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29 novembre, 2019

laVerdi-19-20 - Concerto n°9


Il nono appuntamento della stagione principale vede il ritorno in Auditorium di un direttore e un solista che già vi hanno messo piede in passato: l’uzbeko Aziz Shokhakimov e il russo-italico Boris Petrushansky. Per offrirci un interessante programma romantico, di un romanticismo che però si estende dall’800 alla metà del ‘900.

Si comincia con il Primo Concerto uscito dalla penna del compositore più rappresentativo (almeno in campo pianistico) del romanticismo ottocentesco, Fryderyk Chopin. Parlare di capolavoro per questo... lavoro sarebbe eccessivo, personalmente lo colloco fra le cose interessanti e soprattutto godibili. Come quelli di Schumann, per dire, o di Grieg, ecco.

Solista e direttore sembrano assai ben affiatati (fecero già coppia qui anche tre anni fa, allora per Rachmaninov): Petrushansky con la tastiera ci va in guanti di velluto, e non solo nella Romanza, mentre Shokhakimov con l’orchestra non risparmia i decibel, ma questo contrasto ci sta assai bene. Il pubblico è da pochi-ma-buoni ed apprezza molto, così il canuto Boris ci regala un altro Chopin, quello del celeberrimo Walzer op.64-2.
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Secondo e ultimo brano in programma una Suite dal balletto in tre atti Zolushka (Cenerentola per gli amici...) di Sergei Prokofiev. Composto durante la guerra, su commissione del Kirov di Leningrado e presentato a fine 1945, il balletto marca un vero e proprio ritorno di Prokofiev al romanticismo in stile-Ciajkovski: sia per combattere con ottimismo i dolori e le miserie del conflitto, sia (chissà) per accattivarsi un establishment che ogni tanto gli faceva (come gli farà ben presto, ahilui) brutti scherzi... I tre atti ripercorrono la leggenda di Perrault (originata a sua volta da antichissime leggende egiziane). Dai 50 numeri del balletto Prokofiev ricavò, ancora durante la composizione, tre estratti per pianoforte (3, 10, 6 pezzi) e poi, nel 1946, tre diverse Suites (di 8, 7, 8 numeri) la prima della quale viene eseguita in questo concerto.

Come spesso accade in casi come questi - e come è abbastanza logico che sia, a pensarci bene, visto che si tratta di musica da eseguirsi senza la danza - la sequenza dei brani della Suite non rispetta rigorosamente quella della trama del balletto. Data la natura del soggetto, è musica accattivante, anche se piuttosto... datata: il confronto con Romeo&Giulietta è al proposito piuttosto impari. Tuttavia ciò non ha impedito al balletto di avere (anche tuttora) un buon successo di pubblico.

Successo che non è mancato ieri: per il Direttore, che con gli anni sembra mettere... la testa a posto; e ovviamente per l’Orchestra, davvero impeccabile nel domare questa partitura per nulla facile.

19 novembre, 2016

laVERDI 2016 – Concerto n°34


Questa settimana il cartellone de laVERDI propone un programma che evidentemente trova l’interesse del pubblico, almeno a giudicare dalla grande affluenza di ieri sera in Auditorium.

Programma relativamente breve (due brani che occupano più o meno un’ora in tutto) ma impegnativo, aperto dall’ostico Quarto concerto di Rachmaninov, di cui il russo ormai emilianizzato Boris Petrushansky (che è più vicino ai 70 che ai 60, ed è tornato ad esibirsi qui dopo più di tre anni) ha dato un’interpretazione vigorosa e trascinante, anche se (ma questo è un mio parere del tutto personale e riguarda l’autore, non l’interprete) non è riuscito a rendermelo digeribile; insomma, cavar sangue dalle rape non è impresa facile. Il nostro si è rifatto con un pezzo più giovanile dello stesso Rach, l’Etude n°1. (La versione del concerto eseguita è praticamente l’ultima, quella del 1941. Chi fosse interessato ad una pedante elencazione delle differenze fra questa e quella originale del 1928 può riferirsi a questo mio ormai vecchio post.)

