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18 marzo, 2019

L’Orfeo di Carsen-Capuano-Vistoli a Roma


L’Orfeo di Gluck ieri pomeriggio in un Costanzi piuttosto affollato (ma non esaurito) è arrivato alla seconda recita delle 5 (+1) in programma.  

Carlo Vistoli era al centro dell’attenzione e devo dire che il combinato disposto della scrittura di Gluck, piuttosto sobria, e delle dimensioni non proibitive del teatro (dotato fra l’altro di buona acustica) ha contribuito a garantire alla sua prestazione un’accettabile efficacia, non facendo troppo rimpiangere i robusti suoni di contralto che da sempre siamo abituati a sentir uscire dalla bocca di Orfeo. Personalmente, avendo ascoltato (solo in registrazione, devo precisare) il sopranista Jaroussky (a Parigi nel maggio 2018) mi sentirei di dare un voto più alto a Vistoli, non fosse altro che per la miglior appropriatezza della sua voce di contraltista rispetto alle caratteristiche del personaggio. Ottima anche la sua presenza scenica.   

Onesto e non di più il contributo dei due soprani Mariangela Sicilia (Euridice) ed Emőke Baráth (ormai specialista del ruolo di Amore): due vocine abbastanza piccole e debolucce nei centri e nei gravi. Lodevole invece l’apporto del coro di Roberto Gabbiani (invero fondamentale in quest’opera).

Tutti autorevolmente concertati dall’esperta bacchetta di Gianluca Capuano (esordiente sul podio romano, ma che gli appassionati de laVerdi conoscono bene per le comparse in Auditorium con il suo ensemble vocale nel repertorio barocco). Al direttore mi sentirei di muovere un solo modesto rimprovero: qualche eccesso di... foga riguardo ai tempi. Senza pecche l’orchestra, con un plauso all’oboe per il suo intervento che anticipa il wagneriano venerdi santo.

Nonostante la durata dell’opera originale sia già abbastanza contenuta (circa 90’ netti) qui alcuni tagli (un paio relativamente piccoli, nel second’atto: da-capo omessi nei balli e nel coro finale; uno invece assai corposo: l’intero ballo, nel finale ultimo) la riducono a circa 75’: a parte la citata speditezza dei tempi di Capuano, c’è da esser certi che questo esito sia legato alle scelte estetiche e interpretative di Carsen (riprendo l’argomento più avanti). Un altro modesto (e quasi irrilevante) intervento sulla partitura riguarda il ballo degli eroi (in SIb) del second’atto: spostato - anche qui direi per esigenze sceniche (lo svestimento di Euridice nell'Eliso) - da prima a dopo il recitativo di Orfeo.

In definitiva, una prestazione musicale di cui ci si può accontentare, ecco. E anche il pubblico romano ha mostrato di gradirla, riservando applausi (non da stadio, peraltro...) per tutti quanti.
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Come noto, la messinscena di Carsen è una rivisitazione di suoi precedenti lavori (2006 e 2011) quindi di essa già si conoscevano pregi e difetti. Le scene di Tobias Hoheisel sono ispirate a severo minimalismo (tipo Wieland Wagner, per intenderci) in modo da concentrare l’attenzione dello spettatore sul canto e sulla recitazione dei protagonisti: uno spoglio e scuro terreno sabbioso circondato da un cyclorama bianco sul quale a volte si stagliano le silhouette dei personaggi. Costumi (pure di Hoheisel) di foggia moderna quanto anonima. Luci (Carsen e Peter van Praet) gestite con la proverbiale abilità del regista: illuminazione laterale, obliqua, retrostante.

