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08 novembre, 2018

Elektra è tornata in Scala


Ieri sera la Scala ha offerto la seconda delle sette recite della straussiana Elektra, una ripresa della produzione del 2014, l’ultima impresa registica del compianto Patrice Chéreau. Di quella produzione, a parte l’allestimento, è sopravvissuta la voce della venerabile Waltraud Meier, che già 4 anni orsono mostrava ampiamente la corda, quindi si può immaginare come sia oggidì (della serie: com’è difficile appendere la voce al chiodo...) 


Restando alle voci, una delle mie osservazioni critiche di allora (qui richiamate) riguardava i tagli apportati alla partitura (nulla di nuovo peraltro) che riguardano principalmente il soprano protagonista: la Herlitzius del 2014 (secondo me, date le sue strabordanti doti) avrebbe meritato che fossero riaperti. Ecco, la Ricarda Merbeth di oggi avrebbe invece bisogno di tagli almeno doppi, per non finire... arrosto! Il mio personale rapporto diretto con lei (oh, mantenuto ad almeno 20-30 metri di distanza, eh!) va da una promettente Leonore del 2011 ad una sufficiente Isolde del 2017, ad una nuova Leonore, ma in regresso, nel 2018, per arrivare a questa francamente anonima Elektra: ieri poi ha sfoggiato (in negativo, s‘intende) un vibrato davvero sgradevole.

Regine Hangler è invece una convincente Chrysothemis, ruolo non proibitivo ma non per questo da prender sottogamba: e lei ci si è evidentemente applicata con grande solerzia, mostrando bella impostazione e corposità di suono.

L’Orest di Michael Volle forse non raggiunge le vette del grande Sachs nei Cantori della scorsa stagione: certo il personaggio è per qualità e quantità assai più abbordabile e meno centrale di quello wagneriano...

Il figlio di migranti siculi Roberto Saccà (non ditelo a Salvini) fa la sua bella figura nei panni, peraltro succinti, causa subitaneo accoltellamento... di Egisth.

Tutti gli altri (e altre) su livelli dignitosi.

Christoph von Dohnányi è stato oggetto dell’ormai proverbiale annuncio di Pereira subito prima della recita: il quasi novantenne vegliardo non ha retto l’urto della prima di domenica e lo hanno dovuto trasferire in ospedale a Monaco di Baviera (ovvio, essendoci di mezzo Strauss...) per accertamenti. Così ier sera è salito sul podio uno che sta già qui a Milano per preparare la prima assoluta di Fin de partie di Kurtág, che va in scena dal prossimo 15 novembre: trattasi di Markus Stenz, che per la verità se l’è cavata da navigato routinier, fidandosi della preparazione dell’Orchestra, che mi pare abbia ben meritato. 

In sostanza, un evento per nulla memorabile, ma ascoltare questa musica ti fa sempre venire i brividi e sconvolge le budella, e così deve averla pensata anche il pubblico dei rari nantes approdati al Piermarini.

22 novembre, 2015

Dopo mezzo secolo a Bologna una “solita” Elektra

 

Ieri pomeriggio la sala del Bibiena (con parecchie poltrone vuote…) ha ospitato la penultima recita di Elektra, un allestimento originale ispano-belga firmato da Guy Joosten, già passato – con altri cast - da Barcelona (2009) e Bruxelles (2010). Ecco (finchè ci resta…) una registrazione di assai mediocre qualità della rappresentazione del 17 con il cast (le due sorelle) alternativo.


Domanda: ma perché definirla solita? Semplice, perché chi ha avuto la responsabilità della parte musicale si è solitamente (e pure stolidamente, aggiungo io) attenuto alla poco onorevole tradizione che contempla di inferire alla partitura alcuni barbari tagli. E che ciò sia divenuto ormai uno standard universale è soltanto segno di incultura, perché qui non si tratta di saltare la ripetizione di una strofa in una cabaletta di Rossini o – nel sinfonico – di ignorare i due punti posti al termine di un’esposizione. No no, qui i tagli (che ho già in precedenza elencato, analizzato e stigmatizzato) costituiscono vere e proprie ferite al corpus dell’opera, ai suoi contenuti musicali e soprattutto alla caratterizzazione dei personaggi (in particolare della protagonista, ma non solo) che a fronte di questi tagli perdono buona parte delle peculiarità di cui proprio Hofmannsthal e Strauss li avevano arricchiti, rispetto al testo ispiratore di Sofocle.

Lo scarso rispetto per l’opera e per il pubblico è certificato dal fatto che il programma di sala (che contiene peraltro due pregevoli saggi di Franco Serpa e Guido Paduano) riporta il libretto in versione integrale senza però avvertire in alcun modo dei 6 tagli praticati nell’esecuzione. (Per fare un esempio, nel programma della Scala per l’edizione dello scorso anno erano chiaramente indicati i 5 tagli operati in quella produzione.)  

