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02 marzo, 2024

Orchestra Sinfonica di Milano – Stagione 23-24.14

Per il Concerto di questa settimana tornano i due simpatici fratelli Jussen, attualmente in residenza qui, diretti da uno dei Direttori Principali Ospiti: Jaume Santonja.

È Béla Bartók ad occupare la prima parte della serata. Ecco dapprima i 15 Canti contadini ungheresi, raccolti dall’Autore fin dal 1907 durante le sue escursioni (con tanto di fonografo) nelle campagne magiare e slovacche in cerca del folklore locale. Originariamente scritti per il pianoforte solo e pubblicati nel 1918, l'Autore ne realizzò una parziale versione orchestrata nel 1933. 

Ecco l’elenco completo dei canti (qui il sommo Richter) con le date della relativa scoperta da parte dell’Autore:

Quattro antiche canzoni
    I. Rubato (1918)
   II. Andante (1914)
   III. Poco rubato (1914)
   IV. Andante (raccolto da Béla Vikár)
V. Scherzo (1918). Allegro
VI. Ballata (Tema con Variazioni). Andante (1918)
Antiche melodie di danza
   VII. Allegro (1910)
   VIII. Allegretto (1910)
   IX. Allegretto (1912)
   X. L'istesso tempo (1912)
   XI. Assai moderato (1910)
   XII. Allegretto (1907)
   XIII. Poco più vivo (1910)
   XIV. Allegro (1910)
   XV. Allegro (senza parole, per cornamusa) (1910)

La versione orchestrale comprende i numeri VI-XV (con modifiche al XII) ed esclude il XIII. Forse l’orchestrazione appesantisce un tantino la freschezza dei brani eseguiti alla tastiera, comunque sono meno di 10 minuti di sano folklore, proprio adatti ad aprire la serata.
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Ecco poi il Concerto per due pianoforti, percussioni e orchestra, dove ai due solisti alle tastiere se ne aggiungono altri due alle percussioni: Viviana Mologni e Simone Benvenuti.

Il brano è nato nel 1938 come una Sonata, quindi senza l’orchestra, aggiunta 4 anni dopo; il che ha comportato lievi modifiche rispetto all’originale nelle parti pianistiche.

Contrariamente alla tradizione di questo tipo di composizione, dove i due pianoforti sono collocati in orizzontale rispetto al proscenio e uno di fronte all’altro, con coperchi rimossi, qui le due tastiere dovrebbero essere messe in diagonale e i pianisti voltare le spalle al pubblico, come si desume dal layout previsto in partitura:

 

La macro-struttura formale è tutto sommato rispettosa della tradizione, ma con importanti e interessanti innovazioni: esaminandola nei dettagli (in Appendice riporto una sintetica guida all’ascolto del brano) si scopre che è una costruzione di autentica ingegneria musicale, nel trattamento dei temi, delle sonorità e delle tonalità, nel mirabile equilibrio dei rapporti tra le varie micro-strutture interne. 

Davvero travolgente l’esecuzione dei due simpatici fratelli, in grande sintonia con i due percussionisti della casa e con l’ex-percussionista sul podio! I due pianoforti erano disposti come di norma, affiancati e paralleli al proscenio: forse (ma è una mia ipotesi) questa disposizione  consente ai due fratelli di guardarsi negli occhi senza girare la testa… Si sono anche tenuti gli spartiti nella cassa degli strumenti, magari perché stanno per riprendere contatto con questo concerto, da loro eseguito già anni fa, e che dovranno rieseguire il 15 marzo a Colonia.

Successo clamoroso per tutti e così i due tulipani ci hanno offerto uno dei loro bis prediletti.
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Si torna, per così dire, alla campagna, con la pastorale Seconda Sinfonia di Brahms. Santonja ha tenuto, nell’iniziale Allegro non troppo, un tempo eccessivamente sostenuto (ma parlo ovviamente dei miei gusti personali). Così, arrivato alla fine dell’esposizione (questa è proprio una battuta velenosa, ha ha…) ha riguadagnato il tempo perduto… tirando diritto!

Assai bene invece il resto, con le deliziose melodie dell’Adagio non troppo e dell’Allegretto grazioso. Trascinante il conclusivo Allegro con spirito, chiuso trionfalmente dall’abbagliante carica degli ottoni!

