XIV

da prevosto a leone
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25 febbraio, 2015

Scala: il Lucio Silla di Mozart-Bach per Villazon… senza Villazon?

 

Uno degli auto-riciclaggi da Salzburg del neo-confermato Pereira è questo Lucio Silla che domani sera vedrà la sua prima delle sei rappresentazioni.

Ai tempi di Mozart i contratti si stipulavano con lettere di 10 righe, e poi si rispettavano scrupolosamente. Così, avendo ricevuto dal Regio Ducal Teatro la seguente missiva:

…il Teofilo 16enne e l’immancabile papà Leopold si fecero trovare a Milano con perfetta puntualità e pronti ad onorare il contratto, cosa che avvenne con precisione svizzera.

Chi invece cominciò a far casino fu il librettista Giovanni De Gamerra (già il nome pare poco rassicurante, poi si saprà anche di sue attitudini… ehm, necrofile) che al Mozart diligente (aveva già scritto tutti i recitativi sul testo avuto in precedenza) fece trovare un libretto non poco rimaneggiato (nientemeno – si giustificò - che dal Metastasio!) e con buona parte dei recitativi da riscrivere.

Problemi anche con i cantanti, in particolare con un corista di chiesa padano, assoldato all’ultimo momento per fare proprio la parte di Silla, talmente sprovveduto da convincere Mozart a cancellargli almeno l'ultima aria delle tre, per evitare (ma invano) figuracce.

E qui abbiamo subito un paio di riferimenti di attualità: a Salzburg nel 2013, il direttore Marc Minkowski, avendo a disposizione per il ruolo di Silla un divo dello star-system come Rolando Villazón, pensò bene di restituire al dittatore l’aria del finale (Se al generoso ardire) e pure il recitativo accompagnato che la precede (Amor, gloria, vendetta). Peccato che Mozart l’aria non l’avesse proprio composta, e il recitativo l’avesse tenuto… a secco! E allora si è preso il tutto a prestito da Johann Christian Bach che, un paio d’anni dopo il Teofilo, aveva musicato per Mannheim il libretto (rinnovato per l’occasione) di De Gamerra.

Ecco una delle tante trovate che servono al direttore di turno per farsi bello, facendo bello al contempo il famoso tenore, che viceversa non si degnerebbe di sostenere una parte che è più da teatro di prosa che musicale. E così si inquina con la massima disinvoltura il lavoro mozartiano. Ma allora, caro Minkowski, perché non mettere in scena, nell’intervallo, anche qualche balletto di Charles-Auguste Hus, com’era d’uso nei tempi andati, o di Josef Starzer, come si fece proprio nel 1772-73 a Milano? (mah…)

Infine, come il cacio sui maccheroni (o un meritato contrappasso?) ecco che si materializza un nuovo caso di un fenomeno ormai dilagante (ovunque, ma alla Scala più che ovunque) che dimostra come gli impegni di cantanti e direttori siano scritti sull’acqua: il tenore mexicano, per il quale tutta l’operazione mozart-bach era stata architettata, ha già dato forfait: dapprima per la recita inaugurale, poi in estensione alle due successive. Se tutto va bene lo si sentirà (in J.C.Bach) il prossimo 12 marzo…

22 giugno, 2014

Così fan tutti i... Guth


Ieri sera seconda recita (delle ben 12 previste, fino al 18 luglio) del mozartiano Così fan tutte alla Scala, in un teatro ancora parecchio lontano dall’affollamento che ci si aspetterebbe per un’opera come questa.

 

L’allestimento di Claus Guth è una rivisitazione di quello presentato nel 2011 a Salzburg (a sua volta una sostanziale revisione di quello del 2009, sempre nella città di Mozart).   


Per commentarlo potrei limitarmi a riproporre le stesse e identiche considerazioni che mi venne di scrivere un paio d’anni fa, in occasione dell’edizione di Damiano Michieletto alla Fenice. Di sicuro non ho nel frattempo cambiato idea sulla natura del soggetto e dei relativi personaggi: né opera comica (perché giocoso è, ma dramma) né opera pessimista (poiché dramma è, ma giocoso). O magari potremmo sì definirla pessimista, ma in senso gramsciano, in piena coerenza con il proposito che tutti esprimono alla fine: Fortunato l’uom che (…) da ragion guidar si fa (ecco l’ottimismo che fa capolino…) Succede invece che gli allestimenti tendano a presentare una sola delle due facce, ai nostri giorni solitamente più quella scura, perché questo fa tanto impegnato