Le interpreti di Elektra - e i loro premurosi direttori - regolarmente adducono a giustificazione di quei tagli la pretesa sovrumanità degli sforzi che sarebbero richiesti per cantare l’opera nella sua interezza (per cui non si peritano nemmeno di studiarli, i passi incriminati, condizionando così già a-priori l’esecuzione). Al che non posso non ricordare quanto disse e fece il solido e coraggioso Gustav Kuhn che, anni fa - con un cast tutt’altro che da star-system e con la sua Haydn – portò con gran successo l’integrale in giro per il norditalia! 
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Lothar Zagrosek è un vecchio marpione che probabilmente applica il comodo adagio il meglio è nemico del bene, e così la sfanga (per me) con una risicata sufficienza. Lui sembra dar credito a quanto si dice di Strauss che durante una prova dell’opera avrebbe gridato agli ottoni di suonare ancor più forte, poiché continuava a sentire la voce di Elektra (!) Così chiede all’orchestra di darci dentro a più non posso e spesso e volentieri copre alla grande le voci.

Viene il sospetto che lo faccia di proposito, per coprirne anche le manchevolezze. E a proposito di voci e di tagli: Elena Nebera, la protagonista, è la dimostrazione lampante che non basta accorciare la parte per uscirne indenne! Anche tagliando altri 10 minuti di musica, il risultato sarebbe stato comunque deludente, poiché il difetto – ahilei – sta proprio nel… manico: ottava bassa inudibile, zona centrale dal timbro sgradevolmente vetroso, acuti spesso urlati (Elektra sarà pure nevrastenica, ma dovrebbe pur sempre cantare).

Anna Gabler è la sorellina per bene, ma è solo di pochissimo meno peggio di Elektra: anche lei soffre di afonia in basso e quando sale agli acuti la voce perde di rotondità.   

Natascha Petrinsky veste i panni della madre assassina-adultera e – pur senza toccare vette eccelse - per lo meno sa cantare con proprietà e discreto portamento.    

I due maschi hanno parti decisamente secondarie e se la cavano allabellemeglio, meglio comunque il vendicatore Thomas Hall (voce profonda e ben impostata) dell’usurpatore-assassino, impersonato da un vociferante Jan Vacik.

Tutti gli altri interpreti fanno il loro dovere come da contratto sindacale, a partire dalle cinque ancelle che devono aprire l’opera con i loro cicalecci. Il coro di Andrea Faidutti si fa udire nel finale schiamazzando come da partitura per portare Orest in trionfo.

Insomma, una prestazione musicale che fatica (sempre secondo me) a guadagnarsi la sufficienza. Non così per il pubblico, che applaude indistintamente tutti (non saprei dire se un paio di ululati verso la Nebera fossero di disapprovazione).
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Il regista Joosten non manca di impiegare triti e ritriti stereotipi del Regietheater, cominciando dalla trasposizione dell’azione negli anni di Hitler, con le ancelle trasformate in secondine armate di mitraglietta e Aegisth travestito da dittatore ubriacone.

Alcune invenzioni di Joosten sono del tutto perdonabili, come il far ricomparire due volte – ovviamente senza aprir bocca! - la quinta ancella (l’ammiratrice di Elektra): dapprima durante lo scontro fra Elektra e la madre e poi a felicitarsi con lei dopo il compimento della vendetta. O come nel mostrarci Orest che arriva (visto solo dal… pubblico) proprio durante la scena madre fra le due donne. O ancora la smaccata ostensione dell’ascia, che mai e poi mai si dovrebbe vedere, secondo il libretto.

Ma l’invenzione più strampalata riguarda la scena che fa seguito all’agnizione Elektra-Orest. Manco a farlo apposta, proprio laddove viene praticato il taglio dei versi sui quali Elektra ricorda il suo equivoco rapporto con il padre, ecco che il regista ce la mostra in rapporto equivoco (stile Maddalena-Cristo) con il fratellino!

Tuttavia l’impostazione generale di Joosten (grazie anche alle scene e ai costumi di Patrick Kinmonth e alle luci di Manfred Voss) non fa eccessivi danni, anzi direi che la guida degli interpreti sul piano attoriale sia senz’altro da apprezzare. Con qualche riserva sugli eccessi riservati all’usurpatore, trasformato in macchietta da avanspettacolo, mentre assai centrata (perché equilibrata) mi è parsa la resa della figura (spesso eccessivamente bistrattata o indebitamente nobilitata) di Klytämnestra.

Alla fine, che dire: ascoltare quest’opera ti dà sempre una grande emozione (grazie a Strauss) a dispetto delle mutilazioni di cui è vittima e delle mende degli interpreti.

11 giugno, 2014

La… Herlitzius di Strauss alla Scala

 

Ieri la Scala – in un teatro non propriamente esaurito - ha ospitato l’ultima recita di Elektra, accolta in precedenza da consensi praticamente unanimi, sia per la prestazione musicale di Salonen&C che per la messinscena del compianto Patrice Chéreau.


Devo dire del tutto serenamente che – a giudicare da quest’ultima recita – lo spettacolo è stato salvato quasi esclusivamente dalla Evelyn Herlitzius e – solo in parte – da Salonen. Per il resto siamo in una risicata sufficienza (la Pieczonka, discreta nell’ottava alta ma deficitaria sotto) o addirittura in una desolante nullità (spiace che tocchi alla grande Waltraud Meier, ma quando dal loggione non si riesce a sentire distintamente una sola sillaba di ciò che canta… è detto tutto). Si aggiunga a tutto ciò che il povero Pape è stato in pratica costretto a cantare con mezza voce (e se ne è scusato con eloquenti gesti alla chiamata singola) e il quadro è completo. Tutti gli altri interpreti su un piano di dignitosa routine.

