La Russia eroica è protagonista del
concerto di questa settimana, diretto dal russo (ma non simpatizzante per
Putin, come certificato dal CoPaSiR…) Andrey Boreyko, Direttore Residente
dell’Orchestra Sinfonica di Milano.
Torna quindi a
farsi udire in Auditorium la monumentale Leningrado (settimo parto sinfonico di Dmitri Shostakovich).
Opera indecifrabile e da
sempre tirata da ogni parte, per ragioni squisitamente extra-musicali, anzi
precisamente politiche: al suo
apparire, osannata dai sovietici e in Occidente (Toscanini in testa) in funzione anti-nazi; una volta abbattuto il
nazismo, in Occidente si è preferito dimenticarla, per non dar fiato a Stalin e nipotini, che ne avevano fatto
un simbolo di superiorità morale del comunismo; poi qualcuno (Solomon Volkov,
Testimony) ci ha trovato germi di… anticomunismo e allora evviva,
disseppelliamola!
Nata per essere una specie
di poema sinfonico, o una fantasia (e l’iniziale Allegretto è in effetti tutto tranne che
un primo movimento di sinfonia come-si-deve…)
è poi cresciuta a dismisura, fino a raggiungere proporzioni sesquipedali, sotto
una specie di costrizione patriottica
di cui l’Autore fu vittima a seguito dell’invasione nazista. I suoi contenuti
musicali furono indubbiamente condizionati dallo scenario esterno: a partire
dalla forma dell’opera, dove
l’iniziale nucleo di poema sinfonico divenne poi il primo movimento di una sinfonia in quattro movimenti, tutti a
loro volta sottotitolati - La guerra, II ricordo,
Gli spazi sconfinati della patria, La vittoria - salvo successiva revoca dei sottotitoli e delle
relative indicazioni programmatiche dell’Autore!
Una cosa è certa: se la si volesse
considerare e giudicare come musica pura, svincolata da ogni riferimento
extra-musicale, allora si dovrebbe – come minimo! - prendere l’Autore per un matto da legare! O,
in alternativa, per un buontempone in vena di prendere il pubblico per i
fondelli…
E ovviamente il casus-belli è
costituito principalmente da forma e contenuto dell’iniziale Allegretto:
il quale sembra muoversi nel tradizionale solco della forma-sonata, con
l’esposizione dei due temi nelle canoniche tonalità di tonica (DO maggiore) e
dominante (SOL maggiore, con breve divagazione a SI maggiore):

Un primo tema robusto, maschio e deciso,
il secondo più elegiaco, femminile, contemplativo: più di così cosa si pretende
in fatto di rispetto delle regole codificate?
Dopo l’esposizione arriverà quindi uno
sviluppo, dove i due temi si incontreranno, magari si scontreranno, perché no,
fino a trovare la concordia nella ricapitolazione, con… capitolazione del
secondo tema sulle posizioni (leggi: tonalità) del primo. O no?
E invece: no! Perché lo sviluppo è sostituito dall’irruzione inopinata di quel gigantesco
quanto volgare episodio di marcia, un insignificante tema reiterato in non meno di 11 varianti
e chiuso da una colossale coda.
La
realtà è che in questo movimento fa irruzione la guerra. Dopodichè
diventa, in un certo senso, comprensibile che anche un’austera Sinfonia debba
prendere atto che… la guerra non è un pranzo di gala! E può
sovvertire ogni sistema costituito, musica inclusa.
Ecco perché queste incrostazioni extra-musicali
di cui si è ricoperta fin dalla nascita impediscono di poter apprezzare (nel
bene e nel male) come opera di ingegno,
intesa come musica di per sé stessa,
questa Sinfonia. Per i cittadini russi (e non solo) del 1942 quella musica
aveva un significato e un sapore strettamente legato alle catastrofiche circostanze
materiali in cui era venuta alla luce: nessuno allora si interrogava sui suoi
contenuti estetici, poichè la sentiva soprattutto come una droga utile a rigenerare le forze spirituali (e pure materiali) con
cui affrontare il nemico invasore (allo stesso modo la musica in modo frigio veniva impiegata fin
dall’antichità per aizzare le truppe in battaglia).
A proposito, quella specie
di bolero-di-ravel-su-tema-di-lehár che è incastonato nel movimento iniziale fu descritto (a
posteriori, fra l’altro, come spesso accade ai programmi appiccicati a musica già composta) come il marciare dei cavalieri teutonici sulla città: dapprima
si sentono e si vedono in lontananza, laggiù in fondo alla steppa sconfinata, e
paiono una squadretta di boy-scout
che marciano allegramente inalberando gagliardetti, accompagnati da pifferi e
tamburino.
Shostakovich ci infila anche uno sberleffo, citando Lehar (Da geh' ich zu Maxim, dalla Vedova allegra, operetta preferita di Hitler, si diceva). Ecco quindi come si presenta il pericolo nazista da lontano:

