trump-zelensky

quattro chiacchiere al petrus-bar
Visualizzazione post con etichetta isolde. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta isolde. Mostra tutti i post

03 gennaio, 2008

Il Tristan di Chéreau-Peduzzi-Bickel: spettacolo sì... ma era Wagner?

Questa messa in scena del Tristan della Scala è stata da molti osannata e da alcuni vituperata. Fin qui, tutto normale, come si addice a qualunque circostanza del genere. Ma, come spesso accade, peana e stroncature sono motivati più da considerazioni estranee allo spirito e alla lettera della Handlung wagneriana, che non da precise valutazioni di merito.

Ormai si tende purtroppo a considerare - e quindi a giudicare - la messa-in-scena come un corpo separato dal resto dell’Opera, uno spettacolo fine a se stesso, senza tener conto che - massimamente in Wagner - essa è invece parte integrante del Gesamtkunstwerk e che le precise indicazioni didascaliche poste in partitura dovrebbero avere la stessa rilevanza - e meritare lo stesso rispetto - che si deve alle notazioni musicali e alle parole cantate dagli interpreti.

Intendiamoci: che Chéreau sia in grado di mettere in piedi una regia geniale, nessuno lo mette in dubbio (oltre ad averne le doti, è pagato - ed assai profumatamente - per questo); idem per le scene di Peduzzi o i costumi della Bickel. Ma geniale - e di sicurissimo effetto - sarebbe anche (per dirla con James Levine) lo scambio delle parti musicali fra la sezione degli archi e quella dei fiati (domanda: perchè ad un geniale musicista come Barenboim non è ancora venuta in mente, questa fantastica idea?)

Come è chiaro da questa premessa, non sarò affatto tenero con gli addetti ai lavori extramusicali di questo Tristan (musicisti, cantanti e direttore sono invece stati di livello assolutamente mitteleuropeo).

Qualche osservazione, dopo esperienza diretta dell’ultima rappresentazione, del 2 gennaio 2008.

La principale critica cui si espone questo allestimento sta nel fatto che esso, deviando ampiamente (quando non apertamente contraddicendole) dalle prescrizioni dell’Autore, finisce per trasmettere allo spettatore significanze e sensazioni diverse da quelle che l’Autore stesso aveva immaginato. O, nel migliore dei casi, introduce tali e tanti elementi di distrazione dell’attenzione dello spettatore da ciò che viene detto (cantato) sulla scena, da rendergli ardua la comprensione stessa del dramma, già di per se difficile per chi non conosce la lingua tedesca, o non si è più che assiduamente preparato facendo i compiti a casa, prima di andare a Teatro.

In particolare le scene (un poco anche i costumi) sono tali da appiattire i contrasti fra il mondo esteriore (ciò che appunto si vede) e gli stati d’animo dei protagonisti; e la regia, introducendo arbitrariamente elementi di eccessiva mobilità, contribuisce a distrarre lo spettatore, impedendogli di concentrarsi adeguatamente sui contenuti (di testo e musica).

Insomma: un allestimento che rende un cattivo servizio allo spettatore, prima e oltre che a Wagner; e che si fa apprezzare in misura inversa al grado di preparazione dello spettatore medesimo.


Atto I.
Nella prima scena Wagner prescrive un ambiente chiuso (da un tendaggio) e arredato con preziosi tappeti, mentre Isolde è abbandonata su un divano, con la testa fra i cuscini. Vuole evidentemente mostrarci lo stridente contrasto fra lo sfarzo materiale da cui Isolde è circondata (una Principessa che va sposa ad un Re, non so se mi spiego!) e la totale miseria spirituale che invece possiede il suo animo. L’attenzione deve essere tutta concentrata su questa dissociazione che caratterizza la psiche di Isolde, perdutamente innamorata di un uomo che non potrà avere (ma che dovrà vedersi accanto quotidianamente) e costretta a subire la vuota apparenza esteriore delle ricchezze che la circondano. Insomma: l’idea di una prigione dorata. Solo così si comprende appieno il drammatico sfogo di Isolde: “che questa nave se ne vada in malora, con tutto e tutti!”

Chissà perchè, invece, la scena di Peduzzi è uniforme, spoglia, tetra e grigia, e lo spazio è da subito aperto, lasciando più che intravedere le prosaiche attività della vita di bordo; su un vascello, per di più, che è l’esatto opposto di una ricca nave regale, ma assomiglia ad uno sgangherato e lurido mercantile. Se si voleva ambientare la scena nei nostri tempi, allora si doveva prendere una love-boat, non certo una carretta del mare, dove oggigiorno si stipano dei disgraziati clandestini! Quindi quel contrasto - fra lo sfarzo esteriore e la condizione psicologica di Isolde - si perde totalmente: anzi, lo spettatore riceve l’impressione - del tutto fallace - che lo stato d’animo di Isolde, e la sua successiva imprecazione, siano conseguenza della miseria di quell’ambiente inospitale, mentre le cose stanno in ben altro modo, come sappiamo!

Alla fine della prima scena Brangäne scosta la tenda, a seguito dello sfogo di Isolde (Luft!, Luft!): ora - ma solo ora, cari Chéreau-Peduzzi - nella seconda scena, si deve vedere tutta la nave, in particolare Tristan. C’è lui, indubitabilmente, dietro il “bisogno di aria“ di Isolde, che infatti immediatamente lo individua - così prescrive Wagner - e lo fissa intensamente, mentre lui guarda il mare, pensieroso. L’atteggiamento sbracato di Kurwenal ancora qui deve rappresentare un altro contrasto, quello che oppone l’oscuro sentimento che divora Tristan al goliardico cameratismo del suo entourage.

Ma, invece di marinai col morale alto, noi vediamo qui una ciurma di salariati, che sembra quasi sulla soglia dell’ammutinamento, il che stride maledettamente con ciò che si ascolta: l’intervento del coro dopo le parole di Kurwenal, caratterizzato da sana virilità e da allegro sarcasmo!

Altro particolare, non proprio secondario: qui è Brangäne che si deve muovere verso Tristan, attraversando la nave da prua a poppa; solo all’inizio della quinta scena sarà Tristan a muoversi verso Isolde, dimenticandosi il pretesto di dover reggere il timone, pretesto che invece viene impiegato qui per rifiutare l’invito di Brangäne. Queste due diverse direzioni di traffico non sono per nulla casuali, ma sono parte del sottile gioco psicologico, un vero e proprio braccio di ferro, che è in atto fra i due protagonisti.

Se invece i movimenti dei personaggi sono abbastanza caotici (Brangäne che va e e viene, e parla più rivolta a Isolde che a Tristan, Tristan che scende dalla cabina di pilotaggio del cargo e avanza verso il centro della scena) quella differenza sostanziale non si percepisce e con ciò si perde comprensione delle implicazioni psicologiche che essa contiene.

Kurwenal (seguito poi dal coro) deve cantare dietro a Brangäne che si allontana, come un cane che continua ad abbaiare ad un intruso che viene cacciato. E il canto è pieno di sarcasmo, è quasi uno sfottò. Invece ciò che si vede è in totale stridore con ciò che si ascolta: Kurwenal e la ciurma che si muovono quasi con cattiveria, addirittura arrivando a spintonare qua e là la povera ancella...

