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20 gennaio, 2023

laVerdi 22-23. 12

Poulenc e Ciajkovski sono al centro del concerto di questa settimana, che vede arrivare sul podio dell’Orchestra Sinfonica di Milano un… ragazzino, o poco più, il 23enne finlandese Tarmo Peltokoski, che quando non dirige fa pure il pianista.

Però alla tastiera del primo brano in programma - si tratta del Concert champêtre per clavicembalo (ma anche pianoforte) e orchestra di Francis Poulenc – siede Jean Rondeau, altro men-che trentenne ma già affermato solista.

Poulenc compose il brano nel 1927-28 per la grande Wanda Landowska, che ne fu l’ispiratrice e la prima interprete. Vent’anni più tardi lo incise lui stesso ma, paradossalmente, eseguendolo al pianoforte. E comunque il concerto è concepito (come altri, tipo quello di DeFalla) per essere eseguito su strumenti moderni (tipo i Grand Pleyel) suggeriti e sponsorizzati ai tempi proprio dalla Landowska. Per la cronaca, qui il clavicembalo era moderatamente amplificato, per evitare di essere sommerso dal suono orchestrale.

Pregevolissima l’esecuzione di Rondeau, un vero guru dello strumento, capace di estrarci sonorità che gli sembrerebbero precluse. E poi grande cura ai particolari, compresi i silenzi e le pause e le cadenze: lunga quella a metà del primo movimento, lunghissima quella tenuta proprio alla conclusione.  

L’orchestra lo ha supportato al meglio e Peltokoski ha fatto di tutto per non… penalizzarlo troppo, scatenandosi soltanto quando il solista tace, e per il resto lasciandogli sempre il primo piano.

Caloroso successo (in un Auditorium con parecchi vuoti) ricambiato con un sognante bis. 
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La seconda parte della serata è occupata interamente dalla inflazionata Patetica ciajkovskiana, uno dei tanti cavalli di battaglia de laVerdi.     

E qui è venuto fuori il fenomeno: questo ragazzino ha davvero una stoffa eccezionale. A parte mandare a memoria la sinfonia (cosa non da tutti e che testimonia della cura che pone alla preparazione) ma Peltokoski (mi) ha veramente stupito per la padronanza e l’autorevolezza della sua direzione. Gesto ampio, accompagnato da movenze da ballerino, ma senza mai apparire affettato o pleonastico, anzi, sempre attento alla scansione dei tempi; attacchi di precisione assoluta, affilati come lame. E infine capacità (alla sua età!) di cogliere tutti gli aspetti estetici e pure – nel caso di Ciajkovski - esistenziali dell’opera.

Efficacissimi i mutamenti di tempo nel primo movimento: quello fra l’introduttivo Adagio e l’Allegro non troppo; e poi l’improvviso scoppio al passaggio in Allegro vivo: ma soprattutto straordinario l’effetto ottenuto nella fatale discesa all’inferno, prima della ripresa dell’Andante, con gli ottoni a scandire la caduta, di girone in girone, fino all’annichilimento!

Dopo lo sghembo (2+3) walzer dell’Allegro con grazia, proposto precisamente con grazia, ecco la travolgente marcia dell’Allegro molto vivace, chiusa dal ta-ta-ta-taaaa sul SOL, che ha suscitato l’immancabile (peraltro abbastanza isolato) battimani, costringendo forse il Direttore a ritardare un attimo l’attacco del conclusivo Adagio lamentoso. E proprio di lamento si deve parlare, chiuso con la più pessimistica delle visioni esistenziali.

Inutile dire del successo tributato a tutti, ma in particolare al giovin Maestro per questa eccellente proposta.   

Infine: sapete qual è l’unica dote che ancora manca a questo genio? Il sorriso! 
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Appendice. Il concerto campestre di Poulenc.

Seguiamone sommariamente la struttura accompagnati dal grande Trevor Pinnock con la BSO diretta da Seiji Ozawa.