Dopo l’intervallo ecco il sempre gigionesco Aziz Shokhakimov dare la sua interpretazione della venerabile Sinfonia in SOL minore di Mozart. Premesso doverosamente che l’Orchestra (guidata ieri da Dellingshausen) non ha mostrato nemmeno una sbavatura, mi sento di dover censurare la prestazione del Direttore in quanto assai monocorde, o monocolore, perchè priva di espressività, fredda e quasi tutta giocata sul forte. Dopodichè si sa che i prodotti marcati Teofilo sono resistenti anche agli agenti uzbeki (smile!) e quindi il successo è anche stavolta, e come sempre, garantito.

22 marzo, 2013

Orchestraverdi – concerto n.27


Giuseppe Grazioli sale sul podio nella stagione principale (lui ne ha una sua propria, che occupa molte mattinate domenicali) per dirigere un programma (quasi) sovietico.

Si parte proprio dall’unico non-sovietico, Stravinski e dalla sua Suite da PulcinellaÈ costituita da 8 (in realtà 11) dei 18 numeri del balletto originale (dove è prevista anche una voce) che Stravinski compose ispirandosi a – anzi, diciamo pure, scopiazzando a più non posso – il buon Pergolesi, più altri musicisti autori di brani erroneamente attribuiti al famoso maestro del settecento:  

1. Sinfonia
2. Serenata
3. Scherzino - Allegretto - Andantino
4. Tarantella
5. Toccata
6. Gavotta (con due variazioni)
7. Vivo
8. Minuetto - Finale 

Naturalmente va dato atto a Stravinski dello sfoggio di gran maestrìa nella trascrizione di temi e soprattutto nell’orchestrazione, con la ricerca raffinata di timbri e sonorità innovativi. 

Buona la prestazione dell’orchestra, pur con qualche sbavatura negli ottoni, chiamati a difficili acrobazie, come questa del finale, affidata alla tromba:

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L’italo-russo 64enne Boris Petrushansky, non nuovo come ospite de laVerdi, si cimenta poi in Shostakovich, e precisamente nel controverso Secondo Concerto, composto (1957) 4 anni dopo la morte di Stalin e circa un anno dopo l’inizio della cosiddetta destalinizzazione che ebbe per artefice quella specie di simpatico contadinaccio (apparentemente) troglodita che rispondeva al nome di Nikita Kruscev (quello della scarpa sbattuta sul banco dell’ONU nel 1960, o della gomitatina galeotta quanto ridicola rifilata a Jaqueline Kennedy a Vienna nel 1961):


Sarà che è una composizione quasi di ricorrenza (per il 19° compleanno del figlio Maxim, che ne sarà poi interprete) ma di sicuro sembra opera di uno che finalmente può farsi gli affari suoi la musica sua come gli pare e piace, senza la spada di… baffone sul capo!
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Pur impiegando i mezzi classici (forma-sonata, bitematismo, esposizione, ripresa e cadenza solistica) Shostakovich sa inventare un primo movimento (Allegro) assolutamente originale, dove pianoforte e orchestra si integrano vicendevolmente, scambiandosi spesso i ruoli e i motivi.

E gli stessi motivi sono fra loro intrecciati, come si può notare già dall’esposizione del primo oggetto tematico (FA maggiore); sei battute introduttive e poi l'irruzione del pianoforte:


Segue un secondo tema esposto dalla tastiera, con l’impertinente accompagnamento del tamburino militare, sulla dominante DO maggiore (regola da Conservatorio…):


Il solista lo sviluppa, poi assume la funzione di contrappunto alla melodia del primo tema, esposta ora dall’orchestra e ulteriormente sviluppata.

Ancora il solista che propone un nuovo motivo, ora in RE minore (tonalità relativa di quella di impianto, anche qui siamo a scuola…):


Dopo averla abbondantemente sviluppata, il pianoforte la chiude in RE maggiore, sfumando poi a minore.

