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19 ottobre, 2023

Il Grimes di Carsen-Young trionfa – per pochi intimi - alla Scala

La serata di ieri ha visto l’esordio in una Scala purtroppo spopolata (e andando ulteriormente spopolandosi nei due intervalli) del Peter Grimes di Britten in una nuova produzione affidata al celebrato Robert Carsen e alla direzione musicale della navigata australiana Simone Young.

A mo’ di introduzione a questo commento e per una mia personale interpretazione del soggetto dell’opera rimando a queste mie note scritte ormai parecchi anni fa.

Parto dalla prestazione musicale, che definirei di alto livello sotto tutti gli aspetti. La Young ha saputo cavar fuori da questa difficile ma affascinante partitura tutto il meglio, con una direzione vibrante, senza un attimo di caduta di tensione. Direzione coadiuvata da un’orchestra in gran forma, che ha messo in rilievo tutta la brutalità del rapporto fra la folla (strepitoso qui il Coro di Malazzi) e il diverso (un efficace Brandon Jovanovich, che mi ha ricordato più Vickers che Pears…) Ma anche la varietà di atmosfere create dai sei Interludi, dove protagonista è la Natura, caratterizzati ora da grande lirismo (la calma del mare) o dalle esplosioni dei fenomeni più estremi (burrasche e tempeste).

E poi concertazione fra buca e palcoscenico che non ha avuto sbavature, cogliendo ogni sfumatura delle personalità dei singoli e della cieca propensione all’odio della folla del Borgo. Nicole Car è stata la trionfatrice della serata, una Ellen quasi perfetta nei suoi slanci di comprensione (e di amore?) per il bistrattato e complessato Peter e nei suoi rimproveri al popolo per i suoi pregiudizi e per la sua assurda sete di giustizia (o di vendetta). Memorabili i suoi accorati appelli alla ragionevolezza (Peter); le sue amorevoli cure per il piccolo apprendista; la sua delusione e frustrazione per il precipitare delle cose verso il baratro. Il tutto supportato da una voce calda e penetrante, e da una grande espressività nel portamento.

Brandon Jovanovich è stato un Peter di grande spessore, voce da Heldentenor (magari a Britten non sarebbe piaciuta al 100% – stessa sorte capitò a Vickers) e perfetta immedesimazione nel ruolo di questo corpo estraneo in una società ostile. Carsen ne ha accentuato i tratti più crudi persino dell’espressione del viso, illuminandolo dal basso nelle sue esternazioni più drammatiche.        

Il Balstrode di Ólafur Sigurdarson mi ha un pochino deluso (e qui magari anche Carsen ci ha messo lo zampino): per me eccessivamente cinico e persino venale. E così forse il baritono islandese (ma è una battuta per giustificarlo…) ha voluto esagerare anche in qualche sguaiatezza di troppo nel canto.

Assai centrate ed efficaci le figure delle tre donne che animano il Cinghiale: la navigata Auntie di Margaret Plummer e le due (apparentemente?) svampite nipotine (Katrina Galka e Tineke Van Ingelgem).

Peter Fose è un solido Swallow, giudice dall’atteggiamento autoritario nell’iniziale interrogatorio di Peter, ma anche disposto a difenderlo in occasione del sopralluogo alla baracca del pescatore. Leigh Melrose se la cava assai bene come il furbacchione Keene, che fa favori a tutti (dalla Sedley a Peter) pur di cavarci qualche penny… Come lui anche l’Hobson di William Thomas, l’estremista Boles di Michael Colvin e il Reverendo Adams di Benjamin Hulett.