Ormai in Auditorium gli applausi ritmati sono una consuetudine, che si è puntualmente ripetuta anche ieri.
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Appendice. Il Concerto di Bartók.

Seguiamo il Concerto in questa registrazione mexicana.

Primo movimento. Forma sonata. Tema introduttivo + 3 temi principali, il secondo ripreso in chiusura dell’Esposizione. Sviluppo in tre sezioni. Ricapitolazione dei tre temi e Coda.  
   
1’20” Introduzione (Assai lento). Rullo di timpani e poi entrano i due pianoforti a canone a distanza di tritono (Tema introduttivo).
2’09” Primo schianto.
2’43” Secondo schianto. Cadenza dei due solisti.
3’45” Terzo schianto a piena orchestra. (Un poco più mosso). Transizione (Poco a poco accelerando e sempre più agitato).
4’28” Otto colpi di timpano introducono l’Allegro molto, con l’esposizione del Primo tema. Dialogo pianoforti-orchestra con scambio di ruoli (fra tema e accompagnamento).
4’42” Transizione sul Tema introduttivo.
5’11” Primo Tema ripreso da archi e fiati.
5’24” Transizione.
5’46” Secondo tema (Un poco più tranquillo).
6’19” Transizione.
6’33” Terzo tema (Più tranquillo, poco a poco stringendo).
6’46” (Più mosso).
7’33” Ripresa del Secondo tema. (Meno mosso, tranquillo).
8’05” Transizione e chiusura dell’esposizione.

8’30” Inizio della prima delle tre sezioni dello sviluppo (Tempo I non troppo vivo).
9’02” Seconda sezione dello sviluppo (poco più lento).
9’25” Terza sezione dello sviluppo.
10’07” Transizione (Un poco tranquillo).

10’30” Inizio della ricapitolazione (Un poco maestoso). Primo Tema.
11’08” (Tranquillo). Secondo Tema. (Rallentando).
12’34” (Vivo). Terzo Tema.

14’15” Coda.

Secondo movimento. (Musica notturna). Macro-struttura A-B-A’ con diverse sottosezioni.

14’57” Sezione A. (Lento, ma non troppo). Introduzione con piatti e due tamburini.
15’21” Languido tema (notturno) nei pianoforti, sempre accompagnati dalle percussioni e con brevi interventi dei fiati.

17’13” Sezione B-1. (Un poco più andante). Piano-2 con note lunghe (minime) accompagnato da Piano-1 con quintine di semicrome. Il tempo accelera.
18’09” (Agitato). Climax (xilofono). Calmandosi.
18’20” Sezione B-2. (A tempo). Clustars nei pianoforti a canone, con pedale di controfagotto, corni e archi.
18’51” Sezione B-3. (Poco rubato). Veloci scale cromatiche nei pianoforti, progressivamente diradantesi.

19’25” Sezione A’. (Tempo I). Piano-2 riprende il tema notturno dalla Sezione-A. Piano-1 accompagna con svolazzi di biscrome (dalla Sezione B-3) poi con glissando ascendenti-discendenti.
20’12” (Un poco mosso). Il tema notturno è riproposto in forma inversa, poi (20’36”) condensato in due battute di accordi.

20'54" Coda. (Più andante). Tornano le quintine dalla Sezione B-1. 
21'03" (Tempo I). Su un tappeto dei fiati e i rintocchi dello xilofono, i pianoforti si congedano con quattro accordi che sfumano dal forte al piano.

Terzo movimento. Forma ibrida di Rondo-Sonata.

21’43” (Allegro non troppo). Dopo poche battute introduttive di pianoforti, legni e archi è lo xilofono ad esporre il Primo tema. Ripreso poi (21’57”) dai pianoforti.
22’08” Transizione.
22’21” Secondo tema, poi variato (22’32”) con un’accelerazione (Più mosso) e un improvviso schianto.  
23’01” Transizione.
23’12” (Tempo I). Terzo tema nei pianoforti, poi progressivamente Stringendo… Più mosso.

23’39” (Tempo I). Qu si può posizionare lo Sviluppo (in termini di forma-sonata) con la ripresa del Primo tema in tromba e tromboni, interrotto da improvvisa fermata. Questo lungo sviluppo – con lo xilofono assai in evidenza - si basa su una sapiente rielaborazione di spezzoni del Primo tema, che viene riproposto quasi integralmente (25’10”) prima di passare alla Ricapitolazione.  