Qui ecco un improvviso accordo di sesta, sul SI (che in realtà è mediante di SOL) dove si introduce lo sviluppo, che svaria dal SOL del primo tema variato al MI del secondo tema; ancora una transizione del pianoforte sul SOL, indi il primo tema in orchestra sul SIb e quindi, dopo un intervento del solo pianoforte, ancora negli archi in LA maggiore… insomma si va parecchio a spasso! Ecco il secondo tema ancora in SIb, in tutta l’orchestra, seguito da una lunga e poderosa transizione caratterizzata da volate del solista e secchi accordi dell’orchestra, che porta alla cadenza solistica, imperniata sul primo tema.

Ed ora, canonicamente, la ripresa del primo tema esposto in FA dall’orchestra e seguito dal secondo, che il pianoforte riespone – toh! – pure in FA. Torna il primo tema, enfaticamente, mentre il pianoforte ci ricorda, sempre in FA, il motivo esposto precedentemente in RE minore (insomma, un’applicazione quasi… talebana dei sacri canoni). Si arriva così alla perentoria conclusione con accordi secchi di crome di tutta l’orchestra e del solista.

Il centrale Andante è un pezzo elegiaco, dove il pianoforte opera quasi esclusivamente per terzine (tipo la Mondschein, per intenderci) sulle tonalità dei tre bemolli (DO minore e MIb maggiore) con una breve sezione - proprio l’ingresso del solista - in DO maggiore:


Per il resto i soli archi e un corno accompagnano languidamente e assai discretamente il solista nelle sue sognanti divagazioni, chiuse da due terzine… zoppe, sul DO, che preparano l’attacco diretto del finale Allegro.

In tutto il movimento il solista ha soltanto sei brevissimi momenti di respiro (ciascuno di 2-3 battute al massimo); per il resto deve suonare continuamente e alla velocità di un treno in corsa. 

Ecco la prima esposizione, dove sembra proprio di sentire un treno che si mette in moto:


Ad essa segue una sezione in 7/8, introdotta dalla sola orchestra, dove il ritmo si fa più frenetico:

Poi il pianoforte riprende la sua corsa sfrenata, spesso suonando quasi da solo, con scarsi interventi orchestrali, oppure accompagnato da pochi fiati (corni e clarinetti). È un turbine di volate e di scale (pare che Shostakovich vi abbia introdotto deliberatamente esercizi scolastici, a beneficio del figlio… diplomando) che non conosce soste, fino allo schianto conclusivo, che rappresenta per tutti un’autentica liberazione!
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Trascinante l’esecuzione di Petrushansky, benissimo coadiuvato dall’orchestra, che Grazioli tiene sempre saldamente in controllo. Sicuro nei passaggi più percussivi (come le famose ottave spaccatasti) e delicato nel porgere le atmosfere sognanti dell’Andante.   

Trionfo assicurato e ricambiato da un bis... dicembrino.
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Dopo l’intervallo arriva Prokofiev con la Suite delle musiche dal film di Aleksandr Nikoleyevich Faintsimmer (tratto dal breve racconto di Yury Tynyanov) Il luogotenente Kiže, del 1933. La trama del film e soggetto del paradossale racconto è un inesistente militare, nato per un errore di copiatura di un documento da parte di uno scrivano dello Zar Paolo I. Il quale Zar si infatua della figura del militare, lo promuove e ne vuol seguire la carriera. Per non disilluderlo, i burocrati dell’esercito fanno addirittura maritare il fantomatico luogotenente, ma quando lo Zar chiede di riceverlo in persona, non trovano di meglio, per pararsi il culo, che dichiararlo improvvisamente morto e fargli un dovuto funerale (!) 