Carsen, perseguendo l’obiettivo di enfatizzare gli aspetti più esistenzialisti del dramma, abolisce poi ogni sovrastruttura accessoria (non certo per fare della spending-review...) Quindi, oltre al minimalismo con cui caratterizza le scene, minimalizza o cancella tutto ciò che striderebbe con la sua concezione dell’opera: come i balli e le conseguenti coreografie. Che peraltro furono concepiti da Gluck-Calzabigi come parti integranti e non certo accessorie dell’opera, come ci conferma Giovanni Bietti nel suo intervento sul programma di sala. Sul quale è però sorprendente leggere un’affermazione del regista - nell’intervista rilasciata a Leonetta Bentivoglio - secondo il quale nella versione originale viennese del 1762 non ci sono danze! Beh, come spiegazione dei suoi barbari tagli, non c’è male...

In definitiva - a parte lo scippo consumato ai danni dell’ascoltatore, che si perde parecchia musica di ottima fattura - lo spettacolo rischia di diventare fin troppo serio se non monocorde. Se osserviamo la macro-struttura dei tre atti dell’opera, la potremmo (usando un termine musicale) definire come un semplice rondò: A-B-A-B-A. Dove le sezioni A sono caratterizzate da: giorno, luce e natura idilliaca; le B da notte, oscurità e natura orrida e infernale. Orbene, Carsen ci presenta invece solo uno scenario di tipo B, se si esclude il finale (Trionfi amore) peraltro abbastanza slavato. E meno male che il regista non ha ripetuto l’operazione perpetrata all’Alcina, dove aveva tagliato di netto il lieto-fine!

Parliamo adesso di Natura e Poesia. Se prendiamo ad esempio la prima scena, nell’originale ci troviamo una cerimonia funebre che avviene in un luogo incantevole, in mezzo ad alberi e fiori di ogni specie: il che accentua il contrasto lancinante con il dolore insostenibile di Orfeo - evocato dalla mirabile musica di Gluck - che in quegli elementi naturali riconosce i compagni dei suoi giorni felici passati con Euridice (In ogni tronco scrisse il misero Orfeo, Orfeo infelice: «Euridice, idol mio, cara Euridice»). Ebbene, se le parole hanno un senso, esso è totalmente tradito dalla scena proposta da Carsen, dove non c’è la minima traccia di Natura. Quanto alla Poesia, ditemi dove la si può trovare in una distesa di sabbia scura e in un corteo di popolani vestiti come becchini!  

Vengo ora ad Orfeo. Secondo Carsen è un poveraccio (everyman) come tutti noi, vittima di un destino avverso che gli ha tolto la persona più cara. Cosicchè, già al funerale, tira fuori un serramanico e cerca il suicidio... anticipato (rispetto a Gluck-Calzabigi). Sì, anticipato, perchè libretto e musica ci dicono che l’istinto suicida insorge in Orfeo soltanto dopo la seconda morte di Euridice, della quale lui si sente (ed è) unico responsabile, a causa della sua debolezza. Al funerale invece il suo atteggiamento è di temeraria sfida (Ho core anch’io...) ai numi di Acheronte e Averno che gli hanno sottratto la sposa, che lui si ripromette di recuperare alla vita prima ancora che Amore arrivi a supportarlo nell’impresa.  

Poi, per giustificare l’idea che si è fatto di Orfeo (un uomo qualunque, come tutti noi) ecco che Carsen (sempre nella citata intervista) afferma che nel testo di Calzabigi e nella musica di Gluck non ci sarebbe alcun riferimento allo status di artista (poeta e cantore) di Orfeo! Quando invece basta leggere il libretto e ascoltare gli interventi dell’arpa per convincersi del contrario. Insomma, il buon Carsen non ce la racconta giusta! 