25’25” (Più mosso). Ricapitolazione innescata sul Primo tema dagli archi accompagnati dall’impertinente xilofono. Si arriva ad un climax (Tempo I, 25’36”) che prelude al ritorno del Secondo tema (25’44”) in una variante che ricorda (ciclicamente) l’Introduzione del Concerto. Il tema è poi ripetuto (25’53”) nella sua forma originale.
26’02” Transizione.
26’17” Ritorno del Terzo tema, assai variato. Accelerazione dei pianoforti (Sempre strigendo).
26’59” (Tempo I). Riecco il Primo tema, pure variato, poi ripreso (27’13”) con ennesima variante.

27’26” Coda. Il suono va progressivamente sfumando, fino agli ultimi sommessi tocchi di piatti e tamburini. Silenzio.

14 maggio, 2022

laVerdi 21-22. Concerto 29


Il penultimo concerto della stagione (inserito nella prestigiosa rassegna Milano Musica) vede il gradito ritorno in Auditorium di Stanislav Kochanovsky (un russo sfuggito chissà come dalle grinfie del CoPaSir!!!) che dirige un programma est-europeo del ‘900. 

I primi due brani sono di Witold Lutosławski. Ecco la Musique funébre, per soli archi (da 44 a 66, divisi in 4 parti di violini e 2 parti di viole, celli e bassi) composta a partire dal 1954, 10° anniversario della scomparsa di Béla Bartók (protagonista della seconda parte del concerto) e terminata nel 1958.

Composizione davvero singolare per concezione e realizzazione, che si può ben definire di alta ingegneria combinatoria, in particolare per la struttura dei due movimenti esterni dei quattro in cui si articola.
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Esploriamola a volo d’uccello in questa interpretazione di Daniele Gatti con la ONF. Il Prologo (1’15”) si fonda sull’impiego di serie dodecafoniche ottenute per trasposizione, inversione e retrogradazione di due serie di base (S1 e S2, le prime entrate a canone dei due violoncelli) costruite alternando tritoni (a partire da FA-SI e SI-FA rispettivamente) seguiti da una seconda minore discendente (a); l’inversione delle due serie dà luogo a serie che alternano tritoni a seconde minori ascendenti (b):

Altre serie sono poi costruite a partire dalle restanti 10 note della scala cromatica. Possiamo interpretare (almeno io così mi sento di fare) il tritono come elemento di negatività (la morte, in effetti, e per di più crudele, come quella di Bartók) e la seconda minore come evocazione del lamento per quella morte.

La sequenza di entrate successive, dopo l’apertura dei due primi violoncelli, vede l’entrata delle prime viole, e via via dei violini e infine dei contrabbassi, che si aggiungono proprio a preparare il culmine di questa prima parte (3’19”) dove il tritono FA-Si viene reiterato pesantemente, poi sempre decrescendo con l’abbandono degli archi alti che lasciano solo celli e bassi (4’45”) a chiudere sommessamente sul FA.

Segue poi (5’09”) Metamorfosi, che parte da sordi pizzicati per poi (6’13”) evolvere in un continuo e lento crescendo melodico. La serie del Prologo viene ancora trasformata, la melodia culmina in volate di semicrome, che portano (10’07”) al breve...

Apogeo, solo 12 battute in fff dove l’intera compagine suona soltanto pesanti accordi di 12 note, tenuti e poi ribattuti. Un progressivo aumentare della lunghezza delle note (semicrome, crome, terzine di semiminime, semiminime, minima e breve) introduce (10’57”)...

l’Epilogo, che vede il ritorno in primo piano (11’31”) delle serie del Prologo, con il tritono SI-FA in posizione preponderante.

