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26 maggio, 2018

laVerdi 17-18 – Concerto n°28

                                           
Programma abbastanza inusuale per il concerto di questa settimana (quart’ultimo della stagione principale) che non è diretto - contrariamente a quanto previsto - da Flor, ma da Roberto Polastri. Programma che fornisce ai complessi vocali de laVerdi l’occasione per mettere in risalto le loro qualità e la loro preparazione.

Si inizia con il Requiem in DO minore di Luigi Cherubini, il primo dei due composti dal Maestro italiano che fece fortuna a Parigi a cavallo fra ‘700 e ‘800. Un approccio austero e severo, che nulla concede al teatro (a parte il clamoroso colpo di tam-tam che risuona alla battuta 7 del Dies Irae). Inconsueto quanto efficace l’inserimento - proprio fra Graduale e Sequenza - del Tratto (Absolve Domine...).

Grande prova del coro di Erina Gambarini, accolta con calore dal pubblico, ahinoi ieri sera piuttosto scarseggiante.
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Il secondo brano in programma è il Prologo dal Mefistofele di Arrigo Boito, un po’ di opera che fa capolino in Auditorium (in anni passati si erano date opere integrali). Qui, oltre al Coro SATB, ecco entrare, candidamente vestiti, i ragazzi del Coro di voci bianche di Maria Teresa Tramontin, insieme al solista Federico Sacchi (anche lui di... riserva, del previsto Ivashchenko) voce ben impostata anche se forse poco... mefistofelica, che impersona il diavolaccio pronto a sfidare l’Onnipotente sulla pelle di Faust.

Orchestra (con i sei ottoni fuori scena disposti in galleria) e Cori non lesinano alcunchè della magniloquenza francamente discutibile del brano. La musica ci porta chiarissimi riferimenti al wagneriano Lohengrin e un’anticipazione del finale della Sesta mahleriana: insomma, un’opera che non rinnega il passato ma che cerca - senza trovarle fino in fondo - di aprire strade nuove.

Alla fine unanimi consensi per l’intera compagnia.

23 aprile, 2016

laVERDI 2016 – Concerto n°15


L’appuntamento n°15 della stagione vede il ritorno sul podio di Roberto Polastri, che dirige un programma assai impegnativo.

Amleto è un soggetto che Shostakovich trattò più di una volta, a partire dal 1932, quando compose musiche di scena per una rappresentazione teatrale della tragedia shakespeare-iana. Un paio d’anni fa Polastri ha ricostruito lo spettacolo a Bologna (con l’Orchestra del Comunale dove lui è di casa) ed ha pure scritto un libricino dove spiega i problemi affrontati nel rimettere in relazione il testo, curato da Akimov, e la musica del giovane Dimitri (che nella fattispecie impiega un complesso cameristico).

Qui in Auditorium invece Polastri si cimenta con una un composizione della maturità del musicista, la Suite dal film Hamlet del 1964, una musica destinata a colonna sonora del film di Kozincev, musica che impiega un’orchestra di dimensioni tardo-romantiche. Gli 8 numeri che danno corpo alla Suite accompagnano le principali vicende del film, dal ballo al fantasma, dall’avvelenamento ad Ofelia, fino al duello e alla morte di Amleto. I temi che prevalgono nel lavoro sono quelli dei tre protagonisti del film: Amleto, il Fantasma del Re (che nel film non appare e quindi dev’essere solo la musica ad evocare) e Ofelia, ma altri lo arricchiscono (la Morte, il Dubbio, l’Avvelenamento) sempre sapientemente intrecciati. È questo un lavoro che meriterebbe di avere più spazio nei programmi concertistici, un pezzo davvero rimarchevole che laVERDI – alla sua prima esecuzione - ha reso con grande efficacia, nelle crude sonorità dell’intera orchestra, come negli squarci lirici e intimistici.      
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Dopo la pausa ecco il celebre Don Quixote di Richard Strauss, che impegna nelle parti soliste di violoncello e viola due... prime parti de laVERDI: Tobia Scarpolini e Miho Yamagishi. A dir la verità i due ragazzi hanno fisicamente poco o nulla a che vedere con i fantastici personaggi di Cervantes: lui è un Don brevilineo e piuttosto in carne; e lei più che in quelli del Panza starebbe divinamente nei panni di... Dulcinea!

Strauss ideò il Don Quixote (op.35) praticamente in parallelo con l’autobiografico (pubblicato successivamente, come op.40) Ein Heldenleben e consigliava addirittura di eseguirli nella stessa serata: forse anche lui si sentiva un po’ come un combattente contro i mulini a vento...

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Seguiamone le avventure aiutandoci con i 14 sottotitoli (la traduzione è mia, volutamente semiseria) predisposti da Strauss (ma non riportati in partitura, ad eccezione di quelli – 2 e 3 - riferiti ai temi del Don e di Panza) e con l’esecuzione ormai storica della premiata coppia Karajan-Rostropovich (più Ulrich Koch alla viola) con i Berliner (1975).

