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05 luglio, 2017

Ravenna orfana di Temirkanov


Al Ravenna-Festival-2017 ieri è stata la volta dei leggendari leningradesi di Yuri Temirkanov. Purtroppo, per chi, come il sottoscritto, arrivava al PalaDeAndrè ignaro di tutto, un preoccupante presentimento si manifestava già all’ingresso, dove si è solitamente accolti da gigantografie degli ospiti della serata: invece, nulla che richiamasse Temirkanov e i suoi. Il mistero era poi svelato da alcuni modesti cartelli appoggiati sui banchetti dove si acquistano le pubblicazioni: il Maestro è indisposto e ha dovuto rinunciare all’intera tournèe dell’Orchestra! Che suonerà il programma interamente dedicato a Shostakovich sotto la guida del vice Nikolay Alexeev.

Il quale Alexeev dirige proprio come il suo... capo: niente bacchetta e semplici e contenuti gesti della mano destra a dettare il tempo. Dato che è lui che verosimilmente prepara l’Orchestra, vi sono pochi dubbi che questa suoni in modo diverso da quando sul podio c’è il Direttore Musicale... e l’esito del concerto lo dimostra. Ciò che si è perso è però quello spettacolo-nello-spettacolo costituito dalla figura del venerabile!

Si comincia con quel bizzarro Concerto per piano, tromba e orchestra d’archi, di cui avevo segnalato le principali caratteristiche in occasione di un’esecuzione de laVerdi, di qualche anno fa. Qui alla tastiera siede il vulcanico Denis Matsuev, mentre la tromba solista – seduta al suo fianco, fra i primi violini - è quella di Bogdan Dekhtiaruk, membro dell’Orchestra, ma che ha vinto già competizioni internazionali.

I due si trovano alla perfezione, con il primo che detta i temi principali (spesso reminiscenze famose, vedi Beethoven) e il secondo che lo contrappunta di tanto in tanto con esilaranti (ma anche languide, all’occorrenza) irruzioni improvvise. Strepitoso il finale, con la trombetta quasi impazzita a dar la carica di bersaglieri!

Matsuev poi si sfoga con un travolgente bis, dove mette a repentaglio le strutture del prezioso Steinway...
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È poi seguita la monumentale Leningrado. Sinfonia sempre enigmatica e indecifrabile, che più la ascolti e meno ti convince. Ma più che convincenti sono stati invece i musici di SanPietroburgo (schierati con i violini secondi al proscenio e la muta degli ottoni sul fondo a destra) che sciorinano tutta la loro leggendaria maestria: strepitoso, per citare solo un esempio, l’attacco della marcetta teutonica, che il pubblico ha seguito col fiato sospeso e col cuore in gola. Finale con spettacolari sonorità, accolto da un grande applauso... liberatorio!

Che dire: auguri a Temirkanov, che speriamo di rivedere in Italia quanto prima (l’11 settembre a Rimini)!

10 settembre, 2013

Il MiTo Temirkanov con Colli agli Arcimboldi


Il venerabile Yuri Temirkanov ha portato agli Arcimboldi (sala strapiena!) la sua splendida creatura (leggasi: Orchestra Filarmonica di SanPietroburgo) in un concerto tutto russo e tutto classico.

Il mio conterraneo (forsa Brèsa!) Federico Colli si è cimentato con un’opera che nuoce-gravemente-alla-salute (smile! ma lui è già immune dal contagio, avendo domato questo virus fin dal 2008 a Cantù). In effetti, da quando fu protagonista del film Shine, il Rach3 è – almeno nell’immaginario collettivo (beh, insomma… nell’immaginario di quei quattro gatti che si interessano di musica cosiddetta classica) – un pezzo da fuori-di-testa.

In realtà le difficoltà esecutive sono forse di natura atletica più che mentale (la lunghezza del concerto, mediamente sopra i 40’, e soprattutto la quasi continua presenza della parte solistica, che spesso e volentieri obbliga l’esecutore a velocissimi passaggi di semicrome percuotendo contemporaneamente fino a otto tasti!) mentre sul lato squisitamente estetico siamo un filino distanti da qualcosa che si possa definire un capolavoro. Rachmaninov approntò anche delle versioni tagliate della sua opera e lui stesso qui ci propone un’esecuzione attorno ai 30’, grazie a pesanti sforbiciate nel primo (da metà cadenza alla fine, per dire!) nel secondo e nel terzo movimento. Qui invece una coppia di cinesine – una delle quali ormai di casa a Milano - non dimentica una sola nota del concerto.