Onesta prestazione, infine, quella di Natascha Petrinsky, la ricca pettegola, prevenuta e ficcanaso Nabob Sedley. I due rappresentanti del Coro, Eleonora De Prez e Ramin Ghazawi da parte loro hanno diligentemente compitato le lillipuziane parti della Fisherwoman e del Fellow Lawyer (due versi a testa in tutto nel second’atto). Così come vanno segnalati gli altri nove coristi impegnati in piccole parti che emergono dalla folla indistinta.  
Insomma, un cast bene assortito e benissimo supportato dalla buca e dal Coro.
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Carsen ha messo in opera una delle sue migliori regìe: innanzitutto per l’assoluta fedeltà alla lettera (oltre che allo spirito) del testo, sia nella rappresentazione dell’atmosfera generale del soggetto, che nella resa di ogni singolo dettaglio dello stesso. Il suo drammaturgo Ian Burton a sua volta non ha proprio inventato nulla di strano

La scena di Gideon Davey (responsabile anche dei costumi, un poco attualizzati, ma non troppo…) è assai scarna, con una macrostruttura praticamente fissa, che viene poi arricchita di volta in volta da poche suppellettili. Una passerella sopraelevata ne circonda tre dei quattro lati, per accogliere gruppi o singoli personaggi.

Come sempre efficacissime le luci (di Carsen che ne è maestro, coadiuvato qui da Peter vanPraet): addirittura sfacciata la fiaccolata finale con torce abbaglianti puntate verso la sala! Will Duke ha predisposto alcuni video, prevalentemente centrati sul volto straniato di Peter, o su qualche passaggio di nuvole o vaghi riferimenti marini.

Una particolare curiosità riguarda il trattamento dei sei Interludi che costellano l’opera (due per atto). Britten li vorrebbe suonati a sipario chiuso (ci sono dei cambi-scena…) ma Carsen ci mette del suo per animarli. Così Il primo (Alba) che, senza soluzione di continuità con il Prologo, deve introdurre la vita di un nuovo giorno al Borgo, è genialmente supportato da una folla di pescatori e donne che occupano la passerella sospesa, tutti indaffarati a rammendare o sistemare reti da pesca. Il secondo (Tempesta) a metà del primo atto, viene invece animato da coreografie (di Rebecca Howell) che evocano il terrore per la burrasca imminente e poi ci mostrano il cambio-scena fra l’esterno e l’interno del Cinghiale. Il terzo Interludio (Domenica mattina) compare all’inizio dell’atto secondo, dopo l‘intervallo, che già ha consentito di predisporre il cambio di scena (siamo di nuovo all’aperto). Ecco, qui forse Carsen ha voluto strafare (cambierà idea all’inizio dell’atto terzo…) e ci mostra un’appendice del cambio scena, con spostamento di panchine ed altre attività assai prosaiche. Il quarto Interludio (Passacaglia) copre il passaggio dall’esterno all’interno della dimora di Peter. Qui Carsen ci mostra questa trasformazione facendo intervenire pescatori che trainano funi e spostano in avanti la parete di fondo, per creare l’angusto spazio del rifugio nel quale arriveranno Peter e il suo nuovo garzone. All’inizio del terz’atto (il cambio-scena è avvenuto nell’intervallo) l’Interludio (Chiaro di luna) viene invece eseguito (e direi proprio correttamente) a sipario chiuso. L’ultimo Interludio (la nebbia) è assai breve e segue l’assurda caccia che la folla (aizzata dalla Sedley) ha cominciato a dare a Peter, che si vede comparire (accompagnato poi da voci lontane e dal sordo suono della sirena) per dare sfogo a tutta la sua disperazione.  

La scena finale, anziché nella piazza del Borgo, ci riporta al Prologo, e vi vediamo Peter che giura sulla Bibbia, proprio come all’inizio. Qui certo siamo lontani dal libretto originale, ma (forse) Carsen ci vuol dire che, morto un Grimes, se ne fa un altro… (?)
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Successo pieno e applausi per tutti, incondizionatamente. Peggio per chi non c’era… ma ci sono ancora cinque possibilità di riscatto.
 

23 maggio, 2012

Alla Scala il Peter Grimes di Jones-Ticciati


La Scala ripropone di questi tempi Peter Grimes di Benjamin Britten, affidata alla coppia londinese di regista-direttore formata da Richard Jones e Robin Ticciati. Dirò subito che il giovane maestro ha dato gran prova di sé, mentre il regista mi ha lasciato tra il perplesso e l’insoddisfatto.