1. Introduzione: Tempo moderato (cavalleresco e galante). Don Chisciotte va fuori di melonera per overdose di letture di romanzi cavallereschi e decide di diventare un cavaliere errante.
(3”) Oboi e flauti introducono in RE maggiore un clima cavalleresco (un motivo che prefigura le letture che daranno alla testa al Don) dal quale emerge (14”) un tema galante, esposto da violini secondi e viole a canone, che si impenna per tre volte e poi scende modulando cacofonicamente (un tritono, che di per sè non annuncia nulla di buono) dal RE al LAb maggiore. Da qui (14”) viene ripreso dai primi violini e riportato al RE maggiore. A 44” i clarinetti chiudono la frase con due successive discese dal piglio alquanto vanesio. (Scopriremo più tardi che questi sono i tre motivi che caratterizzano il Don). Ora inizia la lettura che farà uscir di senno il nostro hidalgo: sono le viole (1’07”) a proporcene il motivo (derivato da quello dell’esordio) qui ancora in RE, che tornerà spesso e volentieri nel seguito, come un canovaccio che tiene insieme l’intera opera. Da esso emerge (1’28”) in SOL maggiore, nel primo oboe, il tema di Dulcinea del Toboso, che sarà al centro di tutta l’avventurosa e rocambolesca vicenda e che ora chiude mestamente (un presentimento?) in FA# minore. Subito (2’03”) la mente del Don è scossa da fortissimi fremiti e immagini di battaglie furibonde (evocati negli ottoni con sordina da un motivo derivato ancora da quello della lettura) che portano alla riproposizione (in FA# maggiore) del tema di Dulcinea (2’21”) ora contrappuntato da quello della lettura, fino a sfociare (2’41”) nel MIb maggiore con il quale i corni espongono il tema cosiddetto della devozione, che è una miscela di quello di Dulcinea e della chiusa della frase iniziale, seguito da un’eroica discesa dal MIb. Torna (3’25”) il tema delle letture, che prelude (3’41”) ad un surriscaldamento dell’atmosfera, con un motivo il cui incipit tornerà a partire dalla variazione IV e sempre con connotati negativi, mentre il tema della lettura fa da sfondo all’agitarsi di quello della devozione. Due schianti (4’16”) subito ripetuti segnalano il progressivo eccitarsi della mente del Don e si ode in trombe e tromboni (4’36”) una variante allargata e proterva del tema della lettura, che sta ormai travolgendo gli argini e (5’49”) con un ultimo poderoso assalto conduce il Don (5’57”) alla follia, testimoniata da due ricorrenze del bizzarro inciso discendente che aveva chiuso la prima esposizione del tema galante. Un LA fortissimo e dissonante (con MIb, DO# e SIb) dell’orchestra chiude l’introduzione (6’23”). 
 
2. Tema: Moderato. Don Chisciotte, il cavaliere dalla magra figura.
È il violoncello - che si incarica (d’ora in poi, principalmente) di interpretare la figura del Don - che ce ne espone i temi, già anticipati del resto nell’introduzione. Quello cavalleresco (6’25”) adesso è più sviluppato e principia in RE minore; poi ecco quello galante (6’40”) che ora è in DO maggiore, ripreso poi in FA; e infine (7’12”) quello che ho definito vanesio che modula verso il RE.  

3. Maggiore (tonalità, ndr): Sancio Panza.
Anche il rotondo scudiero viene dipinto in musica con tre temi: il primo (7’31”, clarinetto basso e tuba tenore) pare evocare l’incedere non proprio atletico del nostro; il secondo (7’42”, nella viola, strumento principalmente associato a Sancio) ricorda la sua parlantina impertinente; il terzo (8’00”, dopo una fugace ricomparsa del primo) ci presenta la bizzarra prosopopea che ne caratterizza l’interloquire (come si udrà nella terza variazione) con la pedante chiusa sugli arpeggi ascendente e discendente di FA maggiore. Il primo tema (8’30”) chiude, con una specie di sberleffo, la presentazione delle carte d’identità.