La Suite si articola in cinque brani che trattano:

I. Nascita di Kiže. Si tratta ovviamente della venuta al mondo del tutto virtuale e involontaria del militare, cui lo Zar dedica inaspettatamente grandi attenzioni. 
II. Romanza. Il fantomatico luogotenente si innamora.
III. Il matrimonio di Kiže, necessario a soddisfare i desideri dello Zar, che pensa che tutti i suoi eroi debbano essere sposati.
IV. Troika.
V. Funerale di Kiže. Per evitare figuracce con lo Zar, i burocrati fanno all’inesistente Kiže delle esequie di Stato. 
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La Suite si apre e si chiude con un segnale militare (tipicamente da silenzio) che la tromba solista esegue standosene molto in lontananza:
L’ottavino presenta un motivo marziale, ma da marcia di… marionette, come si addice ad un soldatino immaginario:

Il matrimonio è introdotto da una fanfara davvero degna di miglior causa…

Infine ecco il tema, a metà fra il guascone e il ridicolo, del luogotenente, ancora esposto dalla tromba:

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L’Orchestra ha dato il meglio, come insieme e come singoli: in particolare la tromba di Alessandro Caruana che, sistemato remotamente, ha intonato nascita e… dipartita del luogotenente virtuale.

A proposito di Prokofiev, allego qui un approfondito – e assai problematico - studio di Franco Pulcini, comparso nel numero di Maggio-Giugno 1991 di Musica&Dossier
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Chiude il concerto Aram Khachaturian, un esempio classico di come l’Unione Sovietica riuscisse, con le buone e più spesso con le cattive, a tenere insieme gente delle più disparate origini. Lui era uno nato in Georgia (la terra di Stalin) da genitori azeri di sangue armeno e si era integrato (non senza avere poi delle marginali divergenze di vedute con quel simpaticone di Andrej Aleksandrovič Ždanov) nell’apparato dell’arte di regime. 

Di lui ascoltiamo la Suite dalle musiche di scena del dramma ottocentesco Masquerade di Mikhail Yurevich Lermontov, un soggetto vagamente simile ad Otello, dove il protagonista Eugene Arbenin uccide la moglie Nina, accecato dalla gelosia provocatagli dallo smarrimento da parte di lei di un bracciale, durante una festa mascherata.  

Poco prima dell’invasione tedesca dell’URSS (1941) Khachaturian compose queste musiche di scena, precisamente 14 numeri così intitolati:

1. Romanza
2. Mazurka 
3. Walzer (al ricevimento)
4. Galop
5. Notturno
6. Walzer (camera da letto)
7. Walzer (alla Masquerade)
8. Walzer (al casinò)
9. Tema della baronessa Strahl
10. Tema di Kazarin (una specie di Jago, ndr)
11. Tema del braccialetto
12. Introduzione
13. Finale del ricevimento
14. Inno

L’Autore estrasse in seguito la Suite che ascoltiamo qui, composta da 5 numeri, disposti con perfetta simmetria (tre mossi – altrettante danze - alternati a due lenti):

1. Walzer
2. Notturno
3. Mazurka
4. Romanza
5. Galop 
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Il Walzer – che è il cuore dell’intera musica di scena, ha una struttura assai semplice, regolare: A-B-A-C-A-B-A. Struttura anche simmetrica, salvo per il fatto che i temi A e B alla prima apparizione vengono ripetuti (di norma un’ottava più in alto) mentre nella ripresa non lo sono.

La tonalità è LA minore (A), MI minore (B) e DO maggiore (C). I temi vengono sempre esposti dagli archi, mentre i legni fanno da contrappunto (a canone) o da raddoppio e gli ottoni più che altro scandiscono i levare del tempo di walzer (salvo alcuni brevi interventi melodici di trombe e corni).