Tanto per cominciare, l’ambientazione. Jones porta tutto ai giorni nostri, ma sempre in Inghilterra (o comunque in un Paese, diciamo così, civilizzato). Orbene, è pur vero che anche nelle nostre società cosiddette avanzate permangono sacche di schiavitù più o meno mascherata, ma – che so – si dovrebbe trattare del solito cinese che fa lavorare bambini per 20 ore al giorno in qualche scantinato, oppure di un grosso amministratore di condomini che schiavizza fino alla consunzione dei poveri co-co-co… Ma che nell’Inghilterra di oggi ancora ci siano pescatori in proprio che sfruttano poveri orfanelli, come due secoli fa beh, mi pare proprio un’idea bizzarra! Di sicuro è fra quelle suggerite in questo manuale del regista d’avanguardia (smile!)

Essendo portata ai giorni nostri, la taverna di zia Auntie (così come la sala civica nel terzo atto) è trasformata in discoteca. Da esse escono i vendicativi borgatari per dare la (seconda) caccia a Grimes, in puro stile musical di Broadway, con i coristi che ballano come al carnevale di Rio, mentre cantano – ohibò – La nostra maledizione cadrà sul suo giorno malvagio. Noi domeremo la sua arroganza. Faremo pagare all’assassino il suo crimine. Una vera parodia, complimenti. 

Abbastanza banale l’ambientazione della baracca di Grimes e patetico il suo gesto di accendere la TV – che trasmette un cartone animato di contenuto marinar-piratesco, ma di quelli per bambini da scuola materna (smile!) - per tranquillizzare il ragazzo, prima della di lui caduta nel precipizio… della buca del suggeritore (mah!)   

Discutibile la scelta di presentare il ritorno finale di Grimes dentro la sala civica, in piena luce, il che toglie gran parte delle suggestioni che la scena dovrebbe avere, se correttamente ambientata al buio e nella nebbia (così anche il Fog-Horn qui pare fuori posto!) Certo, il regista si è risparmiato con questa trovata un cambio di scena in vista del suo finale, ma il risultato è deludente.

E appunto per l’ambientazione della scena finale - che nell’originale è pari-pari, musica compresa, in LA maggiore, quella dell’inizio dell’atto primo – il regista ne ha proprio combinata una delle sue. Così, invece di mostrarci il ritorno del borgo alla vita un po’ sonnolenta e monotona, come nulla fosse successo, lui ci riporta al prologo, mostrandoci un nuovo processo, intentato ora ad Ellen, evidentemente ritenuta complice di Grimes. Questa non solo è un’invenzione bella e buona, ma per di più è totalmente strampalata. Chè, se Jones ci voleva significare che il borgo è sempre in cerca di qualche diverso da eleggere a capro espiatorio (cosa del tutto plausibile) ha proprio sbagliato personaggio. Poiché  né Ellen né del resto Balstrode (che allora potrebbe essere pure lui la prossima vittima) hanno alcunché delle caratteristiche di diversi che il borgo possa prendere a pretesto per farne, appunto, dei capri espiatori: sono onesti e tranquilli pensionati che non potrebbero materialmente far male ad una mosca. A meno che Jones non voglia insinuare che nella società di oggi si prendano per diversi coloro che mostrano semplicemente di avere un po’ di sale in zucca… ma questa mi sembrerebbe davvero una forzatura di bassa lega.

Alcuni spunti della regìa sembrano mutuati da quella di Willy Decker, autore dell’edizione presentata tempo fa al Regio di Torino: ad esempio il mare che non si vede mai, poiché secondo Jones sul mare sta il pubblico, che da lì osserva ciò che accade sulla riva (e questa è una trovata plausibile); oppure Grimes che si vede – a fine secondo atto – trascinare il ragazzino morto verso casa (qui siamo però ad un didascalismo quasi offensivo per le capacità cognitive dello spettatore). E anche l’apertura del primo atto, con borgatari seduti come fossero in platea a guardare il mare, tutti perfettamente allineati e composti, ricorda vagamente quella di Decker.

Per fortuna la caratterizzazione dei personaggi è in generale apprezzabile: quello che vediamo è il Grimes di Britten-Pears-Slater, e non quello di Crabbe… ed è già qualcosa! Qualche riserva, come detto, sul  modo un po’ troppo da avanspettacolo con il quale ci vengono presentate certe esternazioni, soprattutto del popolo. Intelligenti le scene e le luci, a parte… l’ambientazione moderna (il che coinvolge anche i costumi).  

