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22 aprile, 2022

laVerdi 21-22. Concerto 26

Il Direttore Musicale fa il suo ritorno sul podio - in un Auditorium preso d’assalto da frotte di giovani e giovanissimi !!! - per una nuova offerta basata sulla premiata coppia Mozart-Beethoven, dei quali si presentano però composizioni non proprio eseguite ad ogni piè sospinto.

Del sommo Teofilo ascoltiamo infatti un’opera tanto preziosa quanto poco presente nei cartelloni delle grandi Orchestre, la Serenata K 361, nota con l’apocrifo sottotitolo di Gran Partita, che impegna (a parte il contrabbasso) una compagine di soli 12 fiati (in 6 coppie): la cosiddetta Königliche-Kaiserliche Harmonie voluta nel 1782 dall’Imperatore Giuseppe II (2 oboi, 2 clarinetti in SIb, 2 corni in FA e 2 fagotti) arricchita da 2 corni di bassetto in FA e 2 corni in SIb.

Tanto incerte sono le informazioni sulle origini e sulle prime esecuzioni dell’opera, quanto certissime e unanimi sono invece le espressioni di ammirazione di tutta la critica (e dei musicofili) nei confronti di questa musica, considerata uno dei vertici dell’arte mozartiana.

Si tratta in effetti di un’opera monumentale (circa 50’ di durata) articolata in 7 movimenti nei quali Mozart sfrutta a fondo ogni possibile prerogativa degli strumenti e realizza ogni possibile colore dei relativi impasti.

1. La Serenata è aperta da un corposo movimento in forma-sonata monotematica, tonalità SIb maggiore. La introduce un Largo di 14 battute che si chiude sospeso sull’accordo di dominante; cui segue l’esposizione in Allegro molto del tema principale il cui incipit qualcuno ha scoperto essere la possibile reminiscenza (tonalità inclusa) dalla terza scena di un’opera di François-André Danican Philidor, intitolata Le maréchal ferrant, che verosimilmente Mozart aveva conosciuto durante il suo viaggio e soggiorno a Parigi:

Dopo 10 battute di transizione ecco il tema riproposto - sottilmente variato! - sulla dominante FA, cui seguono due motivi di chiusura, sempre sul FA. L’esposizione viene riproposta da-capo ed è seguita dallo sviluppo, che presenta due diverse varianti del tema e il breve motivo di chiusura.

Ecco poi la ricapitolazione, con il motivo presentato in SIb - secondo le regole - anche alla seconda entrata, come pure i due motivi di chiusura. Una coda in cui ricompare fugacemente il tema, seguito dal secondo motivo di chiusura dell’esposizione, pone fine al movimento.

2. Ecco ora un Menuetto (primo dei due) strutturato simmetricamente (quasi uno stringato Rondo) come Menuetto - Trio1 - Menuetto - Trio2 - Menuetto. Sia Menuetto che Trii sono in due sezioni, ripetute. La tonalità del Menuetto è SIb maggiore, quella e dei due Trii rispettivamente MIb maggiore (sottodominante) e SOL minore (relativa).

3. Segue poi il brano più famoso dell’opera, un Adagio in MIb maggiore nel quale si racconta (vedi il film di Schaffer) che Salieri udisse nientemeno che... la voce di Dio!

4. Qui abbiamo il secondo Menuetto, in SIb maggiore, che ha la stessa struttura del precedente, con due Trii, in SIb minore e FA maggiore.  

5. Ecco ora la Romanze, che si presenta con una struttura A-B-A (più una coda). É un Adagio in MIb maggiore che incastona un Allegretto in DO minore, che poi si riporta al SIb, dominante del MIb per la ripresa dell’Adagio.

6. Thema mit Variationen. Il tema è in Andante, SIb maggiore ed è un auto-imprestito mozartiano, dal Quartetto con flauto K171 (K285b): il quale a sua volta si richiamava ad Haydn (Sinfonia 47):

É seguito da 6 variazioni (tutte in SIb maggiore, eccezion fatta per la IV, in minore) che danno modo a Mozart di sfruttare mirabilmente ogni possibile prerogativa di ciascuno strumento e delle combinazioni di atmosfere sonore che se ne possono ottenere.

7. É un Rondo in Allegro molto, in SIb maggiore. Il motivo del ritornello è derivato per auto-imprestito da una giovanile Sonatina in DO per piano a 4 mani, la K19d:

Una conclusione davvero indiavolata e strepitosa, che non può non suscitare nel pubblico ovazioni quasi deliranti.

