XIV

da prevosto a leone
Visualizzazione post con etichetta rysanov. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta rysanov. Mostra tutti i post

21 ottobre, 2022

laVerdi 22-23. 4

Ukraina&Russia! Mamma mia, l’attualità più cruda (e orribile, come testimonia la criminale esecuzione del Maestro Kerpatenko) irrompe nella stagione dell’Orchestra Sinfonica di Milano: il quarto concerto ha infatti come protagonisti tre musicisti strettamente legati ai due Paesi che oggi stanno combattendo una guerra (praticamente) fratricida.

In un Auditorium per pochi intimi torna sul podio il 44enne Maxim Rysanov, ukraino di Kramatorsk (città del Donbass oggi martoriata dalla guerra) trapiantato in Gran Bretagna; oltre a dirigere, lui interpreta come solista alla viola il Concerto del 47enne Gabriel Prokofiev, cittadino londinese nipote del grande Sergei (russo all’anagrafe ma nato a Donetsk); il secondo brano in programma è del sanpietroburghese purosangue Igor Stravinski, esule russo diventato cittadino francese e statunitense.

Ecco, non ci resta che sperare che questa combinazione astrale sia un segnale, sia pur minuscolo, che in fondo al tunnel si cominci ad intravedere un lumicino…

Dunque, Gabriel Prokofiev: un artista eclettico che spazia in tutti i campi della musica, dalla composizione di stampo classico alla modernità più varia, fino alla produzione di eventi e alla creazione di una casa discografica di divulgazione musicale per i giovani.

Orchestra disposta in modo eterodosso, con sezioni di fiati (legni a sinistra, trombe a destra) portate al proscenio, dietro gli archi. Due leggii: quello normale per dirigere l’orchestra e uno rivolto al pubblico per la parte solistica. Rysanov, imbracciando un Guadagnini-1780, ci propone questo Concerto per viola e orchestra, commissionato dallo stesso Direttore e anche dalla Fondazione milanese (qui frammenti dei tre tempi in cui è classicamente strutturato, ripresi alla prima di Bonn lo scorso gennaio):

1. Minaccioso
2. Largo
3. Allegro sinistro

A dispetto della differenza delle indicazioni agogiche di impianto, i tre movimenti alternano sezioni lente ad altre più mosse, con frequenti cambi di scansione (a 4, a 3…) Quelle più veloci presentano ritmi di stampo moderno, spesso sincopati. La parte solistica contiene virtuosismi che in realtà sono delle acrobazie, dove la viola diventa a volte uno strumento a percussione (forse non è un caso che un crine dell’archetto di Rysanov si sia strappato abbastanza presto). La narrativa è supportata da un linguaggio che alterna atonalità e rumorismo a squarci più lirici.

Un’opera a primo ascolto abbastanza godibile, che stempera ammiccamenti orecchiabili nelle ruvidezze e cacofonie che la caratterizzano. Accoglienza tutto sommato calorosa. 
___

Ecco infine lo stravinskiano Petruška. La storia di un uomo/marionetta al centro del classico triangolo amoroso. Quattro parti che evocano una vicenda a sfondo tragico che si compie in una giornata di festa a SanPietroburgo, in occasione dell’annuale fiera di Shrovetide, parente del nostro martedi grasso. (Qui una mia nota scritta in occasione dell’ultima esecuzione dell’opera in Auditorium, che riassume la trama del balletto. Per chi voglia più approfonditamente documentarsi, ripropongo il link ad un’apprezzabile iniziativa tedesca.) 

È uno dei brani che l’Orchestra conosce a menadito, avendolo suonato innumerevoli volte, e anche ieri non si è smentita, con un’esecuzione impeccabile e trascinante. Così i pochi-ma-buoni fedelissimi non hanno mancato di far sentire la loro convinta approvazione.  

23 febbraio, 2019

laVerdi 18-19 - Concerto n°18


L’eclettico Maxim Rysanov fa una nuova e gradita visita in Auditorium per presentare un programma tutto slavo.

Programma aperto da una composizione contemporanea (del 2006) di Dobrinka Tabakova, 39enne bulgara trapiantata in Albione: Suite in Old Style (The Courth Jester Amareu). Il giullare di corte Amareu è in realtà (anagrammando il cognome) Jean-Philippe Rameau ed è lui che fornisce l’ispirazione per questo brano musicale.