4. Variazione I: Comodo. Partenza della coppia per compiere imprese in nome di Dulcinea. Avventura con i mulini a vento. (Libro I, Capitoli VII-VIII).
Il Don (8’44”) è il primo a muoversi, accompagnato da una variazione dell’incipit del suo tema cavalleresco, nel violoncello. Subito lo segue Sancio, con il primo dei suoi temi (clarinetto basso). A 9’07” compare il tema galante del Don, e c’è un preciso motivo: un istante dopo ecco flauto ed oboe esporre in DO maggiore il tema di Dulcinea! La quale è con tutta evidenza la musa ispiratrice delle imprese che l’eroe si appresta a compiere. Il Don si riveste tosto del suo tema cavalleresco e, sempre seguito dal fido Sancio, si appresta ad affrontare i giganti (mulini a vento) che (9’43”) gli si parano davanti. Lui si scaglia contro uno di loro (9’56”) ma lo schianto gli è fatale (10’13”). Il poveretto è ridotto male, ha pure perso la lancia, frullata dalle pale del mulino, e il tema di Dulcinea (10’31”) sembra esalare dolorosamente e vergognosamente dalle sue ferite. Ma lui non molla e (10’55”) il suo tema galante torna a farsi udire in DO maggiore, poi in SI - mentre la tromba ci ricorda le sue letture - seguito da quello vanesio (11’17”) che ci assicura che il nostro è più che mai... in sella!

5. Variazione II: Battagliero. La lotta vittoriosa contro un gregge di pecore l’esercito del grande imperatore Alifanfaron e di Pentapolin, Re di Garamantas. (Libro I, Capitolo XVIII).
Per confermarci che il Don è al massimo della prestanza fisica, il suo tema cavalleresco, nello splendore del RE e opportunamente irrobustito, viene esposto (11’25”) da ben tre violoncelli solisti; e si arricchisce (11’32”) di una variante invero eroica! Ed ecco che (11’44”) il temibile nemico si presenta in tutta la sua... belante baldanza. Mentre le viole sembrano evocare il polverone sollevato dai quadrupedi, sono i fiati (gli ottoni tutti con sordina) a dipingere mirabilmente – attraverso l’emissione del suono mediante oscillazione della lingua - la scena del gregge di pecore belanti che si avanza verso i nostri eroi. Con una chiara allusione al Tell (12’03”) i legni espongono semiminime alternate a terzine con andamento fortemente ondeggiante: l’esercito è ormai a tiro e il tema cavalleresco del Don (12’31”) lo affronta in campo aperto. La battaglia è dura, dato l’impari rapporto di forze, il belare delle bestie diventa parossistico, ma alla fine (12’48”) l’eroe ottiene la prima delle due sue sole vittorie, suggellata dal suo terzo tema, chiuso poi da un’enfatica cadenza attorno alla tonica RE.    

6. Variazione III: Tempo moderato. Dialogo fra il cavaliere e il suo tirapiedi. Pretese di Sancio e promesse di Chisciotte. (Libro I, Capitoli X-XVIII-XIX).   
È la variazione più corposa dell’opera e si divide chiaramente in due parti: il dialogo fra i due protagonisti e poi la vision del Don scaturita dalle sue letture. È Sancio (13’03”, tuba e clarinetto basso, come subito dopo) che pare chiedere la parola, con il suo primo tema; il Don gli risponde (13’09”, flauti e oboi) con il tema cavalleresco. Ancora Sancio (13’17”) e nuovamente il Don (13’23”) questa volta con il tema galante. Adesso (13’30”) Sancio comincia ad agitarsi (è la viola che espone il suo secondo tema petulante) e il Don ribatte (13’35”) con il suo terzo tema. Il tutto si ripete ancora più volte, con una insistente accelerazione di Sancio, che culmina a 14’13”. Qui il Don interloquisce con il suo tema cavalleresco (variato in minore) e poi (14’32”) con quello galante, in DO. Ora Sancio si fa più impertinente e il Don fatica a tenergli testa (è il suo terzo tema che ci prova). Sancio si imbarca poi (15’21”) in un vero e proprio discorso che culmina (15’48”) nel pedante saliscendi sull’arpeggio di RE maggiore. E da qui il nostro si lancia in nuove disquisizioni (16’03”) e con altri importanti argomenti (16’21” e poi 16’34”) forse volti a dissuadere il Don dalle sue velleità, fino a saturare la pazienza del padrone, che reagisce (16’42”) in modo quasi violento, con il suo terzo tema, che ora si sfoga fino a chiamare in causa le sue dotte conoscenze (16’52”, tema enfatico delle letture). Ed ora Sancio stia un po’ zitto, poichè il padrone sta per impartirgli un’autentica lezione sulle imprese cavalleresche! Inizia qui (17’08”) la seconda parte della variazione, una terza piena (FA# maggiore) sopra la tonalità di base (poichè ci si sta elevando a nobilissime altezze). È occupata dalla visione di un fantastico viaggio verso la gloria, che il Don ci espone appoggiandosi al tema delle sue letture. Il quale si ripresenta, maestoso e solenne, per ben 7 volte toccando ogni volta note sempre più alte: (mediante, dominante, tonica, mediante abbassata, dominante, sopratonica, mediante). Infine, quasi inevitabilmente (18’42”) si trasfigura nel tema di Dulcinea, poichè è la nobile dama l’oggetto e il fine delle imprese sognate dal Don. Tema che ricompare fugacemente (19’09”) in SOL maggiore, per poi (tornando al FA#) lasciare spazio (19’32”) ad un ritorno davvero imponente del tema galante del Don, che si innalza sontuoso e poi insiste con una lunga cadenza a lunghezze sempre più strette sulla mediante LA#, chiusa (19’59”) con una coda che lascia spazio (20’12”) ad un ultimo ritorno nel violoncello solo del tema delle letture, seguito a ruota (20’19”, in SOL maggiore, nell’oboe) da quello di Dulcinea. Adesso persino Sancio (20’31”, tuba tenore e clarinetto basso) pare lasciarsi convincere dagli argomenti del padrone! È ancora il violoncello (20’45”) a riproporre il tema delle letture, ripreso nella forma variata da trombe e tromboni. La variazione sembra chiudersi su un dolce accordo di FA# maggiore (21’24”) senonchè gli segue un ultimo apprezzamento di Sancio (nel clarinetto basso) a cui il Don risponde indispettito con il suo terzo tema, che porta direttamente alla successiva variazione.