Il primo tema è costituito da due frasi giustapposte; la prima è una ostinata ripetizione di una scala ascendente:

La seconda è una melodia più cullante che degrada pian piano per poi risalire velocemente. Il secondo tema – che Kachaturian confessò di aver ideato mentre posava per un ritratto fattogli da Eugenia Lurie, prima moglie di Boris Pasternak – ha tratti somiglianti al primo, con le sue salite e riprese a dente di sega:

Il tema centrale, introdotto da pesanti ed enfatici accordi, si muove prevalentemente sull’arpeggio di DO maggiore e chiude con una reminiscenza del verdiano libiamo:

 
Il Notturno (Andantino con moto) è un breve brano monotematico, aperto da 5 battute di accordi arcani di corni, poi fagotti e clarinetti. Il tema, affidato al violino solista e contrappuntato principalmente dal clarinetto, viene sostanzialmente riproposto cinque volte, le prime e le ultime due nella tonalità di LA minore, la terza in SOL minore. Una melodia, a somiglianza dei temi del Walzer, caratterizzata da ascese intercalate da brusche ricadute:

Sia la transizione interna che la chiusa si appoggiano sulla tonalità di DO# maggiore.

La Mazurka (Allegro) in MIb maggiore, presenta, come il Walzer, una struttura perfettamente simmetrica: A-B-C-B-A. Vi troviamo un primo tema che richiama alla lontana quello del primo quadro di Coppelia, tema formato da due sezioni, la prima ancora una volta costituita da veloci salite e bruschi ripiegamenti:


La seconda da una serie di ondeggiamenti di crome in staccato. Dopo la sua ripetizione, ecco il secondo tema, nella relativa DO minore, inizialmente più elegiaco, ma che poi si agita in archi e legni, con veloci scalate:

 
Esso viene ripetuto e poi gli subentra un nuovo, spigliato motivo in FA maggiore, pure ripetuto:

Ritorna poi il secondo tema (qui una sola volta) che infine cede il passo a quello iniziale, che con due ripetizioni chiude il numero.   

La Romanza (Andante) è la musica che deve sostenere i versi che la protagonista Nina canta al suo sposo, che dubita di lei. Il motivo principale, in SIb minore, è esposto dai violini, che salgono lungo l’ottava, da dominante a dominante (FA) per poi ripiegare giù sul SOLb:

Qui il motivo si ripete, ma sviluppato fino virare a REb maggiore, e quindi tornare a SIb minore, chiudendo sulla sopratonica DO.

Ora sono viole e violoncelli a riprenderlo, in seguito modulando dolcemente a LAb maggiore, dove il clarinetto espone una nuova e struggente melodia:

Dopo che l’orchestra ha sviluppato il secondo motivo, si torna al primo tema, SIb, ora esposto con gran portamento e nobiltà dalla tromba solista, che viene poi affiancata dagli archi a completare la riesposizione del tema, fino alla sommessa chiusura sulla dominante FA.

Chiude il Galop (Allegro vivo) un ubriacante pezzo (in SIb maggiore) che ricorda vagamente la polka Tritsch-Tratsch di Johann Strauss. Anche qui struttura semplice e immetrica: A-B-A-C-A-B-A.

Dopo 8 battute che servono ad impostare il folle ritmo del brano, un primo tema esilarante è esposto inizialmente dagli strumentini, e poi verrà ripreso dagli archi:
Dal SIb sfocia su una sospensione in RE minore, caratterizzata da un inciso di ottoni e tamburino che anticipa la struttura del terzo tema. Dopo la ripetizione segue il secondo tema, sempre in SIb, esposto da viole, violoncelli e fagotti, con i violini ad arpeggiare in staccato:


Torna ora il primo tema, cui segue un’introduzione ritmata dalle trombe che prepara il terzo tema, nella sottodominante MIb, con modulazione a SOL minore:

Ora c’è una pausa di tranquillità, dove il clarinetto solista inserisce una sua cadenza, seguito dal flauto solo, che porta alla ripresa dei due temi principali che chiudono in modo spiritoso il brano e l’intera Suite.
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Veramente un pezzo geniale, anche se apparentemente disimpegnato, che Grazioli esegue con la sua proverbiale verve, trascinando l’orchestra ad una prova maiuscola – su tutti il violino di Luca Santaniello e la tromba di Alessandro Ghidotti - e il pubblico ad un’autentica ovazione da stadio! Che convince maestro e professori a ripetere il celeberrimo Walzer.

