XIV

da prevosto a leone
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31 ottobre, 2016

Un Sogno si aggira per la Lombardia. 2


Ieri pomeriggio nella preziosa bomboniera del Fraschini è andata in scena la sesta (seconda per Pavia) recita di A Midsummer Night’s Dream proposto da Opera Lombardia. Prima dell’inizio, un doveroso pensiero ai nostri connazionali che vivono giorni di ansia e di lutto (e purtroppo vivranno mesi – come minimo – di disagi e difficoltà inimmaginabili). Pubblico piuttosto scarsino all’inizio e divenuto scarsissimo (ahi ahi) dopo i due intervalli, pur se assai caloroso con tutti i protagonisti.

L’attuale produzione (per la regìa di Ferdinando Bruni e Elio De Capitani e la concertazione di Francesco Cilluffo) riporta l’opera dalle nostre parti a piu di 7 anni di distanza dall’ultima apparizione: era il giugno 2009 alla Scala, e in quell’occasione venne ripreso lo storico (si può dire, visto che parliamo del 1991) allestimento di Robert Carsen ad Aix. Ebbene, mi sentirei di dire che lo spettacolo visto ieri nulla abbia da invidiare a quello, per concezione drammaturgica ed efficacia interpretativa, nel sostanziale rispetto di testo e partitura.

L’abbinamento dello spettacolo musicale a quello parallelo della commedia originale - programmata proprio a ridosso dell’opera e ripresa dall’affermata produzione del Teatro dell’Elfo, impiegando le stesse scene di Carlo Sala, con piccoli mutamenti - ha in qualche modo avvicinato Shakespeare a Britten-Pears (o viceversa) senza però comportare squilibri o stravolgimenti della struttura britteniana: chi si sorprende di fronte alla scena iniziale, che presenta un grande arco di trionfo, simbolo di Atene, al posto del bosco di Britten, intuisce però assai presto trattarsi di una semplice anticipazione dell’ambiente che caratterizzerà poi il finale dell’opera: gli abitanti del bosco lo stanno semplicemente... sognando e poi, poco a poco, il bosco medesimo si insinuerà sulla scena fino ad occuparla interamente. Apprezzabili i costumi (senza tempo, o di tutti i tempi) di Ferdinando Bruni ed efficacissime le luci di Nando Frigerio.

Ma è la musica, ovviamente, la protagonista dello spettacolo, e qui va lodato il Maestro Cilluffo per aver saputo porgerla con grande accuratezza, aiutato in ciò dall’Orchestra I Pomeriggi Musicali, la cui spiccata vocazione cameristica ha consentito al concertatore di mettere in luce le mille sottili sfaccettature del mondo sonoro creato da Britten per questa deliziosa commedia di Shakespeare.

E gli interpreti non sono stati da meno, a cominciare dalle Voci bianche del Musiké SMIM Vida di Cremona (Raul Dominguez) quattro delle quali munite di folte barbe (gli elfi Cobweb, Peaseblossom, Mustardseed e Moth) per continuare con le voci di tutti i protagonisti, tra cui spiccano le coppie di amanti (Alex Tsilogiannis, bella e squillante voce tenorile, Cecilia Bernini, una convincente Hermia, Paolo Ingrasciotta, baritono dalla voce calda e potente e Angela Nisi, efficacissima Helena) coppie benissimo assortite ed amalgamate (unico neo, ma per fortuna non musicale, la statura fisica relativa di Hermia ed Helena); e poi le altre due coppie regali (l’Oberon di Raffaele Pe, controtenore dalla voce penetrante e sempre perfettamente impostata, Anna Maria Sarra, una Tytania fin troppo esuberante e con qualche eccesso di... intemperanza, Federico Benetti e Arina Alexeeva, austera accoppiata... greco-amazzonica); e infine i sei simpaticissimi artigiani, protagonisti di uno straordinario ed esilarante spettacolo nello spettacolo: su tutti il Bottom di Zachery Altman, gran voce di basso-baritono e imponente portamento scenico, Roberto Covatta, un Flute che si traveste da spassosissima Thisby, e poi ancora il Quince di Nicholas Masters, lo Snout di Claudio Grasso, lo Starveling di Dario Shikhmiri e lo Snug di Rocco Cavalluzzi. E come non entusiasmarsi per il parlante Puck di Simone Coppo, semplicemente perfetto!  