A NewYork, la sera della domenica del 16 gennaio 1910, a meno di due mesi di distanza dalla prima (28 e 30 novembre 1909, direttore Walter Damrosch con la NYSO) Rachmaninov interpretò il suo nuovo concerto con la NYPO diretta da Gustav Mahler. Nelle sue memorie, il compositore parla di quel successo travolgente (una decina almeno di chiamate) ma soprattutto esalta le grandi qualità di Mahler, che lo impressionò particolarmente durante le prove, per l’attenzione posta a ogni dettaglio della partitura ed anche per non esitare ad imporre all’orchestra un autentico super-lavoro, pur di ottenere la massima qualità dell’esecuzione. Rachmaninov ricorda come un giorno, alle 13:30 e alla fine di tre ore e mezza filate di prove, protrattesi per un’ora abbondante oltre il termine previsto, Mahler rimase seduto sul podio per discutere con lui alcuni dettagli; gli orchestrali cominciarono ad andarsene e lui li costrinse a rimanere ancora, esclamando: Finchè io sono seduto qui, nessun musicista ha il diritto di alzarsi!
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Rachmaninov doveva essere un tipo affetto da una qualche forma di ossessione, il che spiega certe sue manìe, come quella di infilare a destra e manca nei suoi lavori il motivo del Dies Irae. O di autocitare dei motivi che evidentemente gli ronzavano di continuo in testa.

E proprio l’introduzione dell’Allegro ma non tanto del concerto ne è un esempio: il motivo in RE minore (semiminima puntata e croma) affidato a clarinetti e fagotti, che prepara l’entrata del solista, è una chiara reminiscenza del primo tema (DO minore) del secondo concerto:


La struttura del primo movimento è una specie di simulacro di forma-sonata, che in realtà presenta – in particolare nella parte solistica - molti tratti più tipici della fantasia (questo rilievo in realtà si applica all’intero concerto). Si può schematicamente inquadrare come segue.

Dopo la breve introduzione strumentale abbiamo l’esposizione nel pianoforte del primo tema, in RE minore, un tema che non è propriamente fra i più mirabili che siano stati inventati:

In realtà, più che un classico tema, conciso e ben scolpito, è una melopea che si sviluppa e si trascina per ben 24 battute, su un accompagnamento sommesso dell’orchestra, prima che il pianoforte (Più mosso) introduca con un arpeggio la riesposizione del tema da parte di archi e fiati, che il solista accompagna con leggere e svolazzanti semicrome. Questa riesposizione viene sviluppata ulteriormente dal solista con grandi volate e in modo ipertrofico (per 48 battute, le ultime 8 in Allegro) prima che si arrivi ad una mini-cadenza (Veloce) chiusa sul LA. Da notare una raffinatezza di Rachmaninov - che sfugge anche all’orecchio più attento – consistente nell’anticipare nei fiati, proprio all’inizio delle battute in Allegro, il motivo marziale che introdurrà e accompagnerà il secondo tema:



Ora una transizione di 12 battute (Moderato, poi Allargando) affidata all’orchestra, che varia il primo tema e si abbandona ad una languida cadenza chiusa dal corno, ci fa scivolare verso la tonalità di SIb maggiore, in cui viene esposto dal solista il secondo tema, introdotto da 14 battute in cui archi, fiati e pianoforte, con piglio marziale, si alternano quasi a preparargli il terreno:


Questo secondo tema, che solo nella tonalità-modalità contrasta con il primo, condividendone invece il taglio languido, viene poi sviluppato in modo ancor più ampio e articolato rispetto al primo, con dolci interventi su un controsoggetto di fagotto, corno e oboe e cambi di tempo (Allargando, poi Allegro) fino alla conclusione, che – trasformando la mediante RE del SIb in tonica – ci riporta al RE minore su cui inizia quello che scolasticamente dovrebbe essere lo Sviluppo.

In realtà qui Rachmaninov avrebbe probabilmente avuto difficoltà a contrapporre i due temi, data la loro natura poco… contrastante, e così ecco che sviluppa soprattutto il primo, anzi più ancora l’inciso introduttivo (semiminima puntata e croma). Sviluppo invero mastodontico, costituito da almeno 5 sezioni che contengono continue modulazioni, variazioni di tempo e di volume del suono, dove è il pianoforte a farla da padrone; sviluppo che tocca un autentico parossismo in un passaggio notato in Allegro, poi Accelerando e infine, preceduto da 4 battute dove compare in orchestra un colossale accenno alla Pasqua di Rimski (ma nel terzo tempo la cosa diventerà ancor più scoperta) un Allegro molto, alla breve. Qui nel pianoforte emerge anche una figurazione che sembra richiamare, pur da lontano, quel Dies Irae che era un’autentica ossessione del compositore:

Questa sorta di anomalo sviluppo porta, quasi canonicamente, alla lunga cadenza, suddivisa in quattro parti: le prime due basate sul tema principale, poi un intermezzo in cui intervengono i fiati (12 battute, sempre sul primo tema) e quindi la quarta parte (21 battute) basata sul secondo tema (ora esposto in MIb). Della prima parte esistono due versioni, una di 39 battute, assai virtuosistica (qui Vladimir Horowitz da 10’59”) e l’altra di 55 battute, più pomposa e drammatica (qui Olga Kern da 10’56”).