Rysanov è anche il dedicatario dell’opera - originariamente scritta per viola, clavicembalo e piccolo ensemble di archi, poi arricchita per un’orchestra d’archi e percussioni - che lui presentò in prima a Mosca domenica 21 gennaio 2007 ed ha poi portato in giro per il mondo, fino all’odierno approdo milanese. Possiamo ascoltare la versione per orchestra, proprio diretta ed interpretata da Rysanov, in questa esecuzione del 2015 a Madrid, una delle tante pubblicate in rete.

I sottotitoli che vi appaiono in sovrimpressione riportano quelli dei 5 movimenti in cui la Suite è suddivisa, che hanno riferimenti extramusicali, attinenti a scene di vita in ambienti nobiliari del ‘700 (Versailles, nientemeno...) La tonalità principale del brano (la Suite barocca era tipicamente mono-tonalità) è il RE minore, con qualche divagazione su tonalità vicine (ma il 4° movimento è in DO). Mutuata dalla tradizione è anche l’alternanza fra movimenti veloci e lenti:

- Preludio: fanfara dai balconi (lento) e ritorno dalla caccia (veloce)
- Attraversando corridoi di specchi (lento-veloce-lento)
- Il giardino delle rose al chiaro di luna (lento)
- L’indovinello del suonatore d’organetto (veloce)
- Postludio: caccia e finale (veloce-lento)

Che dire: senza conoscerne l’origine, si potrebbe davvero prendere per musica del ‘700! Il che può comportare un giudizio positivo, data l’indubbia gradevolezza del brano, o negativo, un comodo e facile sfruttamento di antiche forme e contenuti.

Rysanov, presentatosi in abbigliamento scamiciato, proprio da zigano (però dopo ha vestito il frac...) ha ovviamente dato il meglio per valorizzare il brano, con i suoi pregevoli virtuosismi, e quindi ci siamo goduti questi 20 minuti scarsi di musica orecchiabile e non parliamone più...
___
Ma a proposito di scimmiottature di musica vecchia di secoli, ecco il secondo brano in programma, la Suite da Pulcinella di Stravinski. Al quale va però riconosciuto di aver sì impiegato modelli e melodie di Pergolesi&C, ma arricchendoli da par suo di contenuti squisitamente novecenteschi e orchestrando il tutto con la ricerca di raffinati timbri e sonorità.

Tutte qualità che Rysanov ha saputo benissimo mettere in risalto, ben assecondato dall’Orchestra con la quale mostra ormai (dopo diverse collaborazioni) di aver raggiunto un ottimo grado di affiatamento. Quintetto delle prime parti degli archi disposto attorno al podio, per valorizzarne gli interventi solistici; che riguardano anche altri componenti dell’orchestra, penso a trombe e tromboni, ma solo come esempi.

Successo pieno e applausi e chiamate singole per tutte le prime parti e le intere sezioni dell’orchestra.
___
Chiusura in bellezza con la Quinta di Prokofiev. Figlia della WWII, fu composta nel ’44 in una specie di oasi in cui alcuni artisti considerati patrimonio dell’URSS erano stati ospitati per evitare di cadere sotto i bombardamenti tedeschi e poter trovare ispirazione per le loro opere. E Prokofiev, alloggiato con la moglie in un confortevole appartamento, trovò effettivamente l’ambiente e l’atmosfera adatti per comporre questa che è di sicuro la sua più nota sinfonia e forse è anche la più esteticamente pregevole.

Sinfonia dal carattere e dalla struttura classica: 4 movimenti, tonalità scolasticamente accostate (SIb - RE - FA - SIb) impiego della forma-sonata e poche innovazioni (il pianoforte a far da riempitivo e qualche tamburo assortito). L’atmosfera che si respira è le mille miglia lontana dai fragori e dalle miserie della guerra (quindi da ciò che componeva, vedi l’ottava sinfonia, lì nei pressi tale Shostakovich) e solo l’Adagio, quasi espressionista, fa eccezione alla regola.

Qui ce la propone, con i suoi del Marinskii, Valery Gergiev, che usiamo come cicerone per esplorarne sommariamente le bellezze.

L’iniziale Andante (SIb maggiore) è in forma sonata, quindi due sono i temi principali che lo caratterizzano (in realtà sono accompagnati da almeno quattro altri motivi di una certa rilevanza, quindi parliamo sempre di gruppi tematici):


Il tema A viene subito esposto, senza introduzioni di sorta, da flauti e fagotto e poco dopo (1’04”) è ripreso, quasi distorto nella tonalità, da archi e poi dai fiati e ancora sottoposto a varianti, esposto a piccoli nuclei che lo compongono e affiancato da motivi secondari. Si arriva al secondo gruppo tematico (3’02”) con il tema B (canonicamente nella tonalità dominante di FA maggiore) ancora esposto dal flauto accompagnato dall’oboe: alcune micro-sezioni del tema richiamano il tema A, a conferma della coerenza della struttura tematica. Anche questo tema si accompagna con motivi di supporto, viene ripreso e rielaborato, finchè si arriva alla chiusura dell’esposizione e all’inizio dello sviluppo (4’50”).