Prossimamente saremo però sotto Pasqua, e quindi… Passione!

21 ottobre, 2011

Orchestraverdi – concerto n 5


Il 5° concerto de laVerdi ha un programma tutto russo, Direttore compreso, quell'Evgeny Bushkov (un tipo che pare Händel con parrucca bruna, smile!) già salito sul podio quasi due anni orsono – a tappare il buco aperto inopinatamente da Fedoseyev – anche allora con programma russo, in parte simile a quello odierno.

In apertura il sempre affascinante Capriccio italiano, dove Ciajkovski ha immortalato con gusto sopraffino alcune nostre musiche popolari, spesso ascoltate di persona per le strade.
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E proprio da una strada, al passaggio di un reggimento di cavalleria, arrivò alle orecchie del compositore uno squillo di tromba, che divenne l'apertura del pezzo, in MI maggiore:

Il Capriccio, a parte introduzione e coda, è articolato in modo assai semplice: A-B-C-A'-D-B'-D, dove i temi A e B sono ripresi (A' e B') un semitono sopra. Chiusa l'introduzione in MI, si vira verso LA minore con l'esposizione di un primo tema:

Dopo che un crescendo ci ha riportato al MI della fanfara introduttiva, viene esposto - inizialmente dagli oboi - il motivo più noto, in LA maggiore, ripreso poi a tutta orchestra e con grande enfasi; viene da una canzone popolare, Bella ragazza dalla treccia bionda:

Una modulazione caratterizzata da salti di quarta ascendente, che passa dal MIb, porta all'esposizione di un terzo tema, in REb:

Si passa poi alla relativa SIb minore, tonalità in cui viene riesposto il primo tema, al termine del quale ecco farsi largo un quarto tema, un saltarello in LA minore:

Al termine del quale, con un balzo di un semitono, si sale al SIb maggiore, su cui viene riesposto - con grandissima enfasi (3/4 invece di 6/8) e col supporto di secche terzine di trombe e tamburino – il secondo tema, che sfocia ancora nel saltarello in LA minore, che a sua volta ci trascina verso la coda in LA maggiore - un Prestissimo, 2/4 - scandita dalle cornette a pistoni e dalle trombe.
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Per la verità Bushkov non mi ha convinto molto: per me, eccessivo aplomb, tempi assai slentati ed esposizione macchinosa; personalmente preferisco questo pezzo suonato più alla garibaldina… I ragazzi ovviamente meritano invece un applauso per non aver mancato una sola virgola.

Il pianista Boris Petrushansky (62 anni, moscovita di nascita ma ormai italiano, anzi emiliano, di adozione) e la valorosa prima tromba de laVerdi, Alessandro Caruana, si cimentano ora con il Concerto op.35 di Shostakovich, composto nel 1933, precisamente fra il 6 marzo (Leningrado) e il 20 luglio (Petergóf). È in effetti un concerto per pianoforte e orchestra d'archi, con interventi sporadici – Caruana si è in effetti seduto dietro l'orchestra, quasi al suo posto normale - e per lo più esilaranti della tromba (in SIb) spesso prescritta con sordina. Uno di questi, in MI maggiore, all'inizio della sezione Allegretto poco moderato del quarto movimento, richiama una filastrocca albionica, Poor Jenny, ed era già stato impiegato dall'Autore in composizioni precedenti:

E a proposito di citazioni e reminiscenze, questo concerto ne contiene in quantità industriale: dall'Appassionata di Beethoven al Peer Gynt di Grieg, dalla Terza Sinfonia di Mahler alla Kammermusik di Hindemith, da Haydn alle canzoni popolari russe.
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Il primo movimento è in DO minore, stabilito da un'introduzione di tre battute dei due solisti. Il pianoforte attacca un arpeggio (in crome) ed espone un tema nobile (non per nulla viene da Beethoven):

subito ripreso e ampliato dai primi violini, con i secondi ad arpeggiare più velocemente (in semicrome staccate). Rientra il pianoforte con una variazione del tema, che conduce ad un crescendo vorticoso, al termine del quale è ancora il pianoforte a presentare un nuovo tema, nella relativa MIb, poi modulando a MI maggiore, dove ricompare anche la tromba, con un intervento giocoso:

C'è quindi una specie di sviluppo, che porta alla riproposizione del tema in DO minore, negli archi. Ancora il secondo tema, adesso fugacemente in SI, e poi la conclusione, dove torna il pianoforte con il primo tema, e la tromba lo affianca nella lenta chiusura.