Tornando da Isolde, Brangäne deve richiudere ermeticamente (sic! Wagner) la tenda poichè, nella terza scena, avrà luogo il colloquio riservato di Isolde con l’ancella, tutto incentrato sul racconto dei precedenti intercorsi fra Isolde e Tantris-Tristan, sulla disperante prospettiva che Isolde confessa a Brangäne e sulla sua conseguente decisione di servirsi del filtro di morte per metter fine alle sue pene. Invece qui resta tutto aperto e la cosa si aggiunge alla miseria dell’arredamento (e in particolare delle suppellettili: una lurida cassona rimpiazza il prezioso scrigno che conserva i filtri) nel distrarre la concentrazione dello spettatore.

All’inizio della quarta scena, Kurwenal deve irrompere spostando le tende, per annunciare che Tristan aspetta Isolde per accompagnarla dal Re. Tanto che Isolde sobbalza letteralmente! Qui invece lo si vede arrivare... da lontano. Poi Isolde, uscito Kurwenal, ordina all’ancella di preparare il filtro. E qui c’è un apparentemente piccolo particolare: la coppa destinata a ricevere il filtro deve essere d’oro (sic! infatti Isolde lo canta, proprio esplicitamente: “In die goldne Schale...“). Non è certo questo uno sfizio decadente di Wagner, ma la volontà di rappresentarci - ancora una volta - lo stridente contrasto fra la preziosità del contenitore materiale - che dovrà essere usato nientemeno che in occasione di un ufficiale brindisi diplomatico, a suggello di un trattato di pace! - e la miseria del suo contenuto spirituale. Questo contrasto si perde totalmente se - grazie a Chéreau e Peduzzi - si impiega una volgare, bianca scodella da latte, presa dalla misera dotazione di bordo, che non fa che appiattire tutto, e per di più contraddice in modo quasi ridicolo le precise parole pronunciate da Isolde. Ecco qui un piccolissimo, ma significativo, esempio delle gratuite stupidità del Regietheater.

La quinta scena si apre con l’ingresso di Tristan nel locale che ospita Isolde. Tutta la scena che porta al brindisi dovrebbe svolgersi a porte chiuse; soltanto quando si odono le voci dei marinai, che vengono dall’esterno, Tristan e Isolde si svincolano dall’abbraccio, prima che le tende vengano scostate. E dopo che le tende sono state aperte, e la ciurma ha potuto avere accesso alla vista di Tristan e Isolde, questi restano in reciproca contemplazione, fino a che Brangäne pone il manto regale sulle spalle di Isolde e Kurwenal pronuncia l’epicinio di Tristan. A questo punto Isolde deve cadere svenuta (sic!) nelle braccia di Tristan, e Brangäne la fa soccorrere dalle donne, mentre Tristan canta “O voluttà piena di frode! O felicità consacrata dall'inganno!”, prima della cadenza finale del coro, sul sipario che cala. E ancora una volta Wagner ci vuol mostrare un lancinante contrasto: fra la tempesta che si agita nei cuori dei due amanti - che deve ovviamente essere in primo piano - e la gran festa esteriore, che le fa da sfondo (Wagner lo scrive chiaramente: dall’esterno).


Invece i nostri fanno irrompere in primissimo piano e anzitempo masse di gente, a mescolarsi con i due protagonisti, col mantello che, invece che da Brangäne, viene portato a Isolde da diverse comparse e con Tristan addirittura sequestrato in un angolo da altre; e finalmente fanno apparire a bordo Re Marke. Di lui sappiamo, da Kurwenal, che è su una scialuppa che si avvicina alla nave, osannato dalla folla e dai marinai, che sventolano i berretti. L’ultima didascalìa del primo atto, subito prima che il sipario cali, quindi dopo che Isolde è svenuta fra le braccia di Tristan, ci informa che della gente è salita a bordo, scavalcando il parapetto della nave, su cui altri hanno appoggiato una passerella, e che tutti sono in attesa dell’arrivo degli attesi. Insomma: nessun indizio preciso ci porta a pensare che Re Marke sia già salito sulla nave, anzi la cosa sembrerebbe proprio da escludersi. La scena della consegna della promessa sposa a Re Marke ci verrà descritta con maggiori dettagli nel secondo atto, da Brangäne, che racconterà di Isolde, appena in grado di reggersi, portata verso il Re dalla mano tremante di Tristan, e di Melot che scruta insistentemente l’atteggiamento dell’eroe.

Invece Chéreau-Peduzzi ci mostrano Marke che raccoglie Isolde dal pavimento, mentre Tristan è sempre trattenuto in disparte da un gruppo di comparse. Così vediamo un sacco di gente, e Re Marke in persona, testimoni di una situazione - del tutto gratuita qui - di “tresca in flagrante“, che invece dovrà caratterizzare la fine del secondo atto (è lì che Re Marke deve fare la sua apparizione fisica, che sarà tanto più efficace proprio perchè prima, di lui abbiamo solo sentito parlare).


Insomma, tutto lo spirito della conclusione dell’atto viene stravolto, facendovi prevalere il gran bailamme esteriore, che invece dovrebbe restare sullo sfondo, a far da contrasto con il dramma dei due amanti.

Atto II.
È un atto così nudo e statico che soltanto una pervicace volontà distruttiva di regista e scenografo potrebbero fargli seri danni... e grazie al cielo Chéreau e Peduzzi si sono ben guardati dallo scatenare il loro genio in questa direzione. Ma una critica si può anche qui avanzare: perchè ostinatamente si devono bandire i segni esteriori?

Se Wagner scrive di un sedile fiorito, su cui si svolge quasi interamente la seconda scena, non lo fa di certo con intento banalizzante, ma per mostrare - qui, agli antipodi rispetto al primo atto - la totale assenza di contrasto fra lo spirito che ora alberga nei due cuori e la natura circostante, che adesso è benigna, amica, quanto era stata in precedenza ostile ed insopportabile. Peduzzi si attiene ad un certo minimalismo, che almeno è innocuo, ma che toglie non poco all’insieme. E poi - per dimostrare di esistere? - fa proprio una cosa da bastian-contrario. Nella scena del duetto d’amore, abbiamo un tetro e freddo ambiente, senza un filo d’erba e men che meno fiori. Poi, nella terza scena, dove avviene il fattaccio, si apre lo sfondo e ci fa vedere un pezzo di castello con verdi piante ornamentali!

Anche qui la regia - per mettersi in luce? - si prende delle libertà gratuite: in tutta la seconda scena Tristan e Isolde devono stare vicini, che più vicini non si può... invece qui li vediamo per lo più disgiunti, addirittura a metri e metri di distanza, come se ancora si fosse nel primo atto dove fra i due si svolgevano psicologiche schermaglie.

Atto III.

Didascalìa di pugno di Wagner: ambiente dimesso, castello semi-diroccato, erbacce ovunque, un gran tiglio, sotto il quale giace Tristan. Sarà anche una sua fissazione, ma per Wagner - come per altri tedeschi, musicisti e no - il tiglio deve pur significare qualcosa: lo troviamo nel Siegfried, a ristorare lo stanco eroe e ad ispirargli il pensiero della madre (pensiero che prende anche la mente di Tristan); e nei Meistersinger, dove profuma l’aria della splendida notte d’estate ed è testimone del commovente colloquio fra Eva Pogner e il padre Veit.