Ma tutto sommato, quale valore aggiunto apporti all’originale questo allestimento, resta per me un mistero.  
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Come detto, buone se non proprio ottime notizie invece sul fronte musicale. Merito di Ticciati, giovane ma evidentemente assai preparato ed autorevole sul podio, e di Bruno Casoni, che ha riportato il coro al livello che gli compete.

John Graham-Hall è un Grimes efficace, pur faticando parecchio sulle note alte, come qui al momento di prendere la drammatica decisione che lo porterà alla rovina:
(Poi, nell’esternazione finale, il regista lo fa esibire su un tavolo e accucciato sulle punte dei piedi, posizione credo infelice per il canto…) In ogni caso si prende grandi applausi. Più grandi ancora (ma forse alle mie orecchie non così meritati) quelli andati a Susan Gritton, una Ellen che mi è parsa discontinua e in difficoltà nell’ottava bassa.

Christopher Purves è un ottimo Balstrode, e ancor meglio di lui fa Peter Hoare come Boles (pur penalizzato sul lato scenico da eccessivo macchiettismo). Felicity Palmer è una Auntie di gran livello. Nettamente al di sotto Catherine Wyn-Rogers (Sedley) Christopher Gillett (Adams) e Stephen Richardson (Hobson). Un poco meglio George von Bergen come Keene (e non Keen come scritto sulle locandine!) e lo Swallow di Daniel Okulitch. Anonime le nipotine e le due altre parti minori.     

Successo abbastanza caloroso, ma francamente nulla di epocale.

06 marzo, 2010

Peter Grimes al Regio di Torino

Ieri pomeriggio, al matinée del Teatro Regio di Torino (platea abbastanza affollata, fila di palchi invece deserta al 70%) un interessante Peter Grimes. Nei ruoli principali il secondo cast.

La regìa di Willy Decker ha delle buone intuizioni, affiancate da qualche caduta di stile, o da qualche banalità. Le scene (John Macfarlane) sono improntate ad un minimalismo non del tutto fuori luogo: soliti pannelli mobili, un paio di sfondi dai colori e disegni pallidi e indecifrabili, o che richiamano vagamente cieli striati da cirri e cumuli. I costumi (dello stesso Macfarlane) sono più da città che da borgo marinaro, ma forse una ragione c'è. È la stessa che spiega perché il mare non si vede mai, il che sembrerebbe idea strampalata, mentre tutto sommato ha buon diritto di cittadinanza.

Pare che lo stesso Britten si sia lamentato di una scenografia troppo esplicitamente marina in occasione di un allestimento londinese. E in effetti non c'è bisogno di vedere un mare di cartapesta, quando il mare lo si vede benissimo con l'orecchio! Grazie ai colori della splendida orchestrazione britteniana (a proposito, complimenti davvero ai professori addetti a flauto, ottavino e clarinetto, che hanno dato vita – con i corni e tutti gli altri - alle bellissime atmosfere acquatiche, non solo degli interludi). Secondo Britten (con cui si potrebbe magari filosoficamente ed antropologicamente dissentire) il Grimes non è una storia di gente di mare, ma di un certo tipo di gente, sempre uguale sotto qualunque orizzonte e latitudine. Una comunità che sfoga i suoi sensi di colpa sul primo individuo avvertito come diverso, il quale finisce quindi per divenire a sua volta diffidente di tutto e di tutti.

E il regista fa quindi benissimo a mostrarci Grimes sempre isolato dal resto del popolo, fin dalla prima scena dell'istruttoria processuale. Dove il pescatore appare recando una piccola bara, col corpo dell'apprendista morto, oggetto dell'istruttoria medesima. Bara che poi si porta via, proprio come un fardello di cui non si potrà mai liberare.