Il primo movimento ha davvero poco del concerto barocco, e ancor meno di quello classico: la forma è quasi indecifrabile (per non dire bizzarra): inizia con un’introduzione lenta (Adagio) che porta all’Allegro molto, dove il solista espone il tema principale, in RE maggiore. Questo tema viene riproposto - ma assai variato - da orchestra e solista nella dominante LA maggiore (e qui effettivamente siamo al barocco). Infine sarà ripreso (in RE, a mo’ di ricapitolazione) alla conclusione, che però sarà in minore. Ma fra queste comparse del tema troviamo un… universo di divagazioni, avventure e colpi di scena: insomma, una fantasia, o un divertimento, più che un movimento di concerto!

Dopo l’introduzione in Adagio, ecco (1’56”) il solista proporre il tema principale, in Allegro molto:

L’orchestra lo accompagna nella risposta, su un controsoggetto, poi (2’26”, Animez un peu) il solista accelera il tempo e si esibisce in virtuosistiche volate di crome, in dialogo con l’orchestra. Il tema principale (2’43”) viene ora riproposto – variato e mischiato al controsoggetto – nella dominante LA maggiore. Una grandiosa figurazione di crome ascendenti dei corni (2’56”) poi ripresa dal solista, introduce un passaggio che conduce inopinatamente (3’08”, Presser) ad un’enfatica fanfara che scende di una terza, al FA maggiore, cui il solista pone rimedio riportandoci al LA maggiore che chiude l’episodio.


Ma subito se ne apre un altro (3’26”, Tragique) invero sorprendente, e che sarà interminabile, un’autentica peregrinazione fuori-le-mura: i corni, partendo da un lontano DO# e girando le campane bene in alto, espongono un segnale militaresco:


Cui il solista risponde prontamente, lasciando poi spazio al clarinetto per una breve melopea interrotta ancora dal solista in modo brusco (4’15”, Feroce) per riproporre il segnale di cui sopra. Si fa poi viva (4’24”) anche la tromba, che riprende il segnale (dal SIb) e lo chiude portando a due schianti dell’orchestra, il secondo (4’31”) sul SI minore.

 

Tonalità in cui il solista riprende il richiamo eseguendo una specie di cadenza che porta ad un nuovo schianto orchestrale (4’52”) cui segue, sempre in SI minore, un lungo passaggio ancora basato sullo sviluppo dello stesso motivo. La tonalità, nel frattempo, modula a SOL minore, dove inizia (5’29”) una nuova sezione di questo lungo intermezzo. Ancora (5’45”) continue modulazioni, a RE minore, MI minore, SI minore e SI maggiore, finchè un forsennato crescendo (En animant toujours) dell’orchestra (cui il solista assiste muto e sgomento…) si chiude su un botto (6’24”) generale di MIb minore (sporcato dai DO di tuba e archi bassi)!

 

Tutto finito? Nemmeno per idea! Mica si può lasciare a metà il discorso iniziato e poi interrotto dalla lunga divagazione (fuori tema?) Però non è nemmeno facile riprenderlo come se nulla fosse, e allora ecco (Très lent) una nuova ampia introduzione, caratterizzata da un mesto incedere del solista, fatto di pesanti accordi (2-3-4 note) seguiti, dopo una risposta di corni e archi bassi, da una melopea del clavicembalo (7’36”, Allargando) in LA minore, seguita (8’38”) da una nuova irruzione del primo corno che ripropone – variato e partendo dal LA – proprio il segnale militaresco che aveva aperto la lunga precedente divagazione.

 

Ora (8’53”) il tempo torna Subito Allegro molto, LA maggiore, e solista e orchestra si producono in una transizione dove ancora i corni (9’06”) sono protagonisti dell’ennesima riproposizione del segnale militaresco. La chiusa è riservata ad un beffardo accordo di LA minore inquinato dal tritono DO-FA#.

 

Ma è solo un modo per preparare (9’10”) la ripresa - in RE maggiore nel solista - del tema principale e del relativo controsoggetto. Non abbiamo qui, come nell’esposizione, la riproposta del tema nella dominante, ma passiamo direttamente (9’29”) alla scalata dei corni (sempre sul RE) e poi al bizzarro ingresso (9’39”) della fanfara che, invece che dal LA al FA, scende ovviamente dal RE al SIb. Il solista riporta l’ordine (RE maggiore) con veloci discese in croma. Accelerando (9’50”) si arriva finalmente al dunque, con solista e orchestra che si rincorrono più volte prima che sopraggiunga il tutti conclusivo: un accordo perfetto di RE minore!