La chiusura (15’05”) è ancora riservata, come l’apertura del brano, al primo violoncello, che ripercorre spezzoni sempre più minuscoli delle ultime 4 note dell’inversione della seconda serie, che degrada di un semitono da quella fondamentale: MIb-LA-SIb-MI / LA-SIb-MI / SIb-MI / SIb / MI:

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Che dire? Musica che non è proprio delle più digeribili... Tuttavia, se diretta e suonata come si deve merita di essere apprezzata, come ha fatto il pubblico abbastanza folto non lesinando lunghi applausi a Direttore e musicisti, con il violoncello di Tobia Scarpolini sugli scudi.
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Ancora di Lutoslawsky ecco un brano vocale, Chantefleurs et Chantefables per soprano e piccola orchestra. Si tratta di un ciclo di 9 canzoni per bambini, scelte fra gli 80 testi surrealisti di Robert Desnos e composte fra il 1989 e il 1991:

1.   La Belle-de-Nuit

2.   La Sauterelle

3.   La Véronique

4.   L'Eglantine, l'aubépine et la glycine

5.   La Tortue

6.   La Rose

7.   L'Alligator

8.   L'Angélique

9.   Le Papillon

Ad interpretarle è il soprano Łucja Szablewska-Borzykowska, connazionale del compositore e al suo esordio qui in Auditorium. Musica atonale e canto che si avvicina allo Sprechgesang (tipo Pierrot lunaire...) La bionda Lucja sfoggia una bella voce lirica con la quale illustra tutte le sfumature di questi canti. L’Orchestra sottolinea discretamente la voce, salvo scatenarsi proprio nell’ultimo brano: l’invasione delle farfalle! 

E così - come premio - il Papillon ci viene bissato!
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Come detto, si chiude con Béla Bartók e il suo Divertimento per archi, commissionato dal, e dedicato al, mecenate della musica Paul Sacher e alla sua Orchestra di Basilea, che tenne a battesimo il brano l’11 giugno del 1940. Brano composto di getto in una villa di Sacher sulle Alpi svizzere nell’estate del ’39, quando Bartók ormai si stava rassegnando ad andarsene in esilio negli USA, abbandonando dolorosamente la sua amata Ungheria, sempre più risucchiata nell’orbita nazista.

Tre movimenti che richiamano, come spesso in Bartók, ritmi e melodie popolari, con chiare inflessioni modali, ma sono costruiti su forme classiche, dal settecentesco Concerto grosso all’ottocentesca forma-sonata.
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Ecco come li interpreta il compatriota di Bartók Eugene Ormandy. Si parte (9”) con un Allegro non troppo, che ha struttura di forma-sonata... con qualche libertà. Il primo motivo (in atmosfera di FA maggiore, con caratteristico accompagnamento di triplette) si sviluppa su 13 battute, poi viene ripreso (35”) per altre 11 battute. Cui segue un rallentamento che introduce (1’07”) un secondo motivo (Un po’ più tranquillo) - un passaggio tipico del Concerto grosso, con dialogo fra le prime parti (il concertino) e il pieno orchestrale - che parte in LA e si chiude su un unisono di FA. Il quale prepara il terreno al secondo tema (1’47”) assai lezioso, in ambientazione di RE minore (relativa del FA del primo tema) e sempre con dialogo soli-tutti. Lo sviluppo (3’09”) vede classicamente protagonisti i due gruppi tematici, con passaggi a canone più mossi alternati a prese di respiro; e porta poi (5’40”) alla ripresa: il primo tema viene riproposto, anzichè sul FA, sul SOL e sul DO, mentre è il secondo (6’31”) ad accodarsi al FA minore. Una coda (7’49”) basata su una rielaborazione (Più tranquillo, poi Sempre più lento) del primo motivo porta ad una sommessa conclusione.

Il centrale Adagio (9’02”) apre con l’esposizione di una cellula di tre note nei violini secondi, poi nei primi su un accompagnamento degli altri archi che passa da un ostinato serpeggiamento ad una certa increspatura (10’07”) proprio su una melodia (mahleriana?) nei primi violini. Dopo un breve rallentamento ecco un fortissimo RE acuto che introduce (11’02”) un’irruzione delle viole, che poi passano il testimone a violini primi, fino al sopraggiungere di un passaggio (12’34”) caratterizzato da instabilità agogica: ecco un‘alternanza di sostenuto, lento e agitato, ed un progressivo crescendo che culmina a 13’45”, seguito da un decrescendo. Ancora il dialogo fra soli e tutti (14’28”) e poi ecco (15’17”) il ritorno della cellula primigenia, fino (16’59”) ad un autentico grido di dolore prima della mesta chiusura.