Per carità, Chéreau-Peduzzi abbassarsi a tanta sdolcinata oleografia? Che geni sarebbero? Mica sono ripetitivi loro, come quel routinario di un Barenboim che si ostina - più di 150 anni dopo! - a suonare ancora il Preludio Atto III proprio come Wagner lo ha scritto sul pentagramma, senza spostare una sola nota o un arco di legatura! No, per i nostri geni Kurwenal ha depositato Tristan ferito in un posto che assomiglia ad una delle stazioni della metropolitana di Roma, costruite nel '90 per i mondiali, e poi abbandonate: in un posto dove non c’è un filo d’erba, sullo sfondo il muro romano (vero!) e un pò di terrapieni e fondazioni incompiute, altro che tigli! Però, allorquando Tristan si desta e chiede a Kurwenal “dove mi trovo?”, lo scudiero candidamente risponde: “ma sei a Kareol, nel castello dei tuoi avi, non lo riconosci?”

Tristan dovrebbe rimanere sempre nel suo giaciglio, al massimo sollevandosi un poco, fino all’annuncio dell’arrivo di Isolde, e Kurwenal accanto a lui, a raccoglierne i deliranti ricordi. Nessun altro, salvo il pastore di cui si dovrebbe vedere solo il busto che emerge da un parapetto. Bene, qui abbiamo (almeno quelle che ho contato io) ben altre otto comparse affaccendate attorno a Tristan! E poi Tristan che si alza anzitempo dal giaciglio e percorre strisciando o carponi mezzo teatro, salendo gradini e raccontandoci in questo modo le sue deliranti esperienze esistenziali. Altra comica allorquando Kurwenal, pronunciando chiaramente le parole “tu Tristan rimani sul tuo letto” lo adagia su un lurido cassone di legno, di cm.50x50x70, isolato in mezzo alla scena!

In sostanza: invece di una scena che doveva essere tutta concentrata su un Tristan quasi immobile, che ci canta il suo strazio, abbiamo qui una messe di elementi dispersivi, che finiscono per distrarre anche lo spettatore più preparato (o forse sono appositamente realizzati per evitare che lo spettatore impreparato si esasperi e se ne vada anzitempo?)

Altra incongruenza gratuita: l’incontro fra Tristan e Isolde. Wagner ci dice che, mentre Isolde entra in scena, Tristan - che solo ora si deve alzare dal giaciglio - le si fa incontro barcollando e cade nelle sue braccia. Che vediamo invece qui? Isolde che arriva dal fondo della scena e Tristan che si trascina bocconi fino sul limitare del proscenio, quasi stesse cercando di sfuggirle! E Isolde dietro a rincorrerlo!

Poi c’è un’altra forzatura allorquando arrivano Melot e Marke: Wagner ci descrive con pochi tratti di didascalìa e con poche parole di Kurwenal, del timoniere e poi di Melot e Marke stessi una lotta fra assedianti e assediati. Poi ci si dovrebbe concentrare solo sui personaggi principali: Marke, Kurwenal, Isolde - china su Tristan morto - e Brangäne che la soccorre e sostiene. Qui invece abbiamo un bailamme indescrivibile in cui persino la morte di Kurwenal si perde, in mezzo a mosse di karatè e a calci e cazzotti menati in tutte le direzioni!

E veniamo - amarus in fundo - al Liebestod, il momento conclusivo. Secondo le precise indicazioni di Wagner, Isolde lo dovrebbe cantare fissando continuamente il cadavere di Tristan, sul quale deve alla fine scivolare - come trasfigurata - sostenuta, e quasi accompagnatavi, da Brangäne, che la tiene fra le braccia già da quando Marke canta l’ultima sua accorata esternazione. Anche qui, c’è un preciso significato di ciò che si dovrebbe vedere sulla scena. Il rapporto fra Tristan e Isolde, fin dall’inizio, è stato mediato dall’ancella: è lei che porta il primo messaggio a Tristan, è lei, soprattutto, che versa il filtro d’amore nella coppa, è lei che, nel secondo atto, cerca di dissuadere Isolde dal prendere un rischio eccessivo, mettendola in guardia da Melot, e poi veglia sulla notte d’amore dei due (incastonando mirabilmente il suo “Habet acht!” proprio sul motivo che farà da base al Liebestod); è lei, infine, che giunge premurosa a raccogliere Isolde dopo il suo ultimo canto. Insomma, Brangäne rappresenta quasi la coscienza dei due (incoscienti) amanti. Che i tre personaggi, Tristan, Isolde e Brangäne debbano restare vicini, quasi abbracciati, alla conclusione del dramma (come Wagner scrive, e prescrive in partitura!) ne è una necessaria implicazione.

E invece, cosa vediamo noi oggi, grazie al Regietheater di Chéreau? Brangäne seduta del tutto in disparte, mescolata ad altre comparse, e Isolde che - dopo poche battute del Liebestod - si alza e se ne va per i fatti suoi, con un rivolo di sangue che le scende dalla fronte (una trovata spettacolare questa, geniale quanto gratuita!) e infine stramazza al suolo (due volte, essendoci forse i saldi da ultima rappresentazione?) nell’atto di abbandonare la scena, sola soletta...
.
Morale? Avec Wagner tout se tient, avec Chéreau... (ahilui e ahinoi!)

01 dicembre, 2007

Duetti wagneriani

Va da sè che il titolo è irriverente verso il Wagner del Tristan, e pochissimo applicabile al Wagner tout-cour. Sa di opera italiana a numeri, quanto di più distante dalla concezione wagneriana del musik-drama. Però serve ad intendersi sommariamente.

Lo sbudellante ed interminabile duetto che occupa 2/3 del secondo atto del Tristan è perfettamente inserito nel disegno unitario dell’opera, ma è anche in qualche modo legato, quasi ne fosse cerniera, ad altri due duetti che lo precedono e lo seguono cronologicamente, nella parabola compositiva di Wagner.

Sappiamo che Wagner, per dedicarsi al Tristan, nel 1857 abbandonò la composizione del Siegfried, alla fine dell’Atto II. Un anno prima, o giù di lì, Wagner aveva completato la Walküre, il cui primo atto è occupato, nella seconda parte, da un altro strepitoso duetto, quello fra Siegmund e Sieglinde.

Di durata inferiore e - inutile ricordarlo - di assoluto diatonismo, questo duetto tuttavia rappresenta quasi la prova generale di quello del Tristan, e ne prefigura anche alcuni aspetti tecnici, come ad esempio la serie di modulazioni a partire da “was in Busen ich barg”, o il trascinante alternarsi delle linee melodiche, perfettamente modellate sul tracciato del dialogo dei due gemelli-amanti.

Insomma, a parte gli stimoli che portava in sè da parecchio, ulteriormente e carnalmente amplificati dal rapporto con Mathilde, è possibile che la straordinaria riuscita, in termini drammatico-musicali, del duetto dei gemelli Wälsi abbia dato a Wagner la spinta definitiva ad affrontare senza indugi - e lasciando il povero Siegfried ad aspettare sotto il tiglio - l’impresa stratosferica del Tristan.

Ma attenzione! Al ritorno dal tristaniano aldilà (im weiten Reich der Weltennacht...) il nostro aveva di fronte, indovinate? un’altra bella gatta da pelare: il duetto Siegfried-Brünnhilde! Una freudiana enciclopedia dell’iniziazione sessuale! E ciò che nel Tristan viene inghiottito dal diluvio cromatico che sostiene la schopenaueriana visione del mondo della sehnsucht, nel Siegfried riemerge nell’abbagliante luce solare del leuchtende Liebe, lachender Tod! Con tanto di ritorno al diatonismo, dopo il bagno peccaminoso nel venefico filtro, nel furchtbare Trank...