Ecco, il segreto e insieme la grande difficoltà di chi mette in scena quest’opera sarebbe di saper camminare, anzi danzare e fare acrobazie, su una lama di rasoio, senza cadere di sotto e senza farsi nemmeno un taglietto alle piante dei piedi. Cosa che né Guth né il suo più giovine imitatore Michieletto provano nemmeno lontanamente a fare. Loro – con diversi accenti e, mi sentirei di dire, con minor tasso di gravità per il nostro compatriota – evitano accuratamente la lama di rasoio per accomodarsi stolidamente su una delle due opposte sponde: nella fattispecie quella nichilista, dove ai protagonisti (ergo, all’umanità) non resta altra prospettiva se non un perenne e astioso conflitto.

La base comune di queste assurde interpretazioni del capolavoro è la crassa ignoranza (o meglio: la sprezzante minimizzazione) della musica del Teofilo, oltre che del testo del suo amico librettista nonché prete.

Ora però, Michieletto si limitava – per così dire – al pessimismo della conclusione e a presentare DonAlfonso come un povero ubriacone che si diverte a rovinar famiglie, lasciando però in vita molto della freschezza e del buonumore di cui è permeata l’opera. Guth invece va ben oltre e ne distrugge con scientifica meticolosità l’intero impianto, per farlo aderire al suo lunatico Konzept nichilista, infarcito di iper-freudismo da quattro soldi.

Per tutto il primo atto i comportamenti dei protagonisti, non solo dei due maschi ma anche delle due femmine, sono determinati dagli effetti di sbornie e dai fumi dell’alcool, come dire: tutta la vicenda è un nonsenso. I due finti albanesi mai si trovano al cospetto delle due ragazze: al massimo si coprono il volto con due maschere; oppure sono loro a bendare le donne, oppure piomba un’improvvisa oscurità. Finalmente, nella scena del finto suicidio, eccoli presentarsi con i loro connotati originali, che da lì in poi manterranno fino alla fine dell’opera (?!?)

Altra trovata: alla fine del primo atto, al momento del finto suicidio, la scena si apre per mostrare un bosco, che poi si ingigantirà nel second’atto e quindi quasi del tutto sparirà alla fine. Che significa? Certo Guth-Freud avrà una risposta; di sicuro c’è che nel libretto il protagonista, non solo a livello natura, ma psiche, è il mare, che il regista non ci mostra nemmeno col binocolo!    

C’è poi un particolare apparentemente secondario, ma in realtà illuminante, che testimonia dell’indifferenza del regista per l’originale. Si tratta di un paio di tagli al libretto, che ci privano di un passo fondamentale nella caratterizzazione del personaggio di Fiordiligi e del suo tremendo conflitto interiore: prima dell’aria di Dorabella È amore un ladroncello Fiordiligi, che ha già confessato di amare anche Ferrando, ha un estremo ripensamento (Cosa dici! Non pensi agli infelici che stamane partir!) che Guth cancella; poi, e qui davvero la cosa è proditoria, il regista cassa l’intera scena in cui Fiordiligi ordina a Despina di recapitarle le uniformi dei due fidanzati per raggiungerli al campo militare, e poi sceglie per sé quella di… Ferrando! Così si salta immediatamente al duetto in cui la ragazza cede definitivamente. Ecco cosa un sedicente regista arriva a fare, pur di forzare l’originale ad aderire alla sua idea.

Insomma, ancora una volta un allestimento regista-centrico che letteralmente snatura il capolavoro originale. Complimenti davvero!
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Discreto e non più – a mio avviso – il livello della prestazione musicale.

Sopra la media l’orchestra e il coro: Barenboim forse fin troppo… wagneriano nell’agogica, ma a mio parere efficace nel mettere in risalto tutte le infinite sfaccettature della partitura; il coro di Casoni ha una presenza sporadica, ma ha risposto come sa.

Fra gli interpreti metterei in cima alla lista la Fiordiligi di Maria Bengtsson (che bene aveva fatto anche nella produzione veneziana) e Michele Pertusi, un DonAlfonso autorevole (che non merita di essere rovinato dal regista).

Rolando Villazon è Ferrando e se la cava con mestiere, gli do una onesta sufficienza.

Sotto la media mi son sembrati gli altri: dalla Dorabella di Katija Dragojevic al Guglielmo di Adam Plachetka alla Despina di Serena Malfi.

Successo moderato, in un teatro-gruviera.