Salonen da parte sua ha fatto suonare assai bene l’orchestra scaligera, però come se in programma ci fosse la… Alpensinfonie! E così le voci (Herlitzius esclusa) già poco o tanto deficitarie di loro, sono state spesso e volentieri coperte dai suoni provenienti dalla buca.

Invece è proprio la straordinaria prestazione della Herlitzius che mi dà lo spunto per sollevare il problema (annoso nella fattispecie) dei tagli che vengono tradizionalmente apportati a questa partitura e che - almeno una volta tanto, quando si dispone come qui del miglior interprete sul mercato - avrebbero potuto essere riaperti, consegnando al pubblico l’opera nella sua splendida interezza. Peccato che così non sia stato: una bella occasione perduta.

In questa produzione ne sono stati praticati cinque (diciamo: statisticamente nella media dei vari allestimenti e incisioni). In termini di durata siamo attorno ai 6-7 minuti, poca roba, che di per sé non giustificherebbe di certo l’operazione. Essendo quasi tutti però sulla parte della protagonista, è comune supposizione che siano fatti per… risparmiarle la voce: spiegazione abbastanza di comodo, direi; e che - fossi nella strepitosa Evelyn - tenderei a respingere decisamente.

Certo, per chi conosce poco il testo e meno ancora sa cavarsela con il tedesco, possono sembrare tagli innocui (se non addirittura… benefici!) ma in realtà innocui non sono proprio per nulla. E che lo stesso Strauss ai suoi tempi li avesse magari tollerati non è un buon motivo per continuare a perpetrarli, specie in produzioni che si vogliono e si definiscono epocali. Purtroppo si tratta di mutilazioni che, piccolo o grande, qualche danno lo fanno: alla musica, privandoci del ritorno di molti dei temi dell’opera, ed anche alla drammaturgia, nascondendoci alcuni interessanti squarci sulla personalità di Elektra. Vediamoli in dettaglio (testi in italiano, traduzione di Franco Serpa per la Scala, con le parti tagliate evidenziate in giallo). Ho indicato i tempi con riferimento ad una delle (due sole?) incisioni complete disponibili sul mercato (Solti/Nilsson).

1. Scontro Elektra-Klytämnestra: dal #240 a #255 della partitura, per un totale di 94 battute (circa 2’10”). È sicuramente il più pernicioso, in quanto devasta letteralmente uno dei momenti topici del dramma, quello in cui Elektra, che ha convinto la madre della necessità di un sacrificio umano (una donna) per esorcizzare i suoi incubi notturni, le annuncia che la vittima sarà proprio lei stessa.

Elettra (balza dal buio verso Clitennestra, sempre più le si accosta facendosi sempre più terrificante)
Quale sangue? Il sangue del tuo collo,
quando t’abbia agguantato il cacciatore!
Sento che corre per le stanze, sento
che alza la tenda del letto: chi scanna
la vittima nel sonno? Egli ti stana,
scappi gridando, e sempre ti è alle spalle:
ti incalza per la casa! Fuggi a destra,
c’è il letto! A sinistra, il bagno fuma
sangue! Dal buio e dalle torce cade
su te rete mortale nero-rossa –
(Clitennestra, sconvolta da muto orrore, vuole rientrare. Afferrandola per la veste, Elettra la trascina in avanti. Clitennestra arretra verso il muro. Ha gli occhi sbarrati, dalle mani tremanti le cade il bastone.)
Giù per le scale lungo i corridoi,
va di portico in portico la caccia –
ed io! io! io che l’ho lanciata,
io sono come un cane sui tuoi passi,
cerchi una tana, addosso mi ti avvento
da un lato, così ancora ti incalziamo –
fino a un muro e lì tutto si chiude,
pur nel profondo buio io lo vedo,
un’ombra, poi le membra e del suo occhio
il bianco vedo, là ci attende il padre:
nulla osserva, ma tutto deve compiersi:
presso i suoi piedi noi ti costringiamo –
Vorresti urlare, ma l’aria ti strozza
l’urlo incompiuto e l’abbandona a terra
giù senza suono. Come ossessa il collo
offri nudato, senti nella sede
della vita vibrare il taglio, invece
egli il colpo trattiene: non è il rito
perfetto. Nel silenzio ascolti il cuore
in petto martellarti: quel momento
– ti si stende davanti come un fosco
golfo di anni. – Il momento ti è dato
per provare quel che il naufrago sente,
quando si perde l’urlo tra le nubi
di caligine e morte, quel momento
ti è dato perché tu possa invidiare
ogni inchiodato al muro della cella,
chi dal fondo di un pozzo invoca morte
come salvezza – perché tu a te stessa,
tu sei tanto inchiodata, come fossi
nel ventre arroventato di una bestia
di bronzo – e come ora non hai grido!
Qui sto io davanti a te, con l’occhio fisso leggi
la tremenda parola che sul volto m’è impressa:
pende dal cappio che tu stessa hai teso,
l’anima, scende l’ascia sibilando,
ed io ci sono e finalmente vedo
la tua morte! Finiscono i tuoi sogni,
né io sognerò più, e chi ancora è vivo
trionfa e della vita può bearsi!