Il primo atto si apre – anziché sulla battigia, con barche e pescatori, e ragazzi che sguazzano – in un locale chiuso che pare proprio una chiesa, a giudicare dal fatto che è il reverendo Adams a dirigere il coro dei borgatari, tutti ordinatamente seduti su seggiole perfettamente allineate, e tutti con tanto di spartito in mano. Esattamente la stessa scena si vedrà alla conclusione dell'opera (dove del resto il coro canta quasi le stesse note, nella stessa tonalità di LA maggiore) prima che il sipario cali. Qui francamente l'intento didascalico di Decker – mostrarci una comunità integralista oltre ogni limite – mi è parso eccessivo. Oltretutto – massima contraddizione, certo voluta, ma altrettanto discutibile – allorquando (prima scena del secondo atto) il popolo è in chiesa per davvero, allora lo vediamo in totale disordine, in piedi, disattento e indisciplinato! Mah…

Nella scena della taverna, primo atto, durante la tempesta, c'è forse troppo andirivieni di comparse. La cosa è giustificata dalla presenza del coro, però Decker mescola troppo i personaggi principali con le masse, il che ne rende poco distinguibili, e udibili, gli interventi.

Altro discutibile aspetto della regìa è l'impiego della croce nelle due scene di caccia a Grimes (secondo e terzo atto): anche qui la metafora della crociata contro il diverso si poteva presentare in modo più efficace (almeno credo io).

Assai più efficace, appunto, l'impiego delle maschere di animali da branco (pecore, galline, conigli e maialini) nella scena della festa nella Sala Civica (inizio del terzo atto).

Un'ultima nota riguarda la fine dell'atto secondo, laddove, dopo essere scomparsi precipitando nel dirupo (cosa risultata fatale al ragazzino) Grimes e lo stesso riemergono nella loro casupola, dove il pescatore depone il corpicino morto – e senza maglione – sul letto. La cosa è inventata (nel libretto invece è Balstrode a calarsi a sua volta lungo la scogliera). L'unico valore aggiunto che questa trovata ci dà rispetto all'originale è di spiegarci meticolosamente come mai il maglioncino dell'apprendista sarà poi rinvenuto da Ellen in riva al mare.

Quanto alla caratterizzazione dei personaggi, direi che Decker abbia fatto centro. In particolare nelle macchiette come Swallow e Adams (dissacrante la scenetta con le nipotine all'inizio del terzo atto) Boles, efficacissimo nelle movenze e Mrs. Sedley, perfetta nel ruolo della benpensante fanatica. Grimes, Ellen e Balstrode: proprio come uno se li aspetterebbe.

Vengo alla parte musicale. Confermando subito il mio bravo incondizionato – già emesso dopo l'ascolto radiofonico della prima - al Kapellmeister Yutaka Sado. Che curiosamente abbandonava sul leggìo la bacchetta ad ogni attacco degli Interludi. E con lui all'orchestra del Regio, che evidentemente il mio concittadino Gianandrea Noseda sta curando con profitto. Mentre per radio mi era parsa spesso troppo invadente (colpa dei microfoni?) ieri non ha mai coperto le voci.

Grimes era Jon Ketilsson. Se dividiamo schematicamente gli interpreti del pescatore in due scuole (Pears e Vickers) il nostro è più della prima che della seconda (quindi sarebbe gradito a Britten!) A me è decisamente piaciuto di più del Shicoff ascoltato per radio alla prima. Voce non potentissima forse, ma canto assai pulito, mai impiccato, e buona espressività.

Janice Watson era nei panni di Ellen, ruolo da lei già altre volte sostenuto. Tecnicamente ed attorialmente bravissima, purtroppo ciò che a me personalmente non piace di lei è la voce che, appena deve superare il piano, diventa metallica, chioccia, quindi poco gradevole. Quindi non adatta ad un personaggio che ha un animo dolce e materno, ma forse più ad una bisbetica come Mrs.Sedley! Più di lei mi era piaciuta per radio la Gustafson, una voce più calda e morbida.

Mark S.Doss si è confermato un baritono coi fiocchi e un Balstrode quasi perfetto.

Bravi, anche come qualità mimiche, il Boles di Mark Milhofer, il Keene di George von Bergen, lo Swallow di David Wilson-Johnson e il reverendo Adams di Dominic Armstrong.

Su discreti standard gli altri: la zia di Cornelia Wulkopf, le nipotine Silvia Colombini / Daniela Schillaci, la Mrs.Sedley di Claudia Nicole Bandera e l'Hobson di Lucas Harbour (che se l'è cavata bene anche come tamburino).

