XIV

da prevosto a leone
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23 agosto, 2024

ROF-2024 live: Il barbiere di Siviglia.

Ultima (ma temo solo per questa stagione…) visita alla Vitrifrigo Arena per l’ultima recita del Barbiere, ripresa della produzione del 2018, già ripetuta in Covid-streaming nel 2020.

Quel grande studioso rossiniano che fu il compianto Alberto Zedda scrisse a proposito del Barbiere un saggio che ancor oggi costituisce un punto di riferimento per inquadrare l’opera nella sua essenza più genuina, a dispetto delle mille ferite infertegli dalla cosiddetta tradizione esecutiva. E la sua edizione critica, ancor oggi riproposta al ROF, lo sta ampiamente a dimostrare.  

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Sulla regìa di non posso che ripetere i miei commenti allo spettacolo di sei anni fa. Pier Luigi Pizzi non si smentisce e – da architetto, per studi universitari, e da scenografo… di nascita - appronta un’ambientazione super-stilizzata (balconi, terrazzini e interno dove le curve sono ridotte al minimo) e con colori di scene e costumi dove prevalgono il bianco accecante e il nero più pesto. Poche macchie di violaceo o rossiccio per qualche soprabito e di ceruleo per Rosina. Le luci di Massimo Gasparon mettono perfettamente in risalto la solarità dell’ambiente, rotta solo dall’avvicinarsi del temporale.

Quanto alla recitazione, Pizzi cerca (e direi proprio, trova) un più che accettabile compromesso, evitando gli eccessi goliardico-sbracati di certe interpretazioni tradizionali (o tradizionaliste…) che, da commedia con venature di buffo, riducono spesso il Barbiere a puro avanspettacolo sgangherato.

Non mancano certo le gag - una su tutte, il botto dello spumante stappato da Basilio con cronometrica precisione proprio sul memorabile colpo-di-cannone - ma siamo sempre all’interno dei confini dell’eleganza e dello stile. Così il Figaro che - mentre canta la sua celebre cavatina - si spoglia seminudo per lavarsi nella fontana sotto il balcone di Rosina; o il Conte che si presenta (come Don Alonso) nelle forme di un nanerottolo (camminando sulle ginocchia); o la vecchia Berta sempre assatanata come una ninfomane… non fanno mai scadere lo spettacolo a becera farsa.

Anche Pizzi sfrutta (già che c’è) la passerella (questa sì da avanspettacolo!) che circonda l’orchestra e che è da sempre una dotazione fissa del palazzone pesarese: così vi transitano e stazionano spesso e volentieri i vari personaggi, fino alla sfilata in grande stile della chiusura del primo atto e poi alle uscite finali.

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Un tremuoto, un temporale… è l’espressione che meglio si addice a descrivere ciò che deve aver colpito Lorenzo Passerini sul podio dell’Arena: un corpo letteralmente morso dalla tarantola! E forse i suoi gesti quasi spiritati possono aver dato la (fallace) impressione che i tempi da lui tenuti siano eccessivamente forsennati: in realtà mi pare che ciò ieri non sia accaduto, il che va comunque a suo merito. La solida Sinfonica Rossini evidentemente lo ha assecondato nella sostanza, al di là della forma, piuttosto gigionesca!

Assai bene anche il Coro (soli signori) del Teatro Ventidio Basso di Giovanni Farina.  

Nel ruolo del titolo, il polacco Andrzej Filonkzyk ha messo in mostra la sua voce dal timbro caldo e ben tornito, di cui qualche eccesso di forzatura degli acuti non ha troppo compromesso la resa complessiva. Più che discreta anche la sua presenza scenica.

Il suo protetto (Almaviva/Lindoro) è lo yankee Jack Swanson: voce leggera, dal timbro non molto corposo, in specie nelle note più gravi, ma svettante negli acuti. In complesso, più che apprezzabile la sua prova.

Parimenti apprezzata la Rosina di Maria Kataeva. Assai efficace e ben proiettata negli acuti, il mezzosoprano russo mi è parsa meno efficace nell’ottava bassa, ma anche lei ha brillantemente superato la prova, mettendo in mostra anche una consumata sensibilità interpretativa.

Assai bene anche William Corrò, che vestiva i panni duplici di Fiorello e Ufficiale: voce benissimo impostata e potente, dal timbro assai gradevole.

Resta da dire dei senior della serata. Su tutti l’imponente figura di Michele Pertusi, un Don Basilio che probabilmente si sentiva anche a… Pesaro! E che ha portato gli applausi del pubblico al parossismo.

Così come l’altro decano del Festival, Carlo Lepore, un Bartolo di gran spessore, nella voce (non ha perso una sola sillaba nei diversi scioglilingua che Rossini impone al personaggio) e nelle multiformi movenze delle sue esternazioni.

E infine Patrizia Biccirè, che esordì al ROF addirittura 32 anni orsono! E che ancora ha saputo dare il suo apporto allo spettacolo e soprattutto – con l’arietta a lei riservata - alla musica.

Applausi scroscianti a scena aperta dopo ciascun numero e poi un generale trionfo finale, con tutti gli interpreti in passerella a ricevere un interminabile applauso ritmato!

  

08 agosto, 2024

Il ROF-2024 alla radio.