Come si può constatare, il taglio ci priva del racconto dei macabri particolari dell’autentica caccia-alla-donna di cui la regina sarà vittima (secondo le allucinate visioni della figlia) e delle terrificanti pressioni psicologiche prima ancora che delle ferite materiali cui verrà sottoposta.

Soprattutto non ci chiarisce fino in fondo chi dovrebbero essere i giustizieri della regina: il testo mutilato infatti lascia in campo soltanto Elektra e il cacciatore (Orest, come si deduce dal contesto e dai suoi temi musicali) ma non permette di riconoscervi (anche a mezzo della musica!) lo spettro di Agamemnon.

E appunto la musica che si perde è tutt’altro che puro riempitivo: è un drammatico declamato della protagonista, accompagnato da almeno una dozzina di Leit-motive dell’Opera, che come sempre ci chiariscono ciò che nemmeno le parole possono spiegare.  

2. Confronto Elektra-Chrysothemis: sono precisamente tre tagli, a breve distanza uno dall’altro, alla scena in cui – dato per morto Orest - Elektra cerca in tutti i modi di convincere la sorella ad essere sua complice nella vendetta.   

a) da #59a a #68a della partitura, per un totale di 72 battute (circa 1’).

Elettra
Tu! Tu!
Sei forte!
(attaccata a lei)
Sei così forte! T’hanno
fatto robusta le virginee notti.
In ogni membro hai forza!
I tuoi tendini sono di un puledro,
agili sono i piedi.
Come agili e flessuosi –
senza sforzo li abbraccio –
sono i tuoi fianchi!
Nei pertugi ti insinui, tu sai sollevarti
per le finestre! Ch’io ti senta le braccia:
come sono fresche e forti! Se mi respingi,
sento che braccia sono queste. Ciò che stringi
a te, tu potresti schiacciarlo. Tu potresti
soffocare me o un uomo tra le tue braccia.
C’è forza in ogni membro!
Erompe come un freddo
sotterraneo torrente dalla roccia. Scorre
nell’onda dei capelli sulle salde spalle.
Sento dalla freschezza della pelle
il calore del sangue, con la guancia
sfioro il tenue velluto delle braccia!
Sei solo forza e sei bella,
sei un frutto nei giorni del raccolto.
Crisotemide
Lasciami!

b) da #89a a #102a della partitura, per un totale di 120 battute (circa 1’45”).

Crisotemide (chiude gli occhi)
No, sorella.
Non dire queste cose in casa nostra.
Elettra
Oh sì! Più che sorella io ti sono
da questo giorno in poi: io t’ubbidisco
come una schiava. Quando avrai le doglie,
presso al tuo letto resto giorno e notte,
scaccio le mosche, attingo l’acqua fresca,
e quando a un tratto una creatura viva
sul nudo grembo sta, nostro sgomento,
in alto la sollevo, così in alto
che il suo sorriso giù fino al profondo
segreto abisso del tuo cuore scenda
e lì per questa luce il freddo orrore,
l’ultimo, si discioglie e in chiare stille
puoi sfogare il tuo pianto.
Crisotemide
Andiamo via!
In questa casa muoio!
Elettra (ai suoi ginocchi)
Bello hai il labbro,
quando si schiude all’ira! Dalla bocca
pura, forte, tremendo un grido certo
risplende, tremendo come il grido
della dea della morte, se ai tuoi piedi
si giace come io ora.
Crisotemide
Di che parli?
Elettra (si alza)
Prima che me tu lasci
e questa casa, devi farlo!
Crisotemide (vuole parlare)
Elettra (le chiude la bocca)
Altra
strada non c’è che questa. Non ti lascio,
se prima bocca a bocca non mi giuri
che lo farai.

c) da #104a a #108a della partitura, per un totale di 36 battute (circa 30”).

Crisotemide (si divincola)
Lasciami stare!
Elettra (la riafferra)
Giura,
verrai stanotte ai piedi della scala,
quando è silenzio tutto!
Crisotemide
Lascia!
Elettra (la tiene per l’abito)
Donna,
non rifiutarti! Il corpo tuo di sangue
non macchierai: dall’abito imbrattato
nelle vesti nuziali intatta entri.
Crisotemide
Lasciami!
Elettra (sempre più incalzante)
Non esser vile! Se ora
il tuo brivido vinci, avrai compenso
di brividi d’amore notti e notti –
Crisotemide
Non posso!
Elettra
Sì, verrai!
Crisotemide
Non posso!
Elettra
Guarda,
giaccio davanti a te, ti bacio i piedi!
Crisotemide
Non posso!
(Scappa dentro la porta della casa.)
Elettra (le urla dietro)
Maledetta!

Questi tre tagli sul piano strettamente musicale ci privano di alcuni splendidi passaggi, e al contempo mutilano non poco l’evocazione della morbosa, quanto interessata, attitudine di Elektra verso la sorella minore: ci troviamo ammirazione quasi erotica, perfida adulazione e promesse di felicità e di aiuto, in cambio della complicità nell’uccisione di madre e concubino. Insomma, tutte caratteristiche salienti della complessa personalità della protagonista che questa amputazione fa abbastanza sfumare, se non proprio scomparire. Fra l’altro, sul piano drammatico, la stessa imprecazione finale di Elektra finisce per diventare affrettata e meno giustificata, in assenza di tutto quel crescendo di pressione cui invano la sorella era stata sottoposta.