E così è stato puntualmente anche ieri sera, dopo una prestazione davvero di assoluta eccellenza, in una cornice simpaticamente settecentesca, con il Kapellmeister seduto su una poltrona avvolgente e circondato dai 13 strumentisti in questa configurazione:

Direttore che ha scandito gli ultimi accordi emergendo dalla poltrona e imbracciando... il leggìo! Accoglienza a dir poco trionfale.
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La seconda parte della serata è dedicata al beethoveniano Triplo Concerto, l’Op.56, la cui ultima comparsa qui in Auditorium risale a più di 5 anni orsono, quando ad interpretarlo erano stati due alfieri de laVerdi (Santaniello-Grigolato) più il grande Cominati(In quell’occasione mi ero anche permesso di proporre questa sintetica analisi del brano.)

Oggi vi sono impegnati Francesca Dego al violino, Edgar Moreau al cello e Filippo Gorini alla tastiera. Devo dire che mi è parsa una prestazione un filino contratta all’inizio e per tutto il primo movimento, dove anche Flor mi ha dato l’impressione di evitare i contrasti privilegiando un accompagnamento fin troppo discreto. Poi già nel Larghetto le cose sono assai migliorate e il Rondo ha chiuso in bellezza (in particolare ho personalmente apprezzato la sezione centrale).

Lunghi applausi anche qui e così i tre si congedano con il terzo tempo (Duett, Langsam und mit Ausdruck) dalla Phantasiestücke op.88 di Schumann.

10 maggio, 2019

laVerdi 18-19 - Concerto n°28


É il Direttore musicale a tornare sul podio per l’appuntamento settimanale con laVerdi, che ha in programma una nuova tappa brahmsiana accostata all’italiano Mendelssohn. Lo scorso mercoledi il concerto era stato dato in anteprima a Ravenna, teatro Alighieri, per la conclusione di Ravenna Musica.

E anche il concerto di ieri ha avuto un’apertura particolare, per così dire, politica, in coincidenza con i 69 anni della Dichiarazione Schuman che diede il via a quel progetto che ha portato poi alla creazione dell’Unione Europea (siamo anche in vista dell’imminente scadenza elettorale). Dopo un breve indirizzo di Bruno Marasà, che tiene per l’UE i collegamenti con Milano, è stato eseguito l’Inno europeo, che sappiamo non essere altro che il beethoveniano An die Freude. Beh, questa Europa potrà non destare entusiasmi, ma in tempi di sovranismo dilagante e di nostalgie autarchico-fasciste (a proposito, a Torino hanno lodevolmente ristabilito le giuste proporzioni) il richiamo alla fratellanza universale non è certo sprecato.
   
Tornando al programma, ecco due opere dalle caratteristiche diversissime, e non solo per la durata: un concerto che - come il primo e più del primo, precedente di più di 20 anni - ha la caratteristica di una grande sinfonia (quasi 50 minuti!) sul modello beethoveniano; e una sinfonia - composta proprio mentre Brahms veniva al mondo! - che al confronto ha invece le proporzioni (30 minuti scarsi) e le fattezze di un cammeo...  

Dunque, Brahms e la sua corposa Opus 83. E pensare che l’Autore l’aveva descritta come un piccolo concerto con un minuscolo scherzo! Pare che i primi schizzi dell’opera siano stati messi sulla carta la sera stessa del 45° compleanno del compositore (martedi 7 maggio 1878) quindi precisamente 141 anni orsono!

Per presentarne sommariamente la struttura, propongo un’interpretazione di una coppia di musicisti che sono entrati nella storia.
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Si parte con l’Allegro non troppo (4/4, SIb maggiore). Movimento in forma-sonata, ma dove Brahms si prende ampie libertà. È il primo corno (29”) ad esporre un richiamo profondamente romantico (ricorda un altro attacco, quello dell’Ouverture dell’Oberon...) cui risponde in arpeggi il pianoforte. La cosa si ripete subito, con il richiamo del corno variato, ma sempre cadendo sulla dominante FA. Legni e poi archi (54”) completano il tema con un controsoggetto - se ne ricorderà Mahler nel finale dell’Auferstehung -  dapprima in maggiore, poi in minore, che lascia spazio (1’08”) ad una cadenza solistica, nella quale ricompare il detto controsoggetto.

A 1’59” l’intera orchestra ripropone il tema principale, che poi sfuma, anzichè verso la dominante FA, verso la sua relativa RE minore, dove (2’44”) i violini espongono il secondo tema, dal carattere appropriatamente elegiaco. Una breve transizione (3’07”) assai mossa porta poi (3’19”) ad un inaspettato ritorno del primo tema, accodatosi oltretutto alla tonalità del secondo!