7. Variazione IV: Poco più largo. Incontro sfigato con una processione di pellegrini banda di sequestratori. (Libro I, Capitolo LXII).
Il Don (21’47”) parte alla ventura, con il suo tema cavalleresco, ora in RE minore. Su ogni battuta di 4/4 il primo è di pausa, seguito da tre con terzine proprio scalpitanti (è Ronzinante che ha un passo evidentemente sghembo...) In lontananza (22’23”) si intravede una processione che reca la statua della Madonna. Sono trombe, tromboni e fagotti (strumenti da chiesa) ad esporre un mesto corale, mentre il clarinetto basso e poi l’oboe ripetono l’inciso già apparso e come incipit in un motivo dell’introduzione (a 3’41”). Il Don si mette in testa che si tratti di una banda di sequestratori che si portano via una dama, così (22’51”) passa all’attacco, ma subito (22’56”) viene abbattuto e stramazza rovinosamente al suolo. La processione si allontana (22’56”) lasciando l’eroe privo di sensi. Sancio (23’15”) lo crede forse morto, ma uno spezzone del tema cavalleresco lo convince del contrario, così lui si prepara a fare una bella dormita, accompagnato da due sonori sbadigli (23’32”) di tuba e controfagotto.    

8. Variazione V: Assai lento. La veglia in armi, pensando a Dulcinea lontana. (Libro I, Capitolo III).
Il Don, evidentemente ancora intontito, adesso sogna (23’47”) una veglia in armi. È l’inciso non proprio consolante che accompagnava la processione che continua a occupare la sua mente, sviluppandosi in un lungo e struggente recitativo del violoncello, che all’inizio il corno contrappunta sommessamente con il tema della sua Dulcinea. Tema che poi ricompare (25’26”) ripetuto e poi letteralmente circonfuso (25’47”) di un’aureola celestiale. Il tema galante del Don (25’59”, molto appassionato) si ripresenta, sfumando (26’15”, in RE minore) ancora su Dulcinea; poi riprende il recitativo che culmina in una riapparizione (26’51”) del tema galante del Don seguito (27’29”) da quello, ora in SOL maggiore, di Dulcinea, dal quale si modula al RE maggiore per la sognante chiusura della variazione.      

9. Variazione VI: Veloce. Incontro con una bifolca che per Sancio sarebbe Dulcinea affatturata. (Libro II, Capitolo X).
Su un tempo di danza di 5/4 (2+3) i due erranti incontrano (27’55”) tre ragazzotte puzzolenti d’aglio a cavallo di asini e Sancio assicura il Don che una di loro è Dulcinea vittima di un malefico incantesimo. Il Don (28’05”) le porge omaggio, con ben tre esibizioni del suo tema galante, chiuse (28’18”) da altrettante perentorie scappellate. Adesso (28’22”) anche Sancio lo imita, apostrofando la bifolca (28’32”, nella viola) con il tema di Dulcinea. Lei però si spazientisce e se ne fila via lasciando i due con un palmo di naso, evocato (28’56”) da due ritorni del terzo tema (quello vanesio) del Don.

10. Variazione VII: Un poco più tranquillo di prima. La cavalcata fra le nuvole. (Libro II, Capitolo XLI).
Il Don e Sancio sono vittime di uno scherzo perpetrato da due nobili che li ospitano: per rendere giustizia ad una donna barbuta vengono bendati e messi su un finto cavallo alato sul quale dovranno percorrere 9681 leghe in aria. I due abboccano e qui (29’09”) inizia il finto volo, con impiego della macchina del vento. Sono 11 sole battute su un pedale fisso di RE di contrabbassi e timpani (come dire: il finto cavallo alato è ben fermo a terra!) sul quale i fiati gravi (corno inglese, fagotti, controfagotto, tromboni e tube) descrivono le ampie volute dell’immaginario ippogrifo, mentre gli altri strumenti espongono i temi della lettura, del Don e di Sancio che letteralmente volano nello spazio, in un’ubriacante passeggiata chiusa da un borbottio di fagotti e controfagotto.

