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da prevosto a leone
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01 ottobre, 2023

Le Nozze scaligere: ancora e sempre Strehler


O.T. Ieri sera è iniziata la distribuzione agli abbonati di un ricco volume che ricorda il quarantennale sodalizio del Maestro Chailly con la Scala. Oltre ad una selezione di fotografie di archivio vi compaiono interventi di alcuni musicologi che hanno collaborato o attualmente collaborano con il Teatro (Franco Pulcini, Elisabetta Fava, Elvio Giudici, Giorgio Pestelli, Raffaele Mellace, Angelo Foletto e Andrea Vitalini) preceduti da una prefazione del Sovrintendente Dominique Meyer. Chiude il volume la serie delle 50 locandine di Opere e Concerti diretti fin qui dal Maestro. Un’iniziativa di quelle che solitamente si mettono in atto a distanza di tempo, mentre qui riguarda un personaggio tuttora alla guida musicale del Teatro. Con tutto il rispetto e l‘ammirazione per Chailly, ci trovo francamente un retrogusto di culto della personalità

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È ormai dal lontano 1981 che le Nozze mozartiane si rappresentano in Scala con l’allestimento di Giorgio Strehler, ripreso, come negli ultimi anni (anzi lustri) da Marina Bianchi; unica eccezione, la fugace parentesi del 2016, Wake-WalkerE devo dire che questo è proprio uno di quegli allestimenti che non invecchiano mai ed è giusto quindi che vengano esibiti come si fa con qualunque grande opera d’arte nei musei! E anche in rete si può sempre godere di questo spettacolo (qui1 e qui2).

Questa ripresa impiega un cast abbondantemente confermato rispetto a quello della precedente (2021, Direttore Daniel Harding) nei ruoli di:

Figaro: Luca Micheletti
Cherubino: Svetlina Stoyanova
DonBartolo: Andrea Concetti
DonBasilio: Matteo Falcier
DonCurzio: Paolo Antonio Nevi
Contadinelle: Silvia Spruzzola e Romina Tomasoni.

I nuovi ingressi sono:

Conte: Ildebrando D’Arcangelo, che fu Figaro nel 2002 e 2006 (poi diede forfait nel 2012)
Contessa: Olga Bezsmertna
Susanna: Benedetta Torre
Marcellina: Rachel Frenkel
Barbarina: Mariya Taniguchi
Antonio: Filippo Ravizza 

La Direzione è affidata al 46enne Andrès Orozco-Estrada (uno che ha opportunamente lasciato la città natale, la famigerata Medellin, per trasferirsi nella un po’ meno pericolosa, almeno per ora, Europa) che torna al Piermarini dopo aver diretto un concerto della Filarmonica quasi 7 anni fa. E proprio il Direttore colombiano è stato l’artefice del successo della recita: con il suo gesto secco e nervoso (a volte persino indiavolato) ha tenuto sempre in pugno la situazione, fin dall’Ouverture, senza cali di tensione né inopportune sbracature. E l’Orchestra lo ha perfettamente assecondato, così come il Coro di Giorgio Martano, che pure ha un impegno non proprio sovrumano.

Bene anche tutto il cast, nei singoli componenti e negli insiemi e concertati. A testimonianza di ciò, le arie sono state tutte invariabilmente accolte da applausi a scena aperta, così come il 4 finali d’atto.

Luca Micheletti è stato un Figaro di grande spessore: la sua voce di basso-baritono ha perfettamente vestito la personalità del servitore fedele ma anche dell’innamorato geloso e sospettoso. Da parte sua Ildebrando D’Arcangelo (passato come detto dal ruolo del titolo a quello del Conte) ha messo la sua lunga esperienza e la sua voce sempre integra e profonda al servizio dello spettacolo.

Ben assortita anche la coppia di protagoniste femminili: Benedetta Torre ha prestato la sua bella voce leggera al personaggio della casta Susanna, mentre Olga Bezsmertna è stata una convincente Contessa, unica, patetica vittima, in fondo, di questa folle journée, confermando l’ottima impressione già data nella recente Rusalka.

