XIV

da prevosto a leone
Visualizzazione post con etichetta prêtre. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta prêtre. Mostra tutti i post

23 febbraio, 2016

Prêtre saluta la Scala dopo 10 lustri

 

Era il 1966 quando Georges Prêtre debuttò alla Scala con Faust, titolo quanto mai drammatico e straziante. Sapete come l’ha salutata ieri sera, la sua Scala, a 50 anni di distanza e a quasi 92 anni? Con un forsennato can-can!

 

Ecco una persona che, vedendo ormai lo striscione del traguardo – quello dell’ultima corsa - mostra ancora un amore fanciullesco per la vita più spensierata!

 

Fa tenerezza, il vecchio Georges: maschera sorridente, ma come paiono sorridere i teschi (eh sì!); camminata incerta, come le sue autentiche, impertinenti invenzioni in Barcarolle e Boléro, per andare (senza bastone, abbandonato prima di scenderli) dai gradini di uscita al proscenio e viceversa; uno sgabello foderato di rosso ai margini del palco dove sostare per qualche attimo fra una chiamata e l’altra, fra un brano e l’altro; niente leggio (le partiture evidentemente zampillano dai suoi occhi...); niente podio, ma soltanto una sedia, pudicamente schermata al pubblico, dove si accuccia ma dalla quale si alza a scatti (come fa subito per l’imperiosa Egmont) per sottolineare con l’energia di un ventenne i passaggi salienti di ciò che si suona; la bacchetta lasciata in consegna alla Eriko dopo la sinfonia della Forza (protervia e dolcezza mirabilmente coniugate) e poi rifiutata quasi sdegnosamente per dirigere a mani nude la sua adorata Barcarolle.  

 

Recensire un concerto come quello di ieri non avrebbe senso (o forse sì, ma solo per la quota Buchbinder, solidissima prestazione nel terzo beethoveniano e funambolica parafrasi del lisztiano Rigoletto, una specie di bis fatto dopo l’intervallo, a palcoscenico deserto) poichè non di concerto trattavasi, ma di un reciproco abbraccio (l’ultimo, diciamolo pure senza infingimenti) fra questo venerabile personaggio e un pubblico e un’orchestra che gli devono moltissimo. Tenerissima l’immagine del vegliardo che alla fine, scalati con l’aiuto di Buchbinder i due gradini dell’ingresso in scena, si è girato verso la sala per salutare ancora una volta il suo pubblico in delirio.  


Mille fois merci, Georges!


01 marzo, 2011

George Prêtre con la Filarmonica


Ieri sera il venerabile George Prêtre – farà le 87 primavere a ferragosto - è tornato a dirigere i Filarmonici in un concerto che ha accostato Cesar Franck ad Ottorino Respighi. Per l'occasione è stato insignito del titolo di Socio onorario dell'Associazione, essendo stato fra i primi a dirigere l'Orchestra dopo la sua nascita, nell'ormai lontano 1982.

Del compositore belga è stata eseguita la (relativamente) celebre Sinfonia in RE minore. Che è del 1886-88, quindi coetanea, tanto per fare qualche esempio nel campo sinfonico, della Quinta di Ciajkovski, dell'Ottava di Dvorak, della Terza (quella con l'organo) di Saint-Saens e della Prima di Mahler. Poi, nel mondo della musica a programma, di Aus Italien di Strauss, di Sheherazade di Rimsky. Ed anche del Requiem di Fauré. Ma l'incipit della sinfonia viene direttamente dalla Walküre (atto II, scena IV):


Poi, sempre nel primo movimento, ci sono più o meno chiare tracce di Tristan, a dimostrazione che la rivoluzione wagneriana aveva davvero contagiato l'intero pianeta musicale. Quanto alla ciclicità della forma, con i temi dei primi due movimenti che ritornano, variati, nell'ultimo, non era certo una novità, ma anzi una vera e propria moda (in senso positivo) dell'epoca, come testimoniano ampiamente le contemporanee opere di Ciajkovski e Mahler.

