10’03”) a MI maggiore, poi torna (10’35”) a SI maggiore, quindi passa (10’41”) a FA# maggiore e ancora (10’46”) a RE maggiore, dove torna (11’29”) dopo una digressione (11’22”) a FA maggiore. Altro stacco di tonalità (12’07”) a MI maggiore e tempo rallentato, dove torna (12’59”) il motivo dell’Introduzione, che chiude questa brillante sezione del brano.

3. Festa di sposalizio

13’11” Danza della sposa. Annuncio di maternità. Gioia, timore e stupore.
Tempo Allegro e tonalità MIb maggiore, ritmo spiccatamente sincopato. La tonalità subitaneamente muta (13’25”) a DO maggiore, dove gli archi espongono un motivo brillante che ricorda vagamente la seconda sezione del brano. Motivo che prolunga assai la sua presenza, con fugaci modulazioni e momentanei arresti. Il flauto (16’14”) attacca una sezione assai lenta, ricordando ancora il languido motivo dell’Introduzione. Una nuova modulazione (16’49”) a MI maggiore porta alla tranquilla cadenza conclusiva, sul SI del fagotto.

17’17” Transizione
Tempo Slow, tonalità LAb maggiore. La tonalità repentinamente passa a LAb maggiore, per queste 20 battute, ancora ispirate all’atmosfera dell’Introduzione, che preparano l’arrivo del famoso Simple Gift.

4. Interludio: scene di vita

18’36” Scene di vita quotidiana della sposa e del marito agricoltore. Cinque variazioni su un tema Shaker (The gift to be simple).
Il tema (soggetto a e controsoggetto b) è esposto in LAb maggiore. A 19’05” ecco la Variaz1one 1 in SOLb maggiore; poi (19’30”) la Variazione 4 del Balletto (viole e celli, poi violini) trasposta da LA maggiore nella tonalità della precedente. A 20’06” fa una fugacissima comparsa la Variazione 2 del Balletto, che già era assai succinta nell’originale e che ora viene ulteriormente ridotta da 20 a 6 battute di modulazione a DO maggiore. Qui (20’14”) ritroviamo la Variazione 3 del Balletto, assai veloce e modificata nella sezione conclusiva (20’36”) che rallenta assai e si ricollega così direttamente (20’56”) alla Variazione 5, assai enfatica e retorica.

5. Il giorno del Signore

21’35” La sposa si siede fra i vicini. La coppia viene lasciata sola, tranquilla e forte nella sua nuova dimora. Sommesso canto corale.
Tempo Moderato, tonalità DO maggiore. Una lenta e nobile melodia degli archi corona degnamente questa giornata di festa. Il flauto (23’28”) intona ancora, ripetutamente e religiosamente, il motivo dell’Introduzione. Poi il clarinetto introduce la cadenza conclusiva, che va a morire su un dimesso accordo politonale, dove al DO maggiore si sovrappone il SOL maggiore (con il SI e il RE dei violini).
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Cinq mélodies populaires grecques

La struttura motivica delle canzoni è la seguente (si confronti con il testo):

1. Chanson de la mariée: aa-bb’bb’ / aa-bb’bb’.
2. Là-bas, vers l'église: abcc / abcc.
3. Quel galant m'est comparable: abcc’d / abcc’d.
4. Chanson des cueilleuses de lentisques: abcd / a’bcd’. (quarta aumentata)
5. Tout gai!: abb’c / a’bb’c.  

Testi delle canzoni:

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Le boeuf sur le toit. 

Come detto, la struttura del brano è tutt’altro che naif; al contrario, presenta aspetti che la assimilano ad una costruzione ingegneristica! Si tratta di un Rondò, con 3 cicli in ciascuno dei quali il ritornello (unico motivo di invenzione di Milhaud) compare 4 volte, più una ricapitolazione e coda dove il ritornello compare 3 volte, per un totale di 15 ritorni!

Gli altri motivi (ben 28!) sono mutuati da canzoni brasiliane di autori noti o sconosciuti. Un’altra peculiare particolarità del brano è la sua progressione tonale, che si muove su cicli di tre terze minori ascendenti (altrettante settime diminuite):

1. DO-MIb-SOLb-LA
2. SOL-SIb-REb-MI
3. RE-FA-LAb-SI
4. LA-DO   

Come si può notare, nei quattro cicli (la cui tonalità iniziale si muove sul circolo delle quinte DO-SOL-RE-LA) si esplorano tutte le 12 tonalità della scala cromatica.