3. Incontro Elektra-Orest: da 7 battute dopo #166a a #171a, per un totale di 33 battute (circa 1’5”).

Elettra (con un grido)
Oreste!
(pianissimo, tremante)
Oreste! Oreste! Oreste!
Non si muove nessuno! Gli occhi tuoi
lascia ch’io guardi, sogno, visione
a me donata, più bella dei sogni!
. . .
Vedi, fratello? Tutto ciò che ero,
io l’ho sacrificato. Il mio pudore
l’ho offerto, il pudore che è più dolce
di tutto, che come un velo lunare
di argenteo chiarore cinge ogni donna
e lei difende e l’anima sua
da ogni vergogna. Vedi, fratello?
Donare al padre ho dovuto la dolce
trepidazione. Non credi che quando
gioivo del mio corpo, non salivano
i suoi sospiri, non saliva il gemito
fino al mio letto?
(con mestizia)
Sì, sono gelosi
i morti: ed egli mi ha mandato l’odio,
l’odio dagli occhi vuoti, come sposo.
Così mi sono fatta profetessa
e da me, dal mio corpo nulla ho tratto,
nulla se non imprecazioni e angoscia!
Perché mi fissi spaventato? Parla!
Parlami dunque! Tremi in tutto il corpo?

Qui perdiamo invece un particolare importante del morboso e ambiguo rapporto di Elektra col padre, che spiega i disturbi psicotici della donna (che erano studiati dalla psicanalisi proprio negli anni della composizione dell’opera) e soprattutto l’immanente presenza (sia pure soltanto in… musica!) di Agamemnon in ogni angolo dell’opera. E lo stesso regista - alla fine delle sue note apparse sul programma di sala - cita il passaggio tagliato (e con apparente rammarico!) proprio per sottolinearne la valenza psicologica.
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Ciò mi dà lo spunto per qualche considerazione sulla regìa. Della professionalità e delle indiscusse capacità di Chéreau di creare emozioni non è certo il caso di discutere. È invece lecito avanzare qualche dubbio su certe sue, diciamo, trovate, che paiono della serie famola strana.

Allora: il sangue. Chéreau, già prima che incominci la musica, ne fa sparire anche le ultime labili tracce, sparse in giro su scale e cortile, mostrandoci le serve che le cospargono di sabbia. Nessuno pretende di vedere (come è capitato altre volte) scene raccapriccianti con docce di sangue sul palcoscenico, e del resto basta leggere il libretto per constatare come di sangue soltanto si parli, ma non lo si veda giammai. Ecco che invece il regista decide di mostrarci i due omicidi (di cui nel libretto abbiamo soltanto notizia da urla strazianti di Klytämnestra ed Aegisth provenienti dall’interno del palazzo) in primo piano: col cadavere della regina trascinato all’aperto da Orest e poi con il truce, disgustoso e verista accoltellamento dell’usurpatore da parte del precettore (?) del medesimo Orest. Davvero non è un bel servizio fatto alla coppia Hofmannsthal-Strauss!

Che dire della scure (quella con cui fu assassinato Agamemnon) che Elektra ha gelosamente conservato - come ha rivelato alla sorella - seppellendola vicino ad una delle porte della reggia? Il relativo Leit-motiv si ode nientemeno che all’undicesima battuta della partitura, però come per il sangue, anche della scure sentiamo soltanto parlare a più riprese da Elektra ma mai la vediamo. Nemmeno allorquando lei cerca di disseppellirla (allo scopo di usarla personalmente contro madre e concubino) dopo il rifiuto della sorella a farsi complice della vendetta e si mette furiosamente a scavare proprio mentre arriva Orest. Distratta dall’intrusione del (non ancora agnito) fratello, lei dimentica l’ascia e se ne ricorda quando è troppo tardi (Ich habe ihm das Beil nicht geben können!Invece Chéreau, in un impeto didascalico, ci mostra Elektra che recupera la scure, la libera dalle bende in cui era avvolta in modo che tutti la possano chiaramente vedere, e però subito la rinasconde (mah…)

Un’altra gratuita libertà che Chéreau si prende riguarda l’arrivo di Orest presso Elektra: nell’originale ciò avviene solo al termine del confronto fra le due sorelle, chiuso dal disperato Sei verflucht! Nun denn, allein! della protagonista. Invece il regista ci mostra Orest, seduto nella penombra, assistere a pochi metri di distanza a tutto il dialogo fra le sorelle, dal quale dovrebbe a questo punto ed in modo inequivocabile scoprire l’identità di Elektra, il cui nome viene ripetutamente fatto da Chrysothemis. Ma ciò contrasta in pieno con quello che accade subito dopo, quando Orest – come da libretto - mostra di non riconoscere per nulla Elektra!  

Anche il finale lascia perplessi: Orest nell’originale non si vede proprio, ma in compenso Chrysothemis ce ne parla come di un eroe portato in trionfo e letteralmente issato sulle spalle dai suoi fedeli. Chéreau invece lo fa entrare in scena e poi uscire da solo, con atteggiamento disgustato, ignorato da tutti. (?)