La struttura del primo tempo (assai lungo, quasi 20') è in forma sonata liberamente interpretata: il tema iniziale in RE minore viene esposto in tempo Lento, poi riesposto in Allegro non troppo. Quindi il processo (Lento-Allegro) è ripetuto, ma innalzando la tonalità a FA minore. A questo punto Franck presenta un nuovo tema, in FA maggiore, che sfocia nella famosa perorazione:

 Segue poi un complesso sviluppo, sempre in RE minore e FA maggiore (dove appunto par di sentire vaghe reminiscenze tristaniane) che mette in contrasto i due temi, e che sfocia in una spuria ripresa: il primo tema è esposto in Lento e FA minore da tromboni e tuba, poi in Allegro dagli archi in MIb minore. Ancora una divagazione del primo tema, in SOL minore, poi il secondo entra in RE maggiore. Si torna a RE minore per la coda, ma la conclusione è abbastanza imprevedibile: con la cellula iniziale del primo tema esposta in SOL minore, per tre volte, a sfociare imperiosamente nell'accordo finale di RE maggiore, accentato sulla mediante FA#.

Prêtre ne dà una lettura proprio severa, tempi sempre contenuti e quelle cupe sonorità tedesche che molti avevano criticato all'apparire del lavoro.

L'Allegretto – qui Prêtre depone la bacchetta sul leggìo della spalla e dirige a mani nude - principia in SIb minore, con il delicato tema del corno inglese:
 Cui segue un'altra, lunga melodia in SIb maggiore, prima del ritorno del corno inglese, in minore, con il primo tema. Ecco poi un intermezzo mosso, in cui archi e fiati si scambiano frammenti del tema, ma poi emerge improvvisamente – eccellente qui Prêtre nello stacco - dai clarinetti un tema nuovo, in MIb maggiore, denso di cromatismo:


Tema ripreso e ampiamente sviluppato dagli archi. Torna il primo tema, ancora nel corno inglese, dapprima in SOL minore, poi nuovamente in SIb minore, come all'inizio; poi si mescola ancora con il secondo, fino alla chiusa in SIb maggiore.

Protagonisti qui il corno inglese di Renato Duca, ben spalleggiato dal corno di Roberto Miele: saranno i primi, alla fine, ad essere chiamati da Prêtre per un applauso individuale.

Il Maestro risfodera la bacchetta per attaccare da par suo il terzo ed ultimo (!) movimento, che si apre con un tema a dir poco velleitario, esposto da fagotti e violoncelli, in RE maggiore, sul deciso tremolo degli archi, dopo 5 secchi accordi dei fiati:
Tema che fa da impalcatura a questa specie di forma-sonata, seguito dal secondo, più dolce cantabile, in SI maggiore, esposto dalle trombe, con accompagnamento delle cornette e di tromboni e tuba:


Ripreso poi dagli altri strumenti, fino all'ingresso, in SI minore, del tema dell'Allegretto, esposto dal corno inglese e dai legni, cui subentra ancora il dolce cantabile, ora però più pesante, in tutta l'orchestra.

Si ricapitolano i temi principali, con modulazioni in diverse tonalità (LAb, SOL). Ancora il tema dell'Allegretto fa capolino in SI minore nell'oboe, poi il tema principale del finale riemerge, in RE maggiore, ma quello dell'Allegretto - sempre in SI minore - riesplode tracotante. Siamo davvero ad un gigantesco put-pourri dove tutto viene, proprio wagnerianamente, ricapitolato: torna, in SIb, il secondo tema del primo movimento, poi anche il primo che lo contrappunta.

Finalmente si insinua il tema del finale che porta alla conclusione, che ribadisce, qui in modo adeguatamente preparato, e non improvvisato, l'epilogo del primo movimento, con tanto di FA# a spiccare nel positivo accordo di RE maggiore.

Applausi intensi, ma forse non proprio deliranti, per questa sinfonia che evidentemente fatica ancora a farsi largo nella considerazione del pubbblico.