 

Ecco poi l’Andante, SOL minore, tempo di 6/8 (Siciliana). Lo aprono i primi violini presentando il tema principale, la cui frase chiude sulla dominante RE:

 

Gli rispondono (30”) oboe e fagotto, con un controsoggetto che ci riporta a casa (SOL minore).

 

Adesso (59”) entra il solista, che quasi si limita, scandendo accordi, a sottolineare il ritmo del tema, interroto da due schianti dell’orchestra. Il tema è ripreso (1’27”) da oboe e corno in SIb minore, con il clavicembalo a contrappuntare, seguito da i fiati che chiudono questa prima sezione dell’esposizione.

 

Il secondo tema, in una tonalità eterodossa (LAb maggiore, non la relativa SIb come ci si aspetterebbe) viene esposto (2’07”) da corno inglese e oboe:



e quindi ripetuto e completato anche dal fagotto. Poi si sviluppa (2’34”) su un controsoggetto altrettanto sognante che chiude, passando arditamente per MI, sul MIb maggiore, tonalità dove il tema viene riproposto (3’00”) dal caldo suono dei corni, con il solista ancora a contrappuntare. La melodia viene improvvisamente deformata (3’29”) e porta l’orchestra ad uno schianto dove l’accordo perfetto di SIb maggiore è sporcato dai SOL e SI dei corni!

 

Segue ora, interrotta all’inizio da un nuovo strappo dell’orchestra, una nervosa cadenza del solista, sulla quale si staccano (4’21”) due guizzi del clarinetto, che tocca il RE acuto. Torna il tempo di siciliana e I corni (4’33”) seguiti subito dal solista e quindi da flauti e fagotto riportano la tonalità a RE minore, ma con evidenti dissonanze. Ma ecco (5’22”) apparire improvvisamente nei violini, poi in flauto e oboe, un’oasi in SOL maggiore, dove udiamo riproposto il secondo tema, che poi (5’42”) salta arditamente di una terza, a SI maggiore.

 

Ma la cosa dura poco, poiché (5’54”) il flauto ripropone la melodia tornando a SOL maggiore, dove peraltro ci si sofferma pochissimo, dato che (6’07”) archi, ottoni e fagotto riprendono solennemente il tema scendendo di una terza, a MIb maggiore! Ma la cosa copre si e no due battute, che<è si torna (6’17”) al SOL minore, dove una scalata delle trombe alla seconda abbassata (LAb) dà inizio alla chiusura (6’30”) : flauti, poi oboi, quindi clarinetti e infine il solista reiterano impertinenti e acuti incisi attorno al SOL minore; gli archi lo ribadiscono sommessamente, dopodichè, mentre il secondo corno tiene un lungo SOL, il clavicembalo (6’48”) fortissimo, ribadisce girandogli attorno, il SOL. Ma è un SOL maggiore, che l’orchestra piena ribadisce con il tonfo finale. (Poulenc ha riproposto, specularmente, il trucco già sperimentato nel movimento iniziale: là era RE maggiore che chiudeva in minore, qui è SOL minore che chiude in maggiore.)

 

Infine il Finale, RE maggiorePresto. Il solista attacca subito il primo tema, che qualcuno ha apparentato con quello dell’Aria con variazioni (Il fabbro armonioso) dalla Quinta Suite di Händel:


Poi (20”) ecco la risposta, accompagnata discretamente dagli archi, che poi innescano con il solista un fitto dialogo, con la comparsa di diversi motivi, come quello (40”) di stampo marziale, o l’incedere ostinato (57”) dell’orchestra e lo strappo (1’11”) in SOL minore. Più avanti ecco (1’35”) un altro motivo marziale, in FA, che ricorda la Patetica (3° movimento).

 

Sulla base di questo motivo continua il serrato dialogo fra solista ed orchestra, che porta infine ad un punto cruciale: con l’indicazione Eclatant (2’37”) il solista propone un motivo – di fatto il secondo grande tema - che terrà banco per il resto del movimento. Qui è in MIb maggiore ed ha un sapore allegramente festaiolo:



Altri motivi di sapore marziale si affacciano (2’58”) in MIb e poi (3’17”) in RE maggiore, finchè il tema esposto poco prima dal solista esplode (4’02”, Pesant) in SI maggiore!