Quanto ai singoli personaggi, al di là della maestrìa con cui il regista li fa muovere, mi sentirei di criticare la sua Klytämnestra. Ecco come Hofmannsthal ce la presenta:  La regina è sovraccarica di gemme e talismani. Le braccia sono piene di monili. Le dita sono rigide di anelli. E Strauss letteralmente si supera nell’evocare tutto ciò in musica: il Leit-motif dei talismani magici erompe al #177 della partitura, subito prima dell’esternazione della regina (Ich habe keine guten Nächte). È il flauto, accompagnato dai tintinnii del glockenspiel e dagli accordi arpeggianti delle… arpe (qui si anticipa il Rosenkavalier!) a presentarci l’assurda quanto appariscente bardatura di Klytämnestra. Che però Chéreau minimizza, limitandosi ad una collana da bigiotteria elegante e a diversi anelli, su un abito altrettanto sobrio indossato da una donna dai tratti nobili ed apparentemente equilibrata; ed eliminando il bastone su cui si dovrebbe sorreggere la barcollante e nevrotica regina nell’originale.

Se devo citare invece il  momento più riuscito di tutta la rappresentazione, questo è la scena dell’incontro fra madre e figlia che per un momento – splendidamente sottolineato dalla musica di Strauss – esternano i reciproci sentimenti, e dove Elektra ha l’unico sussulto di amor filiale: perché, come acutamente scrisse uno dei massimi esegeti straussiani, Richard Specht, nel suo saggio sull’opera (1921) l’odio di Elektra (verso la madre) è amore pervertito.
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Peduzzi mi sembra uno che porta sempre lo stesso abbigliamento a Capodanno, Pasqua, Ferragosto e SanMartino: ha al massimo il 50% di probabilità di azzeccarci con la stagione. Così le sue scene vanno bene per questa Elektra, come andarono benissimo per la Casa di morti; ridicole invece furono per Tristan, Carmen e Tosca, per citare solo opere viste qui al Piermarini.

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Allego infine un saggio del sommo Quirino Principe su Strauss (una specie di bigino del ponderoso volume dello stesso Autore) apparso su Musica&Dossier del marzo 1988.