Assai efficace Svetlina Stoyanova, un Cherubino che (mi) ha ricordato la grande Teresa Berganza, con Abbado nei lontani anni ’70.

Tutti gli altri indistintamente all’altezza dei rispettivi compiti, dai tre Don (Andrea Concetti e poi Matteo Falcier e Paolo Antonio Nevi) alla Marcellina di Rachel Frenkel, all’Antonio di Filippo Ravizza, alla Barbarina di Mariya Taniguchi (che si è distinta nella sua breve cavatina che apre il 4° atto) e infine alle due contadinelle Silvia Spruzzola e Romina Tomasoni.

Per tutti alla fine applausi convinti, che hanno incorniciato una bella serata di musica.

11 novembre, 2016

Alla Scala le prime Nozze dopo Strehler

 

L’ultima messinscena scaligera delle Nozze mozartiane risaliva ormai al giurassico (1981) Giorgio Strehler, ripresa per l’ottava volta (!) 4 anni e ½ orsono. Oggi viene rimpiazzata da una nuova produzione, firmata da tale Frederic Wake-Walker, uno che già dal nome ti fa pensare ad abbondanti libagioni a base di whisky (smile!) Però sappiamo che un cicchetto o due possono anche stimolare la... fantasia, ecco: e in fin dei conti lo spettacolo messo su da questo albionico rampante riporta un po’ (forse troppo, magari) di sana farsa casereccia nella giornata folle (!) che il suo predecessore aveva (magistralmente) ingabbiato in un forse eccessivo politically-correct.

In fin dei conti le Nozze non saranno certo una farsa tout-court, ma sono pur sempre un’opera buffa, che dalla farsa (come teatralmente intesa) mutua parecchi aspetti, a cominciare dal fondamentale episodio finale dei travestimenti, con annessi equivoci, qui-pro-quo e scambi di persona. Insomma, riportarvi qualche tratto goliardico e magari volgarotto non mi pare un’eresia nè un’offesa al buon gusto. Dopodichè si possono criticare come ingenuità alcune scelte registiche (metateatro da poareti, comparse e suggeritore che animano lo spettacolo e in parte lo disturbano, presenza in scena di personaggi presi di mira in privato da altri, eccessi di pandemonio come la montagna di scartoffie notarili che riempiono l’aria a fine atto secondo, palpeggiamenti ed altre sguaiatezze assortite) che oltretutto non sono nemmeno invenzioni (in un mondo dove ormai tutto è già stato inventato e re-inventato infinite volte) ma che tuttavia rientrano, a mio modesto avviso, nei confini delle libertà interpretative, poichè non stravolgono nè adulterano la sostanza del soggetto. Tanto per avere un riferimento concreto, la fortunata regìa di qualche anno fa di Michieletto a Venezia aveva non pochi caratteri in comune con questa.

E se alla fine di un’opera buffa un pubblico assai folto applaude convintamente divertito significa che ciò che si è visto non era proprio tutto da buttare, anzi. Dopodichè auguriamo a Walker non certo di cercar di diventare Strehler (sarebbe per lui la fine) ma di fare tesoro dell’esperienza per migliorarsi in futuro.   

Di tutto rispetto il livello della prestazione musicale, governata da una (ormai vecchia) volpe a nome Franz Welser-Möst, un compassato viennese famoso per la sua mancanza di... appeal (che a Vienna come a Cleveland gli ha portato più di un nemico): di ieri gli rimprovero due o tre eccessi di decibel che hanno coperto le voci, ma per il resto il suo mi è parso un Mozart abbastanza convincente e rigoroso (magari più in linea quindi con il vecchio Strehler...)