Poi, prima di lasciar cadere l’orologio, il nostro musicherà la versione più straordinaria, e invero pazzesca, del duetto d’amore, dove la donna usa l’insano mix di amore materno e meretricio per adescare l’uomo, e desta in lui l’amore universale ed assoluto!

27 novembre, 2007

Deliri

a. (sehr lebehaft) 3-4-3-3-4-3-4-3-4-4-3-4-4-4-3-3-3-3-3-3-3-3-3-3-3-3
(accel.) 3-3-3-3-5-5-5-5-5-5-5-4-4-4
b. 3-4-4-3-4-4-3-4-3-4-3-3-3-3-4-3-3-3
c. 3-3-3-5-5
d. 5-5-4-4 (accel.) 4-4-3-3-3-2-2-2-2

I musico-tecnici avranno già capito trattarsi della sequenza di 76 misure (le cifre rappresentano il numero di semiminime per ciascuna di esse) dell’inizio della penultima scena del Tristan: sostengono l’ultimo stadio del di lui delirio, dal momento in cui Kurwenal lo lascia - per andare a prendergli Isolde, appena sbarcata - a quando Isolde entra a sua volta in scena.

La continua irregolarità del tempo musicale è lo specchio di quella del tempo psichico di Tristan, ed anche di quella dei suoi movimenti fisici. La didascalìa ci avverte che lui è:

(a.) dapprima preso da massima agitazione (O diese Sonne...) mentre ancora è sdraiato sul suo giaciglio, poi
(b.) si drizza completamente (Mit blutender Wunde...) quindi
(c.) strappa le bende dalla ferita (Heia, mein Blut) e infine
(d.) balza dal giaciglio ed avanza barcollando (Die mir die Wunde...)

(Parentesi malignotta, stanti i precedenti: Chéreau ci farà caso, alle didascalìe scritte in partitura, o si inventerà qualcos’altro di sana pianta? Se non si fosse capito, personalmente giudico il cosiddetto Regietheater alla stregua di un crimine da perseguire penalmente...)

Già Händel aveva usato (Orlando) la metrica di 5/8 per descrivere lo stato d’animo di persone in preda alla pazzia o all’isteria. Poi invece Ciajkovski musicherà nel claudicante tempo di 5/4 l’intero secondo movimento della sua “Patetica”, ma per richiamare il ritmo di danze popolari, non certo per descrivere un dramma psichico. Lo stesso Mahler impiegherà in molte sue composizioni - a volte in modo superficiale e gratuito - la tecnica dei continui salti di tempo.

Personalmente trovo - se non proprio una similitudine stretta - quantomeno un’analogia nell’ambientazione psicologica di questo passaggio con quello di cui è protagonista Florestan, all’inizio del secondo atto del Fidelio (sappiamo quanto Wagner ammirasse Beethoven); in particolare con la frase Und spür ich nicht linde... - un poco allegro, dopo l’adagio di In des Lebens Frühlingstagen... - con cui Florestan manifesta, anche lui in preda ad una specie di delirio (Wahnsinn, si legge in partitura) il presentimento dell’arrivo liberatore di Leonore.

Sono stati di un animo alterato o irresistibili e spaventevoli pulsioni della psiche (Dies furchtbare Sehnen...) quelli che in entrambi i casi vegono stupendamente rappresentati in musica.

22 novembre, 2007

Il Tristan di Chéreau/Peduzzi/Bickel

Si sa poco ancora della regia, ma qualcosa comincia almeno a trapelare su scene e costumi.

Un paio di servizi del TGR Lombardia hanno presentato - con immagini dall’Ansaldo - le strutture generali delle scene di Peduzzi per i tre atti del dramma e alcune idee sui costumi della Bickel.

Scene:
1. un muro romano (proprio copiato, con tanto di calco, da un edificio di Roma);
2. una pietra liscia e piatta;
3. una diga, o sbarramento marino.

Come interpretarli?

Il muro (ma perchè proprio romano?) del primo atto non può che rappresentare - per l’appunto - il muro di incomunicabilità che separa Tristan e Isolde. I due si amano fin dal momento dello sguardo, ma i rispettivi complessi (presunzione, superiorità, costrizione psichica, schizofrenia, insomma) gli impediscono di dichiararsi il reciproco amore. Anzi, la frustrazione che da ciò si crea nelle rispettive psiche, li porta dall’amore all’odio, e ai propositi di distruzione (di sè e/o dell’altro).

Se l’interpretazione è corretta, ci sarebbe da aspettarsi che - bevuto il filtro da parte dei due protagonisti - il muro si volatilizzi, oppure si trasformi - sdraiandosi - in un ponte che permette ai due di riunirsi.

La pietra piatta e liscia del secondo atto potrebbe rappresentare l’assenza totale di freni inibitori, che ormai caratterizza i rapporti fra i due. La nuda esposizione delle loro anime, che progressivamente e reciprocamente si spogliano di tutte le incrostazioni e le sovrastrutture che caratterizzavano la loro precedente dimensione mondana.

Lo sbarramento marino dell’atto finale ripropone, in certa misura, il concetto di ostacolo, che ancora torna a frapporsi fra i due amanti; forse non è più il muro - artificiale e artificioso - di incomunicabilità, ma un quasi naturale impedimento a che il mare (l’infinito...) li possa accogliere, finalmente uniti, per l’eternità.

La venerabile Moidele Bickel pare abbia pensato a costumi fuori da ogni contesto storico, e ciò sarebbe assolutamente condivisibile: non siamo nè a Gottfried von Straßburg, nè a Ibsen... ma nel regno della sehnsucht, al di là del tempo e dello spazio. Quindi: colori anonimi (nero e molto grigio... a parte un gran drappo rosso per Isolde Atto II) e forme decontestualizzate.

Il peggior torto che si può fare allo spettatore del Tristan è di distrarlo dal dramma - tutto interiore - con la spettacolarizzazione di scene e costumi.

16 novembre, 2007

Tristan und Isolde: una tesi freudiana (II)


.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
Premessa.
Nel primo atto, Wagner ci fa di Tristan e Isolde due ritratti - per certi aspetti - simili, o speculari (sono entrambi affetti da acuta schizofrenia) ma per altri assai diversi; in particolare:
- Isolde racconta i suoi sentimenti: a Brangäne e a tutti noi, ma non a Tristan; a quest’ultimo racconta più che altro cose inverosimili, o come minimo provocatorie;
- Tristan invece, i suoi sentimenti non li racconta proprio a nessuno (nè a Kurwenal, nè a noi, nè tanto meno ad Isolde).
Già in ciò possiamo forse individuare un tratto che oggi si definirebbe maschilista nel carattere di Tristan, ma in realtà di Wagner medesimo. (Ne avremo una chiara conferma al momento dell’assunzione del filtro: Isolde lo programmerà come atto congiunto e unificante, mentre Tristan lo eseguirà smaccatamente da solo, a titolo personale.)
___

Dunque, Tristan e Isolde, al primo sguardo, si sono innamorati. O meglio: nelle rispettive psiche è scoccata una scintilla, si è prodotta la classica oscillazione brusca, tipica dei sismografi allorquando rilevano un - vicino o lontano - terremoto.