Radio3, fedele alla tradizione, irradia le prime del Festival, che quest’anno sono quattro e non tre, in omaggio allo status di Capitale italiana della cultura di cui gode Pesaro per il 2024.

Rompere il ghiaccio, nel rinnovato Auditorium Scavolini, è toccato a Bianca&Falliero, alla quarta presenza al ROF (dopo 1986-89 e 2005). A guidare dal podio la OSN-RAI era Roberto Abbado; Giovanni Farina ha diretto il Coro del Teatro Ventidio Basso.

Nei quattro ruoli principali figurano due (ormai) vecchie glorie del ROF: le voci acute di Bianca di Jessica Pratt e di Contareno (suo padre!) di Dmitry Korchak; affiancate da quelle più gravi di due promesse già battezzate al ROF in anni recenti: il(la) Falliero di Aya Wakizono e il Capellio di Giorgi Manoshvili.

Premesso che l’ascolto tecnologico ha sempre i suoi limiti, mi sento di giudicare positivamente la prova di Abbado, almeno sul lato delle agogiche. Bene anche il coro di Farina.

Quanto alle voci, la Pratt ha subito approfittato delle opportunità di coloratura offerte da Rossini per sciorinare i suoi proverbiali sovracuti (DO#, RE e persino MI) chiudendo il rondò finale con uno stentoreo e lunghissimo MIb. La cantante aussie ormai di casa qui da noi mi è parsa anche la voce più centrata sul personaggio.

Non così le altre tre voci. Korchak più che discreto, ma forse questa parte di bari-tenore non gli è proprio congeniale (ascoltare il Merritt del 1986…) così lui se l’è cavata sopperendo con il mestiere. Per la Wakizono stesso discorso: voce assai bella ed espressiva, ma non certo di contralto (ascoltare la Horne del 1986 ma anche la Barcellona 2005…) anzi di mezzo spinto (DO acuti come nulla fosse) che soprattutto nei duetti con Pratt si faticava a distinguere dal soprano. Fin troppo grave e cavernosa invece la voce di Manoshvili. Doveroso segnalare anche la Costanza di Carmen Buendìa, il Doge di Nicolò Donini, e poi Claudio Zazzaro e Dangelo Dìaz.

Accoglienza per tutti più che calorosa, anche se… ristretta. Forse il pubblico era esausto per l’autentica maratona durata dalle 20 fin quasi a mezzanotte! In effetti l’opera mostra tutte le sue contrastanti caratteristiche: quelle di una summa di tutto lo scibile del teatro musicale messa insieme da Rossini a partire dalla Camerata dei Bardi per arrivare ai giorni suoi, Beethoven incluso! Lunghissime scene, duetti, terzetti, quartetti e concertati con coro di splendida ma ipertrofica fattura, alternate a recitativi accompagnati in declamato e pure a recitativi secchi (ieri proprio nulla è stato tagliato!)


Insomma, ci si spiega ancor oggi la reazione ammirata del pretenzioso pubblico della Scala del 1819, ma anche la contemporanea stroncatura degli spocchiosi critici di allora.   
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2. L’equivoco stravagante.

Quarta comparsa al ROF (dopo 2002-08-19) anche per La terza opera di Rossini (seconda ad essere rappresentata) che ha fatto riaprire i battenti al glorioso Teatro intitolato al Maestro e rimesso in sesto dopo il terremoto del 2022 che ne aveva compromesso la sicurezza.

Opera che – causa bando dai teatri per divieti di censori-bacchettoni - ha generosamente imprestato sue parti a parecchie sorelle arrivate dopo di lei; citerò solo tre macroscopici esempi: il Coro introduttivo dell’Atto II, che verrà reimpiegato in Ciro in Babilonia e poi in Tancredi; il quintetto dell’atto II (Speme soave) ripreso nel corrispondente Spera se vuoi (Pietra di paragone, a 21’55”); e l’aria finale di Ernestina (qui a 43”) passata ancora nella Pietra di paragone a Clarice (qui a 1’28”).

Michele Spotti (al suo terzo impegno importante al Festival: Barbiere streaming 2020 e Bruschino 2021) sta facendo grandi progressi e ha diretto da par suo la Filarmonica Rossini, dando un taglio davvero mozartiano a questa partitura del todeschino, che al Teofilo si ispirò assai nei suoi primi anni di carriera. Mirca Rosciani ha guidato il Coro del Teatro della Fortuna ad una prestazione più che apprezzabile.

Oltre a orchestra e coro, anche il cast è totalmente rinnovato rispetto alla stessa produzione del 2019 (allora ospitata nella smisurata Vitrifrigo Arena). Artisti quasi tutti (Alaimo escluso) di recente frequentazione dell’Accademia. La debuttante nel cartellone principale del ROF, Maria Barakova, veste i panni della protagonista Ernestina, alla quale presta in modo convincente (cavatina, duetti e rondò finale) la sua bella e calda voce di mezzosoprano lirico. 

I due buffi sono il navigato trascinatore Nicola Alaimo (Gamberotto) e il quasi esordiente (dopo la Cambiale del 2018) Carles Pachòn (Buralicchio): entrambi degni di elogio nelle rispettive cavatine/arie ma anche nel duetto (con gag) del primo atto e nei concertati.