Dopo l'intervallo (con siparietto di caccia al tesoro sul palco: qualche parte mancante?) eccoci a Respighi, con i primi due dei tre poemi sinfonici romani, composti a distanza di anni, fra il 1916 e il 1928. Dapprima Fontane di Roma, in cui subito appare nei secondi violini - ad introdurre il tema debussyano negli oboi - una vaga reminiscenza mahleriana:


Sono le prime battute di Der Einsame im Herbst, ambientato, guarda caso, nei pressi di un laghetto, di cui si ode il lento sciacquìo, che rimanda al tenuo sgocciolare della fontana di Valle Giulia. Seguono due sezioni mosse, con lo squarcio di luce del sole che inonda il Tritone di prima mattina, e poi la fantasmagoria di zampilli e cascatelle di Trevi. Si chiude con il tramonto di Villa Medici, languido quanto lo specchio d'acqua della circolare fontana, e scandito dai rintocchi (ben 29!) della campana.

Prêtre, che ha diretto ancora senza bacchetta, fa appena in tempo a lasciar cadere le braccia, che subito dal loggione parte qualche battimano: lui ne resta quasi sorpreso, poi gira la sola testa verso le prime file di platea… infine fa alzare il pacchetto dei legni, per gratificarlo del giusto riconoscimento, prima di girarsi per raccogliere l'applauso, ora scrosciante, di tutto il teatro.

Riprende poi la bacchetta per chiudere con Pini di Roma. Introdotti dal corno inglese e dal primo fagotto, colla punteggiatura dei corni, che intonano – a Villa Borghese - la popolaresca Oh quante belle figlie madama Dorè:

E non è la sola filastrocca che compare in questo quadro d'apertura; poco dopo ecco infatti un paio di giro-girotondo, il primo introdotto da archi e fiati a canone, il secondo da oboi e clarinetti:

Che viene ripetuto più volte, fino a sfociare nel lugubre passaggio presso le Catacombe, con il suo sghembo intermezzo in 5/4, pieno di note ribattute.

Nei Pini del Gianicolo, proprio alla fine (ultime 10 battute e mezza) è previsto che canti un usignolo vero: no, non è in gabbia ed in penne ed ossa, oltretutto ci vorrebbe anche l'ammaestratore a corredo, per dargli l'attacco giusto… In partitura è segnato come una registrazione su nastro (ai tempi gli mp3 potevano essere, al massimo, dei moschetti) con tanto di codice articolo, per chi ne volesse acquistare una copia:

Spesso lo si scimmiotta con qualche richiamo da quaglia, più che da usignolo (smile!) come qui a 6':39".

Nel conclusivo I Pini della via Appia, dopo un lungo assolo del corno inglese, compaiono le sei buccine, specie di enormi unicorni che accompagnavano le marce delle legioni romane. Respighi – che ne prevederà tre anche in Feste Romane - prescrive in partitura dei flicorni (2 soprani, 2 tenori e 2 bassi); qui sostituiti da due trombe, due tubette e due tromboni. Sul martellante ritmo di timpani e gran cassa, sono loro a portare all'enfatico epilogo dell'opera.

Gran trionfo per Maestro e Professori. Dal loggione piovono verso il podio tulipani in quantità (uno centra in pieno la capoccia del direttore!) Che per ringraziare dell'accoglienza ci regala un suo classico bis: Entr'Acte et Barcarolle da Les Contes d'Hoffmann. E nessuno meglio di lui sa come porgerlo per toccare le corde più sensibili dell'ascoltatore!

27 dicembre, 2009

Neujahrskonzert n 71 (+ Tod in Venedig)

Passato il Natale, è tempo di pensare al Capodanno. Georges Prêtre torna - per la seconda volta, dopo il 2008 – a guidare i Wiener nel tradizionale concerto di capodanno.

Il programma (cui vanno aggiunti i due immancabili extra – Danubio e Radetzky) ospita, oltre alla famiglia Strauß (ben 4 rappresentanti) anche Otto Nicolai, con le sue Comari, Jacques Offenbach (altre comari… Die Rheinnixen) e Hans Christian Lumbye, un danese innamoratosi dei viennesi, tanto da essere chiamato lo-Strauss-del-nord. Curiosità: tranne i bis finali, si tratta di un programma che non ha alcun brano in comune con quello di due anni fa. Appuntamento Radio3 alle 11:15.

