XIV

da prevosto a leone
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01 aprile, 2023

laVerdi 22-23. 22

Il 22° Concerto della stagione principale dell’Orchestra Sinfonica di Milano – che vede il ritorno sul podio di Maxime Pascal - è interamente occupato da un’opera di rarissima esecuzione, che si ripresenta qui in Auditorium (per la seconda volta) dopo esattamente 13 anni: si tratta di Turangalìla di Olivier Messiaen. [La pronuncia corretta prevede l’accento sulla ì, essendo il nome formato dall’unione di due parole sanscrite: Turanga-Lila.]

Opera che definire bizzarra è ancora poco: è infatti chiamata Sinfonia (in 10 movimenti!) ma potrebbe benissimo essere un Poema Sinfonico o una (post-)moderna e ipertrofica Suite, oppure un Doppio Concerto per due tastiere (pianoforte e onde Martenot) o un Divertimento oppure una Messa sacro-profana o anche (perché no…) una simpatica quanto irriverente Passacaglia Accozzaglia! Insomma, un bell’esemplare di UMO (Unidentified Musical Object). In proposito, ecco come la definiva – entusiasticamente quanto causticamente, in un fulminante, enciclopedico pamphlet del 2001 – l’indimenticabile Alberto Arbasino:

È una smisurata supersinfonia per moglie, cognata, elettrodomestici "anni Quaranta", strumenti etnici, e l'intero cosmo. Irresistibile.

Ma Messiaen era – dobbiamo credergli? - del tutto serio quando la compose (nel 1946-48, su commissione della BSO di Koussevitzky) e quando la spiegava al popolo con dovizia di particolari scrivendo, in un programma etico, di scontro barbarie-amore e di trionfo della gioia, in mezzo ad una natura popolata da uccelletti di ogni specie; e lasciandoci una sua dettagliata analisi musicale, dove elencava 4 temi ricorrenti nell’opera, oltre a quelli specificamente caratteristici di ciascuno dei 10 movimenti. [Qui un mio personale collage di queste sue note ricavato a suo tempo da un video online oggi purtroppo non più accessibile.]

Beh, conoscere in dettaglio e proprio dalle sue stesse parole ciò che l’Autore ha concepito è già un bel passo avanti verso la comprensione della sua opera… dopodichè sta alla sensibilità di ciascuno di noi di darne un giudizio estetico. Oggi la Sinfonia gode di alta reputazione un po’ ovunque, ma soprattutto in Francia (per ovvie ragioni… sovraniste) e in USA (per via del battesimo colà celebratosi). Da noi?

Ricordo come fosse ieri come, in quell’ormai lontano 2010, ad ogni chiusura di movimento ci fosse qualcuno che se ne andava tomotomo-cacchiocacchio e come, alla conclusione super-enfatica del n°5 (metà esatta del cammino) fosse scoppiato un grandioso e liberatorio applauso, accompagnato da cappotti e pellicciotti da indossare e permesso, scusi, di molti frettolosi di andarsene a casa o in pizzeria, immaginando finito il concerto (in effetti Lenny Bernstein, che aveva diretto la prima, normalmente a quel punto faceva un intervallo in piena regola). Insomma, non proprio quello che si definirebbe un trionfo…

Ecco, ieri le cose sono andate decisamente meglio: nessuna evasione prematura, né fuggi-fuggi alla fine, ma rigoroso silenzio in tutti i 9 intervalli fra i movimenti e alla fine applausi scroscianti per tutti: il giovane ma autorevole Maxime Pascal, il bravissimo Luca Buratto al pianoforte e la specialista alle onde Cécile Lartigau, a cui vanno doverosamente aggiunti i nomi di Vittorio Rabagliati e Carlotta Lusa alle altre due tastiere.

Ma tutta la compagine, ieri davvero ipertrofica, con i 68 (!!!) archi prescritti da Messiaen (neanche Strauss…) ha mostrato di che pasta è fatta: solo aver il coraggio di affrontare e poi riuscire a domare una partitura simile è un titolo di merito sul quale non si può discutere.

Quanto al giudizio sull’opera, ciascuno darà il suo. Personalmente la trovo interessante, non certo un capolavoro. Che tuttavia ogni 13 anni (se eseguita come ieri) ha comunque il diritto di farsi risentire.

19 marzo, 2010

Stagione dell’OrchestraVerdi - 23

Interessante e impegnativo programma alla stagione dell'OrchestraVerdi, con pezzo forte la sinfonia Turangalila di Olivier Messiaen.