 

Allargando subito (4’12”) il solista apre una specie di oasi di calma, tornando al Tempo del 1° movimento e indugiando sull’inciso FA#-RE#, seguito dai corni che brucknerianamente esplorano l’ottava di DO#. Ancora un dialogo fra solista e clarinetti-fagotti e poi si torna (5’09”) all’Allegro giocoso dove il solista reitera il secondo tema, in RE maggiore, poi si abbandona ad una breve cadenza, finchè (5’35”) il secondo tema riesplode nell’orchestra.

 

Ancora (5’58) un intervento interlocutorio del solista, poi (6’18”) il secondo tema ricompare in SOL maggiore e infine (6’26”) in RE maggiore. Il concerto si chiude quindi tornando (6’50”) al Tempo 1° movimento, che ospita la chiusura mesta del solista su lacerti del primo tema; dopo due incisi acuti del flauto, ecco nel clavicembalo l’accordo di RE... indovinate? minore.

12 marzo, 2022

laVerdi 21-22. Concerto 20

Questa settimana laVerdi propone un appuntamento particolare, sia pure nel solco di una tradizione consolidata: un’opera di teatro musicaleLa voix humaine di Francis PoulencSul podio il versatile Giuseppe Grazioli.  

La parte introduttiva del concerto è però affidata alle due Suite dell’Arlésienne di Bizet. Curiosamente i soggetti dei due lavori in programma (di Alphonse Daudet e di Jean Cocteau, rispettivamente) hanno in comune un drammatico epilogo: un suicidio! Entrambi provocati da disillusioni amorose: nella pièce di Daudet il protagonista del gesto è un giovane, che si getta dal tetto della casa; in quella di Cocteau è una signora a strangolarsi con il filo del telefono...

L’Arlésienne. I due estratti dalle musiche di scena per L’Arlésienne furono approntati dall’Autore (prima Suite) e dal solito Ernest Guiraud (seconda Suite) lo stesso che predispose anche i recitativi della Carmen, alla morte prematura dell’Autore.

Oltre alle Suite, esiste anche una ricostruzione-orchestrazione dell’intero corpus delle musiche per il dramma di Daudet, predisposta da Dominique Riffaud, che si può ascoltare in rete ed ha la struttura mostrata in Appendice insieme a quella delle due Suite (evidenziate in rosso e blu). Entrambe le Suite si articolano in 4 numeri, che non rispettano necessariamente la sequenza degli avvenimenti narrati da Daudet: la loro durata complessiva supera di non molto i 30’, circa la metà della durata dell’insieme delle musiche di scena.

Va notato che il terzo numero della seconda Suite (quella di Guiraud) non proviene dall’Arlésienne, bensì dall’opera La jolie fille de Perth. Si noti infine come in entrambe le Suite il triste finale della storia venga accuratamente ignorato, per far posto ai brani più accattivanti e di grande effetto.

E Giuseppe Grazioli ne ha cavato un’interpretazione a dir poco entusiasmante, valorizzando al massimo livello tutti i tesori nascosti nelle due partiture, che davvero meritano di essere eseguite insieme, e non a spizzichi e bocconi come capita spesso di sentire.

Direttore e suonatori hanno quindi ricevuto dal pubblico (sempre pochi-ma-buoni, con i tempi che corrono...) un meritatissimo riconoscimento di applausi e ovazioni.
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Ecco quindi il piatto forte della serata: La voix humaine di Francis Poulenc, interpretata dalla trentenne Alexandra Marcellier e con l’allestimento semi-scenico di Louise Brun.

Il monodramma di Cocteau è tutto recitato dalla protagonista al telefono (i cui trilli sono emessi dallo xilofono): la donna parla (a parte interferenze di centralinista ed estranei, fra il ridicolo e il grottesco, spiegabili con lo scenario ancora pionieristico di quel tipo di comunicazione) ad un uomo evidentemente a lei legato da passati vincoli d’amore, amore presumibilmente sfumato. Ecco la registrazione del 1959, anno della prima, protagonista Denise Duval (con Georges Prêtre).