Alla fine grandi applausi per tutti, compresi Sado e il coro con il suo Gabbiani. Doss e Watson i più gratificati. Per la verità abbiamo avuto anche un applauso a scena aperta – ahimè dovuto a crassa ignoranza, da parte di qualcuno che forse pensava essere quella la conclusione dell'opera – dopo il primo dei tre Peter Grimes! che tutti (Ellen e Balstrode esclusi) cantano a squarciagola in SIb subito prima del sesto interludio. Pazienza.

Appuntamento fra pochi giorni con Wagner.


25 febbraio, 2010

Peter Grimes a Torino (su Radio3)

Ieri sera Radio3 ha diffuso la diretta della prima di Peter Grimes al Regio di Torino.

In attesa di assistere dal vivo, ecco le mie telegrafiche impressioni ricavate dall'ascolto via-etere, e qualche commento su quest'opera - ai non-più-teen-agers ancora contemporanea - per la quale si potrebbe quasi-quasi spendere la definizione di capolavoro.

Grimes era Neil Shicoff, a cui le 61 primavere cominciano evidentemente a pesare: ci ha messo l'anima e tutta l'espressività di cui è capace, ma la voce è quella che è, piuttosto impiccata e con difficoltà di intonazione. Convincente la Nancy Gustafson in Ellen: voce calda e gradevole. Grande il Balstrode di Marc S.Doss. Elena Zilio come Mrs.Sedley mi è sembrata eccedere nel parlare: quando ha cantato, lo ha fatto piuttosto bene. Su standard più che accettabili tutti gli altri/e. Preciso e pulito il coro di Gabbiani.

La direzione di Yutaka Sado mi è parsa davvero eccellente. Tempi sempre accurati e ottima resa delle ricche sonorità britteniane, non solo nei famosi interludi.

Sentiremo meglio dal vivo (ma con altri interpreti). Intanto qualcosa sul soggetto.

Non vorrei scomodare paragoni irriverenti o …pruriginosi, ma il Grimes è nato in un'atmosfera esistenziale non poi tanto diversa da quella (inizio 1800) in cui un tale Rossini scriveva opere per una tale Colbran. Nei primi anni '40 Ben Britten e Peter Pears stavano da tempo felicemente convivendo, il secondo collaborò in modo determinante con Montagu Slater alla stesura del libretto e fu il primo e forse - Vickers permettendo – il più grande interprete di Grimes. E proprio al tempo della creazione dell'opera i due si trasferirono al Aldeburgh, luogo dove il Grimes è ambientato e che si trova poco a sud di Lowestoft, dove lo stesso Britten era nato e aveva vissuto da ragazzo. Insomma, ci sono molti ingredienti – certo non sufficienti, ma utili – per garantire una buona riuscita dell'impresa.

La caratterizzazione del personaggio Grimes fu evidentemente condizionata da Pears (che a sua volta condizionò il librettista Slater e il compagno compositore Britten): da individuo quasi congenitamente perverso (pur figlio di un omonimo padre amorevole e ammirevole) qual è il Peter Grimes originale di George Crabbe, quello di Pears-Britten diventa un poveraccio perseguitato dal destino-cinico-e-baro (la sfiga che gli fa crepare, uno dopo l'altro, i suoi apprendisti) e contemporaneamente dalla società che lo circonda (anzi, che lo bracca, propriamente). Vive in un circolo vizioso: strafare e rischiare oltre il ragionevole per promuovere la propria immagine è incappare così in una disavventura dopo l'altra è vedere quindi la propria immagine deteriorarsi ulteriormente è rischiare ancor più per recuperarla è e così via precipitando in vite… un cerchio che lo stringe sempre più da presso, fino a schiantarne la robusta fibra e la folle determinazione.