Ecco qui una tabella riassuntiva che mostra la struttura completa del brano, con i riferimenti alle sezioni del balletto.

Seguiamo quindi la musica diretta da Alondra de la Parra:

Ciclo 1

       23” Rondò 1 DO maggiore
          39” Entrata dei Neri DO minore > MIb maggiore
   
   1’20” Rondò 2 MIb maggiore
      1’33” Entrata delle Signore MIb minore > SOLb maggiore
   
   2’13” Rondò 3 SOLb maggiore
      2’27” Entrata dei Signori FA# minore > LA maggiore
  
   3’15” Rondò 4 LA maggiore
      3’28” Entrata dei Signori LA maggiore > SOL maggiore

Ciclo 2

   4’22” Rondò 5 SOL maggiore
      4’39” Caduta del nero SOL minore
      5’02” Danza del Bookmaker SIb maggiore
  
   5’36” Rondò 6 SIb maggiore
      5’52” Tango delle due Signore SIb minore
      6’58” Fischio della polizia REb maggiore
   
   7’13” Rondò 7 REb maggiore
      7’25” Entrata del Poliziotto MI maggiore
   
   8’13” Rondò 8 MI maggiore
      8’28” Danza del Poliziotto MI maggiore > RE maggiore

Ciclo 3

10’20” Rondò 9 RE maggiore
   10’35” Morte del poliziotto RE minore
   11’18” Danza del Negretto FA maggiore

11’55” Rondò 10 FA maggiore
   12’10” Danza di Salomè FA minore > LAb maggiore

13’05” Rondò 11 LAb maggiore
   13’17” Uscita di alcuni avventori LAb minore > SI maggiore

14’34” Rondò 12 SI maggiore
   14’45” Uscita degli altri avventori SI maggiore > LA maggiore           

Ricapitolazione

16’07” Rondò 13 LA maggiore
   16’23” Resurrezione del Poliziotto LA minore > DO maggiore

17’04” Rondò 14 DO maggiore

Coda

17’31” Rondò 15 DO maggiore
   17’37” Il Barman presenta il conto al Poliziotto DO maggiore
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17 giugno, 2021

laVerdi fa altre serenate

Dopo la prima di Brahms eseguita poche settimane fa, ecco in Auditorium un programma di sole serenate. Per dirigerlo torna - dopo il concerto di Capodanno in streaming - il 27enne Thomas Guggeis, uno degli astri nascenti della direzione d’orchestra. Programma bifronte quanto alla presenza degli strumenti: prima parte quasi monopolizzata dai fiati e seconda per soli archi. (Così diventa più facile anche rispettare il limite al numero di esecutori sulla scena senza penalizzare troppo la resa sonora...)

Apre una serenata sui-generis, la Fanfare for the Common Man di Aaron Copland, composta nel 1942 per la Cincinnati Symphony. Destinata ad aprire i concerti in tempo di guerra (gli USA erano appena scesi in campo...) è poi diventata uno dei brani più eseguiti (e... saccheggiati) d’America: lo stesso Autore la auto-imprestò al finale della sua Terza Sinfonia.

Al Common Man (per noi l’Uomo qualunque?) il vice di Roosevelt (Henry Wallace) aveva dedicato nientemeno che il Secolo XX! Una glorificazione interessata: c’era da convincere il contribuente a pagare tasse sempre più salate, stante il crescente - e, per noi, benedetto! - impegno bellico del Paese. Ma più che l’onorificenza, alla bisogna servì l’introduzione del Sostituto d’Imposta (!) che fece schizzare le entrate federali da 3 a 20 miliardi di dollari in due anni.

La strumentazione è proprio bandistica: 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni e tuba; più timpani, grancassa e tam-tam. E sono le percussioni ad aprire e poi accompagnare la fanfara, con secchi rintocchi che ricordano vagamente... la marcia funebre di Sigfrido!

SIb e MIb sono le tonalità - tipicamente da banda - toccate nei 3 minuti (scarsi) del brano. Che chiude però su uno stentoreo RE.