11. Variazione VIII: Comodo. Viaggio sfigato sulla bagnarola incantata. (Libro II, Capitolo XXIX).
Il Don porta Sancio su una zattera che spinge nella corrente del fiume (30’25”) e il suo tema galante, in FA, continuamente ripetuto ad altezze diverse, lo segue nel suo viaggio verso immaginarie imprese, mentre archi e strumentini evocano il gorgoglio dell’acqua e i corni sostengono il ritmo di barcarola. Ma si arriva ad una diga che alimenta alcuni mulini (31’22”) e i nostri, per evitare di essere affettati dalle pale, si buttano in acqua, e vengono salvati da mugnai che il Don aveva scambiato per diavoli. Portati a terra (31’37”, la tonalità è passata a RE minore) li vediamo fradici e sgocciolanti (il pizzicato degli archi, dapprima sul tema delle letture e poi - 31’49” – dopo quello di Sancio). Un religioso corale in RE maggiore nei fiati (32’00”, sempre sul tema delle letture) evoca l’implorazione di Sancio a far finire questo supplizio.  

12. Variazione IX: Veloce e tempestoso. Lotta contro due supposti maghi monaci benedettini a cavallo di mule grosse come dromedari. (Libro I, Capitolo VIII).
Su un agitato RE minore, il tema cavalleresco del Don, divenuto quanto mai minaccioso (32’16”) si slancia per quattro volte verso due malcapitati monaci che cavalcano due grosse mule. Due fagotti (32’32”) evocano le giaculatorie dei religiosi, che il Don scambia per formule magiche e così si scaglia (33’20”) contro i due costringendoli ad una velocissima fuga, inseguiti dai suoi improperi (quattro schianti degli archi, 33’27”).

13. Variazione X: Molto più largo. Secondo combattimento contro il cavaliere della Bianca Luna. Chisciotte, sconfitto, si dà all’ippica alla pastorizia. (Libro II, Capitolo LXIV-LXVII-LXIX).
Dopo aver cercato senza successo (come Cavaliere degli Specchi) di convincere il Don ad abbandonare le sue fisime sui cavalieri erranti, il suo buon vicino Samson Carrasco torna alla carica (travestito da Cavaliere della Bianca Luna) e stavolta la spunta lui. La battaglia tra i due è evocata (33’29”) dal tema delle letture (tromboni e corni) cui seguono spezzoni dei tre temi del Don. Ancora le letture (33’39”) che introducono il tema brutale di Carrasco, mutuato da quello della processione (variazione IV) e della veglia (variazione V). Ed è questo tema ad imporsi selvaggiamente, sovrastando ciò che resta delle letture del Don e dello stesso eroe, con il violoncello ridotto a semplici balbettii. Così (34’14”) al Don non resta che la rinuncia e il ritiro in campagna. È una vera e propria (o... impropria) marcia funebre in RE minore quella che ascoltiamo, scandita dai secchi rintocchi in LA del timpano: vi distinguiamo ripetutamente il tema galante del Don, che però si affloscia sempre con mestizia, e l’immancabile motivo delle  letture. Poi ecco una prima apparizione di Sancio (34’46”, tuba tenore) e quindi una seconda (35’04”) finchè arriviamo al ritiro del Don a fare il pastore (35’29”, corni e poi corno inglese, sul già citato motivo rossiniano dal Tell). A quanto pare anche Sancio (35’40”) sembra gradire il ritorno alle... stalle, visto che le stelle son mancate! Ancora spezzoni dei temi del Don e delle letture, poi il timpano (36’32”) torna a martellare i suoi rintocchi a morto, mentre il secondo e terzo tema del mancato eroe sembrano proprio cadere sotto i colpi del destino. È proprio l’agonia di Chisciotte e l’atmosfera (37’00”) si fa sempre più rarefatta, il violoncello ancora esala stancamente poche note (LA-SIb, quasi un faticoso respiro) prima di chiudere la variazione, con violini e arpa, sull’accordo di dominante di RE. 