Markus Werba è un Figaro più lezioso che autorevole, ma in fondo in queste Nozze mozartiane sarebbe eccessivo travestirlo (vocalmente) da Barbiere rossiniano, ecco. La Contessa Rosina è una sempre impeccabile Diana Damrau, che riempie di calore il personaggio (l’unico davvero serio in tutta l’opera) della donna che ha visto la felicità sfumarle sotto gli occhi e a cui non restano che il... perdono cristiano e una serena rassegnazione.

Efficace e convincente la Marianne Crebassa nell’impegnativo ruolo di Cherubino, questa autentica mina vagante che rappresenta il prezzemolo sparso copiosamente da DaPonte-Mozart sul loro manicaretto. Accanto a lei bene, se non proprio benissimo, Golda Schultz, che ha dato la giusta dose di spirito e grinta al personaggio di Susanna. Il Conte, a dare il cambio a Carlos Álvarez, era un positivo Simon Keenlyside, al quale forse difetta ancora una pronuncia italiana che renda comprensibile tutto ciò che lui canta: ma i suoni che lui emette sono di tutto rispetto, per volume, corposità e padronanza del mezzo in tutti i registri.

Gli altri (Andrea Concetti sdoppiato in Bartolo e Antonio, Kresimir Spicer anche lui divisosi fra Don Basilio – aria compresa - e Don Curzio, e Anna Maria Chiuri, una sapida Marcellina) su livelli di aurea routine. Hanno fatto discretamente il loro compito le tre rappresentanti accademiche e il (poco impegnato) coro di Casoni

Che dire, in soldoni: già dimenticato Strehler? Sarebbe offensivo sostenerlo, ma come ha detto Obama a proposito di Trump: domani il sole sorge ancora!   

26 marzo, 2012

Strehler va ancora a Nozze alla Scala


Nuovo – e gradito, a giudicare dall'accoglienza del pubblico non oceanico del Piermarini - revival alla Scala di una produzione storica, ma sempre di grande valore e di attualità: Le Nozze di Figaro del sommo Giorgio Strehler, ripresa per l'occasione da Marina Bianchi.

Poi, tanto per non smentire quella che ormai pare una ferrea regola del Teatro, ecco arrivare puntuale la defezione di uno dei protagonisti, Ildebrando D'Arcangelo, sostituito in Figaro da Nicola Ulivieri

Sul podio un ragazzino - si fa per dire, a 25 anni è incallito fumatore di sigaro e ha un curriculum impressionante, avendo già diretto oltremodo (sic!) la metà delle orchestre del pianeta - Andrea Battistoni da Verona: pare entri nel guinness come il più giovane direttore mai salito sul podio scaligero, beato lui… Forse perché invidiosi di questo primato, i loggionisti del lato destro gli hanno tributato, all'uscita singola finale, una salva di buh (unici della serata, in mezzo ad applausi non isterici, ma robusti). A me, che lo sentivo-vedevo per la prima volta, è parso assai sicuro di sè e per nulla sprovveduto; ha un piglio toscaniniano (vedi l'Ouverture, che ha diretto - non saprei se giudicarlo un pregio o un difetto – battendo il Presto in 4! certo molto diverso dalla compostezza di questo Levine) e persino il gesto (l'ampia sbracciata in chiusura di battuta) ricorda quello del Toscanini che si vede in tanti filmati d'epoca. 
In più ha diretto a memoria (salvo qualche pagina di partitura che ha sfogliato nel terzo atto) il che è comunque un segno di applicazione e di studio. Per lui devono aver fatto un'eccezione persino i famigerati corni filarmonici, con attacchi precisi e assenza di stecche o stonature, il che non è poco. E comunque lui ha almeno cinque anni di tempo davanti a sé per raggiungere (infallibilmente) l'età di altri colleghi che qualcuno fa già passare per fenomeni. Perciò… auguri.