Guggeis dispone gli 11 fiati a semicerchio; da sinistra: i 4 corni, poi le 3 trombe, quindi i 3 tromboni e, al proscenio a destra, la tuba. Le percussioni sono dislocate in funzione stereofonica: a sinistra, dietro i corni, il tamtam e la grancassa; a destra, dietro i tromboni, i timpani. Bellissime le sonorità uscite dalle 11 campane degli ottoni, che suscitano applausi calorosi, anche da parte di chi forse non si aspettava una durata così limitata del brano!
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Fiati in primo piano anche nel secondo brano in programma: la Seconda Serenata di Brahms, composta a ridosso della prima (1858-9) in quel di Detmold. Qui gli archi (privati del tutto dei due pacchetti di violini!) fanno da sottofondo, creando l’atmosfera calda ma anche un poco ombrosa del brano. Scelta confermata nel 1875 dall’abbandono delle due trombe (più due dei quattro corni) che l’Autore aveva messo in organico nella prima stesura.

Musica davvero allo stato puro, serena o contemplativa che sia: non per nulla elogiata dall’esteta Hanslick, che condannava ogni inflessione espressionista o sentimentale dell’arte musicale. Ascoltandola si può solo apprezzarne il rigore formale (Bach...) e la purezza dei temi, ma niente emozioni, sia chiaro! Vedremo tutto l’opposto in Ciajkovski...

Guggeis - che non ha mai preso la bacchetta in tutta la serata - ce la porge con grande discrezione, misurando il gesto, a volte ampio e disteso, altre secco e preciso, a seconda delle necessità imposte dalla partitura. E il pacchetto dei fiati mostra di essere una squadra di autentici... solisti! Ben coadiuvati dagli archi guidati per l’occasione dalla suadente viola di Miho Yamagishi.
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La chiusura del concerto vede quindi impegnate le sole stringhe (!) interpreti della Serenata per archi op. 48 che Ciajkovski compose nel 1880, durante uno dei suoi periodi di permanenza in Ukraina (già allora una dépendance della madre Russia) ospite di sorella e cognato nella grande tenuta di Kamenka.

Opera pervasa da serenità mista a malinconia, espressione pura di sentimenti ma anche di turbamenti profondi; in sintesi: tutto l’opposto rispetto all’asettico rigore di Brahms! A proposito si legge che il russo qui abbia mutuato molto da Mozart: mi permetto rispettosamente di osservare che è assai più mozartiana la Serenata di Brahms.    

La struttura è quasi di Sinfonia, con i classici 4 movimenti (qui un walzer rimpiazza lo Scherzo, ma ciò accadrà anche nella Quinta Sinfonia).

Il primo movimento - DO maggiore, 6/8 - presenta un’Introduzione in Andante non troppo, dove viene esposto un motivo che tornerà ciclicamente verso la fine dell’opera. Dopo quattro sue apparizioni e poche battute di riposo attacca l’Allegro moderato. Che è sostanzialmente bitematico (tonalità DO, con sfumature anche minori nella seconda frase, tema elegiaco; e SOL, motivo assai agitato in semicrome staccate) ma privo di sviluppo in quanto tale. Viene chiuso con un ritorno dell’Andante introduttivo, questa volta ridotto a 2 esposizioni del motivo.

Anche il secondo movimento rifugge da facili effetti, è un walzer in SOL maggiore assai lontano dai classici modelli da balletto, pur familiari al compositore. Un piccolissimo particolare lo testimonia, nella chiusura della frase iniziale:

A chiunque verrebbe spontaneo di sostituire le due semiminime evidenziate (SOL-SI) con una figurazione molto più... ammiccante: semiminima puntata + croma! Un secondo motivo impreziosisce il walzer, che chiude sommessamente con una gentile cadenza.

L’Elegia - Larghetto, 3/4 RE maggiore - è di certo (almeno a mio parere...) il punto più alto della composizione, con il suo nobile, struggente e cantabilissimo tema:

Così come il primo tempo, anche il finale (2/4, forma-sonata) è preceduto da un’Introduzione in Andante, che riprende il RE dell’Elegia come dominante di SOL maggiore, per preparare il terreno all’Allegro con spirito, Tema russo, canonicamente in DO maggiore, dal sapore frizzante. Un controsoggetto più cantabile segue in MIb maggiore nei violoncelli, poi i due temi sono sottoposti ad un robusto sviluppo, prima di tornare in sequenza (ma con il secondo ovviamente in DO) in sede di ricapitolazione.  