C'è anche un'insolita anteprima, chissà se e come legata alla presenza sul podio del basco Juanjo Mena e a festeggiamenti con cui il Consolato di Spagna a Milano celebra l'attuale turno di presidenza spagnola della UE: la città di Bilbao (presente il sindaco) si fa un po' di pubblicità, con la proiezione di un filmato che mostra le magnifiche sorti e progressive della famosa città del Paese Basco, passata in 30 anni da una profondissima depressione all'attuale prosperità. E fin qui, tutto bene. Peccato che il festeggiamento comporti anche l'esecuzione di una ouverture di uno sconosciuto musicista di Bilbao, Juan Crisóstomo de Arriaga (primi dell'800) una cosa a metà fra Paisiello e Rossini. Nulla di peggio da ascoltare subito prima di Preludio+Liebestod dal Tristano di Wagner. È come bere un bicchierone di vecchia spuma prima di un calice di amarone. Nobbuono.

E forse ciò è funesto anche sulla concentrazione dell'orchestra, che è tutt'altro che perfetta in Wagner, colpa anche di Mena, sicuramente: tempi piuttosto slentati, poco o nulla del pathos che caratterizza queste pagine, qualche evidente imprecisione negli attacchi. Inoltre – e qui nessuna colpa per maestro e orchestrali - l'esecuzione puramente strumentale del finale del dramma lascia sempre il sapore di un manicaretto che il cuoco abbia cucinato dimenticando un ingrediente fondamentale; che so, come mangiare una bagnacauda senza acciughe, o i tortelli di zucca senza… la zucca o addentare un panino al salame, cui qualcuno ha sottratto il salame. Nella Liebestod la voce ha una sua propria linea melodica autonoma, che l'orchestra sostiene e richiama, ma che mai raddoppia alla lettera. Quindi se si esegue il brano senza la voce, davvero non ci si raccapezza, si sente solo l'accompagnamento che, per quanto sia grande musica, è appunto solo un accompagnamento. Non ho mai capito perché Wagner per primo o qualche musicista avveduto non abbia pensato di far cantare, al posto della soprano, che so, una viola o un flauto, per darci almeno l'idea vaga di cosa sia il brano originale. Tanto per fare un esempio, quando una soprano esegue in concerto Sempre libera dalla Traviata e non si vuole scomodare un tenore solo per fargli cantare i versi fuori scena (sono poche parole, ma straordinariamente efficaci) lo si sostituisce con il canto di un violoncello, per non farci perdere quel bellissimo effetto. Pazienza, anche stavolta restiamo con un certo amaro in bocca, e buonanotte.

Nell'intervallo i simpatici ospiti baschi si fanno perdonare Arriaga, offrendo un assaggio del loro pregevole rosso della Rioja Alavesa.

Così ristorati, ci possiamo apprestare all'impresa – titanica invero – di ascoltare il clou della serata: Turangalila di Olivier Messiaen, questa strana e spuria sinfonia in dieci movimenti. In realtà una cosa che ha tratti del concerto per piano e onde martenot (complimenti ai solisti: il giovane Simone Pedroni e la veterana Valerie Hartmann-Claverie) o della cantata (senza voci); altri del poema sinfonico, altri ancora delle variazioni su alcuni temi, o addirittura di una messa sacro-profana, insomma un UMO (oggetto musicale non meglio identificato).

Messiaen ci ha raccontato assai dettagliatamente contenuti e tecnica costruttiva di questo monumentale inno all'amore (che non per nulla si ispira al Tristan): ma come sempre, se e quando una musica ha bisogno di troppe spiegazioni tecniche, è perché da sola fatica a far vibrare le corde interne dell'ascoltatore. Così in sala la prendono per la Leb'wohl di Haydn, nel senso che - ad ogni pausa - c'è gente che si alza e se ne va, alla spicciolata. Al termine del 5° movimento, che chiude con il fracasso di tutta l'orchestra in fortissimo, molti pensano sia finita, e qualcuno comincia ad applaudire. Ma siamo solo a metà! Lenny Bernstein (che diresse la prima del 1949 con la Boston Symphony) faceva a questo punto un intervallo in piena regola, come dargli torto!

Chi è stoicamente rimasto fino alla fine (erano ormai le 23!) ha comunque tributato il giusto riconoscimento a professori, solisti e maestro per l'abnegazione mostrata.

Il prossimo appuntamento prevede "la Patetica" introdotta proprio da Bernstein.