Che Isolde sia innamorata, ce lo dice - ma proprio esplicitamente - lei stessa, all’inizio della Scena II: Mir erkoren, mir verloren, hehr und heil, kühn und feig! Todgeweihtes Haupt! Todgeweihtes Herz! Non c’è dubbio che si tratti di una straordinaria dichiarazione d’amore. Però si tratta di un amore impossibile, quello di una donna per un uomo votato - ragione e sentimento - alla morte! Uno - crede lei - per il quale l’amore è una categoria sconosciuta, che non trova posto nella sua Heldenleben (per questo, oltre che kühn - ardito - è anche feig - vile!) Essendo lei prigioniera della sua stessa presunzione, oltre che delle convenzioni, si guarda bene dal fare il primo passo verso l’amato.

Tantris, guarito da Isolde, torna come Tristan in Cornovaglia, ma quella scintilla, scoccata nella sua psiche, ha ormai fatto divampare un fuoco che comincia a consumarlo insopportabilmente. Come ammetterà nell’Atto II, in fondo al cuore (...bis in des Herzens tiefsten Schrein) la ama, ma contemporaneamente il suo subconscio comincia ad odiarla, come responsabile di avergli creato questa condizione, per lui innaturale: ma come! un puro eroe che si è fatto irretire da una donna? Per di più così superbamente fiera (...so rühmlich schien und hehr...) che gli pare irrangiungibile, a meno che lui non si abbassi ad abdicare all’intero suo sistema di valori. E questo è ancora nulla: la donna in realtà ha anche in mano la sua vita, e non una, ma due volte addirittura: per avergli risparmiato una sicura morte (la spada lasciata cadere), e poi per averlo curato e rimesso in salute.

Questa doppiezza di sentimenti (schizofrenia amore-odio) ingenera in Tristan l’idea di un folle disegno: far sì che lei sia costretta ad essergli vicina, così da porla davanti ad un’alternativa secca: rodersi nell’ansia per il resto dei suoi giorni, o cedere e dichiararsi a lui. Null’altro spiega perchè Tristan convinca, quasi obbligandolo, Re Marke ad accettarla in sposa e pretenda di essere lui stesso a recapitargliela, andandola a prelevare in Irlanda.

Non è quindi il codice cavalleresco a determinare il suo comportamento, bensì la tremenda frustrazione (e relativa dissociazione) che lacera la sua psiche! E già dal viaggio di ritorno, sulla nave che ci appare all’alzarsi del sipario, Tristan mette in atto il suo piano: restare a portata di sguardo di Isolde, e contemporanemente ignorarla. Costringerla ad uno psicologico logorante braccio di ferro, da cui lei esca comunque piegata: o rassegnandosi a subire una perenne sofferenza, o cedendogli finalmente (nel qual caso a Tristan basterebbe dare un semplice comando alla ciurma: virare a dritta di 90°, e volgere la prua a sud, invece che ad est!)

Che Tristan in cuor suo aspetti quest’ultimo evento risulta inequivocabilmente chiaro dal suo trasalire (auffahrend) e dalla sua emozionata esclamazione (Was ist? Isolde?) all’annuncio fattogli da Kurwenal dell’arrivo del messaggio recato da Brangäne. Ma subito si ricompone (Er fasst sich schnell...) e per ora continua a tirare la corda, rifiutandosi di far visita ad Isolde, con la scusa di dover reggere il timone.

Isolde, dal canto suo, è ormai convinta, dal comportamento tenuto da Tristan, che egli per davvero la consideri nulla più che un oggetto da regalo (per Marke). Lo ama, ma contemporaneamente comincia ad odiarlo - e non solo per la sua indifferenza, ma anche per la sua ingratitudine - e a meditare sull’insopportabilità del suo proprio futuro: Ungeminnt den hehrsten Mann stets mir nah zu sehen, wie könnt ich die Qual bestehen?

Analizziamo un attimo lo stato in cui si trova la sua psiche: lei si è innamorata dell’uomo che le ha appena ucciso il promesso-sposo, quindi subisce già per questo una gigantesca costrizione psichica, con annesso senso di colpa; per di più, l’uomo di cui si è innamorata la ignora bellamente (frustrazione...) Insomma: lei ama perdutamente un tale che le ha distrutto la felicità passata e contemporaneamente le nega quella futura! Davvero una condizione insostenibile!

E quindi decide di farla finita... Da sola? Fosse così, le basterebbe tracannare il filtro di morte dall’ampolla che lei stessa ha chiaramente contrassegnato! No, evidentemente anche Tristan deve morire, per pagare la sua colpa, il suo peccato di presunzione e di superbia; e affinchè - almeno nella morte - i loro destini si possano incontrare. Il problema di Isolde, a questo punto, è: come creare l’occasione per il mortale brindisi con lui?

Quando Kurwenal la sollecita a prepararsi per essere accompagnata da Tristan verso Marke, è lei a trasalire e rabbrividire: il viaggio sta per concludersi, e l’occasione rischia di sfumare! E allora trova un pretesto - la riconciliazione dovutale per una colpa non espiata - per incontrare Tristan prima dello sbarco. E fa preparare a Brangäne il filtro di morte, per Tristan e per sè.

Tristan - anche per lui ormai il tempo stringe - adesso dimentica il pretesto del timone e si presenta ad Isolde, ma con atteggiamento formale, scruta le intenzioni della donna (segretamente spera ancora e sempre nel miracolo?) risponde con frasi fatte alle di lei rimostranze riguardo l’etichetta, domanda quale sia il motivo per cui Isolde chiede riconciliazione.

Per tutta risposta, Isolde si inventa una nuova, inverosimile spiegazione al comportamento da lei tenuto con Tantris. A Brangäne aveva raccontato una prima verità: di non aver ucciso Tantris perchè intenerita dalla sua misera condizione... A Tristan racconta invece di averlo risparmiato e rimesso in sesto perchè lui potesse poi essere vittima di un legittimo vendicatore di Morold (!?) Vendicatore che però non può esistere in alcun luogo, essendo Tristan da tutti amato...

Al che Tristan, pallido e cupo, offre ad Isolde la sua spada perchè lei stessa possa compiere la vendetta. Ma attenzione: le si rivolge non più con il lei, ma con il tu (!?!) Perchè questo stato d’animo? E perchè questo improvviso mutamento di etichetta? Comincia per caso a sospettare che Isolde non lo ami? Che il suo atteggiamento di allora fosse motivato da un cinico disegno di vendetta? (O da pura carità cristiana, null’altro?) Insomma: un sospetto che ingigantisce la sua frustrazione; sì, poichè se le cose stessero così, allora sarebbe tutto il suo castello di carte a cadere miseramente. E con esso perderebbe di significato la sua propria esistenza: ed allora, tanto vale chiuderla, una volta per tutte! E per di più offrendo a quella stessa ingrata donna la spada con cui finirlo, per manifestarle tutta la sua superiorità di maschio...

Isolde rifiuta però la spada adducendo due giustificazioni: (a). Come potrei uccidere il servitore fedele del Re a cui vado sposa? (b). Ciò che non feci tempo addietro (con Tantris) a maggior ragione non potrei fare ora. Ma allora, sta forse per cedere? Per rivelare a Tristan che lei lo ama dal primo momento? Al contrario, lei decide di alzare ulteriormente la posta, aggiungendo un particolare di portata capitale: tu, Tristan, mi guardasti fisso negli occhi per valutarmi (come fa un mediatore di vacche che scruta un capo per deciderne il prezzo) per capire se ero degna di andare in sposa al tuo Re (!?!) Ma davvero Isolde è convinta di una simile stupidaggine? Insomma: sta qui confermandoci di aver ormai perso tutte le speranze, oppure sta tentando l’estrema provocazione, per costringere Tristan a cedere?