Poulenc ha vergato a fronte della partitura alcune note di interpretazione, indirizzate al soprano e al direttore:

1. L’interprete deve essere giovane ed elegante;
2. Lei deciderà (con il direttore) come gestire le innumerevoli corone puntate che costellano la partitura;
3. I passaggi di canto senza accompagnamento devono avere un tempo assai libero, muoversi repentinamente dall’angoscia alla calma e viceversa;
4. L’intera opera dovrà caratterizzarsi per la massima sensualità orchestrale.

Beh, mi sento di dire che tutte le prescrizioni dell’Autore siano state ampiamente rispettate, a cominciare dalla prima! La bella Alexandra da Perpignan, ora accovacciata dietro una semplicissima struttura (una specie di lungo schedario a fisarmonica) e accanto ad uno scatolone pieno di lettere e fogli di spartito musicale, ora in piedi, sempre con in mano la cornetta (e il filo!) è stata protagonista di una prestazione davvero coinvolgente. E Grazioli ha fatto di tutto per realizzare quella sensualità orchestrale evocata da Poulenc.

Successo strepitoso per la Marcellier, per Grazioli, Orchestra e per la Brun.         
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Appendice: l’Arlésienne e le due Suite.

Acte I 

1. Ouverture (Suite I-1 Prélude)
2. Mélodrame
3. Mélodrame
4. Mélodrame
5. Chœur et Mélodrame
6. Mélodrame et Chœur Final

Acte II 

Premier Tableau
7. Pastorale (Entr'acte et Chœur) (Suite II-1 Pastorale)
8. Mélodrame
9. Mélodrame
10. Mélodrame
11. Chœur - Mélodrame
12. Mélodrame
13. Mélodrame
14. Mélodrame

Deuxième Tableau
15. Entr'acte (Suite II-2 Intermezzo)
16. Final

17. Intermezzo (Suite I-2 Minuetto)

Acte III 

Premiere Tableau
18. Entr’acte, Carillon (Suite I-4 Carillon)
19. Mélodrame (2a parte: Suite I-3 Adagietto)
19. Mélodrame
20. Mélodrame
21. Farandole (Suite II-4 Farandole-b)

Deuxième Tableau
22. Entr'acte
23. Chœur (Suite II-4 Farandole-a)
24. Chœur (Suite II-4 Farandole-c)
25. Mélodrame
26. Mélodrame
27. Final. 

(Suite II-3 Menuetto dall’opera La jolie fille de Perth, N°17 duetto Mab - Duca di Rothsay)

10 dicembre, 2021

laVerdi 21-22. Concerto 9

Fra la prima (TV) e la prima (in abbonamento) del Macbeth scaligero ecco infilarmisi il nono concerto stagionale de laVerdi, reduce da un ponte di due settimane.

É il redivivo Wayne Marshall (con qualche... libbra in più) ad occupare interamente la scena, nella duplice veste di direttore e solista all’organo. Programma classicamente articolato in: 1. Pezzo breve di introduzione; 2. Concerto solistico e 3. Sinfonia. Tutto in lingua (musicale) gallica.

Il primo brano in programma è Cortège et Litanie di Marcel Duprè. Ne esistono tre versioni:

1. Per pianoforte solo (1921, secondo dei Quatre pièces, con Étude, Chanson e Ballet);

2. Per organo solo (1923);

3. Per organo e orchestra (1925).

Qui un’esecuzione all’organo solo dello stesso autore. Sulla sua scia, Marshall ci propina la seconda delle tre versioni.

Le 142 battute sono strutturate su tre sezioni, sempre in 2/4, Très modéré:

a) Cortège, in MI maggiore, 36 battute;

b) Litanie, nella relativa DO# minore, 66 battute;

c) Cortège+Litanie, MI maggiore, 40 battute.

Quindi un brano con i due gruppi tematici (solenne il primo, Cortège; mosso e ostinato il secondo, Litanie) presentati dapprima separatamente e poi sovrapposti: una specie di forma-sonata tronca (esposizione e sviluppo).