Pietro Adaìni (già nel Turco del 2018 e ne La Gazzetta del 2022) impersona il romantico Ermanno e lo fa con buon profitto: voce squillante e acuti (incluso un DO#) senza sbavature.     

I suoi due sodali per la conquista della cinica Ernestina (Rosalia e Frontino) sono Patricia Calvache (praticamente all’esordio) e Matteo Macchioni, già presente nella Gazza del 2015 e in Adina del 2018. Anche per loro (cui Rossini riserva le classiche arie da sorbetto) note più che positive.

Da ultimo sottolineo ancora il perfetto affiatamento di tutti nei pezzi d’insieme: duetti, quartetto, quintetto e finali d’atto.

Insomma, almeno all’ascolto radio, una riproposta più che positiva.

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3. Ermione.

Ermione rappresentò per Rossini un (fugace) momento di rottura dei collaudati schemi (napoletani) dell’opera seria, tanto che fu categoricamente bocciata dal pubblico e messa in naftalina dallo stesso compositore, per essere poi dimenticata lì per decenni. Questa fu – ante-litteram – un’operazione di tipo breakthrough (come usano dire i moderni barbari…) che solo 30 anni dopo troverà il massimo epigono in tale Wagner!

Se oggi ne possiamo apprezzare tutta la straordinaria modernità, è soprattutto grazie al recupero fattone dalla Fondazione Rossini e dal ROF, che lo mette in scena oggi per la terza volta, dopo 1987 e 2008.

E poi - ça va sans dire – il merito va anche riconosciuto a Direttori come Michele Mariotti, che la concerta qui per la prima volta proprio a casa sua, sapendone esaltare tutte le straordinarie qualità e la grande varietà di accenti, dal dolente, al lirico, alle esplosioni degli animi esacerbati. In ciò assecondato alla grande dalla OSN-RAI, davvero senza una sola sbavatura, e dal Coro del Teatro Ventidio Basso di Giovanni Farina.

Ma anche il cast ovviamente conta, e quello messo in campo in questa produzione ha avuto la sua punta di diamante nella protagonista, la sempre più convincente Anastasia Bartoli, già segnalatasi lo scorso anno come Cristina: davvero torreggiante, soprattutto nelle due grandi scene del second’atto.

Molto bene anche l’appassionata Andromaca di Viktoria Yarovaya, anche lei ormai veterana del ROF (esordio nel Demetrio del lontano 2010). 

Praticamente scontato il successo per il Direttore Artistico del Festival, tale J.D.F. (Oreste) ormai ultra-decano del ROF (esordio 1996!) che ha sciorinato il meglio del suo bagaglio virtuosistico. 

Maluccio, ahilui e ahinoi, il Pirro di Enea Scala. Al quale credo proprio manchi il phisique-du-role per questo personaggio. Senza scomodare il sontuoso Merritt, basterà aver presenti un Kunde o uno Spyres per fare confronti impietosi. Ma poi, a parte la vocalità naturale, ier sera mi è parso anche fuori forma, con difficoltà di intonazione, acuti gutturali e spesso ghermiti dal semitono sottostante, oltre ai gravi quasi inudibili. Peccato davvero!

Buone notizie invece per Antonio Mandrillo (Pilade) che ieri è stato, per meriti sul campo, il secondo e non il terzo tenore del cast.

Più che dignitose le prove di Michael Mofidian (Fenicio), Martiniana Antonie (Cleone), Paola Leguizamòn (Cefisa) e Tianxuefei Sun (Attalo).

Comunque accoglienza calorosissima per tutti, con punte per Mariotti, Florez e Bartoli.

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4. Il barbiere di Siviglia.

Da quest’anno il Barbiere diventa recordman in solitaria in fatto di presenze al ROF (7, senza contare lo streaming dell’autunno 2020 in epoca Covid, contro le 6 della Scala). Consideriamolo un doveroso tributo a quella che è indiscutibilmente ancora l’opera più nota e gettonata del grande Gioachino.

E per omaggiarla se ne omaggiano quest’anno alcuni iconici interpreti. A partire da uno che calcò le scene del ROF, vestendo i panni di Assur, nel remoto 1992 (!!!) Michele Pertusi. Il quale ha cantato come DonBasilio nelle ultime apparizioni. E anche ieri la sua Calunnia ha mandato il pubblico in visibilio!

Un altro navigatissimo del ROF (Siége del 2000 dopo presenza in una kermesse del 1996) è Carlo Lepore, che impersona, come nello streaming del 2020, il mangiapane-a-tradimento Don Bartolo. Anche la sua è stata un’interpretazione sontuosa, che ha avuto la punta di diamante nell’aria del primo atto, caratterizzata da quella incredibile raffica di scioglilingua che lascia sempre di stucco. 

Ma a proposito di veterani, che dire di Patrizia Biccirè, che fu Giulia ne La scala di seta del 1992! E che già fece Berta nel 1997! E anche ieri ha raccolto ovazioni dopo a sua arietta del vecchiotto

Dopo i decani, ecco i promettenti giovani della nuova leva di cantanti rossiniani. Il protagonista è Andrzej Filonkzyk, in terminologia goliardica un fagiolo, essendo alla seconda apparizione al ROF, dopo il Raimbaud (Ory) del 2022. Il suo è un accattivante Figaro: voce potente, buon portamento, subito esibiti nella celebre cavatina d’esordio. Certo, l’esperienza gli gioverà per migliorare ancora. 