Per lui i compagni di Orfeo, le Furie dell’Averno e gli Eroi dell’Eliso sono sempre le stesse persone: prima vive, poi morte e infagottate in bianchi sudari, poi rinate nell’Eliso e infine tornate vive ad accogliere i due amanti restituiti alla vita. Beh, a me pare una banalizzazione eccessiva del soggetto, conseguenza della sua totale smitizzazione perpetrata dal regista. Che poi ignora del tutto le precise modalità con le quali il mito pretende si realizzi la riconquista (e la seconda perdita) di Euridice. Le prime due scene dell’atto terzo (quella dove avviene il fattaccio e l’altra dove arriva provvidenzialmente Amore) dovrebbero essere ambientate ancora nell’aldilà infernale, poichè solo lì vale il divieto di sguardo. Invece Carsen già all’inizio dell’atto ci mostra Orfeo che trascina Euridice nell’aldiqua, rientrandovi precisamente dallo stesso passaggio impiegato per inoltrarsi nell’oltretomba (la fossa in cui la fanciulla era stata inumata) e ritrovandoci la giacca abbandonata a fine del primo atto, con annesso serramanico da usarsi per il secondo (per Carsen, non per Gluck) tentato suicidio. Ma se i due sono già riemersi nel mondo reale, non si capisce perchè lo sguardo debba esservi ancora vietato... 

Insomma, una serie di forzature (per me) francamente eccessive e giustificabili solo a fronte della scelta interpretativa di fondo compiuta dal regista. 

Ecco, come posso sintetizzare il tutto? Dicendo che: se ci si dimentica totalmente dei contenuti del soggetto originale e si fa propria la vision del regista, allora si può godere lo spettacolo e magari anche emozionarsi, poichè la suggestione che suscita questa messinscena è innegabile. 

Viceversa, è difficile andar oltre il rispetto e l’ammirazione per la professionalità con la quale l’allestimento è stato realizzato.

13 marzo, 2019

A Roma torna un Orfeo maschio


Al Costanzi sta arrivando (questa sera la primina giovani) l’Orfeo di Gluck, una co-produzione italo-franco-canadese affidata a Robert Carsen e già collaudata (mediamente con successo) nel 2018 a Parigi e prima ancora, nel 2011, a Toronto. Messinscena che Carsen ha peraltro riproposto rimaneggiando quella del 2006 a Chicago.

Come si sa, il ruolo del protagonista alle prime recite del 1762 a Vienna fu affidato ad un famoso castrato, il contralto Gaetano Guadagni, mentre nella versione francese del 1774 venne rivisto per la tessitura di tenore acuto. Tramontata l’epoca dei castrati, nella versione originale la parte venne tradizionalmente affidata ad un contralto en-travesti (prassi inaugurata già nell’800, con la sua versione ibrida, da Hector Berlioz). Ebbene, in questa produzione torna invece a sostenerla un maschio: è già successo l’anno scorso a Parigi (con Philippe Jaroussky, direzione di Fasolis) e alla COC nel 2011 (con Lawrence Zazzo, direzione di Bicket); ed era successo a Chicago nel 2006 (dove si esibì David Daniel, sempre con Bicket). Anche qui la cosa si ripete, protagonista Carlo Vistoli, il quale non è evidentemente (e per sua fortuna...) castrato ma - come i colleghi citati più sopra - controtenore.

Sull’opportunità e l’efficacia dell’impiego di queste voci (contraltisti come Vistoli, o sopranisti come Jaroussky) ci sono diverse correnti di pensiero: c’è chi lo disapprova, sostenendo che un contralto femmina en-travesti sia da preferire, poichè canta con voce naturale (come i castrati, per i quali furono scritte parti come quella di Orfeo); e chi all’opposto sostiene che un falsettista (se ben preparato) può imitare efficacemente la vocalità dei castrati, con il vantaggio di essere... di sesso maschile, quindi di per sè più appropriato, anche scenicamente, ad interpretare un ruolo di tal genere (poichè un Orfeo femmina rischia di trasportare la vicenda a... Saffo).

Beh, staremo a vedere e soprattutto sentire. Venerdi 15 ore 20 su Radio3 e - per ciò che mi riguarda - domenica 17 dal vivo.