Il quale presenta dapprima il tema A, e poi il tema B, manipolati sapientemente e sempre accompagnati dai rispettivi motivi secondari. Mirabile anche l’orchestrazione, con un ribollire di effetti e un continuo rincorrersi fra le diverse sezioni.

Si arriva quindi (8’17”) alla ricapitolazione, che in realtà non ripresenta stucchevolmente i temi come uditi nell’esposizione, ma ancora li sottopone a sottili manipolazioni e/o li trasferisce da una sezione all’altra dell’orchestra. Il secondo tema (B) ricompare (10’00”, anche qui nel rispetto delle sacre regole) in tonalità SIb, seguito e accompagnato dai suoi motivi ancillari.

A 11’13” ecco la coda, aperta da pesanti perorazioni degli ottoni, basata ancora su spezzoni del tema A (qui in MIb maggiore) che si chiude con la massima enfasi su uno schianto di SIb maggiore di tutta l’orchestra.

L’Allegro marcato, in RE minore, può essere vagamente assimilato al tradizionale Scherzo, e si presenta infatti con tre sezioni, delle quali quella centrale, in tempo più lento, potrebbe lontanissimamente assomigliare al classico Trio, anche se qui è di proporzioni e articolazione colossali. I temi principali sono due, sempre accompagnati da motivi di supporto:


Il primo tema (13’23”, chissà se Nino Rota se ne è ricordato per le sue musiche di 8½) pare evocare sbuffanti locomotive lanciate a tutta velocità, o l’incessante lavoro di magli che modellano l’acciaio nelle fabbriche di armamenti... Viene al solito presentato e poi manipolato sapientemente, fino all’arrivo (1602”, meno mosso) del motivo B (RE maggiore) che introduce il secondo gruppo tematico (16’28” e poi 17’06”) di proporzioni enormi e in metro ternario, che viene chiuso ancora dal motivo B (18’14”). Riecco il primo gruppo tematico (18’45”) che si presenta quasi ansimando, sembra proprio una locomotiva che sta faticosamente mettendosi in moto, sbuffando sempre più affannosamente, finchè (20’03”) eccola lanciarsi ancora nella sua folle corsa! Che per la verità (ecco la coda, 21’24”) si interrompe bruscamente (21’48”) come sbattesse contro un muro... di RE minore!

Ora abbiamo l’Adagio, in FA maggiore, una vera oasi di calma (ma anche di severa riflessione) dopo cotanta agitazione. Un movimento francamente ostico e non facile (a differenza degli altri) a digerirsi al primo ascolto. É in forma ternaria, con una sezione centrale più mossa. Dopo 3 battute introduttive ecco il tema A esposto da clarinetti e clarinetto basso (22’11”) subito seguito da un paio di controsoggetti e poi ripetuto (23’15”) dagli archi in MI maggiore. Un altro motivo B è esposto (24’58”) per chiudere la prima sezione:

La parte centrale del movimento (26’07”) presenta un ritmo più mosso, con un ostinato asimmetrico (terzine e duine per battuta) e vi appare (come a 26’19” e poi a 26’48” e ancora a 28’05”) un motivo puntato (C) assai dolente che sfocia (29’28”) in una poderosa perorazione dell’intera orchestra.  

A 30’15” attacca la terza parte del movimento con la ripresa del tema A negli archi; poi riecco (31’48”) il tema B. A 32’38” arriva la lunghissima coda che il clarinetto conduce in un’atmosfera sempre più rarefatta, a chiudere questo movimento davvero sofferto!

Ed eccoci al finale Allegro giocoso, SIb maggiore. La sua struttura ternaria si presta in questo caso ad una interpretazione in termini di forma-sonata, con esposizione, sviluppo e ripresa, anche se spesso si indica la forma come rondo, per il periodico ritorno del tema principale. L’Introduzione (che attacca riprendendo il FA conclusivo del precedente Adagio) è caratterizzata dalle reminiscenze del tema principale dell’Andante (primo movimento) che appaiono rispettivamente a 35’13” (frammento) e a 35’25” (tema completo).