Per gli amanti delle lotterie, dal 2 al 23 gennaio sarà aperto – esclusivamente via internet , siamo nel terzo millennio! – l'inoltro delle domande di biglietti per il concerto 2011. I posti verranno estratti a sorte a fine gennaio. Buona fortuna!

In televisione (RAI1) sta diventando tradizione (smile!) fare gli autarchici e trasmettere in diretta dalla Fenice. Dove si programma un Concerto di Capodanno assai strampalato: prima del pout-pourri di belcanto italiano (inquinato peraltro da due pagine della Carmen, quasi a voler fare lo sberleffo alla Scala) viene eseguita, dal prestigioso Sir John Eliot Gardiner, la settima sinfonia di Dvorak. Va bene che siamo in tempi di vacche magre, ma un'opera sottotitolata Da anni infelici e da molti definita La Tragica (del boemo) non parrebbe proprio materiale adatto per festeggiamenti e auguri di buon anno. Chissà, forse Sir John ha voluto portare al concerto un tocco della sua Albione, scegliendo la sinfonia commissionata a Dvorak dalla London Philharmonic Society nel 1884 e che vide la luce l'anno successivo a Londra. Comunque il brindisi non mancherà: nel brano conclusivo saranno Antonacci & Meli a sollevare i calici!

25 maggio, 2009

Prêtre alle prese con Mahler

.
Il venerabile Georges è tornato alla Scala (vuoti alcuni palchi e posti di platea, a dispetto della disponibilità zero che compare in internet su tutti i 3 concerti) con la Quinta di Mahler. Al termine lo ha accolto un’ovazione, seguita da un lungo applauso ritmato: un vero e proprio oscar alla carriera, direi.

A 85 anni non si fanno balzi - nè si emettono grugniti - alla Oren, non si agitano braccia e chiome, alla Dudamel: è già molto se si resta in piedi, senza chiedere uno sgabellone su cui appoggiare di tanto in tanto le sacre chiappe. Tuttavia, a dispetto dell’età, o forse perchè il gran vecchio è certo che gli si perdonerà tutto, il maestro non ha lesinato gigionerìe e ritocchi alla partitura.

Ad esempio: l’incipit, dopo gli squilli della trombetta d’ordinanza, è stato da marcia funebre sì, ma su una salita con pendenza 20%... da far sembrare Klemperer un velocista. Poi il secondo tema viene invece attaccato con un cambio di velocità di cui non v’è traccia sul pentagramma. Stessa cosa nel corale che chiude il secondo tempo. Si dirà: non facciamo troppo gli schizzinosi, certo. Però qui si parla di Mahler, uno che sulle partiture scriveva anche con quale dito girare le pagine, figuriamoci...

L’orchestra (rinforzate di un’unità le sezioni dei corni e dei clarinetti - ma ce n’era proprio bisogno? il settimo cornista ha addirittura sonnecchiato per il 90% del tempo) non mi è parsa in una delle migliori serate: in particolare i corni (siamo alle solite) che, dopo aver resistito strenuamente fino a metà dello scherzo, sono progressivamente scivolati in una serie di evidenti défaillances. Anche il primo corno (ottimo peraltro nell’obbligato dello scherzo) non è stato esente da imprecisioni. Una doverosa citazione invece per oboi e clarinetti, che Mahler costringe spesso e volentieri a suonare con campana all’insù, quindi in posizione assai precaria (testa all’indietro, e occhi puntati sul loggione anzichè sulla parte...)

Prêtre ha dato briglia sciolta alle percussioni, quasi a voler ribadire che questa è una sinfonia per batteria e orchestra, come l’aveva subito etichettata la giovane, bella e musicalissima Alma. Intelligente la scelta di insediare l’arpa in avanti, nel bel mezzo degli archi, proprio sotto lo sguardo del maestro: in modo da fare concerto nell’Adagietto tanto caro a Visconti (durata: 10 minuti, qui siamo stati effettivamente nella media).

In definitiva: una quinta non proprio da antologia, certamente migliorabile con qualche prova in più, per le serate di mercoledì e giovedì.
.