01 marzo, 2018

L’Orfeo parigino importato da Londra a Milano



Ieri sera alla Scala (con parecchi vuoti) seconda delle sette recite del parigino Orphée, approdato finalmente da noi a quasi due secoli e mezzo dal suo esordio (segno comunque che buon sangue non mente...)

La prima di sabato era stata unanimemente (pubblico e critica, almeno a giudicare da ciò che si legge su carta e pixel) accolta con grande calore, per non dire con entusiasmo. E ieri la cosa si è puntualmente ripetuta, a testimonianza evidente della bontà del prodotto di Gluck e del suo allestimento londinese, importato qui e riproposto impiegando forze locali (parlo ovviamente di orchestra, cori, direttore e strutture).

Opera indubbiamente problematica da mettere in scena oggi, date le sue peculiari caratteristiche: non ha l’austera concisione e l’apollinea bellezza dell’Orfeo viennese, e in compenso ciò che vi fu aggiunto per Parigi non è (in larga misura) materia che si sposi perfettamente con i nostri gusti, di pubblico del terzo millennio.

La soluzione scelta dalla coppia coreografo-regista (Hofesh Shechter - John Fulljames, non a caso è il coreografo ad avere fra i due la precedenza) ha il merito di tenere sempre viva l’attenzione dello spettatore, anche attraverso movimenti scenici piuttosto inconsueti: alludo a quelli dell’intera orchestra, sistemata nella zona centrale del palcoscenico in modo da creare spazi sia verso il proscenio che verso il fondo-scena, e soprattutto traslabile in verticale, per aprire o chiudere spazi in cui far muovere non solo i tre protagonisti, ma soprattutto i mimi/danzatori e il coro, che operano a volte disgiunti e a volte fra loro mescolati (sempre distinguibili peraltro dal diverso abbigliamento). La buca dell’orchestra rimane vuota, trovandovi spazio soltando i grandi schermi sui quali i cantanti possono televisivamente vedere il Direttore (al quale danno materialmente le spalle) più qualche faro che illumina la scena dal basso.

Insomma, un allestimento che scongiura il pericolo di cadute di tensione, legato precisamente ai contenuti dell’opera, in particolare ai lunghi minuti occupati da intermezzi di danza, dove l’alta qualità della musica gluckiana potrebbe non bastare da sola a sopperire alla staticità dell’azione scenica.

E ovviamente una condizione necessaria (non sempre sufficiente) per la riuscita dello spettacolo è costituita dal livello della prestazione di tutti gli addetti-ai-suoni. Qui devo dire che tutti meritano encomi, a partire dal Concertatore: Mariotti ha superato di slancio anche il test con questo particolarissimo repertorio (non è barocco, ma non è certo... Rossini) con una direzione raffinata e attenta ad ogni preziosità della partitura. Solo un paio di esempi: l’introduzione alla seconda scena dall’atto secondo, con il celestiale (siamo nei Campi elisi) assolo del flauto di Marco Zoni (poi affiancato da quello di Max Crepaldi, vecchia conoscenza de laVerdi) e l’accompagnamenmto dell’oboe di Armel Descotte al mirabile recitativo di Orfeo, nella scena successiva. (Non a caso alla fine il Direttore ha fatto alzare i tre strumentisti per ricevere un applauso singolo.)

Benissimo anche il Coro di Casoni, chimato ad un compito non proprio facile, perchè assai lontano dal repertorio, diciamo così, di tradizione.

Juan Diego Florez ha suscitato ovazioni entusiastiche: il suo Orphée ha pienamente convinto: certo lui non è (nessuno oggi lo è) un haute-contre come  presumibilmente era il famoso Joseph Legros, per il quale la parte fu scritta in origine (un tenore capace di raggiungere iperbolici sovracuti ma con uso del falsetto, del canto di testa); cionondimeno il divo peruviano, che ovviamente canta sulla voce, ha prestato al personaggio il suo timbro chiaro, limpido e allo stesso tempo sensuale.