E infatti, dopo che Isolde rifiuta la spada, Tristan cade in cupa meditazione (...düsterem Brüten). Come mai? Sta forse ancora cercando di capire quali carte stia giocando l’altra? Oppure è per caso anche lui sul punto di cedere? Perdinci, lui sa bene quali fossero (e siano) i suoi sentimenti verso Isolde e che quando le rivolse quello sguardo non era certo per misurarne le qualità esteriori... gli basterebbe una parola per rompere finalmente quel muro di presuntuosa incomunicabilità che li separa!

E invece, finster (cupo) sempre più schiavo della sua nevrosi, decide pervicacemente di continuare nel braccio di ferro, e pronuncia la famosa, criptica frase: ...fass' ich, was sie verschwieg, verschweig ich, was sie nicht fasst.

Che significa? Non significa, per caso (nel suo maschilista subconscio!): io ho capito che tu mi ami, anche se me lo nascondi... mentre tu non capisci che io ti amo, e perciò te lo nascondo (perchè non mi meriti...) (?!?)

Ormai il tempo stringe, si sta gettando l’àncora, e Isolde non può che giocare il tutto per tutto: mit leisem Hohne, quasi schernendolo, dètta a Tristan il discorsetto di circostanza da fare a Marke, di lì a poco, in occasione della consegna del regalo!

E Tristan, a questo punto - ormai ha la disperata conferma che il futuro rischia di essere insopportabile per lui, quanto e più che per Isolde - beve per primo e da solo. In modo da chiudere (guarire del tutto) un’esistenza divenuta per lui invivibile e contemporaneamente per dare alla donna che non lo ha capito - o che non si è voluta piegare - l’estrema, inequivocabile e sprezzante lezione di superiorità.

E infatti Isolde si sente ancora e nuovamente tradita e disprezzata: per bere a sua volta, deve letteralmente strappargli di mano la coppa.

Insomma: nessuno dei due ha voluto/saputo cedere all’altro(a). Una speculare schizofrenia li ha costretti ad agire contro se stessi e - in definitiva - contro l’Amore!

La tensione psicologica, che si era creata entro ciascuno dei due e fra i due, ha ormai raggiunto il suo apogeo: in realtà siamo arrivati al limite di rottura di quell’instabile equilibrio, al momento in cui il surplace risulta non più prolungabile.

A questo punto il dramma avrebbe anche potuto chiudersi lì, con i due protagonisti a morire, ai lati opposti della scena, ciascuno vittima della propria presunzione, oltre che delle vigenti convenzioni (Ehre e Schmach). Insomma: un tragico atto unico, una Cavalleria Rusticana ante-litteram e sui-generis!

Wagner aveva però ancora da confezionare, per poi somministrarceli, due etti - pardon, due atti - di oppio; e, come farebbe ogni grande mago o stregone, si è servito di un filtro per garantirsi la possibilità del taglio e dello spaccio.

14 novembre, 2007

Buon compleanno, Daniel!



...e facci sognare (con Tristan...)

11 novembre, 2007

Tristan und Isolde: una tesi freudiana (I)

Tristan e Isolde si innamorano - per Novella4000: colpo di fulmine - al primo incontro. Per l’esattezza: nel preciso istante dello sguardo.

Lei, che ha riconosciuto Tristan nel Tantris sofferente, invece di ucciderlo, lo guarisce: ciò facendo, gli rivela implicitamente il suo amore, ma la sua presunzione (di donna intellettualmente emancipata) e insieme il suo subconscio (di donna tout-cour) le impediscono di abbassarsi ad esternargli il suo sentimento, e le impongono di attendere che sia Tristan a fare il primo passo.

Tristan non solo si rende conto di essersi innamorato (orrore, per un cavaliere della sua statura!) e sa perfettamente - o almeno così crede il suo (maschilista?) subconscio - di aver fatto colpo su Isolde, ma la sua presunzione (di maschio superiore) gli impedisce di abbassarsi ad esternarle il suo sentimento, e gli impone di aspettare che sia lei a cadergli ai piedi.

Ecco il cuore del dramma: entrambi aspettano che sia l’altro(a) a cedere per primo(a).

Una situazione di stallo, un autentico surplace; e quindi un equilibrio instabile, che non può diventare normalità, ma che dovrà essere rotto, inevitabilmente e traumaticamente.

Infatti, siccome nessuno dei due è disposto a cedere, la nevrosi che si crea all’interno delle rispettive psiche e quindi fra le loro persone, sale fino al parossismo. Entrambi perdono letteralmente la testa (in linguaggio scientifico: schizofrenia acuta) e mettono in atto sconsiderati propositi di distruzione dell’altro(a), in un’assurda e freudiana escalation, che culmina con il gesto di suprema, speculare presunzione: l’assunzione del filtro.

E per l’appunto il filtro aliena finalmente entrambi dalla schiavitù delle convenzioni (i vacui e presuntuosi vaneggiamenti, i rispettivi Träume, di Ehre e Schmach) e così può finalmente entrare in campo e in scena una cosa, straordinaria ma indescrivibile perchè oscura (misterioso, altero...) che quelle stesse convenzioni (di cui anche noi spettatori siamo schiavi) chiamano irrispettosamente: amore.

E soltanto un mezzo - posto nelle sapienti mani di un autentico stregone - poteva riuscire nella proibitiva impresa di descriverci quella cosa: la Musica.

(per i dettagli, alla prossima postata...)

06 novembre, 2007

Tristan und Isolde: il “plot”

Per carità del buon dio... non intendo certo ri-scrivere (come miliardesimo + 1) la trama del Tristan!

All’unico scopo di rendere a qualcuno più semplice e veloce la ricerca, mi permetto di fare qui alcune segnalazioni (di testi in italiano):

qui c’è un sunto in Wikipedia;

qui ancora un bigino in Encarta;

e qui un programma di sala del Regio di Torino.

Ciò che li accomuna è peraltro un certo semplicismo, una vaga superficialità, neanche si stesse trattando di un qualunque melodramma, dove la trama è un puro eccipiente per supportare arie, concertati, cabalette e cori... Wagner ?!?

Ma voglio invece segnalare l’eccellente scritto di Guido Paduano, professore dell’Università di Pisa, che fu inserito nel programma di sala della Fenice, in occasione di alcune rappresentazioni del Tristan, tenute in forma di concerto nell’estate 2002.

Davvero interessante, la trattazione che Paduano fa del dramma wagneriano, con acutissime e profonde osservazioni, che la rendono meritevole di lettura e rilettura.

Se però posso - assai modestamente - fare un appunto a Paduano, questo riguarda lo scenario esistenziale in cui ci viene presentato Tristan, e le motivazioni del suo conflitto interiore. Che vedrebbe scontrarsi la sua attrazione per Isolde con il suo codice d’onore, che pretende da lui fedeltà al suo Re e massimamente distacco e rispetto per la futura Regina...

Insomma, saremmo a Gottfried von Straßburg, e alla morale cavalleresca. Ma ce lo vedete Wagner a comporre un drama su tale soggetto?

Wagner - lo sappiamo bene - fu il Freud ante-litteram, e in questa chiave - credo - dovremmo leggere anche - soprattutto! - il Tristan.

Ci proveremo... next post!

05 novembre, 2007

La Scala è piccola

Alle 9:00 di stamane (5/11) è stato aperto - in internet - l'accesso all'acquisto biglietti per il Tristan.

Alle 9:03 tutti i posti di tutte le rappresentazioni erano già stati accaparrati!