Detto del Kindlein-Kapellmeister, buone notizie dal cast, a cominciare proprio da Nicola Ulivieri, che non ha fatto rimpiangere il forfait-tario D'Arcangelo. Ancor meglio di lui la Contessa, Dorothea Roschmann, che ha tuttora una bella voce e gran recitazione. Su un livello più che dignitoso il Conte di Fabio Capitanucci e la Susanna di Aleksandra Kurzak. Il Cherubino di Katija Dragojevic non ha demeritato, pur non destando entusiasmi (almeno nel sottoscritto). Degli altri, al solito bene la Pretty Yende (Barbarina) ma anche apprezzabili la Marcellina di Natalia Gavrilan e il Basilio di Carlo Bosi, gratificati da applausi dopo le rispettive arie sindacali (l'aggettivo è di Massimo Mila, smile!) del quarto atto. Maurizio Muraro come Bartolo, Emanuele Giannino il giudice don Curzio e Davide Pelissero Antonio: tutti all'altezza dei rispettivi compiti da comprimari. Il coro di Casoni, ultimamente parecchio criticato, non mi è sembrato demeritare, anche perché ha un ruolo francamente tutt'altro che tremendo. Alla fine applausi moderati ma convinti per tutti (cui si sono aggiunti i buh per Battistoni).

Dell'allestimento non si può parlar altro che bene, essendo uscito a suo tempo dalle mani e dalla testa di un maestro assoluto del teatro. Io devo dire che mi ero abbastanza divertito mesi fa alla moderna messinscena di Michieletto (alla Fenice); ma qui con Strehler siamo davvero su un altro pianeta. Francamente non so proprio quante delle regie di oggi verranno ancora riprese nel 2040!

22 ottobre, 2011

Le simpatiche Nozze di Michieletto alla Fenice


Ieri sera in scena il (cosiddetto) secondo cast per le Nozze mozartiane alla Fenice, abbastanza affollata all'inizio, per poi mostrare evidenti vuoti - ostregheta! - dopo l'intervallo.

 
Spettacolo per me godibilissimo e ampiamente meritevole della trasferta in una Venezia (che il triestino Amfortas insiste a definire orrida) sempre affascinante, sulla pietra come sull'acqua, per quanto torbida… Il merito del mio abbastanza lusinghiero giudizio va suddiviso in parti equivalenti fra messinscena, cantanti e strumentisti, let alone il genio di un tal Gottlieb von Salzburg stimolato da un gaudente religioso italico.

 
Damiano Michieletto e i suoi collaboratori Paolo Fantin (scene) Carla Teti (costumi) e Fabio Barettin (luci) hanno realizzato un mix assai equilibrato di introspezione psicologica, di commedia umana e di farsa che inquadrano bene il multiforme capolavoro.

 
Nessuna velleità, nè pretesa, di svelare o proporre chissà quali arcani e reconditi significati dell'opera (col rischio di falsarne l'essenza, come accade nel 90% dei casi in cui il regista è convinto di essere l'unico furbo in un mondo di idioti) ma una (quasi sempre) efficace e intelligente interpretazione di ciò che l'originale del resto ci svela assai apertamente.

 
Centratissima (e centrale qual è nel libretto e nella musica) la figura di Cherubino, che è una specie di catalizzatore, in chimica definito come un componente presente in quantità minima, ma che è in grado di innescare reazioni, fra altri elementi in circolazione, che mettono in gioco quantità di energia di ordini di grandezza superiori. Ecco quindi il nostro ragazzino che – quasi taumaturgicamente, con la sua carica erotica – fa rinascere a nuova vita la contessa già data per morta (alla felicità, s'intende, durante l'ouverture) semplicemente imponendole la sua mano. E poi fa sentire la sua presenza sui sentimenti degli altri personaggi pilotandoli come un burattinaio – tirando con una cordicella un drappo appeso al soffitto. E poi ancora mette il suo alito (un volgare pallone da calcio, che rappresenta il suo strumento di svago innocente) addosso ai quattro individui che formano le due coppie (Bartolo-Marcellina e Susanna-Figaro) per suggellarne la ritrovata unione.