Quella che dovrebbe essere la Ripresa si riduce ad una specie di Coda, dove viene riproposto quasi integralmente il tema principale e dove il secondo fa capolino (prima nei fiati e poi negli archi) in proporzioni assai ridotte e sulla tonalità di RE, prima della chiusa, che porta sommessamente ai RE gravi di pianoforte, corni e archi bassi.

Il tempo centrale è intitolato Intermezzo. Ha una struttura piuttosto articolata, che al primo ascolto è davvero difficile da inquadrare. Si potrebbe assimilare ad un anomalo Rondo, caratterizzato dalla presenza delle sezioni A-B-A’-C-A”, dove nei diversi A si nascondono almeno cinque variazioni del tema principale. Da notare che la sezione B è spesso tagliata, cosicchè il movimento si riduce quasi ad un tema con variazioni.

Inizia in Adagio, 3/4 RE minore (a dispetto dei tre diesis in chiave) ed è l’orchestra, dove si alternano archi e fiati, ad anticipare il tema principale:


Tema poi esposto, in forma arricchita, dai primi violini:


Dopo che gli archi hanno concluso languidamente l’esposizione, il solista – che ha avuto uno dei pochissimi momenti di respiro, per 30 battute… - entra per supportare la transizione verso una prima forma variata del tema, esposta poi modulando a REb:


L’orchestra entra poco dopo ad affiancare il solista che si sbizzarrisce in volate di semicrome, fino a chiudere la variazione con una veloce cadenza, dopodichè la ripresenta (Più mosso) in forma diversa e, raggiunto ancora dall’orchestra, modula verso il FA per preparare l’ingresso della sezione B:

Si noti nei violini primi un inciso che ricorda apertamente il tema principale del primo movimento! La sezione si stempera fino ad un Meno mosso, sempre sul FA,  dove ancora il pianoforte riprende vigore con una robusta figurazione – tonica-dominante - che introduce (Tempo più mosso) la ripresa del tema principale (sezione A’) ulteriormente variato, in SIb, che richiama vagamente all’orecchio l’incipit del Doppio concerto brahmsiano:


Altre due variazioni del tema (in RE e REb) proposte dall’orchestra, sono sottolineate dal solista con pesanti accordi in fortissimo, poi si ha la transizione che porta verso la sezione C, che è un velocissimo tempo di Walzer in 3/8 e in tonalità FA#. Qui Rachmaninov introduce quasi subliminalmente richiami ai due temi del primo movimento: dapprima nella linea del clarinetto (primo tema) poi nei violini (introduzione marziale al secondo) e infine nel pianoforte (primo tema ancora):


Un rallentamento del ritmo (Meno mosso) porta, su un trillo in DO# del pianoforte – che poi si riposa per 20 battute - all’ultima apparizione (sezione A”) del motivo principale, esposto dalla sola orchestra, con il corno principale in evidenza.

A questo punto il pianoforte interviene assai brutalmente per proporre, in RE minore, la transizione al movimento conclusivo, cui si accede attraverso due poderosi accordi di tutta l’orchestra, dopo una velocissima volata in biscrome del solista.

Il Finale attacca subito, riprendendo l’accordo che aveva chiuso l’Intermezzo. L’incipit, nei legni, è un chiaro rimando ad uno dei motivi che Rimski aveva presentato nella Grande Pasqua russa, e per la verità viene anche da più lontano… (Glinka, Ruslan&Lyudmila):


La struttura di questo finale rispetta fondamentalmente i canoni della forma-sonata: esposizione di due gruppi tematici, ipertrofico sviluppo degli stessi, ricapitolazione e corposa coda conclusiva.