Le due voci sopranili (Euridice di Christiane Karg e Amore di Fatma Said) non toccano le vette di JDF, ma meritano entrambe un encomio, da estendere a chi le ha scelte per i due ruoli, ai quali le due voci si attagliano perfettamente: più corposa quella della Karg, le cui qualità emergono nel lungo e straziante recitativo di apertura dell’atto terzo; e più leggera e acuta quella della Said che impersona, en-travesti, il giovinetto e ammiccante Cupido.

In definitiva, una proposta di eccellente livello, che il pubblico ha mostrato di apprezzare assai, a giudicare dal calore dell’accoglienza riservata a tutti.

19 febbraio, 2018

Un orecchio all’Orphée che sta arrivando a Milano (3)


Mancano ormai pochi giorni al debutto scaligero di Orphée et Euridice, spettacolo di cui si sa già molto (o quasi tutto) trattandosi di una produzione del 2015 della londinese Royal Opera House.

Della quale produzione esiste fortunatamente in rete (almeno finchè qualche spilorcio non ne richiederà la rimozione) l’audio integrale, per il quale dobbiamo ringraziare Larry L. Lash (aka la straussiana Jungfer Marianne Leizmetzerin). 

E proprio seguendo questa registrazione ci possiamo preparare a ciò che si ascolterà al Piermarini, ovviamente ben sapendo che, a parte JDF, tutti gli altri protagonisti sonori dello spettacolo sono mutati rispetto a Londra, dove Flórez si accompagnava a Crowe e Forsythe, sotto la bacchetta dello specialista Gardiner (che aveva pure coro e orchestra praticamente incorporati) mentre qui gli terranno compagnia Karg e Said, diretti da uno (Mariotti) che con questo repertorio non ci vive giorno e notte, e men che meno con l’orchestra e il coro scaligeri. Ma ovviamente speriamo per il meglio!

Ouverture
É in DO maggiore, nella canonica forma-sonata, e presenta temi del tutto avulsi dai contenuti musicali dell’opera (un cedimento al vecchio stile di metastasiana memoria). Serve però a meraviglia per aprire festosamente il dramma che altrettanto festosamente si concluderà.  

Atto 1 - Euridice è morta - Orfeo si dispera, poi decide di scendere all’Inferno
Scena 1 - Le esequie di Euridice, il dolore di pastori e ninfe, la disperazione di Orfeo
3’07” Coro "Ah, dans ce bois tranquille et sombre". La tonalità muta improvvisamente a DO minore, creando un forte contrasto fra l’introduzione festosa e lo scenario delle esequie di Euridice (contrariamente alle tradizioni di letteratura e teatro, qui nulla sappiamo della sua vita, nè delle cause della sua morte). Il coro la invoca, mentre Orfeo - come testimoniano i suoi mesti richiami al nome della sposa che lo contrappuntano - si sente morire di dolore. Ancora il coro si rivolge ad Euridice (con fugace modulazione alla relativa MIb maggiore) chiedendole di aver pietà dello sposo e della sua disperazione.
6’27” Recitativo Orfeo Vos plaintes, vos regrets”. Orfeo, sempre in DO minore, piange la sposa morta e invoca i suoi mani perchè le diano le onoranze funebri che si merita.
7’01” Pantomima di pastori e ninfe. La danza funebre si apre nella relativa MIb maggiore, poi vira al minore (SIb e quindi MIb) chiudendo però ancora con un accordo maggiore.
8’53” Coro "Ah, dans ce bois lugubre et sombre". Sempre in DO minore ecco la ripresa del precedente coro, dove si invoca ancora l’ombra di Euridice, perchè porti consolazione alle lacrime che la sua morte ha provocato.
10’24” Recitativo OrfeoEloignez vous”. La tonalità resta DO minore, mentre Orfeo chiede di rimanere solo con il suo dolore.
10’45” RitornelloLa sola orchestra chiude la scena - pastori e pastorelle che si ritirano - riprendendo il motivo del coro, sempre in DO minore.