 
Altra idea non disprezzabile è quella di presentare in scena personaggi che sono oggetto di pensieri, maledizioni, aneliti… di altri che in scena sono prescritti da libretto e musica. A volte questa tecnica eccede in didascalismo (non ci vuol molto a sospettare che Figaro abbia qualcosa da recriminare nei confronti di Almaviva, e viceversa…) ma è assai efficace per guidare quegli spettatori (e sono probabilmente la maggioranza) che nemmeno ci provano a leggere e a capire la sostanza del libretto; ed anche ad animare scene che viceversa soffrirebbero di naturale staticità. Anche l'uscita di scena finale della contessa – nota pessimistica nella generale contentezza – non è poi così fuori dal contesto dell'opera: il personaggio è palesemente irrecuperabile – non per colpa sua, anzi – alla completa felicità e nemmeno il povero Cherubino – ormai accasato pure lui – ha più le facoltà per richiamarla in vita, come era accaduto all'inizio.

 
Non manca qualche eccesso di sottintesi goliardici, come il Cherubino che a Barbarina - che lamenta L'ho perduta, me meschina… - sflila la veste (metaforicamente: le mutande!) Oppure laddove – nella pantomima del IV atto – Almaviva si arrapa come uno scimpanzè quando la contessa (creduta Susanna) gli dice Io te la do… Ma si può perdonare, e i primi a farlo sarebbero di sicuro gli autori, ai loro tempi vincolati da censure e bigottismi diversi.

 
Efficaci le scene impiantate sulla piattaforma girevole e cangianti a vista. L'idea della tavolata dove si riuniscono di tanto in tanto i personaggi nelle scene di concertato non è nuova (ad esempio si vide nell'Onegin di Tcherniakov) ma intelligente e permette spettacolari effetti, come quello invero esilarante di chiusura del secondo atto, col tavolo fatto girare vorticosamente, come la testa dei protagonisti.

 
Sul fronte canoro nessun 30-e-lode, ma nemmeno riprovazioni inappellabili: una compagnia mediamente ben assortita, dove tutti han dato il massimo: Priante (non nuovo al ruolo di Figaro) e la Lo Monaco mi son parsi i più sicuri, ma tutti gli altri – vedi locandina - non hanno per nulla demeritato. Brave le voci di Moretti, sempre disposte nella buca dell'orchestra per i loro interventi.

 
A Manacorda darei un voto fra il discreto e il buono: basterebbe l'Ouverture ad assicurargli ampi consensi, ma in tutta l'opera mi è parso preciso, attento alle sfumature e soprattutto a supportare al meglio chi canta sul palco. Bravo a lui e agli orchestrali, che non hanno avuto una sola sbavatura. Pienamente rispettosa dell'originale – ma sempre discutibile sul piano estetico – la riapertura dei tagli delle due arie (di Marcellina e Basilio) del IV atto; arie che massimo Mila definiva scritte per ragioni sindacali (garantire gloria contrattuale al soprano e tenore minori) e che effettivamente, sul piano estetico, si fatica a credere che siano farina del sacco del Teofilo. Nella fattispecie a guadagnarci mi pare sia stato più Lazzaretti che la Martorana. A Michieletto l'aria di Basilio è servita per fargli fare uno scambio d'abiti col maggiordomo, quasi a volerci rappresentare uno spaccato di civiltà contemporanea: il povero musicista che aspira a diventare servo (asino!) di qualche potente…

 
Sono le 10 e mezza passate di sera, l'aria è proprio frizzantina, e sul vaporetto che solca il Canalgrande c'è ancora una gran folla multietnica che sale e scende a destra e a manca: vita a Venezia!
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08 novembre, 2010

Le Nozze (d’argento) di Figaro al Maggio


Un Figaro quasi ventennale è tornato a maritarsi a Firenze (dove debuttò nel 1992, dopo Vienna). È quello ideato da Jonathan Miller (e qui ripreso da Gianfranco Ventura) ormai alla terza apparizione fiorentina, dopo quella del 2003.