Come lui, viene dall’Ory di due anni fa anche la Rosina di Maria Kataeva. E anche per lei vale lo stesso discorso: una prova superata con voto più che discreto, voce dal timbro morbido, bene impostata su tutta l’ampia tessitura mezzosopranile, oltre a buona sensibilità interpretativa.   

Jack Swanson (già Florville nel Bruschino del 2021) è oggi il lezioso Conte/Lindoro, cui ha prestato la sua bella voce chiara e dagli acuti squillanti. Anche per lui il futuro si prospetta roseo, a patto di continuare a... studiare.

Alla terza uscita (dopo 2018 e streaming 2020) come Fiorello/Ufficiale è William Corrò, che ha dato il suo valido contributo al buon successo della serata.

Successo propiziato dall’energica direzione – tempi a volte persin troppo parossistici - di Lorenzo Passerini, alla guida della solida Sinfonica Rossini, ben coadiuvati dal Coro del Teatro Ventidio Basso di Giovanni Farina.   

Insomma, un Barbiere più che positivo, un’esibizione che il pubblico ha giustamente accolto con grandissimo calore.

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Ecco, chiuso il ciclo radiofonico delle prime, ora non mi resta che assistere dal vivo… dopo Ferragosto.

Ma intanto, Ernesto Palacio ha già annunciato il cartellone del 2025:

·       Zelmira (Sagripanti/Bieito)

·       Italiana (Korchak/Cucchi)

·       Turco (Ceretta/Livermore)

·       Messa per Rossini
 

14 settembre, 2023

Il Barbiere di Muscato-Pidò con la Scala accademica

O.T. Lissner reintegrato al SanCarlo: ogni tanto l’arroganza-ipocrisia non paga. 

Ieri sera alla Scala penultima delle sei recite del rossiniano Barbiere, la fortunata ed apprezzata produzione del 2021 (epoca di riapertura post-Covid) allestita da Leo Muscato e diretta da Riccardo Chailly, ora trasformata in palestra per gli accademici (o ex-) scaligeri presi per mano dal navigato Evelino Pidò.

Allestimento piacevole e intelligente, del genere teatro-nel-teatro, dove i ruoli-chiave del libretto diventano: Lindoro autore-direttore; Rosina la star dello spettacolo; DonBartolo l’impresario teatrale; Don Basilio maestro di musica e Figaro il suggeritore e jolly di scena. Poi anche i personaggi minori (Berta e Fiorello) hanno le loro brave mansioni più o meno nobili.

L’idea portante di Muscato nasce dalla constatazione che tutti i personaggi sono poco o tanto legati al mondo della musica, il che spiega e giustifica l’ambientazione scelta dal regista e perfettamente supportata dalla scenografa Federica Parolini, coadiuvata da Silvia Aymonino per i costumi e da Alessandro Verazzi alle luci (francamente banalotta invece la scelta di infilare nell’avanspettacolo un bizzarro balletto di maschietti en-travesti, coreografato da Nicole Hehrberger).   

[In realtà sappiamo che il libretto dello Sterbini – ispirato a Beaumarchais – potrebbe benissimo essere interpretato come un chiaro riferimento ai macro-fenomeni storico-sociologico-politici che stavano prendendo forma da qualche decennio ai tempi della composizione della commedia rossiniana. Dove i cinque protagonisti principali e i rispettivi comportamenti potrebbero splendidamente rappresentare nientemeno che le classi della società del tempo e i loro rapporti conflittuali o cooperativi. Così DonBartolo impersonerebbe la nobiltà retriva e parassitaria, tutta intenta a perpetuare i propri privilegi e a considerare la donna come essere inferiore e schiava del potere maschilista; in questo supportata da un clero (DonBasilio) ipocritamente asservito al potere; mentre Almaviva sarebbe l’alfiere di una nobiltà dalle vedute aperte, progressista e ben disposta – per garantirsi un futuro - ad allearsi con l’emergente e rampante borghesia produttiva, splendidamente vestita dei panni di Figaro, l’instancabile factotum. Quanto alla protagonista femminile, Rosina rappresenterebbe la figura della femminista ante-litteram, che testardamente fronteggia la protervia maschilista dei potenti, rifiutandone la facile ma gretta prospettiva esistenziale per privilegiare la disinteressata genuinità dei sentimenti.]

Anche ieri lo spettacolo è stato accolto con grande calore, in un Piermarini abbastanza popolato, ma non certo al tutto-esaurito come proclamava il sito internet, da un pubblico che ha accomunato tutti i protagonisti in un chiaro apprezzamento. Un trionfo meritato, che testimonia dell’efficacia della politica del Teatro volta a promuovere la sua fucina di artisti: l’Orchestra innanzitutto, che ha risposto in modo convincente alle sollecitazioni di Pidò; poi il coro (maschile) di Salvo Sgrò e infine le voci degli accademici (Huanhung Livio Li, Giuseppe De Luca e Greta Doveri).