14. Finale: Assai tranquillo. Ritorno in sè. Vita contemplativa. Morte. (Libro II, Capitolo LXXIV).
Ma il nostro eroe non è ancora del tutto finito. Il suo violoncello (38’11”) sembra leggergli ancora le fantastiche avventure dei cavalieri erranti, ma adesso si tratta dell’avventura esistenziale del Don che arriva alla conclusione, mirabilmente espressa dalla lunga melodia in RE maggiore che sale progressivamente fino a toccare la dominante (LA acuto, a 39’11”, contrappuntato dalla tromba) da cui ripiega verso il basso, sfociando (40’06”) negli spasimi della morte, sottolineati dalle biscrome degli archi. Il motivo che per il Don rappresenta la sventura torna a farsi udire (40’21”) ma sfuma in quello cavalleresco, che subito dopo (40’57”) flauti ed oboi ripropongono ad accogliere (41’02”) il tema di Dulcinea. Ancora il tema galante (41’30”) in violini e viole torna ripetutamente, poi ecco di nuovo (42’26”) quell’inciso menagramo, quindi (42’37”) il terzo tema del Don, qui davvero nobilitato dal clarinetto. Torna il violoncello di Chisciotte a riproporre (42’49”) il tema ostile, ma infine (43’15”) il terzo tema del Don porta al celestiale RE maggiore conclusivo.
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L’orchestra è schierata con le viole al proscenio, così da mettere in primo piano la Miho, mentre Scarpolini è sistemato proprio dietro il podio, avendo alle spalle a sinistra i colleghi. Il suo strumento ha un suono molto scuro nei gravi e squillante negli acuti, quindi mi pare perfetto per impersonare un tipo come Don Chisciotte (e come l’ha dipinto Strauss). La parte è assai impegnativa (si usa dire che si tratta quasi di un concerto per violoncello e orchestra) e ciò aumenta i meriti di Scarpolini, che ha mostrato di averla assimilata al meglio.

La partitura è così ricca che oggettivamente non è facile far emergere tutti i minimi dettagli (temi spesso solo accennati, magari in mezzo a pieni orchestrali) e da questo punto di vista qualcosa può essere migliorato, tuttavia mi è parsa nell’insieme un’esecuzione più che dignitosa.

Era lodevole l’idea di proiettare sugli schermi le didascalie delle diverse sezioni dell’opera: peccato però che dalla variazione 3 si sia saltati direttamente alla 8, e così qualcuno nel pubblico non si sarà raccapezzato nella trama del racconto di Cervantes-Strauss (speriamo che domenica le cose funzionino a dovere).

Alla fine gran successo per i solisti e per l’intera orchestra, la cui sezione dei celli ha voluto omaggiare il suo alfiere (più la... Dulcinea Miho) accompagnandoli in un pregevole bis

20 marzo, 2015

Orchestraverdi 14-15 – Concerto n° 26


Si continua con la serie degli ultimi concerti mozartiani, e questa è la volta proprio dell’ultimo. Ma il programma di questa settimana prevede anche altro Mozart, poi uno Schubert e un Debussy… manipolati. Per dirigere il concerto (ma vedremo che ci mette lo zampino anche come compositore) torna sul podio de laVERDI una vecchia conoscenza degli anni di Chailly: Roberto Polastri.

La serata è aperta ancora nel segno di Mozart, con le Tre danze tedesche K605, quindi di poco posteriori al concerto pianistico che seguirà. Sono tre brevi brani (poco più di 2 minuti di media ciascuno) rispettivamente in RE, SOL e DO maggiore, tutti in tempo 3/4 senza indicazioni agogiche, ma ovviamente di piglio vivace. La terza presenta un trio sottotitolato gita in slitta, con due corni da postiglione e tre coppie di sonagli, dal sapore quindi prettamente natalizio.

Un buon antipasto per quel che deve seguire!
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Un giovane pianista delle Canarie, il 37enne Iván Martín Mateu, si siede alla tastiera per proporci il K595. Su questo ultimo concerto pianistico del Teofilo - e in particolare sulle auto-citazioni ivi contenute - avevo scritto qualche nota mesi fa, in occasione di un’esibizione di Barenboim alla Scala. Proviamo a seguirne lo sviluppo con l’aiuto di… Wilhelm Kempff.
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Come (quasi) sempre accadde nei concerti della maturità, è l’orchestra ad esporre i temi dell’iniziale Allegro (4/4) in forma-sonata. Temi che sono di problematica etichettatura, essendo assai più dei due canonici, per cui impiegherò alla bisogna qualche sigla più o meno appropriata e del tutto personale.