Eppure mantiene intatta tutta la sua freschezza e piacevolezza, a dimostrazione del fatto che regìe (cosiddette, con intento minimizzante se non spregiativo) tradizionali si conservano negli anni assai meglio di tante che vanno alla ricerca di qualche recondito significato dell'opera, su cui costruire Konzept improbabili o del tutto strampalati.

Che le Nozze – come il loro antesignano ispiratore Mariage – contengano impliciti o ammiccanti riferimenti a fenomeni di tipo socio-politico-cultural-eroto-psicologico lo si comprende e lo si apprezza perfettamente proprio dalla rappresentazione originale, senza bisogno che qualche regista in cerca di notorietà a buon mercato ce lo venga a spiegare con trasposizioni di vicenda e personaggi nel tempo e nello spazio. (Si perdonerà tranquillamente l'invenzione di Miller di presentarci due pargoletti della Contessa, uno ancora in fasce…)

Sapientissima poi è la direzione attoriale: già dall'entrata di Figaro&Susanna, e giù giù fino al gigantesco rimpiattino finale, magistralmente reso col semplice impiego di tre colonne, dietro cui far nascondere di volta in volta i personaggi. E va dato atto a tutti gli interpreti di aver assolto al meglio il compito relativo alla presenza scenica. (Qualche eccesso di palpeggiamenti non ha fatto scadere lo spettacolo in avanspettacolo.)

Sul fronte musicale, detto dei tagli alle due arie dell'Atto IV (Marcellina, scena IV, Il capro e la capretta e, per par-condicio, Basilio, scena VII, In quegli anni) arie che Massimo Mila definiva argutamente scritte per obblighi di natura sindacale, dirò che la direzione del nordico Arild Remmereit mi è parsa forse un po' troppo freddina (smile!) ma non del tutto disprezzabile: insomma, nel complesso positiva, a meno di non cercare il proverbiale pelo nell'uovo. Del pari rimarchevole la prestazione del Coro di Piero Monti e delle sue due soliste Sarina Rausa e Nadia Sturlese, tutti chiamati ad un compito peraltro non proibitivo.

Nel mio personalissimo cartellino (la vittoria delle azzurre del tennis mi ha richiamato alla mente il grande Rino Tommasi) la palma della migliore va alla Contessa Rachel Harnisch, quasi perfetta ed acclamatissima nella sua aria della scena VIII dell'atto III.

Vocina piccola, ma gradevole, quella della Susanna di Olga Peretyatko, cui mi sento di perdonare un paio di urletti di troppo.

Ruxandra Barac ha interpretato un Cherubino efficacissimo scenicamente, vocalmente discreto (nella sua Canzona della terza scena dell'atto II) ma non più.

La Marcellina di Laura Chierici (che non ha un sindacato a proteggerla, smile!) e la Barbarina di Paola Leggeri (che invece ha cantato – meschinella – la sua cavatina) se la son cavata onestamente.

Quanto ai signori, i due protagonisti principali meritano un plauso, anche se non sembrano dotati di voci particolarmente potenti (in particolare il Pietro Spagnoli del Conte, peraltro assai bene impostato). Vito Priante è stato un Figaro forse poco sanguigno e troppo sempliciotto, ma il pubblico non ha mancato di gratificarlo ampiamente.

Gli altri: Umberto Chiummo come Bartolo, Gianluca Floris (anche lui non iscritto a sindacati) in Basilio, Antonio Feltracco in Curzio e il fin troppo avvinazzato Giuseppe Di Paola in Antonio l'hanno sfangata onorevolmente, nelle scarse parti solistiche, ma soprattutto nei concertati.

Alla fine grandi applausi per tutti, in un Comunale pieno come un uovo, cosa che non può non far piacere, oltretutto in un pomeriggio (peraltro piovigginoso) dove il teatro doveva competere con pedatori viola e velleitari rottamatori.