Brano assolutamente diatonico ed orecchiabile, di carattere religioso e quindi assai appropriato per questo periodo di... Avvento (e di pandemia). Che il pubblico non oceanico (chissà, il programma inconsueto o i primi freddi e nebbioline di stagione calati su Milano?) accoglie comunque con calore. 
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Ecco poi Marshall tornare alla tastiera per il Concerto per organo, orchestra d'archi e timpani in Sol minore di Francis Poulenc. Lo aveva già eseguito e diretto qui nel 2013 e rimando quindi al mio post di allora per alcune note sulla composizione.
Come allora Marshall porta come personale valore aggiunto una lunga cadenza solistica all’attacco del Largo conclusivo e poi, per ricambiare gli applausi del pubblico, ci suona una sua impertinente BWV 565 con... appendice!
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La chiusura è riservata a Georges Bizet e alla sua deliziosa Sinfonia n. 1 in Do maggiore, udita qui ultimamente (2017) dalla bacchetta di Fournillier.

Propongo una storica esecuzione di un giovane (e un po’ anche... gigione) Georges Prêtre con la gloriosa Scarlatti di Napoli della RAI, introdotta da un altrettanto glorioso Roman Vlad, ai tempi in cui la musica classica occupava un posto di primo piano nei programmi radio-televisivi.

Marshall, che prima dell’intervallo aveva suonato indossando un camiciotto nero, si ripresenta vestendo un’improbabile giacca-smoking in vigogna color... mosto. Ma senza bacchetta. Ci regala comunque un Bizet pieno di verve e di freschezza schubertiana. Sugli scudi l’intera Orchestra, in cui ha spiccato l’oboe di Emiliano Greci, protagonista del mirabile Adagio, un’oasi contemplativa all’interno di questa festa della primavera e della joie de vivre.

10 giugno, 2021

Ancora nuova musica da laVerdi

Alpesh Chauhan sta ormai diventando ospite abituale dell’Auditorium: è infatti al suo terzo appuntamento in tre anni con laVerdi. Per l’occasione dirige un concerto ben assortito, con musica che va dall’oggi a ieri all’altroieri!    

Dopo quella recente di Colasanti, ecco una nuova primizia a testimonianza della vitalità dei nostri compositori: Hello, World, uscito dalla penna di quella vecchia voce di Radio3 che risponde al nome di Nicola Campogrande.  

L’aquilana Vittoriana De Amicis ha prestato la sua bella voce sopranile a questo ciclo di 4 Lieder che ci racconta qualche arcano dell’informatica: come far dire (o comparire sullo schermo) al computer il messaggio Hello, World impiegando quattro diversi linguaggi di programmazione!

1. Linguaggio B

main( ) {

extrn a, b, c;

putchar(a); putchar(b); putchar(c); putchar(’!*n’);

}

a ’hell’;

b ’o, w’;

c ’orld’;

2. Linguaggio Unix Shell

#!/bin/sh

echo “Hello world”

3. Linguaggio Delphi

program Project1;

uses

qdialogs;

const

s = ‘Hello World’;

begin

showmessage(s);

end

4. Linguaggio Malbolge

(=<`#9]~6ZY32Vx/4Rs+0No-&Jk)”Fh}|Bcy?`=*z]Kw%oG4UUS0/@-ejc(:’8dc

Va da sè che i simboli - che nei linguaggi di programmazione abbondano, rispetto alla normale lingua scritta - non siano musicabili, quindi (in italiano, visto che l’Autore è italiano) ne viene musicata la pronuncia, tipo chiuse le virgolette o anche chiocciola o parentesi aperta, cancelletto, e così via. Insomma, un moderno... divertimento. Tutto sommato gradevole, poichè Campogrande è un esponente di quella che chiamerei corrente nostalgica (in senso assolutamente buono!) della musica contemporanea. Tanto per dire, il primo brano attacca in RE maggiore à-la-Korngold e poi presenta un cantabile in LA (!) Proprio sull’ultima nota la De Amicis sfoggia un MIb sovracuto degno di...Violetta!

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Due fratelli tulipani, rispondenti ai nomi di Lucas e Arthur Jussen (di 28 e 25 anni rispettivamente) si cimentano poi con il Concerto per due pianoforti di Poulenc. Eccoli qui in una prestazione di pochi anni fa. Invece qui qualche mia nota in proposito, scritta più di 8 anni orsono in occasione di un’esecuzione in Auditorium di Lupo & Pedroni.