Personalmente mi associo agli elogi, il che non significa dare a tutti lo stesso voto (il famoso 18-politico di buona memoria) ma mi limito a citare per tutti la mascotte Greta Doveri, che mi ha impressionato – in particolare nella sua arietta Il vecchiotto cerca moglie - per la bella voce dal timbro morbido e vellutato che penso la porterà lontano.

In definitiva, una simpatica e godibilissima serata… chi può ha ancora una chance di godersela il 18!  

01 dicembre, 2020

Il Moro di Firenze

Ieri sera RAI5 ha diffuso in streaming un apprezzabilissimo Otello dall’Opera di Firenze.  

Mehta e la sua Orchestra sempre più in forma, cast senza stelle ma... planetario!

E sabato prossimo Roma apre (RAI3 alle 16) con il Barbiere della coppia Gatti-Martone.

Nonostante tutto, ci sono Teatri (Firenze e Roma sono solo gli ultimi esempi di una lunga serie) che continuano a fare... teatro d’opera!

La Scala invece... teatro di varietà?

20 agosto, 2018

ROF-XXXIX live - Il barbiere di Siviglia



Ritorno all’Adriatic Arena per questo nuovo Barbiere. Nuovo nell’allestimento (del venerabile Pier Luigi Pizzi) e semi-nuovo nell’edizione, che è quella approntata nel 2010 dal compianto Alberto Zedda e da lui già presentata al ROF in forma di concerto nel 2011 e poi in forma quasi-scenica nel 2014.

Pizzi non si smentisce e - da scenografo di nascita - appronta un’ambientazione super-stilizzata (balconi, terrazzini e interno dove le curve sono ridotte al minimo) e con colori di scene e costumi dove prevalgono il bianco accecante e il nero più pesto. Poche macchie di violaceo o rossiccio per qualche soprabito e di ceruleo per Rosina. Le luci di Massimo Gasparon mettono perfettamente in risalto la solarità dell’ambiente, rotta solo dall’avvicinarsi del temporale.

Quanto alla recitazione, Pizzi cerca (e direi, trova) un accettabile compromesso fra gli eccessi goliardico-sbracati di certe interpretazioni che, da commedia con venature di buffo, riducono il Barbiere a puro avanspettacolo sgangherato. Non mancano certo le gag - una su tutte, il botto dello spumante stappato da Basilio con cronometrica precisione proprio sul memorabile colpo-di-cannone - ma siamo sempre all’interno dei confini dell’eleganza e dello stile. Così il Figaro che - mentre canta la sua celebre cavatina - si spoglia seminudo per lavarsi nella fontana sotto il balcone di Rosina; o il Conte che si presenta (come Don Alonso) nelle forme di un nanerottolo (camminando sulle ginocchia); o la vecchia Berta sempre assatanata come una ninfomane... non fanno mai scadere lo spettacolo in farsa.

Anche Pizzi sfrutta (già che c’è) la passerella (questa sì da avanspettacolo!) che ormai pare una dotazione fissa del palazzone pesarese: così vi transitano e stazionano spesso e volentieri i vari personaggi, fino alla sfilata in grande stile della chiusura del primo atto.

Passerella che circonda la pseudo-buca orchestrale, dove ha tenuto banco Yves Abel, che ha affrontato la partitura con molta leggerezza (alla radio non mi aveva entusiasmato) il che devo ammettere ha però il suo buon effetto, armonizzandosi assai bene con l’approccio della regìa. L’OSN-RAI (rinforzata per la chitarra dall’apporto del pesarese - milanesizzato - Eugenio Della Chiara) ha risposto alla grande, già dall’applauditissima Sinfonia.

Sempre efficace e compatto il coro del Ventidio Basso (Giovanni Farina) nei passaggi di insieme, come in quelli a gruppetti.

Le voci. Come curiosità c’è da registrare che quattro dei sette interpreti (Mironov, Wakizono, Luciano e Corrò) figuravano un anno fa nel cast de La pietra del paragone. Faccio poi o una premessa: lo scatolone ricavato nella pancia dell’enorme Adriatic Arena ha un’acustica davvero pessima (non v’è chi non reclami e attenda con impazienza il ritorno al glorioso Palafestival) però, accipicchia, le voci delle vecchie glorie Pertusi e Zilio vi passavano attraverso in modo spettacoloso... le altre, ahiloro, assai meno. Ancora accettabili quelle di Luciano e Spagnoli, ma quelle dei due protagonisti (Mironov e Wakizono) davvero faticavano a raggiungere indenni il fondo della sala (e va dato atto ad Abel di non aver mai coperto). Il che vorrà pur dir qualcosa (ricordo di aver mosso ai due lo stesso appunto critico, a proposito di decibel, un anno fa, in occasione della Pietra...)

A parte questo rilievo, dirò che tutti (aggiungo qui anche il bravissimo Corrò) si sono assestati su un livello più che discreto. Il pubblico da parte sua ha dato un voto che rasenta la lode, a giudicare dagli applausi (a scena aperta e poi alle uscite finali) riservati a tutti, musicanti e allestitori.   

21 agosto, 2014

ROF XXXV live: Barbiere


Quarta ed ultima recita, ieri sera al Teatro Rossini (non proprio esaurito, ma illustrato dall’imponente presenza in sala di Jessica Pratt) del Barbiere di Siviglia, riproposto quest’anno in forma semi-scenica al posto della preventivata L’inganno felice. In pratica, una edizione aggiornata e un po’ più scenica di quella del 2011, dove Alberto Zedda aveva presentato la sua ultima edizione critica dell’Opera.