E Lento è il secondo movimento, in DO, tempo di walzer (3/4) aperto da un meraviglioso tema, quasi un recitativo, dei primi violini:

Ad esso risponde il pianoforte, con una lunga melodia, che culmina in un Höhepunkt, in fortissimo, da dove c'è un'improvvisa accelerazione, che porta ad un passaggio di scale ascendenti in ottave parallele, culminanti in un largo con cui il solista chiude il suo lungo intervento. Introdotta da una dolce melodia dei violini, per terze parallele, ecco finalmente la tromba fare il suo ingresso in questo movimento, esponendo il tema iniziale, in DO. Ma è ancora il pianoforte, raggiunto poi dai violoncelli, a portare il movimento a conclusione, con un MI sovracuto.

Il Moderato che segue è una brevissima introduzione (soltanto 29 battute) al conclusivo Allegro con brio. Aperta dal pianoforte solo,con un fresco motivo in semicrome, viene poi proseguita dai primi violini, che espongono invece una lenta melodia dal sapore mahleriano. Quindi ancora il solista rientra per attaccare, con una veloce scala ascendente (SOL-SOL) il tempo finale, che inizia in DO minore.

Siamo di fronte ad uno dei tipici movimenti indiavolati di Shostakovich, una cosa a metà fra un can-can campagnolo e una locomotiva a vapore che corre all'impazzata. E accanto alla locomotiva sembra di veder galoppare – negli spiritati interventi della tromba – i cavalli dei banditi del west che si apprestano ad assaltare il treno! Ci sono anche un paio di momenti di quiete, in uno dei quali la tromba ci suona la povera Jenny, ma il pianoforte – gratificato di una lunga cadenza – ritorna a correre, finchè la tromba non prende il sopravvento, con questa specie di cippirimerlo, mediante-tonica (MI-DO):

E con questo brillante quanto parodistico DO maggiore si chiude il concerto.
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Gran trionfo per Petrushansky e Caruana, invero eccellenti nel proporci questo autentico pezzo di bravura. Il pianista russo-imolese (qui con consorte seduta in platea, dopo essere intervenuta alla puntata della serie di conferenze dedicate alla musica russa) ci regala anche un bis, sempre shostakovich-iano.

La seconda parte della serata è occupata dalle due Suites dallo Schiaccianoci, di cui Bushkov aveva diretto la prima, un filino modificata, nella sua precedente apparizione. Prima che è stranota, eseguita ed incisa innumerevoli volte, mentre la seconda è obiettivamente meno accattivante, ed infatti… non ci viene suonata nemmeno stavolta (smile!) Bushkov si limita a propinarci la prima suite, inquinata dal Passo a due infilato proditoriamente prima del conclusivo Walzer dei fiori (come fece appunto due anni orsono). La seconda… un'altra volta. Chi la vuol ascoltare può servirsi di YouTube, dove si trova una delle rare incisioni mai fatte di entrambe le Suites: questa, diretta più di 50 anni fa da Robert Irving. (Da ricordare il quarto brano, la Cioccolata, una Danza Spagnola dove trombette e strumentini sono impegnati alla grande: un'ennesima dimostrazione che la più bella musica spagnola è stata composta da stranieri, russi e francesi!)

Per farsi perdonare lo scippo, Bushkov ci porta in Venezuela, servendoci un profumatissimo cafè!

Per il sesto concerto sarà di turno il Jazz.
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