Sui risvolti personali e sui paralleli autobiografici con l'opera (le vicissitudini a sfondo pedofilo vissute da Britten durante la pubertà e le loro ripercussioni sui suoi comportamenti da adulto; la coppia gay Britten-Pears guardata con qualche storcimento di naso dalla puritana società albionica del secondo dopoguerra) penso sia meglio lasciar perdere: se anche possono avere costituito – come è verosimile – un qualche stimolo per la creazione artistica, mi pare che non trovino alcun particolare riscontro dentro l'oggetto della creazione medesima. Non aveva quindi tutti i torti Jon Vickers (pur non apprezzato come interprete – ma solo sul fronte estetico - dallo stesso Britten, che aveva comprensibilmente negli occhi e nelle orecchie solo il suo Pears) a rifiutare qualunque caratterizzazione del personaggio in senso omosessuale o, peggio ancora, pedofilo.

Né alla tragica condizione di Grimes all'interno della società in cui vive si può assimilare quella dei due autori, che in fin dei conti – grazie certo alla loro preminente posizione – poterono condurre un'esistenza più che serena spiritualmente, oltre che materialmente agiata (Britten fu anche insignito del titolo di pari). Insomma, Britten e Pears erano dei diversi che poterono vivere passabilmente bene, senza subire più che tanto le conseguenze della loro diversità. Merito loro è comunque di aver artisticamente rappresentato – in Grimes, e in altre opere successive - la condizione di tanti altri diversi anonimi, poveracci e bistrattati dalla società cosiddetta benpensante.

Nel 1830, epoca in cui è ambientata la vicenda (e in cui Crabbe scrisse i versi che ispirarono più di un secolo dopo Britten&C) i ragazzini orfani o abbandonati venivano ancora sbolognati – per pochi soldi – dagli istituti a chiunque se li volesse prendere per farne liberamente uso, ad esempio impiegandoli in umili attività manuali, con trattamenti che sfioravano, se non configuravano in pieno, aspetti di vera e propria schiavitù e – purtroppo – anche di brutalità sessuale. Insomma, una situazione quasi normale e tollerata dalla società, che però parallelamente sfogava il suo ipocrita moralismo su qualche soggetto assunto a capro espiatorio di tutte le comuni colpe. Ed è su quest'ultimo aspetto che Pears e Britten misero l'accento, mostrandoci Grimes come una vittima (della società e dei suoi pregiudizi, del gossip dei vari Bob Boles e Mrs.Sedley) e non come un aguzzino violentatore di poveri orfanelli.

Nel Grimes c'è il classico spaccato della nostra società contemporanea: persone per bene, con la testa sulle spalle e cristiana carità (Balstrode, Ellen, Hobson); bigotti, visionari e falsi moralisti (Boles e Sedley); gente che pensa solo agli affaracci suoi (Keene, Auntie e nipotine); pubblici ufficiali o religiosi, che sembrano sempre agire con qualche secondo fine (Swallow, Adams). E poi – fondamentale – il coro, l'opinione pubblica, potremmo dire, che si muove ondeggiando, proprio come un branco di pecore, o un banco di aringhe nella fattispecie, a seconda di come tira il vento o il mare. Il povero Grimes sta lì in mezzo, disadattato e insolubile in questa brodaglia, il classico diverso, ora tollerato - ma sempre guardato di sottecchi - ora apertamente braccato, come pubblico pericolo.

E la sua fine è quanto di più pessimistico e addirittura nichilista si possa immaginare. Se è vero che - come unica alternativa alla prospettiva di essere catturato e sottoposto a sommaria giustizia dalla parte ipocrita della società, ormai fattasi maggioranza - anche la parte ancora sana e pietosa di quella medesima società non riesce a suggerire, per non dire imporre, a Grimes altro che il suicidio! In particolare, un verso di Balstrode è addirittura agghiacciante: Since the solution is beyond life - beyond dissolution (Poiché la soluzione è oltre la vita – oltre la dissoluzione). Sembra la maledizione di Ahasvero! Ma lo stesso Grimes, poco prima, aveva così delirato: Where's my home? Deep in calm water (Dove è casa mia? Nel profondo dell'acqua calma).

Dopodichè – sistemata in qualche modo la faccenda Grimes - la vita del borgo tornerà a scorrere pigramente, sempre uguale a se stessa, perfetta immagine dell'eterno tira-molla della marea. E con il coro a chiudere in LA maggiore, proprio come aveva aperto nel primo atto, come nulla fosse accaduto, in attesa del prossimo uragano, e del prossimo gossip.