Il primo gruppo tematico è composto da due motivi, esposti di seguito dal solista e accompagnati dall’orchestra, il primo in RE minore, il secondo in LA minore, abbastanza apparentati dal ritmo:


Il secondo gruppo, sempre esposto dal solista, ma con accompagnamento più corposo dell’orchestra, è costituito da due motivi più elegiaci, in specie il secondo, in DO e in SOL maggiore, rispettivamente:


Complessivamente l’esposizione (chiusa da un fugace ritorno del primo motivo e del RE minore) è di 131 battute, anche se Rachmaninov stesso autorizzò il taglio delle ultime 29 (in pratica l’intero secondo motivo del secondo gruppo tematico, quello che verrà ripreso in pompa magna nella cadenza finale).

Come detto, lo sviluppo è davvero assai esteso: occupa 113 misure e si può suddividere in ben 10 sezioni distinte (anche qui l’autore ha autorizzato il taglio delle sezioni 5 e 6, per un totale di 13 battute). La tonalità modula a MIb, mentre ricompaiono ricordi dei due temi principali del primo movimento (conferendo ancor più all’opera una caratteristica di ciclicità). Sul ricordo struggente del secondo dei due temi – accompagnato dagli interventi di flauto e corno - si divaga brevemente a MI. Lo sviluppo è chiuso da quattro battute di cadenza, una specie di corale, del pianoforte.

La ricapitolazione è aperta da quattro battute introduttive, sempre in MIb, che segnano il ritmo caratteristico del primo tema, che compare poi in DO minore negli archi. Più avanti il secondo motivo è riproposto dal pianoforte in FA, quindi ancora il primo in SOL. Arriva poi il secondo soggetto, praticamente riproposto come nell’esposizione, il cui primo motivo è esposto in SIb e il secondo in FA maggiore.

Ecco ora la lunghissima Coda (121 battute!) Si suddivide in due parti, di cui la prima è caratterizzata dal ritmo dell’introduzione del movimento e chiusa da una rapidissima cadenza del solista, dopo che una modulazione ci ha portato a RE maggiore. Nella seconda parte Rachmaninov getta a piene mani tutti gli ingredienti più dolciastri della sua dispensa: poderosi accordi del solista espongono ed accompagnano la melodia degli archi, che ripropone il secondo motivo del secondo gruppo tematico. Un crescendo generale porta alla conclusione tanto enfatica e retorica quanto impressionante.
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Federico Colli (che si è presentato indossando una giacca a code di un bianco abbacinante…) intanto ha eseguito quasi tutte le note (concedendosi solo il breve taglio nello sviluppo del finale) e ha suonato la prima delle due cadenze, sicuramente la più impegnativa. Ha aggredito la tastiera da par suo nei molti passaggi truculenti che costellano il concerto, ma soprattutto e specialmente ha mostrato una grande sensibilità interpretativa nei momenti più intimistici dell’opera, meritandosi un autentico trionfo, ripagato con uno dei suoi bis abituali.
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Dopo un antipasto che da solo equivale a… tre portate piuttosto ardue da digerire, ecco il main-course che invece si merita mille-e-una beatificazioni! La strepitosa Sheherazade di Rimski. (Rachmaninov – diciamola pure tutta – non arriva nemmeno a sfiorare le caviglie al sommo Nikolaj.)

Temirkanov (qui 10 anni fa con la SantaCecilia, di cui è oggi Accademico) ha cavato dai suoi tutto quanto (e di più…) c’è di straordinario in questa partitura. È davvero un piacere per l’orecchio, ma anche per l’occhio, vedere questa squadra affiatatissima con il suo capitano, che la conduce quasi… facendosi condurre, sempre senza bacchetta e con gesti che paiono carezze rivolte agli strumentisti.

Successo strepitoso - ovviamente con menzione speciale per la... principessa Lev Klychkov - ripagato con bis, chiusi da Stravinski, col celebre Vivo pergolesiano dal Pulcinella, dove spiccano i glissando del trombone e la parte del contrabbasso.

Insomma, una bella serata - si replica stasera sotto la Mole, con Ciajkovski al posto di Rimski - che onora la manifestazione milan-torinese.
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Con l’occasione allego un corposo studio di Valeri Voskobojnikov sul Gruppo dei Cinque (noto come Mogučaja kučka, il possente manipolo, di cui fu membro eminente Rimski e da cui fu influenzato Rachmaninov) apparso nel numero di settembre del 1987 di Musica&Dossier.


25 gennaio, 2011

Temirkanov con la Mariella e la Filarmonica della Scala


Il venerabile Yuri Temirkanov e la beata Mariella Devia (siamo ormai a custodire come preziose reliquie simili uomini e donne di musica…) hanno deliziato gli ascoltatori di questo concerto della stagione sinfonica del teatro scaligero.