La coerenza dell’ispirazione complessiva è testimoniata dal ritorno ciclico, ad attaccare una curiosa Coda, del motivo dell’Introduzione alla Serenata; ecco il punto dove quel motivo si... trasforma in quello popolare del finale:

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Guggeis, oltre alla bacchetta, lascia a casa anche la partitura, che evidentemente ha tutta ben scolpita in mente: così non trascura nessuna delle mille sfumature del brano, dalla leggerezza del Valse alla crepuscolare Elegia. Insieme ai redivivi violini (capeggiati da Dellingshausen) In grande evidenza i violoncelli guidati dal veterano Mario Shirai Grigolato. Festa per tutti e applausi ritmati.

10 giugno, 2011

Stagione dell’OrchestraVerdi - 38



Xian Zhang chiude la stagione 10-11 con un pirotecnico viaggio in America, suo Paese di adozione, prima dell'approdo sui Navigli milanesi. Orchestra che si presenta per l'occasione con l'intero organico: arpe, saxofoni, tastiere, banjo e stuolo di percussionisti inclusi.

Rispetto al programma originario, c'è un'inversione di posizioni fra Gershwin e Bernstein, per cui ad aprire è Lenny con il suo West Side Story, di cui viene eseguita la Suite. Il famoso musical è una moderna ambientazione (a NewYork) di Romeo&Juliet, con Jets e Sharks ad impersonare Montecchi e Capuleti e Tony e Maria nei ruoli dei protagonisti. La suite, intitolata Symphonic dances, presenta i principali motivi del musical raccolti in nove numeri. Qui la dirige l'Autore.

Bernstein rappresentò musicalmente l'incompatibilità fra le due gang facendo ampio uso dello sbifido tritono, anche nei momenti più lirici, come il celeberrimo Maria (ne sentiamo il motivo nel 5° e 6° numero) che sale da tonica a dominante passando appunto per la quarta aumentata. Ma nell'Adagio finale (che chiude sia l'Opera che la Suite) troviamo nientemeno che una reminiscenza del wagneriano tema della Redenzione!

Zhang non bada a spese e ci cava tutta la sonorità e pure il fracasso dovuti, ma allo stesso tempo la struggente liricità dei momenti più intimi, compreso, appunto, il Finale.

Poi arriva il clarinettista Martin Fröst, abbigliato con una livrea che non sapresti dire se più consona ad una jam-session di una Band di NewOrleans, o alla Banda d'Affori agghindata per Carnevale. A dispetto del suo nome (letteralmente: Gelo) questo spilungone nordico ha l'argento vivo in corpo e manovra lo strumento con funambolica abilità. Insomma: un fenomeno.

Comincia con il primo dei due Concerti in cui è impegnato, quello di Aaron Copland. Dedicato al grande Benny Goodman, è prevalentemente in DO e inizia con un Lento, espressivo, in effetti un'elegia, dove il clarinetto è accompagnato prevalentemente dall'arpa e dal sommesso sostegno degli archi.

Arriva poi una cadenza, dove il solista deve tirar fuori… tutto il fiato che ha, e qui Fröst comincia a mostrare di che pasta è fatto:

Segue quindi un interludio (che permette al solista di ricostituire la sua scorta di fiato…) e poi la seconda parte del concerto, in tempo Piuttosto veloce, e con successive accelerazioni, dove fa la sua comparsa anche il pianoforte, ad aggiungere le sue gocciolanti sonorità a quelle di arpa e archi. In questa specie di rondò viene fuori tutto lo spirito jazz-istico del concerto, che si chiude con una esilarante scalata di quasi tre ottave, dal MIb al DO.