Il terzo movimento (17’25”) è un Rondo in Allegro assai. Anche qui torna spesso e volentieri l’alternanza soli-tutti del Concerto grosso. Dopo 13 battute introduttive che stabiliscono il ritmo, ecco (17’35”) esposto il tema del Rondo, una derivazione di quello del movimento iniziale, quindi dalle chiare connotazioni della musica popolare magiara. Seguito (17’45”) da un controsoggetto dl carattere diatonico (MIb maggiore) che dopo un breve ponte a canone, sfocia (18’13”) in un perentorio unisono di FA# e prepara l’ingresso (18’26”) di una nuova sezione bipartita: un tema che peraltro riprende tratti del primo, seguito (18’45”) da un controsoggetto. Il primo tema si ripresenta a 18’52” per chiudersi su un nuovo unisono che introduce (19’13”) una sezione occupata da una fuga, il cui soggetto è presentato anche in inversione. Il tempo rallenta e a 20’03” (Più lento) abbiamo un assolo del primo violino chiuso da una classica cadenza virtuosistica. A 20’51” ecco 7 battute introduttive e poi riappare il tema principale, immancabilmente variato sia nel soggetto che nel controsoggetto. Un crescendo, con ritorno del dialogo soli-tutti, ci porta (21’43”, Meno mosso) ad una sezione che ripropone, sempre in nuove forme, i motivi del Rondo. A 22’34” (Più mosso) ecco un sottofondo di terzine di violini secondi e viole che supportano la ricomparsa del tema principale, che viene sottoposto ad un vorticoso sviluppo, che poi va progressivamente calmandosi fino a... fermarsi completamente su una battuta di pausa. Adesso (23’43”, Grazioso) abbiamo un intermezzo tutto in pizzicato, dal sapore di una polka leziosa e ...settecentesca, chiuso (24’08”) col ritorno all’arco per un accordo che dà il la alla stretta conclusiva (Vivace, poi Vivacissimo e ancora Stringendo) basata sul tema principale ostinatamente reiterato. A 24’36” ecco un ritorno (per 12 battute) al Tempo I per un’ultima leziosa comparsa nei soli del tema del Rondò. Cui seguono (24’42”) le 4 battute di esilarante chiusura.
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Un brano davvero geniale e ispirato, che Kochanovsky ci porge con la consueta compostezza di gesto, mentre - inutile aggiungerlo - l’Orchestra, capitanata da Luca Santaniello, ci mette... il resto. Grande successo per tutti.

07 maggio, 2022

laVerdi 21-22. Concerto 28


A tre giorni di distanza dall’annuncio del restyling del brand dell’Orchestra e del programma della prossima stagione, lo smilzo finnico Hannu Lintu è tornato qui in Auditorium, dove ormai ripassa con cadenza triennale: giugno 2016, giugno 2019 e ora maggio 2022. Alla sua prima comparsa si era già cimentato con lo Schumann sinfonico (4a) e ora del genio di Zwickau ci propone la celebre Terza.

Ma prima arriva Luca Buratto (artista in-residenza qui) per interpretare, di Béla Bartók, il Terzo concerto per pianoforte. Concerto che il compositore magiaro non riuscì a completare per sole 17 battute di orchestrazione del finale, raggiunto dalla morte il 26 dicembre del 1945 a NewYork. Una morte ormai attesa, il cui avvicinarsi potrebbe aver indotto Bartók a dare all’opera un taglio assai diverso da quello della sua precedente produzione, in particolare da quello dei suoi due altri concerti, composti 19 e 15 anni prima: in effetti un approccio assai più riflessivo, meno spigoloso e, per ciò che riguarda la tastiera, meno... percussivo.

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Esploriamolo sommariamente insieme a Hélène Grimaud e Pierre Boulez. Il primo movimento (Allegretto, tonalità MI) rispetta sostanzialmente i canoni della forma-sonata. Al primo tema, piuttosto tranquillo e sereno, esposto dal pianoforte, segue (45”) un lungo ponte dove l’orchestra è protagonista fino a 1’12”, quando il solista riprende le redini e porta al Tema 2 in SOL (2’11”) un po' più nervoso, che chiude l’esposizione. A 2’56” un inciso del primo corno apre la sezione di sviluppo, assai complesso, con almeno quattro parti in tonalità diverse sempre crescenti su una scala a toni interi (da LAb fino a SOL#) prima di arrivare (4’38”) alla ripresa del primo tema e poi (6’24”) del secondo, portato canonicamente sulla tonalità MI del primo. Una breve coda di 10 battute conduce alla fine, con un gaio intervento del primo flauto e un’ultima... sbirciatina del solista.