Qui (3’37”) inizia la riesposizione, affidata al pianoforte e assai articolata, quasi fosse un’anticipazione dello sviluppo, con interventi sporadici dell’orchestra, come (4’12”) a ricordare il tema principale e poi (4’29”) a riprenderne il controsoggetto. A 5’53” i corni espongono un variante del secondo tema, che ritroviamo poi a 6’03”, ripreso poco dopo dal solista che fa seguire una quasi-cadenza sfociante (7’02”) ancora nella perorazione dello stesso tema - ora in FA minore - anch’esso in seguito ampiamente sviluppato. Come per la prima, anche questa seconda esposizione si chiude (8’13”) con il colossale intervento dell’orchestra, che riprende in FA minore il primo tema e poi (8’26”) il secondo.

A 8’49” inizia, con il primo tema esposto - sempre in FA minore - dai tre corni, lo sviluppo vero e proprio, di proporzioni davvero colossali, con il solista impegnato ininterrottamente. Vi distinguiamo un prima parte caratterizzata da reiterati arpeggi del pianoforte con l’orchestra (violini in primis) che lo supporta imitando motivi che il solista aveva presentato nell’esposizione. Una seconda parte (9’59”) modula a RE maggiore, con il pianoforte impegnato ad esporre un nuovo motivo puntato, poi variato per inversione. Altre modulazioni a LA, DO, SOL, portano (10’55”) alla terza parte dello sviluppo, con il ritorno, sugli arpeggi legatissimi del pianoforte, dell’incipit del primo tema negli archi, in DO# maggiore, riproposto in quella tonalità (11’14”) - dopo una drammatica caduta di quattro terzine del solista - e ancora, con un ardito salto, in FA maggiore.

Il pianoforte ci conduce, prima con reiterati arpeggi, poi con insistite sestine di semicroma, alla ricapitolazione (12’09”). Dove riascoltiamo il tema principale (soggetto in corni e clarinetti, controsoggetto nei legni) e più avanti (13’05”) la variante del secondo tema in legni e poi archi e pianoforte. Tema che torna (14’15”) nel pianoforte, ulteriormente sviluppato e seguito da varianti del primo tema.

A 15’27” i corni ripropongono il tema principale, dando inizio ad una lunga coda, che porta maestosamente (15’58”, primo tema e 16’29”, controsoggetto) verso la trionfale chiusa (17’02”).

Segue l’Allegro appassionato (3/4, RE minore) del quale Brahms giustificò l’insolita presenza con la necessità di inserire un movimento vivace fra due più tranquilli (?!) Lo battezzò come piccolo scherzo, ma in realtà è un movimento assai corposo, con una struttura vicina alla forma-sonata.

È il pianoforte ad aprirlo esponendo (17’40”) il primo tema dello Scherzo, ripreso poi (17’53”) nella dominante LA minore. Ecco ora (18’15”) negli archi il secondo tema, sempre in LA, ripreso dal pianoforte (18’28”) e sviluppato fino al termine dello scherzo (19’27”) dove è previsto il canonico da-capo.

La ripetizione si protrae fino a 21’12” dove ha inizio uno sviluppo assai articolato, in cui si possono distinguere almeno sei sezioni principali. La prima è in DO# minore e presenta il primo tema dello scherzo, poi modulando a MI minore. La seconda (21’34”) torna in RE minore riprendendo e sviluppando il primo e il secondo tema. La terza sezione (22’10”) vira a RE maggiore e può considerarsi come il classico Trio, che si sviluppa nella quarta sezione (22’26”) in LA minore, dal piglio invero maestoso, che sfocia (22’40”) in una cadenza del solista seguita (22’55”) da 8 battute di transizione orchestrale. La quinta sezione (23’07”) vede come protagonista il pianoforte, mentre la tonalità è passata fugacemente a FA maggiore, per tornare subito a RE minore. La sesta sezione (23’23”) passa a RE maggiore e porta (23’51”) ad un ponte che prepara la ricapitolazione.

Che inizia, con il ritorno dello Scherzo, a 24’20”: è canonicamente in RE minore e presenta il primo tema nel pianoforte e poi (25’02”) il secondo nei legni. Il solista riprende progressivamente il sopravvento e porta (25’55”) alla stentorea ed agitata coda.

Il successivo Andante (6/4, SIb maggiore) è nella semplice quanto classica struttura A-B-A’ (più coda). Lo apre (26’40”) un mirabile recitativo del violoncello (Brahms lo impiegherà più tardi in un suo Lied, Op. 105, N°2) subito ripreso (27’42”) da violini e fagotti. Il pianoforte (29’28”) riprende il tema in forma cadenzante, poi (30’54”) è l’intera orchestra (in minore) ad incalzare il solista che si esibisce in un continuo rimuginare il tema principale. I violini (32’51”) lo richiamano all’ordine riproponendo per due volte l’incipit del tema, cui il pianoforte risponde con arpeggi che verranno ripresi nella coda.  

