sarà vero?

una luce in fondo ai tunnel
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11 ottobre, 2025

Orchestra Sinfonica di Milano – 25-26.2- Tjeknavorian e sorelle Lébeque.

Emmanuel Tjeknavorian deve aver ideato una specie di trilogia per i programmi dei suoi primi tre concerti della stagione, con un percorso ciclico: dopo il primo Brahms e il Ciajkovski del concerto inaugurale (Scala, 14/9) ha scelto il Mahler (contemporaneo di entrambi) della scorsa settimana (3/10) per tornare al (quasi) ultimo Brahms (via-Beethoven) dopo un’irruzione (!) di Philip Glass.

L’apertura del concerto, che è assolutamente tradizionale nella struttura, è riservata ad una breve Ouverture beethoveniana, quella dalle musiche da Die Geschöpfe des Prometheus, un balletto del 1801 da sempre dimenticato, o ricordato solo perché un motivo del suo Finale venne da Beethoven ripreso come tema conclusivo di un’altra - questa sì rimasta famosa – opera: l’Eroica.

Ouverture dalla struttura assai semplice: 16 battute introduttive in 3/4 Adagio, e poi tutto il resto in 4/4 Allegro molto con brio; primo tema, DO maggiore, con volate di crome degli archi (che ricordano il Mozart delle Nozze e anticipano l’attacco del finale della futura Quarta Sinfonia); secondo tema canonicamente in SOL maggiore, più disteso e saltellante, con i legni in evidenza; ripresa del primo tema (in DO); ripresa del secondo tema, ora accodatosi al DO di impianto; ritorno del primo tema e coda conclusiva.

Per il Tjek è un bel modo per scaldare le mani al pubblico dell’Auditorium, anche ieri affollatissimo di ragazzi (oltre che di… diversamente giovani).

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Il Concerto per due pianoforti e orchestra di Philip Glass è stato composto nel 2015 e dedicato proprio alle due arzille sorelle (Katia e Marielle Lébeque, 75 e 73 anni!) che lo suonarono per la prima a LosAngeles (con Dudamel) e lo hanno interpretato anche ier sera in Auditorium. Qui una loro esecuzione parigina del 2016.

Concerto di classica struttura tripartita, ma con due movimenti veloci che precedono quello conclusivo, più moderato. Musica tonale, fatta più di armonie che di melodia: non vi troviamo i classici temi ben scolpiti, con sviluppi o contrappunti, ma cascate di accordi o di note ribattute, con sovrapposizione ritmica di tempi (ternario su binario o viceversa, terzine, arpeggi, emiole…) Concise figurazioni dettate dai pianoforti sulle quali l’orchestra interviene per sostenerle, più che per dare risposte. Insomma, le due tastiere e l’orchestra producono spesso un effetto come di un gigantesco organo… come si intuisce da questa pagina del primo movimento, ricca di stravinskiana poliritmia:

Primo movimento, tutto in 4/4, che si muove su tonalità bemollizzate, dal MIb al LAb per poi stabilizzarsi lungamente in zona SIb, ma sempre con inflessioni modali. Movimento che perde progressivamente la sua carica vitale, per sfumare lentamente verso atmosfere sognanti (sul FA) allargando il tempo fino a perdersi in lontananza su delicate ottave di FA del primo pianoforte.

Il secondo movimento riparte da lì, con 35 battute (7 gruppi di 5) dei soli pianoforti sul ritmo incalzante tenuto dalle percussioni (triangolo e tavolette di legno) per poi animarsi (a 3/4) e caricarsi progressivamente di energia [siamo in ambito tonale di FA]. Poi inizia una sezione caratterizzata da continui salti di tempo: 5/4 (2+3) poi 6/4, ancora 5/4 e poi 6/4, 5/4, 6/4, 5/4, 6/4, con ispessimenti del suono (effetto organo) e brevi momenti di respiro, ma con continue poliritmie. L’ambito tonale si è spostato a LA e il movimento si chiude in modo traumatico, sulle quinte giambiche LA-MI di flauti, ottavino e primo pianoforte.

Il movimento conclusivo è, come detto, di carattere elegiaco, una specie di cantilena, o ninna-nanna, sempre in 4/4, ambito tonale di DO minore, anche qui con impiego di poliritmia (terzine, o 6/4 su 4/4). La struttura del brano è formata da un arco che sale progressivamente in corposità e volume di suono per poi scendere fino a chiudersi mestamente sulle ottave ascendenti DO-DO dei celli e i lamentosi LAb-SOL dei pianoforti.

Le sorelline francesi sembrano calarsi anima e corpo in questa musica che suona quasi arcana, metafisica si direbbe, e il pubblico le gratifica di ovazioni e applausi ritmati. Ai quali rispondono con un’altra… Glassata (!) 

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Ha chiuso la serata la difficile Quarta di Johannes Brahms, che da sempre costituisce una specie di prova d’esame per ogni Direttore che aspiri a fama imperitura. 

E il Tjek non ha certo esitato ad affrontarla da par suo, con approccio severo e sostenuto. Da incorniciare alcuni momenti, come la cavata dei celli nell’Andante moderato o le abbaglianti sonorità orchestrali dell’Allegro giocoso; ma il meglio per me è stata la ciaccona finale, si direbbe proprio… bach-brahmsiana!

Pubblico in delirio, ed ora aspettiamo il Tjek da camera il 24 ottobre.