La stagione sinfonica del Teatro (5 titoli per 15 concerti nel 2010-2011) non è da confondersi con la stagione della Filarmonica della Scala (nel 2011: 12 concerti in Scala e 12 fuori-sede) anche se capita che qualche concerto delle due stagioni abbia contenuti simili (e gli stessi protagonisti). Entrambe le stagioni sono peraltro coperte dalle prestazioni dell'Associazione Filarmonica della Scala, fondata nel 1983 da un'idea di Abbado e per imitazione dei Wiener. Sarebbe interessante fare un confronto approfondito fra l'esperienza (160ennale!) dei Wiener e quella (28ennale) dei Filarmonici scaligeri: personalmente ho l'impressione che dal modello – come molte cose fatte all'italiana - siano stati copiati puntualmente i problemi, senza invece conseguirne i benefici.

Ma veniamo al concerto di ieri. Programma tutto novecentesco, ma… diatonico, toh (tanto per fare un dispetto ad Alex Ross, smile!)

Les Illuminations di Britten è del 1939. Scritta per soprano (fu dedicata a Sophie Wyss, il soprano svizzero che ne fu la prima interprete) è però entrata anche nel repertorio dei tenori (primo fra tutti ad interpretarla, il compagno di vita di Britten, Peter Pears). Si tratta di 10 numeri, i cui testi sono tratti da 8 dei 54 (o 46, 44, 43, 42, a seconda di diverse edizioni critiche) poemi intitolati Illuminations (all'inglese!) di Arthur Rimbaud. Britten ha aggiunto l'iniziale Fanfare e Interlude che comprendono un unico verso, preso da Parade. (Qui - 1. 2. 3. - un interpretazione della Aikin con Marriner e i radio-bavaresi.)

Domenica sera il concerto era stato irradiato da Radio3 e, dopo questo brano, alcune critiche erano state mosse alla pronuncia francese della Devia. Francamente mi son parse speciose, a fronte di una prestazione davvero ragguardevole. Caso mai mi sentirei – proprio a voler trovare il pelo nell'uovo – di giudicare fin troppo aggraziato e poco selvaggio l'approccio tenuto dalla brava Mariella, in particolare in Villes e in Parade. Mariella che ha comunque dimostrato – ma non ce n'era certo bisogno – come una grande professionista possa far bene anche quando si allontana – e di parecchio! – dal suo repertorio tradizionale.

Seconda parte con la Quarta di Mahler.

Temirkanov mostra un buon rispetto per la partitura, l'unico piccolo neo che mi permetto di segnalare è che lui pare tenere in poco conto le virgole (o gli apostrofi, insomma quei segni di piccola pausa di respiro che Mahler mette spesso all'interno delle sue frasi musicali). Per il resto, il maestro russo mette bene in risalto anche i minimi particolari, come questo, che ci mostra la chiara ascendenza straussiana del primo tema della sinfonia:


Il tema, nella sua forma principale, sale da dominante a tonica e scende alla mediante. Ma subito prima della cadenza conclusiva della ricapitolazione compare, come inciso, nell'oboe, una sua variante, dove dalla tonica si scende sulla dominante, esattamente come nel love-theme del Don Juan (guarda caso, anch'esso nell'oboe e nella stessa tonalità!) È anche questo un piccolo, ma importante segno della reciproca influenza fra i due maggiori protagonisti della civiltà musicale mitteleuropea dell'epoca.

In generale, il vegliardo direttore circasso trapiantato a SanPietroburgo – sempre senza bacchetta, ma con partitura sul leggìo, e attentamente seguita - ha tenuto un approccio soft, quasi sempre cameristico, come giusto che sia, mettendo bene in risalto la cantabilità dei temi (splendido in ciò il Ruhevoll). Un appunto, ma di natura logistica, che mi sento di avanzare è l'aver fatto entrare la Devia a Lied già attaccato: oltre che elemento di distrazione per il pubblico, credo non abbia giovato alla concentrazione del soprano, costretta ad arrivare al proscenio e quasi subito mettersi a cantare; cosa che peraltro ha fatto benissimo, a parte una difficoltà a farsi udire sul SI sotto il rigo del Tod, a metà della seconda strofa.

Sempre emozionante la chiusa, con la bravissima Luisa Prandina ad esalare, sul MI grave dei contrabbassi, il MI gravissimo dell'arpa. Pubblico educato, che ha rispettato qualche secondo di raccoglimento, prima di liberare il meritato applauso.

Un ultimo dettaglio organizzativo: sarebbe poi così difficile o costoso impiegare gli schermini in dotazione per presentare i testi di ciò che viene cantato, come si fa per l'opera? Evitando così agli spettatori di sfogliare il programma di sala (magari usando i telefonini come abat-jour…)?
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