Segue ora (7’34”) l’Adagio religioso, in DO, che ha la semplice forma A-B-A’. Dopo 15 battute introduttive degli archi supportati dal clarinetto, il pianoforte (8’51”) presenta la sezione A in forma di solenne corale, caratterizzata da 5 domande-risposte con gli archi. A 12'14” inizia la sezione B, assai più mossa, che si può ben definire - sulla scia della beethoveniana Pastorale - ornitologica, articolata in tre ripetizioni bipartite del canto di uccelli, protagonisti oboe, clarinetto e flauto a provocare le risposte del pianoforte. A 14’02” ecco la ripresa di A che, rispetto alla prima presentazione, è affidata principalmente ai fiati, con il pianoforte a fare da contraltare. Si chiude con le battute introduttive del movimento, prima dell’attacco diretto al conclusivo Allegro vivace in MI (18’45”).

Qui abbiamo un classico (e semplice) Rondo, strutturato come A-B-A-C-A’ più una coda bipartita. È il pianoforte protagonista della sezione A, caratterizzata da ritmo sincopato, cui segue (19’27”) una transizione chiusa da un lungo intervento del timpano solo. La sezione B inizia a 19’42”, dapprima affidata al pianoforte solo, poi raggiunto dagli archi e quindi dai fiati. Altra transizione (20’39”) che ci porta al ritorno (20’52”) della sezione A. Dopo la relativa transizione (21’10”) ancora chiusa dal timpano, ecco la sezione C (21’20”) più distesa, che comprende (21’47”) un passaggio fugato e poi (22’29”) una lunga transizione che ci porta in crescendo all’ultima comparsa (23’10”) della sezione A (estesa).

Dopo due battute di pausa, a 24’19” ecco la prima parte della Coda, che prepara il rush finale (25’11”).
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Luca ne cava un’interpretazione davvero ispirata, che ha il suo apice nel corale dell’Adagio religioso, per poi chiudersi trionfalmente con il travolgente Rondo.

Il pubblico non proprio oceanico lo gratifica di ovazioni, così lui si congeda con un bis del suo amato Schumann: In der Nacht, n°5 delle Fantasiestücke op.12. 
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Ed eccoci alla famosa Renana, ultima delle 4 sinfonie composte da Schumann, a dispetto del n°3 di catalogo. Musica che viene da un cervello (temporaneamente) in pace con il mondo, tanta è la vitalità e la comunione con la natura che la ispira.
Lintu ce la restituisce in tutto il suo splendore, grazie ovviamente ad una compagine che la sa suonare divinamente: cito gli ottoni solo perchè hanno le parti più appariscenti, nelle grandiose perorazioni dei movimenti esterni e nel severo corale bachiano; ma tutti indistintamente si sono superati. Significativo l’omaggio che i ragazzi hanno voluto fare al Direttore, restando seduti a... calpestare il tavolato fra gli applausi della sala.

09 aprile, 2022

laVerdi 21-22. Concerto 24

L’appuntamento di questa settimana vede sul podio dell’Auditorium il 37enne Maxime Pascal, tornato qui dopo due anni per dirigere un concerto di musiche del ’900 e dello... ‘000 (che gli vanno assai a genio, a giudicare dal suo repertorio).  Auditorium tornato allo scarso affollamento: non si può suonare ogni settimana la coppia Mozart-Beethoven... ma certo il programma odierno è, per così dire, per stomaci forti, ecco.

È Silvia Colasanti ad aprire la serata con un suo brano orchestrale del 2007, Cede pietati, dolor - Le anime di Medea, un titolo quanto mai attinente alla tragica attualità. [A proposito, al nostro super-Mario è scappato il classico lapsus freudiano draghiano, quando ci ha chiesto di scegliere fra la pace e il condizionatore acceso... mentre anche i sassi capiscono che - caso mai - è la guerra che rischia di spegnerlo, il nostro condizionatore, e insieme a lui il 40% della nostra economia, fabbricanti d’armi esclusi.]