Scena 2 - Orfeo solo, immerso nel suo dolore, ma poi deciso a sfidare gli inferi  
11’49” Aria Orfeo "Objet de mon amour". Questa prima aria rappresenta il punto centrale del primo atto. Orfeo, dopo aver pensato al suicidio, non si rassegna al destino di morte e si propone di sfidare gli inferi per riprendersi la sua Euridice. É un brano assai complesso, strutturato su tre strofe cantate (caratterizate da linea melodica purissima) intercalate da due recitativi (assai cupi e dolenti) di invocazione ad Euridice, più un recitativo conclusivo che presenta la decisione di Orfeo. La tonalità del tema delle strofe è DO maggiore (qui per la voce tenorile, a Vienna era in FA) quella dei recitativi DO minore. Nella prima strofa Orfeo esterna il suo continuo ricordo di Euridice.
13’11” Recitativo Orfeo Euridice! Euridice!” Orfeo si chiede dove sia Euridice, ma la sua preghiera se la portano via i venti.
14’42” Aria Orfeo (strofa 2) "Accablé de regrets". Orfeo canta il suo vagare per foreste e boschi, ma l’eco non fa che ripetere il suo triste pianto.  
16’06” Recitativo Orfeo "Euridice! Euridice! De ce doux nom". Ancora i lamenti di Orfeo, che sente il nome di Euridice risuonare nella foresta e lo vede inciso sui tronchi dalla sua mano tremante. Implora gli dèi: ridatele la vita, o date a me la morte. Il DO minore qui trascolora in maggiore.
17’41” Aria Orfeo (strofa 3) "Plein de trouble et d'espoir". Il cuore di Orfeo è colmo di turbamento, di terrore, di pena. Anche il ruscello mormora la testimonianza della sua infelicità.
19’05” Recitativo Orfeo "Divinités de l'Achéron". Orfeo inveisce contro le divinità della morte, che gli hanno strappato la sposa. E si propone di scendere agli inferi per riprendersela, sfidando il loro tirannico furore. Il recitativo (la tonalità si muove fra LA e RE minore) evoca mirabilmente la determinazione e la collera di Orfeo.

Scena 3 - Orfeo, incoraggiato da Amore, si prepara a scendere verso gli inferi
20’10” Recitativo Amore L’amour vient au secours”. Con un colpo di teatro ecco che Amore compare all’improvviso per confortare Orfeo, assicurandogli che potrà scendere agli inferi per ritrovare Euridice. La tonalità va dall’iniziale DO al FA maggiore, introducendo la successiva aria.
20’41” Aria Amore "Si les doux accords de ta lyre". Amore promette a Orfeo che, qualora il suo canto e il suono della sua lira appaghino gli dèi infernali, ecco che lui potrà portare con sè Euridice. Orfeo interrompe brevemente l’aria, che si era appoggiata alla dominante DO, con un’esclamazione in recitativo, che riprenderà subito dopo. Amore riprende l’aria ripetendo i versi precedenti, ma su una nuova melodia, ancora in FA.   
22’05” Recitativo Orfeo-Amore Dieux, je la reverrais”. Mentre la tonalità si sposta a SIb maggiore (poi a SOL minore) Orfeo ripete l’esclamazione di poco prima, ma Amore lo avverte: dovrai rispettare i voleri degli dèi. Lui si dice disposto a tutto. Amore gli impartisce allora l’ordine perentorio: non dovrai per nessun motivo rivolgere lo sguardo alla sposa.
23’06” Aria Amore "Soumis au silence". Virando a SOL maggiore, Amore spiega a Orfeo la ragione dell’ordine degli dèi: per loro è più commovente che l’amante resti vicino all’amata silenzioso e discreto. L’aria alterna due volte tempo lento a tempo più mosso.  
25’13” Recitativo Orfeo "Impitoyables dieux, qu'exigez-vous de moi?Rimasto solo, Orfeo si cruccia per questo terribile comando (e l’orchestra ribolle con lui, svariando su tonalità diverse e lontane, DO#, FA#, e sottolineando l’agitazione del suo animo con lugubri e violenti accordi) ma alla fine si rincuora, preparandosi (mentre la tonalità scivola a RE maggiore) a sostenere la dura prova.
26’19” Arietta Orfeo L’espoir renait dans mon âme”. È questa l’aria inserita da Gluck appositamente per Parigi e ampiamente contestata (plagio da Ferdinando Bertoni?) che chiude trionfalmente l’atto. La tonalità (SIb maggiore) è abbastanza vicina a ciò che precedeva, tuttavia il carattere squisitamente virtuosistico dell’aria ne fa quasi un corpo estraneo all’opera. Ma certo per il tenore è occasione più unica che rara! 