Le viole, imponendone il ritmo, danno l’attacco al tema A esposto dapprima (36’03”) dal clarinetto solo e poi, dopo una risposta dei violini, da legni ed archi (36’20”). Il secondo gruppo tematico (motivo B) è esposto dal flauto a 37’17”, poi ripreso ancora a 37’45”, sempre dal flauto spalleggiato dal clarinetto. Ancora il tema A (38’10”) attaccato dal clarinetto ad invitare il flauto per il suo completamento, cui segue un transizione che chiude questa prima parte del movimento (l’esposizione, in linguaggio di forma-sonata).


Ecco quindi la sezione centrale, o sviluppo (39’12”) che introduce per la verità un nuovo motivo C, di natura assai cantabile, che richiama nello spirito il tema A del primo movimento. Poi vengono rielaborati e manipolati i motivi esposti in precedenza, compreso il tema C, fino a concludere questa sezione.

La ricapitolazione inizia a 40’57”, con la riproposizione del tema A e poi (41’48”) del tema B. Ancora il tema A (42’15”) viene esposto a grande ampiezza, spezzato nelle sue componenti, e poi torna a farsi vivo (42’43”) enfaticamente nei corni. Con il tema C innesca infine una colossale coda, dove tiene banco, fra le percussioni, un insistito quanto impertinente martellamento del legno, che rende ancor più esilarante la conclusione della sinfonia.
___ 

Anche questa sinfonia è ormai entrata nel vasto novero dei cavalli di battaglia dell’Orchestra, che anche ieri non si è smentita, tirando fuori un’esecuzione davvero encomiabile. Merito certamente anche di Rysanov, che mostra grande autorevolezza nella direzione e perspicacia nel mettere in risalto le tante perle di questa grande partitura (per dire, anche l’ostico Adagio è stato padroneggiato in modo da evitare assopimenti!) 

Pubblico anche ieri tutt’altro che oceanico, anzi: evidentemente se mancano Ciajkovski o Beethoven molti non si scomodano... ma anche stavolta hanno avuto torto.

11 maggio, 2018

laVerdi 17-18 – Concerto n°26

                                           
É proprio destino che il venerabile Vladimir Fedoseyev (in passato spesso di casa in Auditorium) resti ancora una volta tabù (i suoi quasi 86 anni gli creano qualche problema...) Così il concerto di questa settimana è stato affidato in fretta e furia al pur bravo Maxim Rysanov, alla sua terza comparsa con laVerdi. Questa volta il violista-direttore non ha diretto a mani nude, ma impugnando un... lapis (chissà se prima o poi arriverà alla bacchetta!) 

Si è cominciato con la Sinfonietta di Prokofiev, un autentico gioiellino, già udito qui per la prima volta circa tre anni fa, con esito (almeno per me) francamente scarsino (taccio del peccatore). Invece Rysanov ce la propone in tutta la sua freschezza, un brano pieno di leggerezza, di serenità e di humor (buona parte della partitura è in tempo di 6/8... non so se mi spiego). Così il pubblico (non certo oceanico, devo dire) gradisce assai. 
___
Conrad Tao, che non viene da Shanghai ma dall’Illinois, torna in Auditorium dopo 18 mesi (allora suonò il più celebre concerto russo) per proporci il Terzo di Prokofiev. Lui oggi non ha ancora 24 anni ma è già un vulcano di... produttività, non limitandosi a suonare, ma anche a comporre e ad organizzare festival ed eventi musicali.

La sua tecnica è trascendentale e questo pezzo - dove il solista è chiamato più a svolgere esercizi di virtuosismo che a proporre atmosfere romantiche... - gli consente di metterla proprio tutta in luce. Se qualcuno volesse fare lo scettico, dubitando delle sue capacità di espressione e considerandolo solo un efficiente robot, ecco che il ragazzo lo smentisce con questo scarlattiano bis, davvero ispirato.
___
Si chiude con il Quartetto n°8 di Shostakovich trascritto (fedelissimamente) per orchestra d’archi dal compianto Rudolf Barshai (che fu per anni ospite de laVerdi) e ri-nominato Sinfonia da camera. (Qui alcune mie considerazioni estetico... politiche sul brano, in occasione della sua più recente apparizione su queste scene).

Bravissimo Rysanov (che come solista di viola deve saper bene cosa sia un quartetto!) a trovare un eccellente equilibrio fra le due contrastanti esigenze: rendere fruibile al meglio la scarna ma purissima sonorità di un brano composto per pochi strumenti in un ambiente le cui vastità obbligano all’ipetrofico rinforzo delle voci.