Poi però, man mano che i
boy-scout si avvicinano, ecco che si scorgono dietro alle loro bandierine
colorate delle baionette, quindi si profilano le torrette dei panzer,
poi le spaventevoli sagome dei mezzi d’artiglieria, e in cielo gli stormi della
Luftwaffe!
Dico, un tempo di sinfonia,
o la parodia dell’Ouverture 1812? Non
per nulla il mite e un po’ sfigato Bartók
ci farà sopra a sua volta uno sghignazzo, nel suo Concerto per orchestra:

E la guerra finisce per
inquinare irrimediabilmente anche la ripresa dei due temi presentati
nell’esposizione: riappaiono infatti sfigurati, deturpati e quasi
irriconoscibili, infine devono lasciare il passo alla reminiscenza del tema teutonico.
Perché, appunto, la guerra non è finita…
I due movimenti centrali sono
certo meno prosaici e pretenziosi (a parte la lunghezza…) e ci restituiscono
uno Shostakovich lirico: il Moderato (poco allegretto) è in pratica una specie di Scherzo con Trio
e ripresa dello Scherzo. Nella prima parte riconosciamo due idee tematiche, la
prima in RE maggiore, la seconda in SI minore, poi tornando a RE:

È chiusa da un insistente pizzicato degli archi.
La sezione centrale è in tempo 3/8. Attacca in DO# minore e viene
introdotta dai clarinetti, incluso quello piccolo in Mib e quello basso:

Poi si sviluppa in una tipica corsa ostinata shostakovich-iana,
esplorando diverse tonalità, fino a sboccare nella ripresa dello Scherzo, anche
qui assai variata rispetto all’esposizione iniziale e chiusa dal secondo tema
in arpa e clarinetto basso accompagnato da un marziale e insistito ribattere di
flauto e flauto in SOL; e infine dal primo tema abbreviato.
Ecco poi l’Adagio, aperto da un corale di fiati e arpe che
introduce il tema principale, in RE maggiore (Largo) di grande respiro e
nobiltà, esposto dai violini:

Poi ecco, in MI maggiore, il
sognante tema del primo flauto, sviluppato anche con l’intervento del secondo:

Dopo una fugace riapparizione
del tema principale, ecco tornare… la guerra (?). Che irrompe sulla scena in tempo
Moderato risoluto SOL# minore, con un tema protervo esposto dagli archi:

Inizia qui un colossale crescendo
in cui riappaiono, come travolti da un turbine, anche spezzoni dei temi
precedenti, finchè tutto sembra finire in nulla… Ecco quindi la parte finale
del movimento, che ricapitola temi della prima e poi, nel ripristinato Adagio,
chiude mestamente, quasi morendo.
Nel Finale (Allegro non troppo) torniamo ai fracassi della
guerra, interrotti da qualche… funerale. È in effetti un penoso avvicinamento
alla luce che splenderà alla fine, riportando fiducia nel futuro.
Il tema principale, di
stampo maschio e bellicoso, è già annunciato dai bassi in apertura, poi verrà
esposto poi violini, in DO minore; quello secondario, più cantabile e sereno, è
presentato per primo, in DO maggiore, sempre dai violini:

La prima parte del movimento
è occupata da un crescendo continuo del tema principale, che sfocia in una
perorazione enfatica a piena orchestra, con percussioni in grande evidenza. Il
secondo tema lo contrasta, nei fiati, opponendogli fiera baldanza, finchè si
arriva ad un momento di tregua (tempo Moderato): pare qui di assistere
ad un compianto funebre, sulla cui chiusura ricompare, mesto, il tema
principale, che da guerresco si è trasformato in… funerario.
Poco a poco però il tema
riprende vigore e viene raggiunto anche dal motivo secondario, e insieme
portano, attraverso modulazioni che passano per SI e Mi maggiore, al DO
maggiore della perorazione finale, in cui spicca, pesantissimo, il ciclico
ritorno del tema che aveva aperto la Sinfonia.
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Che dire? Un’opera difficile
da digerire, perché è difficile capire quale ne sia la natura più autentica.
Chi però ce l’ha fatta non
solo digerire, ma gustare, è l’Orchestra Sinfonica di Milano, sapientemente
guidata da Boreyko. Trionfale per tutti l’accoglienza del pubblico (di
affezionati…) con ovazioni, ululati di approvazione e ripetute chiamate per
Direttore, prime parti e intere sezioni dell’ipertofico schieramento di Musikanten.
Ci sono ancora due repliche
per approfittarne!