Il brano, come lascia intuire il titolo, è ispirato da un verso della Medea di Seneca, parole pronunciate da lei pochi attimi prima di trucidare i figli: un ultimo spiraglio di umanità, prima dell’efferato delitto:  

Perché esiti, anima mia? Queste lacrime, perché mi bagnano il volto? Di qua l'odio, di là l'amore, mi strappano, mi dividono, perché? Opposte correnti mi rapiscono, nella mia incertezza. Rabbiosi venti si fanno guerra spietata, flutto contro flutto si scatena, il mare ribolle e non ha sbocco: è così, proprio così, che il mio cuore è sconvolto. L'ira dà il bando alla pietà, la pietà all'ira. Rancore, cedi alla pietà.

I 12 minuti del brano evocano efficacemente lo stato d’animo disturbato di Medea: ondate di un mare in tempesta si abbattono sugli scogli, deboli spiragli di luce e di calma vengono regolarmente cancellati da nuovi uragani. Alle due estremità del brano pare di sentire un’atmosfera di DO, alla fine c’è una sospensione attorno alla dominante (MI-FA-SOL-SI); ma poi ecco lo schianto che fa presagire il peggio.

É un peccato che quest’opera si possa soltanto fruire live: non (mi) risulta esistano incisioni, a meno di qualche... pirata. Di sicuro anche qui il pubblico l’ha accolta con palese apprezzamento. 
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Segue poi un brano di rarissima esecuzione, il Concerto per violino e strumenti a fiato di Kurt Weill, compositore noto soprattutto per il suo sodalizio con il più celebrato Bertold Brecht. Ad interpretarlo è la 45enne Patricia Kopatchinskaja, dimostrazione vivente che dalla sottosviluppata Moldova non emigrano qui da noi esclusivamente premurose badanti, ma anche artisti di gran valore e di straordinaria umanità.

Il concerto è del 1924, catalogato quindi nella prima stagione della produzione di Weill, prevalentemente orientata allo strumentale, cui seguì quasi soltanto musica per il teatro (la cui perla è la Dreigroschenoper) e poi, in USA, per Broadway e Hollywood.

Oltre al violino solista e ai fiati sono in realtà previste in partitura anche alcune percussioni e pure i contrabbassi, i quali ultimi hanno funzione prevalente di supporto al ritmo, ma saltuariamente anche di protagonisti della melodia.

Come le - e anche più delle - altre composizioni strumentali del primo Weill, il Concerto si caratterizza per l’innovazione della forma (che pochissimo ha a che spartire con quella classica) e soprattutto per la spiccata atonalità, che ricorda il primo Schönberg e ha riflessi mahleriani e pure straussiani. Weill non abbracciò il nascente serialismo, anche se nel Concerto troviamo molte linee melodiche costituite da successioni di 9-10-11 note diverse della scala cromatica.

Un’interessante analisi delle caratteristiche del Concerto (e di altre tre composizioni strumentali di Weill immediatamente precedenti ad esso) si trova in questa tesi di laurea di 50 anni fa. Il primo movimento anzichè la classica forma-sonata presenta una struttura più vicina forse al rondò: A-B-C-B’-D-E-A’, e in esso compaiono non meno di 10 diversi temi! Il secondo movimento - più tonale - si articola in tre parti distinte: Notturno-Cadenza-Serenata. Il terzo si presenta con un saltarello e si spinge ancor più verso riferimenti tonali, chiudendo su una figura dominante-tonica di FA maggiore.      

La vulcanica Patricia si impegna al massimo (lo spartito tenuto sotto gli occhi testimonia che il brano non è proprio un suo... cavallo di battaglia, e direi comprensibilmente) ma la sua tecnica sopraffina non basta a fare di un onesto prodotto un capolavoro, ecco.

Comunque ci addolcisce la... pillola con un bis in combutta con il clarinetto del mitico Fausto Ghiazza
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Infine la Musica per archi, percussioni e celesta di Bela Bartók, del 1936, commissionata al compositore dal direttore d’orchestra e magnate rossocrociato Paul Sacher per la sua Orchestra da camera di Basilea.

Gli studiosi che hanno analizzato minuziosamente la tecnica compositiva di Bartók ci dicono come - accanto alle ricerche sulle musiche popolari del suo Paese, ma anche di Paesi balcanici e mediorientali (Turchia, ad esempio) - il compositore ungherese abbia anche impiegato tecniche derivate dalla matematica (che sappiamo fin dai greci avere con la musica legami indissolubili). Fra queste si cita ampiamente l’uso della Serie di Fibonacci e del concetto di Sezione aurea. Ed è proprio il brano eseguito qui che viene citato come esempio di tali impieghi, che vanno dall’uso di intervalli (per melodia e armonia) rappresentati esclusivamente da numeri presenti nella Serie del matematico Pisano (1-2-3-5-8 semitoni, cioè seconda minore, seconda, terza minore, quarta e sesta minore) alla suddivisione di un brano musicale in sezioni i cui numeri di battute siano parte della suddetta serie.