Successo pieno per un programma che merita un pubblico più... vasto!

16 dicembre, 2017

laVerdi 17-18 – Concerto n°9


Sul podio de laVerdi torna il violista-direttore Maxim Rysanov, per dirigervi un concerto (quasi) tutto mozartiano.

L’eccezione è il pezzo che apre la serata, Fratres del compositore estone Arvo Pärt, brano di cui viene eseguita qui una delle innumerevoli versioni succedutesi negli anni (a partire dal 1977): quella per archi e percussioni.

Ad un ascolto passivo si rimane piacevolmente coinvolti dalla nobile spiritualità del brano, la cui agogica resta immutata per tutto il tempo (circa o poco più di 10') e dove la dinamica ha un picco poco dopo la metà del percorso. Sempre al primo ascolto si noteranno il continuo bordone di violoncelli e contrabbassi (una quinta vuota grave LA-MI) e i reiterati interventi delle percussioni (clave / tomtom o grancassa coperta) sempre sul primo, terzo e quarto tempo di due battute di 6/4 ad anticipare la melodia degli archi alti (e poi dei celli); cosa che si ripete precisamente per nove volte, semplicemente mutando le altezze dei suoni (la prima nota parte da MI e poi, nelle successive riprese, scende di terza minore o maggiore, quindi: MI-DO#-LA-FA-RE-SIb-SOL-MI-DO#).

Quanto alla melodia (escludendo quindi le due battute affidate alle sole percussioni) essa si snoda su 6 battute suddivise in due blocchi di 3: nel primo blocco viene esposto il tema, a sua volta creato per arricchimento successivo (4 note nella prima battuta in 7/4, 2 note in più nella seconda in 9/4 e altre 2 note in più nella terza in 11/4); il secondo blocco di 3 battute ripresenta il tema in forma cancrizzante, dove cioè in ogni battuta le note si succedono in sequenza retrograda rispetto all’originale:

Il tutto ci dà l’impressione di un imperturbabile fluire sonoro che trasmette oniriche sensazioni di pace.

E invece, guarda un po’, dietro tutto questo c’è nientemeno che una costruzione scientifica, un’invenzione di Pärt, basata su ciò che lui ha battezzato tintinnabuli. In parole povere, la melodia principale viene accompagnata, nota per nota, da una nota (tintinnabuli, appunto) di una triade caratteristica del brano (nel nostro caso: LA minore, LA-DO-MI). Le note tintinnabuli stanno in altezza sopra o sotto la nota della melodia e possono essere solo due note della triade: quella più vicina o la seconda più vicina a quella della melodia, evitando però consonanze e aspre dissonanze. Ecco qui un esempio preso dalla partitura (battuta 5):

In questo caso (e per l’intero brano) la melodia è suonata da due strumenti a distanza di una decima (MI-DO# sulla prima nota della battuta) e i tintinnabuli sono posti sempre ad altezza intermedia fra quelle delle due note di melodia, secondo la regola esposta. Quindi sulla prima nota (MI-DO#) ecco comparire un LA, che è la nota della triade di LA minore più vicina alle note di melodia DO# e MI (qui il LA è scartato perchè consonante e il DO è scartato per non creare dissonanze con il DO#). Sulla seconda nota (RE-SIb) abbiamo il MI, che permane anche sulla nota successiva (DO#-LA). Segue il DO (su SIb-SOL) e così via.

Proviamo a seguire l’esecuzione di questa versione 1983-1991, diretta da un compatriota dell’Autore, il più giovine rampollo della gloriosa famiglia Järvi:

0”  primo intervento percussioni
13”  prima esposizione tema (parte 1) dal MI
46”  prima esposizione tema (parte 2)
1’16”  secondo intervento percussioni + tema dal DO#
2’33”  terzo intervento percussioni + tema dal LA
3’49”  quarto intervento percussioni + tema dal FA
5’06”  quinto intervento percussioni + tema dal RE
6’19”  sesto intervento percussioni + tema dal SIb
7’35”  settimo intervento percussioni + tema dal SOL
8’53”  ottavo intervento percussioni + tema dal MI
10’21”  nono intervento percussioni + tema dal DO#
11’59”  intervento percussioni di chiusura

Insomma, Pärt ha inventato un metodo compositivo che tende a garantire sempre una stabilità (ed una gradevolezza) armonica; al contrario, per dire, del metodo seriale, che tale stabilità e gradevolezza esclude di fatto.