L’Accademia di Belle Arti di Urbino ha curato (praticamente a-gratis, a quanto pare) la realizzazione dello spettacolo, impegnandovi uno stuolo di allievi e docenti. Spettacolo godibile e simpatico, ricco di trovate interessanti e mai volgari, a dimostrazione che – applicando intelligenza ed entusiasmo – si possono ottenere buoni risultati anche senza tirare in ballo altisonanti (e altoremunerati…) nomi di registi. La scena in effetti c’è (orchestra regolarmente in buca) anche se ridotta al minimo; poi molte parti dello spettacolo hanno sede in platea o in alcuni palchi (ma questa non è certo una novità, il teatro di regìa ci ha abituato a questa prassi) anche se sono prevalentemente occupate da recitativi, quindi disturbano poco la musica; mimi e figuranti si aggiungono agli interpreti per movimentare l’azione, ma senza mai essere eccessivamente invadenti. Insomma, un risultato interessante e un esperimento riuscito, che magari merita di essere ripetuto.
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Sistro: chi era costui? E che c’entra col Barbiere di Rossini? Bene, lo si incontra per la prima volta quando l’orchestra attacca la cavatina d’esordio (Ecco ridente in cielo) di Lindoro; poi torna corposamente anche nel finale dell’atto primo (Mi par d’esser con la testa in un’orrida fucina) e infine accompagna il quintetto dell’atto secondo, a partire dall’imprecazione di Bartolo (Di rabbia, di sdegno):


Dalla notazione della partitura a stampa (questa è una riproduzione della Dover, presumibilmente basata sulla vecchia edizione critica di Zedda del 1969) si desume essere uno strumento a suono indeterminato. Strumento pare in uso fin dall’antichità (i soliti egizi…) probabilmente assimilabile ad una sonagliera, costituita da sbarrette metalliche con anelli infilati che produceva suono per scuotimento. Ma la cosa non è così semplice: intanto nelle esecuzioni moderne viene solitamente impiegato in sua vece il triangolo o magari il glockenspiel; poi nel manoscritto originale di Rossini la parte è notata in modo apparentemente strano: in posizioni diverse del rigo (come si trattasse di strumento a suono determinato) e con le stanghette a volte in alto a volte in basso.

Una quindicina d’anni fa il Maestro Simone Fermani ha compiuto su questo strumento delle ricerche e sperimentazioni (che ha riassunto in un articolo comparso nel 2006 sul Bollettino della Fondazione Rossini) arrivando addirittura a progettare e far costruire un modello di sistro rispondente (secondo lui) alle esigenze esecutive del compositore:

     
Come si vede, è un particolare triangolo sui cui due lati sono infilati degli anelli che, per scuotimento verticale, producono due suoni diversi: uno acuto e uno grave, corrispondenti (secondo Fermani) alla notazione rossiniana originale (con stanghetta in alto o in basso).

Orbene, dopo tutto questo tormentone vi chiederete: ma per questo Barbiere, che strumento è stato impiegato? Ecco, una delusione: un normalissimo triangolo (smile!
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Venendo a più seri argomenti… la prestazione dei musicisti mi è parsa di livello onorevole (confermando l’impressione avuta via-etere lo scorso lunedi). Devo dire che al pubblico deve essere parsa eccezionale, a giudicare dal calore di applausi, anche a scena aperta, e di bravo! che hanno accolto indistintamente tutti i protagonisti.

Spendo innanzitutto una parola per il Coro (maschile) SanCarlo di Pesaro di Salvatore Francavilla: sarà pure di natura amatoriale, ma insomma, la sua parte l’ha fatta più che dignitosamente. Bravi! Poi una particolare menzione per Carmen Santoro (al fortepiano per i recitativi) e una specialissima per il chitarrista che accompagnava Lindoro nelle sue esternazioni a Rosina (in buca, fra le viole, per la serenata e in scena per la canzone), Eugenio Della Chiara: il quale è un pesarese emigrato a Milano (dove ha studiato chitarra al Conservatorio) che insieme al prof. Reggiani dell’Università Cattolica collabora con laVerdi nella stesura dei programmi di sala e partecipando spesso alle conferenze introduttive ai concerti.

Giacomo Sagripanti (che ha diretto senza tenere la partitura sotto il naso) ha pure confermato le sue buone doti di concertatore, gestendo in modo assai equilibrato le risorse strumentali e tenendo sempre bene in pugno quelle vocali. L’orchestra ha risposto discretamente, anche se non sono mancate alcune incertezze qua e là.

Juan Francisco Gatell, alle mie orecchie perlomeno, ha confermato ciò che di buono era arrivato via-radio: vocina piccola ma penetrante e adatta al ruolo.

Chiara Amarù, dopo una partenza piuttosto incerta nella sua famosa cavatina, è stata un’apprezzabile Rosina, encomiabile anche sotto l’aspetto della… ricerca dei virtuosismi dove l’interprete (in opere come queste, mica certo in Wagner!) ha il diritto-dovere di prendere qualche iniziativa: peraltro non sempre le sue soluzioni mi hanno convinto, dal punto di vista, diciamo così, dell’estetica musicale.