24 gennaio, 2010

Elektra a Modena


Il Teatro Comunale di Modena – anche qui qualche desolante vuoto in platea e nei palchi - ha ospitato l'Elektra, reduce dalle due recenti rappresentazioni della stessa produzione a Bolzano. Elektra in bianco e nero, potremmo dire, anche nell'esito: trionfale per i musicanti, Gustav Kuhn in testa, e di sonora contestazione per il regista Manfred Schweigkofler.
L'idea generale della messa in scena (di Hans-Martin Scholder) è suggestiva. Forse anche per tener conto delle ridotte dimensioni dei teatri cui è destinata la produzione (Bolzano, Modena, Piacenza, Ferrara) oltre che della natura della tragedia, le strutture del palcoscenico e della buca vengono impiegate in modo non tradizionale. Intanto: l'Orchestra viene disposta, su cinque gradoni, al fondo della scena, quasi a rappresentare proprio il coro nella tragedia greca (e ciò è congruente con il ruolo che l'orchestra gioca in quest'Opera, quasi come in Wagner). La buca viene quindi impiegata come appendice della scena, spoglia - solo una poltrona - e angusta (ed anche ciò appare appropriato, rispetto alla natura della tragedia e alle indicazioni del libretto). Ulteriori spazi scenici sono ottenuti attraverso l'impiego di impalcature di tubi-dalmine, che formano un arco, ai lati del proscenio e sopra di esso. Infine, una scala metallica viene calata dall'alto al momento, per Clitennestra, di scendere dal palazzo verso il cortile dove si trova Elektra.
Il Direttore d'orchestra quindi non vede i cantanti, o meglio, lui può vedere la scena attraverso due piccoli monitor disposti ai piedi del leggìo, ma i cantanti difficilmente possono vedere lui; il che aumenta i loro meriti per un'esecuzione di buon livello, peraltro facilitata dall'essere loro sempre avanti (spesso molto avanti) rispetto agli strumenti.
I costumi, sempre di Scholder, sono assai poco micenei, piuttosto moderni, e hanno l'ambizione di rappresentare le personalità dei personaggi in chiave attuale: in particolare spiccano l'abbigliamento pesantemente kitch di Clitennestra, una vera e propria megera piena di pietre e anelli (amuleti contro tutti i suoi complessi, le sue idiosincrasie e le sue ansie, come ella stessa ammette, nel libretto), quello di Oreste (una tunica più o meno greca, indossata sotto un classico pastrano DDR e su bassi stivaletti moderni con calzini corti), quello di Egisto (in smoking, con camicia fuori dai pantaloni e bottiglia di champagne in mano, essendo lui reduce da uno dei suoi bagordi – ma questa è un'idea del regista, ovviamente) e quelli delle 5 ancelle (moderne segretarie che nel tempo libero si agghindano alla stregua di donne fatali). Per il resto, nulla di troppo sconvolgente, salvo la didascalica colorazione proprio degli abiti delle 5 ancelle: nero per le 4 pro-Egisto e bianco per l'unica pro-Oreste, il che dovrebbe orientare lo spettatore a meglio comprenderne il ruolo, le parole e la diversa sorte (con Egisto la bianca viene maltrattata, col ritorno di Oreste si prende la rivincita, ascia in pugno!)
Buona direi la direzione attoriale degli interpreti, con qualche trovata non disprezzabile, come il finale, dove Elektra non danza, ma viene rivestita di un abito bianchissimo e con esso si nasconde dietro un velo nero trasparente calato dall'alto, anche qui a rappresentare il bianco-nero di tutto ciò che la vicenda sottende. Velo che poi viene strappato, prima che Elektra stramazzi.
Schweigkofler presenta il suo Konzept sul programma di sala: molto incentrato sul sostrato socio-politico del dramma, dove dittature e rivoluzioni si mescolano e quasi si confondono, tutte accomunate dal sangue che scorre. Insomma, bianco e nero a rappresentare le due metà in cui la famiglia di Agamennone - e con lei la società che le ruota attorno - è divisa: golpisti e realisti, o anche fascisti e partigiani, si potrebbe dire, che hanno commesso, commettono o commetteranno – tutti, pur con fini diversi - atrocità e vendette di ogni tipo. Insomma, una vision discretamente nichilista, per non dire qualunquista, che senza forse va al di là degli obiettivi che si prefissero Hofmannstahl e Strauss. Obiettivi peraltro – a mio modesto avviso – presentati in modo sufficientemente valido (al di là dei proclami ideologici del regista) il che mi è parso non far meritare alla regìa i sonori buuh di buona parte del pubblico. Fosse tutto qui, il Regietheater non sarebbe oggetto di dispute, e forse il termine stesso non sarebbe mai stato coniato (e lo scrive uno che proporrebbe, per chi lo pratica, l'applicazione di qualche articolo del Codice Penale…)
Ora, la musica! Intanto l'orchestra, nell'occasione l'insieme di due: la Haydn di BZ-TN e quella dell'Emilia-Romagna: data la sua posizione lontana e in penombra, non ho provato a verificarne l'immenso organico (stando al programma di sala, mancherebbero all'appello 4 viole, mentre ci sarebbero rinforzi per corni e trombe), ma è stata certamente all'altezza dell'ingrato compito, senza alcuna sbavatura. Kuhn direi impeccabile nei tempi e nell'agogica. Lui non conoscerà la partitura a memoria (ma sfido chiunque a farlo... e in effetti 9 dei 15 minuti di ritardo sull'inizio sono stati provocati dalla mancata accensione della lampada sul suo leggìo!) ma di certo sa come penetrarne a fondo lo spirito, restituendoci tutte le mille sfumature di cui Strauss l'ha riempita. E poi ha il merito di aver presentato l'opera senza i tradizionali e barbari tagli! 
I cast di questa produzione (nei protagonisti) sono due. A Modena la prima di ieri è stata interpretata da quello che a Bolzano – se ben intendo - aveva fatto la seconda. Vediamo in dettaglio.
Elektra era Elena Popovskaya. Molto buona la sua prestazione, voce calda e chiara, nel registro alto come nel basso, nessun urlaccio nei momenti topici. Gran trionfo per lei.
Chrisothemis era Maida Hundeling. Voce forte, potente, proprio da soprano drammatico, ancor più della Popovskaya. In effetti – se si esclude la statura e la prestanza fisica, assai appropriate per quel ruolo - la voce è forse meno adatta ad interpretare la parte della sorellina di Elektra, una che ama il quieto vivere e non vuol far l'eroina. Benchè debba fermarsi al SI acuto (Elektra tocca il DO) la sua parte è sempre segnata da Strauss su un rigo più alto di quello della sorella (che deve scendere fino al SOL sotto il rigo, contro il SIb di Chrisothemis). Qualche raro urlo ingolato e qualche difficoltà nelle note basse, ma anche per lei c'è stata una grande ovazione.
Mihaela Binder-Ungureanu ha impersonato Klytämnestra. Direi fantastica (grazie a regìa e costumi) nella parte attoriale, ma efficacissima anche sul piano musicale, che le riserva un impervio SOL# acuto, 15 semiminime, alla fine di quel tremendo "damit ich wieder schlafe". Un successo anche per lei.
Orest era impersonato da Wieland Satter. Direi più che discreto, anche se dalla voce non troppo penetrante (nelle sue prime battute dovrebbe quasi ricordare l'Hagen della veglia, nel Götterdämmerung): in quella specie di duetto con Elektra, lei ne ha sovrastato la voce. Però anche per lui grandi applausi.
Richard Decker era Aegisth. Compito assolto senza infamia né lode, ma del resto si tratta di una parte ancor più magra (come durata ed impegno) di quella di Orest.
Efficaci le cinque ancelle (Jelena Bodrazic, Monika Wäckerle, Anahita Ahsef, JaeHee Kim, Lara Martins) che hanno l'ingrato compito di aprire il dramma.
Gli/le altri/e su un piano di ampia sufficienza, rispetto alle parti contenute che li riguardano. Un tocco di danza è stato portato da David Thaler, che si è esibito dall'alto dell'impalcatura, al momento dell'ingresso in scena di Clitennestra.
Ottimo, pur nella brevità dell'impegno, il coro del Municipale di Piacenza.
In conclusione, uno spettacolo più che positivo, che dimostra come anche organizzazioni medio-piccole, quando uniscono i loro sforzi e lavorano con serietà, possono ottenere risultati di tutto rispetto, da far invidia alle più titolate (e… foraggiate) scale! Privare queste realtà delle già scarse risorse pubbliche di cui godono sarebbe proprio un delitto (però, accidenti, anche il pubblico dovrebbe far ressa al botteghino!)