Per le nostre orecchie (beh no, parlo per me) molto meglio questo Pärt... E ieri sera Rysanov e l’Orchestra ci hanno offerto un’esecuzione invero coinvolgente, dosando perfettamente l’arco delle dinamiche, dal pianissimo iniziale, al limite dell’udibilità, al forte dell’apice sulla sesta ricorrenza, al nuovo pianissimo che chiude il brano.
___
Poi, tutto Mozart, come detto. Si parte con la celeberrima Concertante K364 per violino e viola, in cui Rysanov (rientrato in... maniche di camicia) è affiancato dal violino dell’Artista residente Domenico Nordio. Una coppia strepitosa, che ci delizia con quel continuo botta-e-risposta che caratterizza i tre movimenti del brano. Un’Invenzione di Bach corona la loro prestazione, accolta trionfalmente. 
___
Dopo la pausa, ancora Nordio nel Quinto Concerto per violino, il più noto ed eseguito dei 5 composti da Mozart, chiamato turco per quel passaggio - appunto, da turcheria – incastrato nel Menuetto finale. Ma anche il primo movimento contiene una... stranezza, con una sezione in Adagio calata inopinatamente nel bel mezzo dell’Allegro aperto.

Nordio ne dà una lettura esemplare, ben supportato da Rysanov e dall’Orchestra, meritandosi a sua volta ovazioni ripagate ancora con Bach.
___
Si chiude in bellezza con la K543, la prima del trittico sinfonico con cui Mozart diede l’addio a questo mondo... Rysanov – sempre senza bacchetta – l’affronta col dovuto cipiglio, non risparmia nessun da-capo, nemmeno nel Finale, e i ragazzi (guidati ieri da Dellingshausen) rispondono da par loro. 

Insomma, una serata da incorniciare per chiudere il 2017. A cavallo di Capodanno tornerà l’immancabile Nona.     

24 settembre, 2016

laVERDI 2016 – Concerto n°27


Dopo un paio di concerti dal taglio ultra-tradizionale, eccone uno invero fuori dagli schemi. È anch’esso, come il precedente, focalizzato su un singolo autore russo, Shostakovich, di cui presenta opere piuttosto desuete, dirette per di più da un solista di viola che da non molto si sta dedicando anche alle cure del podio, il 38enne Maxim Rysanov: un ragazzone dal fisico di attore, che dirige con... i pugni (sempre meglio che con i piedi, stra-smile!)

Programma che, già abbastanza smilzo in origine, si è poi ulteriormente rattrappito con la scomparsa (non dal libricino di sala) della Jazz-Suite-1.

La prima parte del concerto è occupata dalla Suite dalle musiche dal film del 1955 The Gadfly (Il tafano) approntata (in 12 numeri) dall’amico del compositore Levon Atovmian. Il film, che presenta la storia di un irredentista-carbonaro italiano dell’800, fu tratto da un romanzo di pari titolo della scrittrice irlandese Ethel Lilian Voynich. Costei era figlia di un matematico-filosofo che senza saperlo è diventato responsabile nientemeno che del fantastico sviluppo dell’informatica, grazie al quale oggi possiamo con internet goderci anche la musica di Shostakovich (qui la ascoltiamo diretta da Fedoseyev) senza andare in discoteca o in auditorium, o addirittura guardarci il film originale. Chi era costui? George Boole! Però, resi a Boole i suoi algebrici meriti, ascoltare musica dal vivo è sempre un’altra cosa, diciamo la verità.

I tre brani dell’originale programma avevano qualche vaga relazione fra loro: la Suite for Variety Stage Orchestra (che incorpora diverse musiche preesistenti) presenta come secondo brano (Danza-1) il terzo numero (Festa popolare) della Gadfly, riorchestrato; inoltre il Valzer-2 sembra proprio una derivazione aggiornata e abbellita di quello che apre la Jazz Suite 1. Scomparsa la quale, Rysanov ha però trovato modo per chiarirci il primo dei due legami. Come? Saltando a piè pari la Danza-1 e chiudendo (apparentemente) con soli 7 degli 8 numeri della Suite. Dopodichè si è girato verso la sala spiegando l’arcano, e attaccando, appunto, il numero prima saltato, che ha così chiuso con i dovuti fracassi il concerto.

Insomma, un programma francamente discutibile, la cui esecuzione è però stata gratificata di calorosi applausi da parte di un pubblico di pochi irriducibili...