Il Figaro di Florian Sempey continua a non convincermi appieno: come gigione è un gigante, come baritono… beh, dico che deve mangiar polenta ancora parecchio (smile!)

Alex Esposito è anche lui un Basilio scenicamente efficace, mentre lascia un pochino a desiderare nel canto; forse per evitare i FA acuti si pratica lo sconto di un tono intero sulla sua famosa aria: cantandola in DO anziché in RE (sulle parti degli orchestrali c’è una vistosa quanto inequivocabile freccia orientata verso il basso). La truffa, per così dire, non è certo una sua invenzione (ha illustri precedenti nella tradizione) e vede come complice Don Bartolo che, nel recitativo che precede immediatamente La calunnia, dopo il LA con cui Basilio ha chiuso la frase noi lo farem sloggiar da queste mura, invece di rispondere (E voi credete?) partendo dal SOL#, lo fa partendo dal FA#:


Da qui in poi le restanti 10 battute del recitativo sono abbassate di un tono, il che prepara il DO dell’aria che segue, al termine della quale Basilio riprende, senza dar troppo nell’orecchio, dal LA del successivo recitativo (Ah che ne dite).

E a proposito di Bartolo, soddisfacente per me la prestazione di Paolo Bordogna, che ha coniugato la robustezza della voce con la velocità folle degli scioglilingua che caratterizzano la sua aria principale (A un dottor della mia sorte) riuscendo a non… incespicare né a mangiarsi troppe note.

Felicia Bongiovanni ha onorato il ruolo di Berta spiccando nei concertati e proponendo dignitosamente la sua aria del vecchiotto. Onesta la prestazione di Andrea Vincenzo Bonsignore (Fiorello e Ufficiale).

Il maggiordomo Ambrogio era Alberto Pancrazi, che ha occupato la scena con la sua presenza... ingombrante (smile!) ma sempre impeccabile, pur senza mai cantare una sillaba.
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Alla fine, come detto, trionfo per tutti.

12 agosto, 2014

ROF XXXV: le prime alla radio (2)


Nel programma preliminarissimo rilasciato sulla tradizionale cartolina del ROF in chiusura del Festival 2013 figurava – accanto ad Armida ed Aureliano -  L’inganno felice, che avrebbe dovuto riprendere la produzione di Vick del 1994. Evidentemente ragioni organizzative (magari di costo dell’allestimento) hanno poi indotto Mariotti&C a ripiegare su un titolo più collaudato e su una rappresentazione in forma semi-scenica.

Ecco quindi questo Barbiere, già eseguito in forma di concerto nel 2011 da Zedda, che per l’occasione aveva impiegato la sua nuova edizione critica, preparata in risposta a quella del 2008 di Gossett (emigrato presso Bärenreiter). Quest’anno sul podio c’è Giacomo Sagripanti (che tanto per distinguersi ha puntualmente cassato il minuscolo personaggio di Lisa, da Zedda pignolescamente riesumato), il coro è il SanCarlo di Pesaro (diretto da Salvatore Francavilla) e la gestione scenica dell’Accademia di Belle Arti di Urbino, che prosegue quindi la sua collaborazione con il ROF.

Superstiti dal 2011 l’Orchestra del Comunale di Bologna e, fra le voci, il Conte di Juan Francisco Gatell. E proprio il tenore argentino mi è parso positivamente cresciuto rispetto a quella prova, già abbastanza confortante, di 3 anni orsono, superando di slancio anche gli ostacoli rappresentati dalla riapertura dei tagli di tradizione.

Discreta anche la prova di Chiara Amarù, che aveva lasciato un buon ricordo di sé un anno fa come Malcom ne La Donna del Lago. Sugli scudi i due bassi Paolo Bordogna e Alex Esposito, campione di scioglilingua il primo e convincente calunniatore il secondo. Molto applaudito il giovine Florian Sempey come Figaro, che personalmente non mi ha entusiasmato. Felicia Bongiovanni e Andrea Vincenzo Bonsignore completano dignitosamente il cast nei tre ruoli di contorno.

Sagripanti non mi è dispiaciuto, per la verve che ha impresso all’orchestra e a tutta la compagnia; onorevole la prestazione del Coro, che ha un ruolo non certo proibitivo.

Tutto sommato una serata abbastanza piacevole, che ha risollevato in parte le quotazioni del Festival, dopo la mezza delusione dell’Armida inaugurale.

23 agosto, 2011

ROF-2011: il (nuovo) Barbiere di Siviglia


Ieri sera Alberto Zedda ha presentato – dal podio, alla guida di Orchestra e Coro del Comunale di Bologna – la sua ultima edizione dell'opera più famosa di Gioachino Rossini.