Atto 2 - Viaggio di Orfeo all’Inferno
Scena 1 - Orfeo scende agli inferi e vi incontra gli spiriti maligni
31’08” Introduzione: Danza delle Furie (nel libretto viennese di Calzabigi: orribile sinfonia!) In tempo maestoso vengono evocati gli spettri infernali che accoglieranno Orfeo. Tre pesanti coppie di unisoni di MIb, poi di FA, quindi di SOL creano un’atmosfera di crescente, spaventevole tensione.
32’31” Arrivo di Orfeo. Tensione interrotta bruscamente dal suono in semicrome di un’arpa (con accompagnamento pizzicato in semiminime degli archi) proveniente dall’esterno (seconda orchestra dietro la scena, indica la partitura) che evoca inequivocabilmente l’avvicinarsi di Orfeo e del suono della sua lira. La tonalità è RE minore, sulla quale è cantato il successivo Coro.   
32’41” Coro "Quel est l'audacieux". Le creature infernali si domandano inizialmente chi sia quel pazzo che osa inoltrarsi fin laggiù, sulle orme di Ercole e Piritoo. Lo fanno con un canto in unisono, assai pesante e minaccioso, accompagnato dall’oboe e dal rabbrividente tremolo degli archi. Lo stilema della melodia (tempo 3/4) si manterrà per l’intera scena.
32’58” Danza delle Furie. Si interpone qui una nuova danza degli spettri, davvero indiavolata!
33’39” Coro "Quel est l'audacieux". Riprende il coro che adesso cerca reiteratamente di spaventare il malcapitato Orfeo, evocando il mostruoso e tricefalo Cerbero, i cui orrendi latrati sono ben individuabili dai ripetuti (triplici!) interventi in glissando degli archi!  
34’41” Aria Orfeo (con pertichini del Coro) "Laissez-vous toucher par mes pleurs". Altra brusca transizione di atmosfera, con il nuovo ingresso della seconda orchestra e dell’arpa di Orfeo. La quale esegue una modulazione dal RE minore al SIb maggiore dell’aria per il tenore (a Vienna era un canonico passaggio da DO minore alla relativa MIb maggiore per il castrato-contralto). Orfeo implora reiteratamente gli spettri e le larve di lasciarsi commuovere dalle sue lacrime e di essere sensibili al suo dolore. Ma questi intercalano le sue esternazioni con ripetuti e perentori NO-NO-NO, accompagnati dall’orchestra in buca.  
37’27” Coro "Qui t'amène en ces lieux". Le creature infernali cominciano forse ad ammorbidire la loro tracotanza: chiedono infatti ad Orfeo che cosa lo abbia condotto laggiù, luogo di rimorsi, gemiti e tormenti. La melodia è però sempre quella martellante degli interventi precedenti. La tonalità, dal SIb maggiore dell’aria di Orfeo ha virato alla fine al DO minore, per il nuovo intervento di Orfeo.
38’27” Aria Orfeo "Ah, la flamme qui me dévore". Orfeo risponde che ciò che lo divora è un fuoco assai più bruciante di quello dell’inferno. Chiude modulando a SOL minore.
39’14” CoroPar quels puissants accords”. Gli spettri, quasi soggiogati, danno segnali di ammorbidimento.
40’19” Aria Orfeo  "La tendresse que me presse".  Modulando a DO minore, Orfeo è omai certo che le sue lacrime potranno calmare il furore delle creature infernali.
41’15” Coro Quel chants doux et touchants”. Passando da DO a FA minore, gli spettri si mostrano ormai convinti dal canto di Orfeo ad aprirgli le porte dell’Inferno. Lui passa accanto a loro e si inoltra oltre la porta.
42’47” Danza delle Furie. Allontanatosi Orfeo, le creature infernali riprendono la loro normale e spaventevole attitudine. Con una danza in RE minore presa di peso dal balletto Don Juan, che qui è quanto mai appropriata, date le sue caratteristiche davvero indiavolate.