A 33’29”, Più Adagio, ecco iniziare la sezione B, in FA# maggiore, dove solista e clarinetto, poi archi, dialogano ancora fino a tornare (35’10”) al Tempo I, sul quale il violoncello riespone il tema principale in FA#, con il solista che risponde avviando il ritorno (36’04”) alla sezione A’ (SIb maggiore) dove il violoncello e il pianoforte ora dialogano amabilmente, fino a condurci (38’02”) alla coda che chiude questo mirabile cammeo. 

Il concerto è chiuso dall’Allegretto grazioso (2/4, SIb maggiore) un Rondò in forma-sonata che il solista apre (39’20”) esponendo il brillante tema principale, subito ripreso anche dai violini.

Poco dopo (39’38”) il pianoforte espone un controsoggetto, ripreso ancora dai violini, che conduce, dopo una veloce scalata del solista (39’56”) ad una ripresa variata ed ampiamente sviluppata del primo tema, con interventi alternati di orchestra e pianoforte. Tutto ciò introduce (40’31”) il secondo tema, nella lontana tonalità di LA minore, che dà luogo poi (40’51”) ad un delicato motivo in FA maggiore, esposto dal pianoforte e ripreso dai clarinetti.

Sempre in FA maggiore ecco comparire nel pianoforte (41’11”) un nuovo motivo dal piglio sbarazzino, subito ripreso da flauti e oboi e poi intercalato dal precedente nei violini, ora in SIb. Torna, in LA minore (41’47”) il secondo tema, spezzato fra flauti-oboi e pianoforte, poi nei soli archi. A 42’07” riecco nei clarinetti il dolce motivo in FA maggiore, seguito da una transizione negli archi che modula (42’23”) a RE maggiore, tanto audacemente quanto fugacemente: infatti torna il SIb maggiore a supportare il primo tema, negli oboi, che chiude l’esposizione e prepara lo sviluppo, che possiamo far decorrere da 42’40”.

Qui è il tema principale a farla da padrone: a 42’58” ne sentiamo in orchestra un’apparizione in DO maggiore, poi il pianoforte lo riprende, esponendone quindi (43’23”) il controsoggetto in SOL maggiore e facendovi seguire una cadenza solistica che conduce ad una seconda e conclusiva sezione dello sviluppo (43’44”) dove una serie di interventi alternati di orchestra e solista preparano l’arrivo della ricapitolazione.

Essa è aperta - in SIb maggiore - dal pianoforte (44’17”) con il controsoggetto del tema principale, il quale ultimo viene ripreso poco dopo (44’39”) dai violini e successivamente sviluppato in dialogo fra solista e orchestra. Si arriva quindi (45’21”) al secondo tema, ora sceso di una quinta - rispetto all’esposizione - alla tonalità di RE minore.

A 45’52 ricompare, in ottavino e oboe, il tema sbarazzino udito nello sviluppo, poi (46’01”) ancora il secondo tema, negli archi con il pianoforte a contrappuntare. A 46’17” torna ancora in clarinetti e oboe - poi ottavino - il dolce motivo in FA maggiore, prima che il pianoforte inneschi la corsa verso la coda del concerto. Coda assai corposa, che principia (46’50”) con grandi virtuosismi del solista, poi (47’10”) con interventi dell’intera orchestra e infine conduce alla severa conclusione.
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Il giovanissimo (23 anni, beato lui!) Filippo Gorini ha confermato tutto il buono (no, che dico, l’ottimo) che già si sapeva di lui, e non da ieri! Tecnica superlativa, ma associata anche a testa lucidissima e a cuore appassionato. Sì, perchè non è da tutti - specie a quell’età - entrare così profondamente nello spirito di una composizione. Quando Brahms diceva di aver composto un concertino non si riferiva evidentemente alle dimensioni, ma alla raffinatezza, quasi settecentesca, di molti passaggi: è proprio ciò che Gorini ha saputo mirabilmente proporci, ben coadiuvato dall’orchestra nell’insieme e nei singoli che danno contributi importanti (il corno di Amatulli, il cello di Scarpolini...)

Gran trionfo per lui, con tanti suoi fan venuti apposta per sostenerlo e applaudirlo. E lui ci ha ripagato con un altro Brahms, quello del Capriccio in SOL dell’Op.116.     
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Flor ha chiuso la serata con l’Italiana di Mendelssohn, attaccata alla bersagliera mentre ancora il pubblico lo stava salutando al suo ingresso sul podio! Mah, un’esecuzione da... festival, di quelle fatte per suscitare facili entusiasmi. Un Mendelssohn sanguigno e a tratti quasi... sguaiato ecco. I tempi forsennati dei due movimenti esterni sono forse andati a discapito della pulizia esecutiva, ma l’effetto è stato indubbiamente trascinante, così non sono mancate le approvazioni e i riconoscimenti per tutti, ma in particolare per il pacchetto dei legni, che qui (poi con questo Direttore) ha compiti quasi proibitivi.