06 ottobre, 2010

Un Elisir per chiudere in gloria il 2009-2010 della Scala

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Ultimo titolo della stagione 2009-10 alla Scala: l'Elisir. Al centro dell'attenzione il redivivo Ronaldo... ah no, scusate l'anagramma, Rolando. Che pare intenzionato a passare dall'altro lato della barricata - un po' come ha fatto da tempo il suo semi-connazionale Topone, e come si appresta a fare la Ceci - dedicandosi all'ippica (ops... alla regìa del teatro d'opera). Forse perché la voce se ne sta andando per sempre? Ecco il tragico dubbio che assilla i melomani di mezzo mondo!

Sabato scorso, alla prima, pare che le cose fossero andate così-così, anzi benino, insomma meno peggio del temuto. Ieri sera è stato un autentico trionfo, per lui in particolare, ma con lui per tutti i protagonisti (incluso il simpatico cagnolino che per due volte ha attraversato il palco). Personalmente mi associo ai complimenti – anche se sono sempre abbastanza largo di maniche con gli interpreti, posto che non siano appunto dei… cani – dato che le mie orecchie (che sono quelle dell'uomo della strada, e non certo quelle di un esperto delle tecniche di vocalizzazione tramandate da tale Garcia) hanno ricevuto dal mexicano impulsi sonori sempre gradevoli e piacevoli, e assai coerenti con l'oggetto del canto medesimo. E non solo nella fatidica lagrima, accolta da ovazioni da stadio, ma già da subito, col pubblico ancora freddo e contratto, con la cavatina Quanto è bella, quanto è cara! Che ha evidenti somiglianze con un'altra, che pure si cala in uno scenario tutt'affatto diverso:


(Sì, perché ogni compositore si porta dentro dei cromosomi che poi affiorano qua e là, anche in contesti fra loro lontanissimi.)
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Anche la simpatica Nina (scusate, ma a me chiamare Nino una bella gnocca mi fa venir l'orticaria…) si è portata più che discretamente: o è migliorata nel frattempo, oppure in loggione i buatori di sabato erano momentaneamente distratti. Forse negli acuti ha una voce un po' chioccia, ma nella fattispecie adatta al contesto di una fattoria (smile!)
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Ambrogio Maestri è stato un Dulcamara divertente – gigione quanto basta, ma anche quanto si deve – e il suo vocione ha piacevolmente riempito l'enorme massa d'aria del Piermarini.
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Belcore, al secolo Gabriele Viviani, forse un po' sotto la media, ma non gli tolgo per questo la sufficienza. Così come alla Giannetta di Barbara Giannesi.
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Sempre all'altezza il coro di Casoni (colpevolmente omesso – vergogna! - dalla locandina web) e buone notizie anche dalla buca, che con questo Donizetti forse si ritrova meglio che con Bruckner. Immagino anche per merito del navigato Renzetti.
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Alla fine interminabili applausi e ripetute chiamate. L'ultimo tocco strappalacrime lo dà proprio Villazon con un furtivo… bacio al sipario, al momento del definitivo rientro.
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Quanto alla regìa, Laurent Pelly ci propina uno spettacolo assolutamente gradevole, fatto con intelligenza, gusto e humor. È chiaro che qui siamo all'Elisir, mica al Tannhäuser! E quindi poco o nulla a noi importerà se l'ambientazione è nella bassa padana e non – selon Scribe – nella bassa navarra, in un paesino che ha – toh! – lo stesso nome del protagonista Rolando (che all'anagrafe fa Emilio Rolando Villazón Mauleón) E se il tutto accade nell'ultimo dopoguerra italiano e non nel '7-800 francese. Ciò che ci importa è che dell'opera emergano i tratti caratteristici, che vanno dalla bonaria faccia tosta del sedicente dottore, all'ingenuità del ragazzotto di campagna; dalla spocchia del solito sergente che si crede chissàcchì solo perché ha un berretto in testa, all'ambiguità della figura della possidente, che mai si capirà se sia solo una ragazza con la puzza al naso, o una verginella piena di complessi, o magari una sgualdrinella in piena regola…
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Ecco, con un raggio di luce ed un sorriso la stagione scaligera esaurisce i 12 titoli, dopo non pochi stenti e più di un buco nell'acqua (a proposito: prima di SantAmbrogio ci sarà ancora una recrudescenza di Carmen… come non bastassero le influenze autunnali). Non ci resta che sperare che le cose migliorino prossimamente (anche perché scendere sotto questa media sarebbe impresa obiettivamente ardua). Buon 2010-11!
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