(Col fiatone... ce l'ho fatta per un loggione del 2 gennaio, ultima recita... e anche mio compleanno... fantastico, grazie WWW!)

31 ottobre, 2007

Personaggi minori del Tristan: Melot, il traditore...

Anche la parte di Melot è assai modesta, in quantità... forse meno impegnativa ancora di quella del marinaio, che deve aprire l’opera tutto solo.

Melot appare per la prima volta nella scena finale del secondo atto, dopo l’interminabile, quanto sbudellante “duetto” (mi si perdoni se uso un termine da melodramma e non da musik-drama...) che ne occupa la gran parte. Mostra a Marke il tradimento dell’amico, cantando non più di nove versi (in 13 misure); poi, dopo il mirabile passaggio in cui Tristan e Isolde si promettono eterna unione, canta altri tre versi (in altrettante misure) per suggerire a Marke vendetta per l’onta subita. (La punta della sua spada accoglierà poco dopo il petto dell’amico che - sulle parole “Wehr dich, Melot!” - vi si butta a corpo morto, cercandovi la fine).

Rivediamo Melot nel finale del dramma allorquando, da dietro le quinte, canta in due misure altrettanti versi di ammonimento a Kurwenal; poi, entrato sulla scena e da questi trafitto, esala - con il “Weh mir, Tristan!” (quasi un postumo contrappunto - o contrappasso? - di quel “Wehr dich, Melot!”) - l’ultimo suo respiro.

Will Hartmann è all’esordio nel ruolo. La buona impressione da lui lasciata lo scorso anno a Lisbona, nella ben più impegnativa parte di Loge, non dovrebbe lasciare dubbi sulla sua affidabilità.

18 ottobre, 2007

Tristan e l’interprete fantasma

In qualunque locandina del Tristan troveremo, nell’elenco dei personaggi e interpreti, Ein Hirt (un pastore). L’interprete - un tenore - ha il “sovrumano” compito di cantare quanto segue (tutto nell’Atto III):

- 4 misure, subito dopo il Preludio, sui versi:
“Kurwenal! He! / Sag’, Kurwenal! / Hör’ doch, Freund! / Wacht er noch nicht?”
- 9 misure, poco dopo, sui versi:
Eine andre / Weise hörtest du / Dann, so lustig als ich sie nur / Kann. / Nun sag’ auch / Ehrlich, alter / Freund: was / Hat’s mit unserm / Herrn?
- 3 misure, ancora poco dopo, sui versi:
Öd’ und / leer das / Meer!
- 2 misure, all’inizio della Scena III, sui versi:
Kurwenal! Hör! / Ein zweites Schiff.

Francamente, una parte secondaria (18 battute in tutto, di cui forse 4 un poco impegnative!)

C’è però un altro interprete dello stesso personaggio, il cui nome non vedrete mai stampato sulla locandina, e che invece vi si meriterebbe un posto di primo piano, almeno al livello di Marke o Brangäne: è il suonatore di corno inglese che - sulla scena - deve sostenere una delle parti solistiche più straordinariamente difficili e impegnative mai scritte per quello strumento (invero reietto dai compositori di concerti classici, che hanno scritto per oboi, clarinetti, flauti, trombe, corni, fagotti... ma nulla di importante per il corno inglese!)

Un impegno da far tremare i polsi, un poco come l’incipit del Till di Strauss, su cui cadono miseramente e invariabilmente 9 cornisti su 10... o l’acuto del Posthorn nella Terza di Mahler (ricordo come fosse ieri la stecca di chi suonava quella parte alla prima uscita della Filarmonica con Abbado, quel lontano 25 gennaio 1982) o ancora - per restare a Wagner - l’assolo del corno nell’Atto II di Siegfried (incipit bucato in pieno persino dal cornista di Bayreuth alla prima dello scorso 30 luglio!)

Oltre a ciò che deve fare standosene giù nel “golfo” (e nel Tristan non è nè poco, nè facile) il nostro interprete fantasma deve salire - nel terzo atto - in palcoscenico, e suonare:

- 42 misure di puro solo, all’inizio dell’Atto (proprio a ridosso della prima breve entrata del tenore) costellate nientemeno che da una cinquantina (!!!) di indicazioni dinamico-agogiche;
- 18 misure, dopo la terza entrata del tenore,
- poi ancora 31 misure e altre 11, dopo il delirio di Tristan e accompagnando i di lui luttuosi ricordi di padre e madre,
- e altre 10 misure e poi ancor 5 a cavallo del “Die alte Weise sagt mir's wieder...“
- e infine le 25 misure, sull’avvistamento del vascello di Isolde, ancora 9 al suo approssimarsi e infine altre 9 all’arrivo: qui Wagner prescrive che lo strumento non solo debba suonare fortissimo (ff), ma addirittura dare l’effetto di un alpenhorn.

Dopodichè - per premiarlo o punirlo? - Wagner mette l’interprete fantasma a tacere proprio nelle ultime tre battute dell’opera... e così possiamo immaginare il nostro che, esalato per l’ultima volta - sotto lo sguardo penetrante di Barenboim - il motivo della sehnsucht, appoggia lo strumento sulle ginocchia, chiude gli occhi, e ascolta tutti i suoi colleghi orchestrali produrre il celestiale accordo di SI maggiore.

Insomma, se si stampa il nome di chi interpreta “Ein Steuermann“ (12 parole declamate, in tutto...) si fa un gran torto - tacendone l’identità - a quel musicista che magari passa notti da incubo, pensando alla sua parte...

Ma chi sarà costui, il 7 dicembre?
.

Prof. Renato Duca.

Nel 2004 ha già sostenuto brillantemente la parte a Santa Cecilia, con Chung... quindi: forza e auguri!

17 ottobre, 2007

Ultime dal Giappone

In questi giorni Daniel Barenboim è in Giappone (con la Staatskapelle Berlin) per un tour di rappresentazioni, fra cui spiccano Don Giovanni e il Tristan (questo con la Meier).

A Yokohama trionfi ed ovazioni... poi a Tokio il nostro ha ricevuto - dalle mani del Principe Hitachi - il Praemium Imperiale 2007, massimo riconoscimento giapponese ad artisti di eccellenza nella musica, pittura, scultura, architettura e teatro.

Insomma, Daniel dovrebbe arrivare a Milano il 7 dicembre in forma imperiale... davvero un bel viatico per una prima che dovrà fare storia.

11 ottobre, 2007

Daniele nella fossa...




.

.

Il nostro è l’attuale - e di gran lunga - recordman di direzioni a Bayreuth: 161 (incluso un concerto) contro le 138 del venerando (e da tempo pensionato) Horst Stein: per un ebreo non è davvero poco (alla faccia dei teorizzatori del sofisma Wagner=Hitler) e non è detto che il Daniel non torni prima o poi a calcare il torrido podio dell’Orchestergraben.

.

Non che tutti siano concordi sul tasso di wagnerianità del suo sangue (ma del resto anche Karajan - tanto per far un nome a caso - era considerato, dai molti schizzinosi, essere privo del peculiare e quasi introvabile “gene”) e peraltro di Furtwängler o Knappertsbusch o Solti forse non ne nasceranno più, e nemmeno di Toscanini o di deSabata, per restare ai wagneriani di casa nostra (il più grande dei quali ci ha prematuramente lasciato, ahinoi, nel 2001...)