Un riassunto delle novità contenute in tale edizione è riportato, a firma dello stesso musicologo, sulle pagine del programma di sala. A giudicare dal sommario elenco, si dovrebbe dire: nulla di trascendentale; o magari: particolari che possono dir qualcosa al musicofilo esperto, se non proprio ai più specializzati addetti ai lavori. In compenso, Zedda non manca di lanciare qualche frecciatina polemica al suo ex-sodale-in-Rossini Philip Gossett, con cui ha rotto i ponti da qualche tempo, e che si è messo al servizio della concorrenza, collaborando con Patricia Brauner ad un'edizione critica del Barbiere pubblicata nel 2008 dall'autorevole casa editrice Bärenreiter. La contestazione che Zedda muove alla Brauner (perché Gossett intenda…) riguarda le parti di Lisa e Berta - le due domestiche di casa-Bartolo - i cui ruoli (del tutto secondario soprattutto quello di Lisa) sono di fatto riuniti dalla Brauner (secondo tradizione e…logica) in uno solo: quello di Berta, che nell'opera ha una parte più corposa, essendo anche gratificata di un'aria. Zedda invece li tiene scrupolosamente distinti: Berta=soprano e Lisa=mezzosoprano (che canta 3 – dicansi tre - versi in tutto, in 18 battute di musica). Però Zedda si affretta ad aggiungere che la fusione dei ruoli, essendo per l'appunto contemplata dalla tradizione, va comunque prospettata e rispettata. Vai a capire un po' come funzionano questi editori critici

Invece sul podio il Maestro ha mostrato tutta la sua esperienza in Rossini e nel Barbiere, trascinando da par suo i 45 strumentisti bolognesi e accompagnando amorevolmente i cantanti (più il coro maschile di Lorenzo Fratini).

Ad eccezione di Ecco ridente in cielo, tutte le arie e i diversi concertati sono stati accolti da applausi (a volte vere e proprie ovazioni) che hanno gratificato gli interpreti. Su tutti il Figaro di Mario Cassi (che nella celebre cavatina d'esordio non mi è peraltro sembrato impeccabile, ma non tutti possono essere dei… Bruscantini).

Sugli scudi i due Nicola-bassi: Ulivieri, davvero bravo nella Calunnia, e Alaimo, un Bartolo efficacissimo tanto nel canto quanto nella recitazione (non c'era allestimento scenico, ma i personaggi si muovevano come ci fosse, il che mi convince sempre di più che queste esecuzioni semi-sceniche siano largamente da preferire a tante cervellotiche e pseudo-maieutiche concezioni di registi alla Vick!)

Marianna Pizzolato è stata una Rosina più che discreta. E poi ha il fisico perfetto per il personaggio: grassotta (smile!), genialotta, capello nero, guancia porporina, occhio che parla, mano che innamora… come la descrive il barbiere).
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Il Conte/Lindoro era Juan Francisco Gatell: voce piccolina, ma abbastanza efficace. E ottima tenuta, visto come ha superato brillantemente le asperità del finale.

Clemente Antonio Daliotti ha impersonato Fiorello e pure un Ufficiale, cavandosela più che dignitosamente.

Come pure Jeannette Fischer, nel ruolo secondario (ma con… arietta) di Berta.

Francesca Pierpaoli ha cantato i suoi 3 versi e le sue 18 battute in concertato: nulla di più le veniva chiesto.

Insomma, una bella serata di musica, cui hanno potuto assistere anche alcune centinaia di persone assiepate in Piazza del Popolo, dove l'opera è stata irradiata grazie al comune di Pesaro.

Questa sera il ROF-32 chiude come aveva aperto, con Adelaide. Peccato fosse (da molto tempo ormai) saltata la Petite Messe con il prodigioso Patalung… sarà, speriamo, per un'altra volta.
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14 luglio, 2010

Un Barbiere alla Scala prima delle vacanze

Come non bastassero le vicende bondiane (regolare sciopero della prima) questo Barbiere ha avuto anche una gestazione difficile (e meno male che non è stato un aborto) con licenziamento dell'allenatore (Spinosì) proprio alla vigilia della partita, sostituito in fretta e furia con uno che non è ancora in ferie solo per caso, dovendo anzi prepararsi per il prossimo ROF ferragostano: il giovine (e bravo, invero) Michele Mariotti.

Ieri sera niente Flórez, ma il negretto Lawrence Brownlee, che nonostante la sua vocina si è meritato almeno tre minuti di applausi a scena aperta, dopo la sua aria finale. Ma tutti i numeri (escluso l'iniziale Ecco ridente in cielo) sono stati accolti da consensi e nessun buato. La DiDonato ha trionfato come Rosina ed anche gli altri (li vogliamo chiamare secondo cast?) hanno raccolto applausi e bravo! a josa. Il pubblico della terza (effettiva) ha evidentemente gradito questa ripresa del quarantennale allestimento del grande Ponnelle, uno che – possedendo qualità, sensibilità e cognizione di causa – non aveva certo bisogno di ricorrere ad idee strampalate e intellettualoidi, né di stravolgere gli originali che metteva in scena, per avere successo.

Insomma, date le premesse, poteva andare assai peggio. Ma restano - al momento di andare in vacanza e a stagione agli sgoccioli (10 opere su 12) – tutte le perplessità sulla qualità generale della produzione scaligera. Che francamente contraddice la litanìa di Lissner di una Scala diversa e superiore, e quindi meritevole di privilegi esclusivi.

Aspettiamo adesso il ROF, dove ritroveremo Mariotti con i suoi bolognesi nel Sigismondo e poi nello Stabat Mater. Demetrio-Polibio e Cenerentola completano il cartellone principale.