Brano di tutta gradevolezza, che i due giovani interpretano quasi (o senza quasi) divertendosi, e così raccolgono un meritato trionfo, che ci ripagano con un Mozart in salsa italo-svizzera... e poi con il sommo Bach.  

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Infine si retrocede in pieno ottocento con il 15enne Mendelssohn e la sua Prima Sinfonia in DO minore per orchestra a ranghi completi, sfornata precisamente fra il 3 e il 31 marzo del 1824 (prima ne aveva composte, in soli due anni e tanto per farsi le ossa... ben 12 per orchestra d’archi!)  

È un frutto ancora piuttosto acerbo e velleitario, se lo si confronta con capolavori quali l’Ottetto e l’Ouverture del Sogno che arriveranno nel giro di nemmeno 3 anni. Qui il ragazzo sembra ancora affetto da eccessiva carica Sturm-und-Drang, per dire: se si esclude l’Andante, un’oasi di pace e tranquillità, ricca di spunti degni di nota, la Sinfonia è tutto un succedersi di motivi dal piglio asfissiante e da dinamiche che raramente scendono sotto il forte, con rari momenti meditativi; insomma, una narrativa piuttosto... aggressiva, ecco. E non è escluso che l’Autore stesso fosse cosciente di ciò, se per le esecuzioni londinesi del 1829 rimpiazzò il concitato Menuetto con l’etereo Scherzo del suo recentissimo Ottetto! 

L’Allegro molto di apertura (4/4) presenta subito il primo tema nervoso in DO minore, che sfocia poi verso la relativa MIb maggiore, dove ospita dapprima un inciso di sapore beethoveniano (Imperatore) e un motivo di transizione verso il secondo tema. Che a prima vista sembrerebbe più cantabile, quindi efficacemente contrastante con il primo. Ma (purtroppo?) solo per poco, poichè anch’esso si fa ben presto contagiare dalla veemenza dell’altro. Dopo la canonica ri-esposizione, ecco lo sviluppo, dove Mendelssohn mostra una certa fantasia nell’intrecciare i motivi e nel divagare su tonalità, come il SIb maggiore e il RE, poi il FA minore. La ricapitolazione vede il secondo tema portato a LAb maggiore. Segue una lunga coda basata sul primo tema che transita temporaneamente a DO maggiore. Nella concitazione permanente viene inserita una breve oasi di calma, 8 battute dove due corni suonano un SIb in ottava, seguite da lamenti di legni e archi. Pian piano riprende il primo tema che va a chiudere pesantemente - ricordando il Mozart della K550 -  sul DO minore di impianto.

L’Andante (3/4, MIb maggiore) è come detto il movimento più ispirato dei quattro. È sostanzialmente bitematico, ma con i due temi che hanno grande affinità. Dopo che il primo ha aperto, scendendo nei violini dalla dominante SIb sulla tonica, il secondo subentra imprevedibilmente, nel flauto, in DOb maggiore, salendo dalla dominante SOLb alla mediante MIb per poi degradare lentamente verso SIb. Dopo breve transizione è su questa tonalità che l’oboe ripropone il primo tema, che viene ripetuto dai legni. Violini contrappuntati dall’oboe, poi raggiunto dal flauto, espongono per due volte un motivo che sale di una settima, da dominante a sottodominante, per poi ripiombare velocemente sulla mediante (RE).

Un ostinato sforzato degli archi modula provvisoriamente a FA# maggiore dove i violoncelli ripropongono il secondo tema, poi ripreso dai violini e dai flauti in SI maggiore. Una transizione ci riporta al Sib e da qui al MIb dove torna il primo tema nei violini, poi nell’oboe, con il flauto ad accompagnare con veloci volate in semicroma. Ancora nei violini contrappuntati da flauto e oboe riappare per due volte il motivo che scala una settima per calare sulla mediante. Una coda di 12 battute chiude mirabilmente questo piccolo gioiello.