I violini espongono il primo tema (T1) che si innalza sulla triade di SIb maggiore per poi ricadere sulla tonica, apostrofato dai fiati (11”) con un inciso che viene dalla Haffner e prima ancora dal Ratto. Ancora i violini espongono un controsoggetto, sempre rimbeccati dai fiati; quindi ancora un altro motivo che ci riporta sulla tonica, dove i violini supportati dai fiati chiudono il gruppo tematico (28”) con un motivo (M1) che viene dal finale della Jupiter.
34” Ora si apre una transizione, caratterizzata da un delicato motivo (M2, in effetti quasi un nuovo tema) negli archi col dialogo dei fiati, che ci porta verso la presentazione (59”) del secondo tema (T2) sempre in SIb maggiore ma subito reiterato virando a minore. Veloci quartine di semicrome degli archi (1’20”) rimbeccati dai fiati (reminiscenza del finale della Sinfonia in SOL minore, e che apriranno poi la cadenza) conducono ad una nuova sezione transitoria. Qui (da 1’36” a 1’51”) udiamo sette battute che mancano nel manoscritto originale, ma che furono aggiunte nell’edizione critica essendo presenti nel prosieguo del movimento. A 2’08” ecco una nuova idea melodica (M3) di carattere dolcemente cadenzante che serve ad avviare la chiusura dell’esposizione orchestrale, sul SIb.
2’46” Entra qui il solista, che espone il primo tema (T1) nella tonalità di impianto, subito introducendovi abbellimenti e varianti, prima che (3’10”) i violini ripetano il motivo (M1) della Jupiter, che il solista (3’16”) riprende e sviluppa con virtuosismi di semicrome. Dopo un tutti orchestrale torna il solista (3’38”) esponendo un nuovo motivo (M4) sulla dominante, ma in minore (!)
4’06” Ancora due battute dell’orchestra e poi (4’10”) il solista attacca la transizione che lo porta (4’25”) ad esporre il motivo (M2) udito nei violini - nella transizione durante l’esposizione orchestrale - ma qui nella dominante FA maggiore. A 4’51” i violini ripropongono, in FA, il secondo tema (T2) di cui si fa carico (4’59”) il pianoforte, che lo sviluppa fino a 5’32”, dove i fiati ne interrompono temporaneamente la trama, che il solista riprende per sole 5 battute, prima del tutti orchestrale (5’54”) che apre la rincorsa verso il termine dell’esposizione.

6’27” Ecco qui iniziare lo sviluppo, con un vero e proprio colpo di scena: il primo tema (T1) è esposto dal solista in SI minore! E poco dopo (6’40”) rispondendo agli archi che erano minacciosamente saliti al DO, eccolo riproposto in DO maggiore! E quindi, con ulteriore balzo, in MIb maggiore dai fiati. Non è che l’inizio di un vero e proprio vagabondare attraverso continue modulazioni: il soggetto è principalmente il primo tema (T1) che viene alla fine riproposto dall’oboe (7’55”) in RE maggiore, poi minore, prima della modulazione che ci riporta a casa, sul SIb maggiore per la ricapitolazione

La quale ha inizio a 8’10” e ripercorre inizialmente l’esposizione, fino al motivo (M1) della Jupiter. Qui (8’39”) entra il pianoforte che ripropone la sua visione di quel motivo, sviluppandolo con volate di semicrome.
A 9’04” ecco ritornare il motivo M4 (quello in tonalità minore) ma stavolta in SIb (come dire: care regole, io mi faccio beffe di voi fingendo di applicarvi!) A 9’31” l’orchestra, subito seguita dal solista, ripropone una transizione che porta (9’50”) alla riproposizione sulla tastiera di una variante del motivo M2 (udito nell’esposizione).
A 10’15” ecco - in SIb (siamo ligi ai sacri canoni!) – il secondo tema (T2) riproposto dall’orchestra e subito ripreso dal solista. A 10’54” abbiamo la fermata dei fiati, cui segue la ripresa del solista che porta a 11’32” alla riproposizione del motivo M3. Da qui il passo è breve per giungere alla sospensione che prelude alla cadenza solistica (12’00”) lasciataci da Mozart (è un’eccezione alla regola). A 13’31” ecco la rapida conclusione del movimento.

Il centrale Larghetto (4/4 alla breve) è nella sottodominante MIb maggiore, suddiviso in tre sezioni (A-B-A).

Viene aperto (anche qui è una consuetudine) dal pianoforte solo che espone (14’02”) il tema principale (T1) mutuato dal finale della Sinfonia K425, detta di Linz (ma forse è una reminiscenza di Haydn). Tema di 4 battute ripetute, poi ripreso (14’27”) dai legni.
A 14’54” è ancora il pianoforte ad esporre un nuovo tema della sezione A (T2) in SIb maggiore, che è parente del tema principale; è subito seguito (15’18”) dal ritorno a MIb con una nuova esposizione di T1. Una lunga transizione orchestrale (15’45”) nella quale si distinguono diversi motivi (in particolare M1 e poi M2 che chiude la sezione).

A 16’39” si apre la sezione B del movimento, ancora in MIb, con il tema T3 che prefigura vagamente quello che caratterizzerà il movimento centrale del futuro Concerto per clarinetto, tema che chiude sulla dominante SIb e viene subito riproposto. A 17’13” ha inizio uno sviluppo del tema che porta a diverse modulazioni, da SIb maggiore a minore (M3) da qui alla relativa SOLb maggiore (M4). A 17’54” si torna alla relativa MIb minore e la sezione si conclude poi con una salita cromatica in tremolo del pianoforte, dal SIb fino a raggiungere la tonica MIb.