Testimonianza di ciò sarebbe (Ernö Lendvai, 1955) la struttura del primo movimento (Andante tranquillo) suddivisibile in sezioni che si estendono fra le battute 1-5-13-21-34-55-89, tutti numeri della serie incriminata. Questa osservazione è peraltro già stata mesa in dubbio (ad esempio da Gareth E. Roberts, 2012) in quanto affetta da inaccuratezze (banalmente: le battute sono 88 e non 89!) e forzature.

Ciò che invece è interessante di questo primo movimento è la sua forma peculiare: trattasi infatti di una Fuga caratterizzata da una successione di entrate delle diverse voci (inizialmente 5) che si muovono alternativamente sul circolo delle quinte: le entrate pari (2-4-6...) successive all’iniziale LA, passano a MI, poi a SI, quindi a FA#, a DO#, a LAb e infine a MIb (distante quindi un tritono dalla nota di partenza); quelle dispari (3-5-7...) si muovono invece verso il basso, quindi vanno al RE, poi al SOL, al DO, al FA, al SIb e infine al MIb, dove avviene il ricongiungimento con l’ultima delle voci ascendenti e si ha il climax del movimento. Da qui inizia il cammino inverso, caratterizzato dall’inversione dell’incipit del tema originale e del percorso sul circolo delle quinte: partendo dal MIb le entrate pari scenderanno a LAb, poi a DO#, quindi a FA#, SI, MI e finalmente a LA, mentre le dispari saliranno al SIb, FA, DO, SOL, RE per arrivare al LA su cui il movimento si chiude come si era aperto.

Come si vede, una struttura a dir poco ingegneristica (in realtà con qualche piccola... trasgressione alla regola che tralascio di citare) che, sommata all’intrinseca severità della forma (le barbare stranezze fiamminghe, copyright Camerata dei Bardi) può effettivamente rendere questo movimento assai ostico, per non dire indigeribile. Per curiosità, la celesta entra con i suoi liquidi arpeggi solo sulle battute 78-81.

Il secondo movimento è invece un Allegro in forma-sonata, uno scherzo indiavolato nel quale fa capolino anche un particolare strumento percussivo: il pianoforte. Come scrisse l’Autore: la tonalità di base è DO e quella secondaria è la dominante SOL (sacri canoni). Lo sviluppo ripresenta anche (in inverso) il tema della Fuga del primo movimento e poi anticipa quello del movimento conclusivo. La ripresa è in tempo (3/8) diverso da quello (2/4) dell’esposizione.

Segue poi il terzo movimento (Adagio, in FA#) a struttura ad arco, o palindrome (A-B-C+D-B-A). É introdotto da 5 battute dove è protagonista lo xilofono, che ribatte un FA naturale su un ritmo di... Fibonacci: 1-1-2-3-5-8-5-3-2-1-1! Ciascuna delle 4 sezioni riprende la corrispondente sezione del tema della Fuga del primo movimento. Celesta, arpa e pianoforte creano atmosfere notturne, quasi spettrali. Ancora gli acuti tocchi di FA naturale dello xilofono chiudono sul FA# tenuto delle viole e due sommessi colpi in DO dei timpani.

Il quarto movimento (Allegro molto, in LA) presenta non meno di 7 temi, strutturati in 4 sezioni, la penultima delle quali (prima del ritorno del tema principale) ripresenta, trasfigurato, il tema iniziale della Fuga. Un secondo pianoforte si aggiunge ad arricchire il volume di suono. Dopo alternanza di passaggi convulsi e più calmi, si chiude in un esilarante LA maggiore.

Pascal dispone pianoforte (solo uno) celesta e arpa proprio davanti a sè, come prescrive del resto la partitura; gli archi, che Bartók divide praticamente in due diverse orchestre, sono invece disposti in modo quasi tradizionale.

Esecuzione direi impeccabile, accolta da meritati applausi per Direttore e suonatori.