Ecco ora il Menuetto, Allegro molto, 6/4, DO minore. Ha una struttura e il piglio di uno Scherzo indiavolato. Come di prammatica presenta due sezioni (da ripetersi) di cui la seconda è un’estensione della prima. Quest’ultima inizia con il tema energico esposto dai violini, tema che ben presto sfocia sulla relativa MIb maggiore. La seconda sezione, più vasta, ripresenta il trema con diverse modulazioni: dapprima a REb e poi a DO maggiore. Il ritorno a DO minore sopraggiunge per chiudere questo pseudo-minuetto.

Il Trio - due sezioni da ripetersi più una terza - scende plagalmente alla sottodominante LAb maggiore, con un specie di corale di clarinetti e fagotti, che i flauti chiudono tornando a MIb. La seconda sezione riprende il motivo in REb per poi chiudere sul LAb. La terza sezione inizia (fagotti e flauti) degradando dalla settima abbassata (SOLb) alla dominante MIb. Qui arriva una sommessa transizione, protagonisti archi e... timpani (secondo molti osservatori: Beethoven Quinta) che ci riporta a DO minore: sono gli archi ad introdurre - a mo’ di rincorsa - il ritmo che prepara il ritorno al Menuetto (senza ripetizioni).

Il conclusivo Allegro con fuoco (4/4, DO minore) prosegue e conclude quest’opera in modo davvero ossessionante, esasperando se possibile l’atmosfera mozartiana del finale della K550. È in forma-sonata, quindi l’esposizione presenta due temi contrapposti: il primo è composto da due frasi, una concisa, da ripetersi, che riprende veloci discese degli archi già comparse nell’Allegro iniziale (e richiamate anche nel Menuetto) e chiude sul SOL; l’altra caratterizzata da tre lamenti dei clarinetti e chiusa dagli archi sul DO. Dopo la reiterazione, questa seconda frase viene sviluppata assai, riproponendo le discese negli archi e virando appropriatamente verso la tonalità di MIb minore. Chiude una melodrammatica discesa di clarinetto e fagotto verso il MIb maggiore, dove si presenta il secondo tema.

Tema curiosamente abbordato dai soli archi con un lungo pizzicato di 28 battute, dalla 13ma delle quali si modula a SIb maggiore, dove il clarinetto espone il suo tema; che poi, sul terminare del pizzicato degli archi, modula al MIb maggiore. E qui abbiamo - in luogo di un canonico sviluppo - un lungo passaggio dal cipiglio marziale, pare una pesante cadenza di fine opera, preannuncia il finale del futuro celebre concerto per violino, chiude su 5 trilli del flauto ma... vira repentinamente e sommessamente a DO minore, dove gli subentra sorprendentemente una fuga in piena regola! Evidentemente Bach era già ben presente nel mondo estetico del ragazzo, che 5 anni più tardi a Berlino riesumerà in modo spettacolare la Matthäus-Passion.

La fuga (in due sezioni) esplora principalmente le tonalità di SOL minore e poi MIb maggiore, chiudendo sul DO minore e sulla seconda parte della prima frase del primo tema, per preparare la ricapitolazione. Il primo tema viene ripresentato senza le due ripetizioni (11 battute in meno) e con un piccolo ulteriore taglio di 6 battute. Questa volta non modula a MIb, ma chiude sulla settima di dominante di DO minore dove riudiamo in clarinetto e fagotto, più il flauto, la caduta dalla sottodominante FA alla tonica DO. Riudiamo le battute in pizzicato degli archi che introducono il secondo tema, esposto ora in DO minore dal flauto, partendo dalla dominante SOL. Dopo una rapida escursione a LAb maggiore si torna a DO minore, con il passaggio marziale che porta alla ricomparsa della fuga, sempre nella tonalità di impianto, ma qui accorciata alla sola prima sezione.

Subitaneamente si passa da DO minore a DO maggiore (Più stretto) per la perorazione finale, 30 battute assai retoriche, tutte in ff (ma solo perchè ancora fff e ffff non erano stati inventati...)  

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Maiuscola la prova dell’Orchestra, che Chauhan ha impegnato allo spasimo, tenendo tempi serratissimi, come da copione. In compenso, dall’Andante ha saputo cavar fuori tutto il lirismo e la poesia che lo caratterizzano.

Anche lui ormai è un beniamino del pubblico e dell’Orchestra, che gli ha riservato un applauso ritmato, cui il giovane maestro ha risposto con parole di ammirazione e ringraziamento.