A 18’36” inizia la ripresa della sezione A, con il solista che espone di seguito il tema T1 e (19’02”) il T2. Dopo una brevissima transizione, a 19’46” il tema T1 viene riproposto dal pianoforte in unisono con il flauto e i violini, poi (20’11”) torna la transizione lunga già udita nella prima sezione A, seguita (20’52”) da una cadenza del solista, poi raggiunto da fiati e violini, per portare a compimento il Larghetto.

Il finale in SIb maggiore, Allegro in 6/8 è in forma di Rondo (ma con aspetti di forma-sonata) con una struttura piuttosto complessa, schematizzabile come A-B-A-C-A-(A’)-A-B-A-C-A.

Lo apre il solista a 21’33”, esponendo il tema T1, che Mozart impiegò in un Lied sulla primavera, composto quasi contemporaneamente al concerto. A 21’44” lo riprende l’intera orchestra. Il pianoforte (21’55”) espone un secondo soggetto (M1) e poi torna (22’14”) al tema T1. Un terzo soggetto della sezione A (M2) è invece esposto dall’orchestra a 22’25”. Da 22’38” abbiamo una robusta coda orchestrale che chiude la sezione A.

A 22’58” ecco la sezione B del Rondo che presenta un nuovo tema (T2, il cui incipit è stretto parente di quello del T1 del Larghetto) sempre in SIb ed ancora esposto dal pianoforte, subito supportato dagli archi. A 23’17” torna la sezione A in forma assai variata che vira alla dominante FA maggiore, culminante poi (23’42”) in un tutti orchestrale cui il solista risponde preparando la successiva sezione C, appunto nella dominante FA maggiore.

Sezione che inizia a 23’56” con l’esposizione del tema T3 da parte del solista, ripresa (24’06”) con l’aggregazione di oboi e fagotti, quindi del flauto. A 24’27” la sezione si arricchisce di una prima cadenza solistica, che sfuma nella ripresa in SIb (24’57”) della sezione A, sempre nel pianoforte, cui risponde (25’07”) l’intera orchestra.

A 25’19” ecco una sorpresa: il solista espone il secondo frammento del tema T1 in tonalità di SIb minore, sulla quale tonalità si libra in una serie di virtuosismi finchè a 25’40” è raggiunto dall’orchestra che espone in FA minore il tema T1, conducendo ad una enfatica fermata (26’03”) sul LAb, sottodominante del MIb (dominante del SIb di impianto) sul quale viene ripresa (26’10”) dal solista la sezione A, assai variata dopo l’esposizione del tema.    

A 26’40” riecco la sezione B del rondò con il tema T2, stavolta esposto sulla tonica SIb (canoni della forma-sonata). A 26’58” torna la sezione A variata. Ripresa dalla piena orchestra (27’23”) e poi dal solista che chiudono la sezione.

A 27’37” torna nel solista la sezione C del Rondo, qui in SIb maggiore (come da forma-sonata) ripresa dall’orchestra a 27’48” e poi conclusa con una nuova fermata (28’12”) che prelude all’arrivo dell’ultima cadenza solistica. Cadenza (28’14”) che in effetti è basata sul tema T1 e quindi è come se preludesse alla riproposizione della sezione A del Rondo, che in effetti il solista esegue a 29’40”, sul tema T1, subito seguito a 29’50” da M1 e ancora da T1 (30’09”) e poi (30’20”) da M2 in orchestra. A 30’34” riecco la transizione che porta adesso verso la chiusura. Un’ultima comparsa di T1 (31’08”) la prepara nel pianoforte, lasciando poi alla sola orchestra (31’18”) la finale cadenza.
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Martín mette in mostra grandi qualità: proprio perché (relativamente) facile, questo concerto si presta ad essere affrontato con… faciloneria. E invece il ragazzo spagnolo ce lo ha proposto con una grazia e una cura davvero sorprendenti, sfoggiando anche suoi personali abbellimenti e mini-cadenze davvero di alta sensibilità.

Insomma, una bellissima prestazione, accolta con entusiasmo e seguita da un’invenzione di Bach.
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La seconda parte della serata si apre con Schubert rielaborato da Bruno Maderna. È in pratica una suite in 5 movimenti, che comprendono Polka, Galopp, Marce e Walzer. Una cosa piacevole e gradevole, un po’ da Concerto di capodanno, ecco. 

Si chiude invece con qualcosa di assai impegnativo: una Suite dal Pelléas et Melisande di Debussy, a suo tempo predisposta da Erich Leinsdorf, ripresa da Claudio Abbado e finalmente rimessa a punto da Polastri. Pare che Debussy sia sempre stato contrario a ricavare dalla sua (unica) opera delle suite o dei bigini, e bisogna dire che forse non aveva tutti i torti poiché, estrapolati dal loro contesto originario, questi brani lasciano un po’ a desiderare, non avendo il respiro sinfonico di lavori come L’Après o La Mèr, tanto per dire. Quindi un successo di stima, come si suol dire, in un Auditorium anche ieri non propriamente sovraffollato.