Come ogni dramma che si rispetti, anche il Grimes ha il sui momenti tòpici, quelli che i tedeschi chiamano Höhepunkte, punti culminanti. Coinvolgono sempre il protagonista, com'è giusto che sia. L'ultimo di questi si trova quasi alla fine, ed è il disperato sfogo del pescatore, ormai incapace di connettere, prima di "lasciarsi convincere" a farla finita. Ecco come lo interpretò il grande Jon Vickers. A sottolineare questo allucinato monologo di Peter, Britten prescrive una tuba fuori scena, che impersona il Fog-horn, la sirena che avverte i naviganti in caso di nebbia: suona sempre – la udiamo esattamente per 12 volte - un'unica nota, MI bemolle, con finale appoggiatura sul RE puntato, un effetto rabbrividente davvero (lo si ode per la prima volta, nel filmato, e bisogna farci caso con molta attenzione, proprio immediatamente prima dell'entrata di Peter, fra i due richiami - Grimes! - del coro).

Immediatamente dopo ciò che si vede e ascolta nel filmato, Grimes canta (tradotto):

Quale porto ripara la tranquillità?

Lontano dalle onde di marea, lontano dalle tempeste

Quale porto può rinchiudere Terrori e tragedie?

Il suo seno è anche un porto – In cui la notte si volge in giorno.

Sono precisamente le ultime parole di Peter, rivolte ad Ellen e a Balstrode, ma in realtà al vuoto. Non sono nuove: sono (quasi) le stesse che Grimes aveva pronunciato nel primo atto (qui sempre Vickers) al momento dell'incontro-confessione con lo stesso Balstrode, di fronte allo scatenarsi dell'uragano. Ma è la musica a spiegarci stupendamente come ora davvero non ci sia più speranza: là quei versi erano cantati in chiave di LA naturale, con la notte che volge in giorno a salire ostinatamente, dal MI al FA#; adesso invece la fine si avvicina, e quindi tutto si degrada, un semitono più sotto, chiave di LA bemolle, e il volgersi della notte in giorno è in realtà un precipitare in basso, un autentico e profetico inabissarsi, quasi un'ottava, dal RE al MIb, sul quale incontrare proprio il cupo suono del Fog-horn.

Miracoli dell'espressività musicale!

Qui uno spezzone di questa scena, fino alla conclusione dell'Opera, dalla produzione BBC del 1969, Britten sul podio e il suo compagno (e co-autore) Pears nella parte di Grimes. Da notare come Britten, per il drammatico frangente del commiato di Balstrode ed Ellen da Grimes, rinunci alla musica e ricorra al semplice e nudo parlato:

Balstrode (si avvicina a Peter e parla): Avanti. Vi aiuterò con la barca.

Ellen: No!

Balstrode (parlando): Fate vela finché perdete di vista la terra. Poi affondate la barca. Mi sentite? Affondatela. Addio, Peter.

Sulla spiaggia ciottolosa di Aldeburgh, affacciata sul Mar del Nord, circa 160Km da Londra, che ispirò George Crabbe, prima ancora che Ben Britten e Peter Pears (di cui divenne la dimora e sede di festival) da qualche anno è stata posta una contestata scultura (The Scallop, la capasanta) che reca, traforato sul bordo, un verso del Grimes (monologo alla fine dell'Atto II, altro Höhepunkt dell'Opera): Odo quelle voci che non annegheranno













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Sono quelle voci che ricordano implacabilmente a Grimes il suo tragico destino di uomo senza dimora, senza pace e senza speranza.

Ma un uomo capace anche di esternazioni come questa (Atto I):

Ora l'Orsa Maggiore e le Pleiadi, man mano che la terra si muove,

Raccolgono le nuvole della sofferenza umana

Con un solenne respiro nella notte profonda.

Chi sa decifrare nella tempesta o alla luce delle stelle

I caratteri scritti di un destino favorevole –

Mentre il cielo ruota per cambiarci il mondo.

Ma se l'oroscopo è incomprensibile

Come il sommovimento lampeggiante di un banco di aringhe,

chi, chi, chi, chi,

chi può riportare indietro i cieli e ricominciare daccapo?


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(le traduzioni sono di Maria Luisa Bignami)