Insomma, non siamo forse in presenza del non-plus-ultra, ma oggi come oggi -diciamola pure tutta - è difficile trovare sul mercato qualcuno di meglio: Mehta, Levine, Gergiev, Salonen, Rattle, Thielemann, tutti hanno grandi qualità, ma non c’è nessuno che “si stacca” dal gruppo...

Dice il nostro: «Non faremo il Tristan “definitivo” perché in musica di definitivo non c’è nulla. Ma lo faremo come se fosse il nostro ultimo Tristan».

Ohibò, per la Scala è un gran bel complimento! Evidentemente il maestro argentino si sta affezionando per davvero alla nostra maggiore Opera-House...

E ancor più grosso è il regalo che Barenboim ha deciso di farci nel 2008, con l’integrale delle sonate per piano di Beethoven, ripetendo qui da noi lo storico exploit di Berlino 2005!

09 ottobre, 2007

Waltraud-Isolde


La cinquantunenne Meier ha già aperto la stagione scaligera altre volte, sempre diretta da Muti: nel ‘91 con Parsifal, nel ’94 con Walküre, nel '98 con Götterdämmerung e nel ’99 con Fidelio. Si potrebbe malignamente dire che si deve - anche e soprattutto - a lei se quelle provincialotte produzioni “Muti-centriche” ebbero un minimo - ma proprio minimo - di risonanza internazionale.
.
Forse nemmeno lei ricorda più quante volte è stata Isolde nella sua carriera! (lo fu per la prima volta nel 1993 a Bayreuth, proprio con Barenboim).
.
.
E alla Scala la Meier arriverà dopo adeguato “preriscaldamento”: avrà cantato Isolde 4 volte in ottobre (in Giappone, sempre con Barenboim e la Staatskapelle Berlin) poi l’11 e il 18 novembre (alla Staatsoper di Monaco) con Kent Nagano.
Poi chiuderà in bellezza l'inverno a Madrid, con 6 recite a gennaio-febbraio. Tornerà Isolde a fine giugno a Monaco, poi - tra ottobre e dicembre - alla Bastille, nel controverso allestimento Sellars-Viola.
Insomma, oggi come oggi è difficile immaginare un’interprete meglio preparata e “calata nel ruolo” di lei.

06 ottobre, 2007

I personaggi “minori” del Tristan

Ein junger Seemann (un giovane marinaio) sarà Alfredo Nigro:
oltre ad essere il marito dell’assai più illustre Violeta Urmana (una notevole Isolde, fra l’altro) il tenore pugliese ha il compito - ingrato per davvero - di aprire il dramma, senza accompagnamento orchestrale e subito dopo lo spegnersi del mirabile Preludio. La sua è una di quelle parti apparentemente secondarie, perchè ristrettissime nella quantità (dopo l’incipit della prima scena, il personaggio ricanta, all’inizio della seconda scena e stavolta con modesto accompagnamento orchestrale, la parte centrale della sua “canzone”) ma che in realtà devono essere sostenute alla perfezione, pena il rischio di cadere nel ridicolo, trascinandovi con sè l’intera opera. Il nostro peraltro ha già sostenuto il ruolo un paio di altre volte... però la prima alla Scala è cosa troppo diversa dal normale: incrociamo le dita per lui!

Ein Hirt (un pastore) è Ryland Davies:
tenore inglese assai attempato - calca le scene da più di 40 anni - e mai cimentatosi con Wagner. Possiamo insinuare che Barenboim lo abbia portato alla Scala come “premio alla carriera”? Il ruolo è apparentemente secondario (pochissimi versi in tutto) ma in realtà il nostro deve “aprire” il terzo atto e la frase musicale “Eine andre Weise...” (che è quasi tutta la sua parte) è tutt’altro che facile e banale.

Ein Steuermann (un timoniere) è Ernesto Panariello:
deve declamare, più che cantare, in tutto 12 parole, nell’ultima scena! “Marke mir nach mit Mann und Volk: vergebne Wehr! Bewältigt sind wir.” Qui siamo perciò di fronte ad una parte veramente “terziaria” (secondaria sarebbe eccessivo onore...) Panariello ha fatto l’Heerrufer nel Lohengrin, parte molto più impegnativa, quindi per lui nessun problema, ma il privilegio di “essere in squadra”.

03 ottobre, 2007

Curiosità sulla sehnsucht

1. Il tema cosiddetto dell’anelito - SOL#-LA-LA#-SI, che si ode già nella terza battuta del Preludio (subito dopo lo sbudellante tristanakkord RE#-FA-SOL#-SI...) - si trova, suonato da contrabbassi, clarinetto e fagotti, alle misure 867-868 del finale del (famosissimo) concerto per violino di Mendelssohn! Wagner - che a parole e per iscritto (vedi il libello Das Judenthum in der Musik) - disprezzava l’illustre amburghese, colpevole soltanto di essere ebreo, lo saccheggiava poi a dovere nelle sue opere: si confronti il tema di apertura della sinfonia Scozzese con il tema del presagio di morte dalla Walküre, atto II, scena IV. E come non riconoscere l’anguillesca Schöne Melusine nel “liquido” Preludio del Rheingold?

2. Lo stesso tema si ode nelle ultimissime battute dell’opera, suonato da oboi e corno inglese... poi però nell’accordo finale - tre misure - di SI maggiore, manca il corno inglese, che tacet. Perchè? Georg Solti raccontava che questo indovinello gli fu posto da Richard Strauss, nel primo loro incontro, e di come lui avesse fatto scena muta: così il vecchio marpione gli spiegò che quello strumento, dopo aver suonato per mille volte quel tema durante l’opera, adesso taceva, essendosi quell’anelito placato per sempre...

3. Dopo il canto conclusivo di Isolde (comunemente, quanto bizzarramente, definito Liebestod) c’è un inciso del tema della Giustificazione di Brünnhilde, dalla Walküre, ultima scena. Non è l’unica citazione di Wagner da parte di Wagner: il succitato tema dell’anelito verrà messo in bocca ad Hans Sachs nei Meistersinger...

30 settembre, 2007

Sant'Ambrös 2007: Tristan!

Il 7 dicembre si avvicina! E quest'anno la Scala apre con un "mattone" da far paura... Tutto è preparato per fare epoca.

Il kapellmeister: Barenboim ha diretto Tristan una quantità impressionante di volte: 62 solo a Bayreuth ('81-'83, poi '86-'87, infine '93-'97 e '99). Quasi una rappresentazione su tre del Tristan al Festspielhaus (ad oggi sono in totale 192) è uscita dalla sua bacchetta!

Il regista: Chéreau fece scalpore a Bayreuth nel '76 col Ring del centenario: un esempio - per me - obbrobrioso di Regietheater (l'arte ?! di inventare di sana pianta l'ambientazione di un'opera, strabattendosene di ciò che l'Autore ha espressamente scritto in partitura). Oggi sono passati 30 anni e - forse - l'allora trentenne scapestrato ha messo la testa a posto, chissà... In ogni caso, Tristan è talmente fuori da ogni contesto materiale, che può sopportare qualunque manipolazione.

Il cast è di sicura garanzia: Maier, Grochowski, Salminen sono nelle short-list di tutte le principali Opera-House del pianeta; Storey è al debutto in Tristan, ma ha credenziali più che solide; e gli altri non deluderanno di certo.

Chi invece si deve preparare - cominciando a studiare, o a ripassare la lezione - è lo spettatore (o l'ascoltatore, per chi seguirà la prima per radio). Fosse per me, venderei i biglietti solo a chi supera un regolare esame di ammissione; e non certo sul plot...