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11 luglio, 2025

Un bel Trovatore in Auditorium.

Folto pubblico ieri sera all’Auditorium di Largo Mahler per questo fuori-programma operistico dell’Orchestra Sinfonica di Milano, diretta da Vincenzo Milletarì e accompagnata dal Coro dell’Opera di Parma guidato da Massimo Fiocchi Malaspina. Pubblico anche… ehm, variegato, se nell’intervallo (dopo il second’atto) più di uno spettatore chiedeva alle maschere se il concerto fosse finito lì o continuasse ancora (!)

Due sostituzioni della penultima ora (per i ruoli di Leonora e del Conte) rispetto alla locandina originaria sono state ben assorbite e il risultato complessivo è stato più che lusinghiero, almeno a giudicare dall’autentico entusiasmo – applausi a scena aperta dopo ogni numero (arie, duetti, terzetti) - con cui il pubblico ha accolto tutti i protagonisti dell’impresa.

A cominciare dal Coro parmense, compatto e autorevole protagonista dei numerosi interventi che costellano i quattro atti dell’opera. E poi all’Orchestra, che mostra di non avere timori reverenziali nemmeno nei riguardi del grande Peppino, trovando sempre – grazie a Milletarì – i tempi, le dinamiche, l’espressività e la tracotanza che convivono in questa grande partitura.

Cito un paio di dettagli… logistici: dietro la quinta di sinistra del palco (da dove entravano e uscivano di scena i protagonisti) era sistemata l’arpa che accompagna Manrico nei due interventi da remoto; dietro quella di destra la campana che risuona nel primo, terzo e quarto atto. 

Note generalmente positive per i quattro protagonisti principali. Angelo Villari impersona abbastanza efficacemente un Manrico affetto da amore totalizzante, per la (presunta?) madre e per la donna angelicata, che lo spinge a imprese eroiche dagli esiti contrastanti (monastero-Leonora, Aliaferia-Azucena). Ed anche a maledire l’amata (Ha quest’infame…) per poi maledire se stesso come maledicente (Ed io quest’angelo…) Voce ben impostata, chiara e squillante, acuti solidi. A proposito: la pira? Beh, qui francamente siamo un po’ ai saldi di fine stagione: mutilata dell’esposizione e dell’intervento di Leonora, con i sovracuti apocrifi in… DO SI!

Alessia Panza (che ha preso il posto di Maria Novella Malfatti) è davvero convincente, per morbidezza di voce in tutta la gamma, nei panni di Leonora affetta da amore totalizzante (Tacea la notte placida…) proprio come quello di Manrico, che la spinge a sacrifici estremi (clausura – suicidio). Un particolare trionfo per lei dopo le due arie dell’atto conclusivo.

Ernesto Petti (subentrato a Daniel Luis de Vicente) sfoggia una voce rotonda e potente, capace di tutte le sfaccettature che caratterizzano il Conte dal carattere brutale, ma capace anche di slanci poetici insospettabili (Il balen…)

Silvia Beltrami interpreta la figlia dell’Abbietta zingara, un’Azucena dalla mente disturbata e dissociata, che confonde e mescola figlio e vittima, amore e vendetta, sogni e fatalismo. E lo fa con grande sensibilità ed espressività, sfoggiando una voce corposa in tutta la gamma, mai sconfinante in gratuite sguaiatezze.

I due comprimari si sono pure fatti onore. Adolfo Corrado, un solido e autorevole Ferrando; e Alessia Camarin, una Ines premurosa e comprensiva.

I tre membri del Coro (Gianluca Gheller che dà voce al fido Ruiz; Angelo Lodetti, Un vecchio zingaro; e Marco Gaspari, Un messo) hanno degnamente completato il cast.

In conclusione: esito trionfale e scommessa ampiamente vinta.

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E domenica altro appuntamento verdiano al Castello Sforzesco!