10 gennaio, 2010

Inizio d’anno con l’altro Strauss

Oltre al tradizionale concerto dedicato agli Strauss viennesi, le onde della radio e/o i torrenti di bit della banda larga ci hanno portato, tra la fine del 2009 e questo inizio 2010, due produzioni del Metropolitan dello Strauss bavarese: si è trattato di Elektra, ripresa il 26 dicembre anche da Radio3, e di Der Rosenkavalier - protagonista Renée Fleming - che sabato sera è stato diffuso da varie web-radio europee (la RAI ha invece optato per la Manon viennese). Due esecuzioni di buon livello nella resa orchestrale, ma discreto, direi non di più, nelle voci, almeno all'ascolto in cuffia.

Ma nei prossimi giorni di Strauss se ne produrrà assai qui da noi, dapprima a Bolzano e poi in Emilia, sull'asse Bologna-Modena (seguite da Piacenza-Ferrara): in scena andranno precisamente Salome ed Elektra. (In attesa della maggiolina Die Frau ohne Schatten).

Sono le due opere (54 e 58 del catalogo straussiano) che, proprio all'inizio del '900 (1905-09) portarono un'autentica rivoluzione nel mondo del teatro musicale, sotto tutti i punti di vista: soggetto, forma, canto, orchestrazione. Sono anche due soggetti che hanno – fu Strauss per primo a paventarlo – diversi punti in comune: genere tragico, ambientazione storico-mitologica e implicazioni psicanalitiche. Come accadrà praticamente per tutte le opere del nostro, hanno protagoniste femminili. E le due tragedie si chiudono con le loro sfrenate - quanto fatali - danze.

Altra caratteristica comune alle due opere è l'ipertrofia della compagine orchestrale, specialmente nella sezione fiati. In Salome (Salòme sarebbe l'autentica pronuncia, ricordava Hofmannstahl con un filino di spocchia, forse per non essere stato lui a scriverne il libretto) abbiamo, fra i legni: 3 flauti, ottavino, 2 oboi e corno inglese, heckelphon, 5 clarinetti (uno in MIb), clarinetto basso, 3 fagotti, controfagotto. Ottoni: 4 trombe, 6 corni, 4 tromboni, contrabbasso-tuba. Percussioni: tamburino, tamtam, timpani, timpano piccolo, tamburo piccolo, grancassa, triangolo, glockenspiel, piatti, castagnette, xilofono, legno. Poi la partitura prevede 2 arpe. Gli archi, di cui non è precisamente indicato il numero, sono talora divisi in varie parti (4 i violini primi, 5 i secondi, 5 le viole, 5 i violoncelli, 2 i contrabbassi). E come non bastasse: celesta, armonium e organo!

Certe fanfare di corni (che udiamo in specie ad accompagnare il pontificante Jochanaan) forse sarebbero più adatte a scenari di alpeggi bavaresi, che non alle dolci colline di Palestina… e infatti le ritroveremo più avanti nella Alpensinfonie e un pochino pure nel Rosenkavalier! Però… che musica, ragazzi! Come pure questa:













A Bologna – con ripresa Radio3 della prima di sabato 16 gennaio - la Salome sarà diretta da Nicola Luisotti, che si è da poco insediato a SanFrancisco, come successore di Runnicles.

Elektra prevede precisamente in organico 62 archi: 24 violini (divisi in 6), 18 viole (divise in 5), 12 violoncelli (divisi in 4) e 8 contrabbassi (divisi in 2). Due arpe. Legni: 3 flauti, ottavino, 2 oboi, corno inglese, heckelphon, 5 clarinetti (uno in MIb), 2 corni di bassetto, clarinetto basso, 3 fagotti, controfagotto. Ottoni: 4 corni, 4 tubette wagneriane (anche come 4 corni aggiuntivi), 4 trombe (una bassa), 3 tromboni, trombone contrabbasso, contrabbasso-tuba. Percussioni: timpani (con 2 esecutori), glockenspiel, grancassa, piatti, triangolo, tamburino, tamburo militare, tamburo piccolo, 2 castagnette, legnetti, tamtam. In più la celesta.

La parte della protagonista è di quelle da far tremare… l'ugola. Tanto per dire, nella citata recente produzione al MET, peraltro magistralmente diretta da Fabio Luisi, la Susan Bullock si è concessa un bello sconto, tramite due generosi quanto barbari tagli, nei duetti con Clitemnestra e Oreste (questa dei tagli sembrerebbe peraltro un'usanza costante in quel teatro, visto che anche il Cavaliere di sabato non ne è andato esente).













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A Modena sul podio ci sarà Gustav Kuhn, una garanzia in questo repertorio, reduce oltretutto dalle due serate di Bolzano.

Entrambe le opere sono in un unico atto, ed anche la loro durata è assai simile: poco più di 90 minuti. Chissà se a qualcuno è mai venuto in mente di rappresentarle nella stessa serata? In fin dei conti, non supererebbero in durata lo stesso Rosenkavalier, tanto per dire. E forse oggi, a differenza di qualche decennio fa (quando la prima italiana di Elektra alla Fenice fu fatta seguire dal rossiniano Bruschino, in qualità di antidoto) noi avremmo meno problemi a digerire due cruente tragedie in rapida successione... (o no?)

In ogni modo, staremo a vedere e sentire.