Pur essendo materia contemporanea e non vecchia di secoli, anche qui ci sono diatribe infinite su alcuni particolari della partitura, alimentate da discrepanze fra l'edizione per orchestra e la riduzione per clarinetto e piano, e fra ciò che è scritto e ciò che diversi interpreti suonano (con l'avallo, fra l'altro, di Copland medesimo). Ma trattandosi di jazz (smile!) evidentemente tutto è… ammissibile. Francamente il ritmo è così travolgente che per me è difficile dire quali scelte abbia fatto Fröst sui vari punti controversi (bisognerebbe analizzare la registrazione al… rallentatore).

Ancora lui, subito dopo, alle prese con il breve Concerto composto da tale Arthur Jacob Arshawsky. Come dire: Carneade, chi era costui? In realtà un tipo assai famoso, ma con il nome d'artie di Artie Shaw. Questo concerto fu composto per essere suonato dall'Autore nel film musicale Second Chorus (1940) che aveva per protagonista Fred Astaire (che lo ricordò così: il peggior film che abbia mai fatto!)
Sono più o meno 9 minuti di musica, in tonalità principale di SIb (proprio quella naturale dello strumento) che è jazz allo stato puro, a parte un iniziale tempo di Allegro, che è seguito da un Boogie-woogie e quindi dallo Swing, che incorporano anche un paio di cadenze. Ma anche tutta la prima parte dello Swing è in pratica una micidiale cadenza solistica (l'accompagnamento è del solo tom-tom) che mette davvero a dura prova l'abilità dell'interprete.

Nell'Allegro iniziale pare che il solista stia attaccando un tema della Gazza ladra; gli rispondono gli archi con una cosa che ricorda Voci di primavera (smile!) Ma è tutto uno scherzo, evidentemente, poiché il Boogie-woogie arriva presto a chiarire le cose in modo inequivocabile:

Ma per Fröst tutte queste paiono essere delle quisquilie, tanta è la facilità e la naturalezza con cui le affronta. Un autentico trionfo per lui. Che dopo due pezzi così è ancora più fresco (smile!) di una rosa, tanto da permettersi, con l'orchestra, un bis di questo tipo.

Dopo la pausa, tutto Gershwin. Dapprima ecco arrivare An American in Paris. Scritto nel 1928 dopo un viaggio nella capitale francese, questo balletto rapsodico subito si presenta con baldanza mista a spensieratezza:
È il turista che se ne va a spasso per la città, col naso all'insù e le orecchie tese. Parigi è una città dal traffico già caotico, e non mancano quindi automobili e taxi che strombazzano allegramente. In mezzo al trambusto arrivano anche le note di una filastrocca (Che cosa importa a me, se non son bella) forse nota altrettanto bene in Italia che a Parigi:

Ora, stanco per la lunga camminata, l'americano si riposa un poco e inevitabilmente sogna il suo paese, e il blues in primo luogo:

Si noti la prescrizione di coprire la campana della trombetta con una guaina di feltro (cosa che il bravissimo Alessandro Ghidotti ha prontamente eseguito). Questo è il motivo che rimane poi al centro del brano, e che pure lo concluderà. Accanto ad esso però arriva anche un ricordo allegro, il charleston della Louisiana:

Un'ultima veloce scorribanda per le strade della Ville lumière culmina nel Grandioso dove corno inglese, clarinetti e sax contralto ribadiscono per l'ultima volta il tema americano, prima del poderoso accordo di FA maggiore che chiude il brano, fra uno scroscio di applausi.

Per finire, ancora Gershwin, a mezzo Robert Russell Bennett, con un estratto sinfonico da Porgy and Bess (già eseguita qui in forma ridotta e semi-scenica sotto la guida di Wayne Marshall).

A symphonic picture è il titolo della suite, dove compaiono i principali e arcinoti motivi conduttori dell'opera: da Summertime a I Got Plenty O' Nuttin'; da Bess, You is My Woman Now a Oh, I Can't Sit Down; da It Ain't Necessarily So a There's a Boat Dat's Leavin' Soon for New York; e per finire Oh Lawd, I'm on My Way.

Zhang pensa bene di accorciarla e distillarvi proprio il-meglio-del-meglio. Successo strepitoso e immancabile bis, con la ripetizione dello struggente motivo che accompagna Porgy mentre si allontana, sul suo carretto, per rincorrere il suo improbabile sogno.

Ora non resta che dire arrivederci a settembre per una nuova emozionante avventura con laVerdi.
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