Insomma, ancora uno spettacolo (cosiddetto) di provincia che rivaleggia alla grande con le produzioni di paludate (e ricche di aiuti pubblici!) istituzioni metropolitane. E che meriterebbe di godere di molta maggior visibilità. Chi appena può non si lasci scappare le restanti quattro recite (Brescia 4-6 e ReggioE 18-20 novembre).  

(2. continua con... approfondimenti sulle note)

19 dicembre, 2012

La Lucia del circuito chiude la corsa a Pavia


Dopo essere passata da Como, Brescia e Cremona, la Lucia donizettiana chiude il suo percorso lombardo al Fraschini (oggi la seconda e ultima rappresentazione).

La locandina online (così come il programma cartaceo della stagione del teatro pavese) annuncia un finale a sorpresa: Nel cimitero dei Ravenswood, Edgardo, non potendo sopportare di continuare a vivere senza Lucia, verrà ucciso da Enrico. Ecco, mi ero detto, un’altra invenzione di qualche regista troppo amico dell’alcool (perché nemmeno l’originale di Scott la racconta così…) Invece l’invenzione è evidentemente del redattore del programma, quindi tranquilli, Edgardo si suicida, proprio come da copione, nell’apprendere della fine dell’amata.

E la regìa di Henning Brockhaus è in effetti assai rispettosa dell’originale di Cammarano, limitandosi ad una delle consuete (in questo caso innocue) deviazioni: ambientazione (ma lo si desume solo dai costumi di Patricia Toffolutti, chè altro in scena quasi non v’è) spostata di qualche secolo in avanti nel tempo. Per il resto l’allestimento è dominato dalle immaginifiche scene del compianto Josef Svoboda, che si riducono ad un velario mobile e semitrasparente - sul quale appaiono immagini che rimandano di volta in volta ai contenuti psicologici (o psichiatrici…) del dramma – ad uno scalone che occupa in larghezza l’intero palco e su cui si muove prevalentemente il coro, oltre ad ospitare l’arpa solista nella terza scena; e a qualche semplicissimo piece-of-furniture (un tavolo, una cassa, le bare degli avi miei…)    

Sul piano musicale, il giovane e bravo Matteo Beltrami – che ascoltavo dal vivo per la prima volta e mi ha fatto un’eccellente impressione alla guida dei ragazzi dei Pomeriggi - propone per la pazzia una variante alla tradizionale cadenza Marchesi-Melba, che dà modo a Ekaterina Bakanova di mettere in mostra le sue ottime qualità.

Il sestetto del second’atto è, con la suddetta scena della pazzia, uno dei piatti forti dell’opera: personalmente fatico sempre a liberarmi, ascoltandolo, dal truce ricordo della famosa Balena disneyana (da 25”) che per prima mi portò quella musica alle orecchie, quando ancora portavo le braghe corte (smile!) Un po’ come il rossiniano finale del Tell, cui non mi riesce di non associare quella specie di catena-del-dna che chiudeva le prime trasmissioni TV. Peccato, perché è grande musica, che sembra fare da cerniera fra Bellini e Verdi, incastonata com’è fra il Per te d’immenso giubilo, che richiama il belliniano Suoni la tromba, e il finale Esci, fuggi il furor, di cui Verdi si ricorderà nel Nabucco.

A fianco della Bakanova, dignitosi tutti gli altri (vedi locandina, compreso il sostituto di Giovanni Battista Parodi) che hanno dato vita, con il coro di Antonino Greco, ad un’esecuzione più che accettabile, accolta con (contenuto) entusiasmo dal non proprio oceanico e piuttosto infreddolito pubblico del Fraschini.

Al ritorno a casa, accendo la TV è chi ti trovo? Lord Enrico Asthon che proclama l’abolizione dell’IMU per Ravenswood!