Scena 2 - I Campi Elisi e le Ombre felici
47’02” Danza delle Ombre felici. Quella che si apre davanti agli occhi di Orfeo è una consolante scena bucolica: i Campi Elisi, abitati dalle Ombre felici, le anime dei morti che trovano l’oblio bevendo le acque del Lete. È costituita da quattro sezioni puramente strumentali, di cui la prima - unica presente nella versione di Vienna - è un menuetto in FA maggiore (Lento e molto dolce).
49’07” (seconda sezione). Si tratta di un trio in RE minore, caratterizzato da un mirabile quanto celebre assolo di flauto.
52’16” (terza sezione). È una semplice ripresa del menuetto in FA maggiore della prima sezione.
53’21” (quarta sezione). È una gavotta in DO maggiore / minore ripresa dall’opera Paride&Elena del 1770.
55’18” Aria Euridice (con Coro) "Cet asile aimable et tranquille". É un rondò in FA maggiore che Euridice attacca cantando il ritornello e la strofa; il coro con Euridice canta il ritornello, Euridice ripete la strofa e il coro con Euridice chiude con il ritornello.        
57’33” Danza di Eroi ed Eroine. I temi del rondò sono infine ripresi dall’orchestra per accompagnare Euridice che si allontana. 

Scena 3 - Orfeo incontra le Ombre felici e chiede di Euridice
58’24” Recitativo Orfeo "Quel nouveau ciel pare ces lieux!" Beh, il termine recitativo posto da Gluck in calce a questo numero gli sta non dico stretto, ma quasi... offensivo! È vero che Orfeo più che cantare declama, ma l’orchestra (l’oboe soprattutto) disegna melodie celestiali, nel solare DO maggiore! È la natura qui protagonista: boschi, prati, il cinguettare di uccelli (questo rimosso per la verità a Parigi) lasciano Orfeo letteralmente incantato. Tuttavia il ricordo e l’immagine di Euridice, mentre l’oboe vira a LA minore, tornano ad occupare la mente di Orfeo (la tonalità sfuma ora a RE minore) il quale invoca l’amata con accenti accorati.
1h03’04” Coro "Viens dans ce séjour paisible". Le Ombre felici - in un calmo FA maggiore - invitano Orfeo ad avvicinarsi: Euridice sta per arrivare da lui.
1h05’24” Danza delle Ombre felici. Un tenero menuetto in SIb maggiore accompagna la danza delle Ombre felici che si apprestano ad accogliere Euridice.
1h07’34” Recitativo Orfeo (con Coro) "O vous, ombres que j'implore". Ma Orfeo è impaziente, e ancora - con un concitato recitativo che va dal SIb al RE minore - chiede a quelle ombre di affrettare il momento in cui finalmente Euridice sarà ancora al suo fianco. In un breve corale in DO maggiore le Ombre finalmente annunciano: viene Euridice! 

Scena 4 - Euridice torna, accolta dalle Ombre felici
1h08’14” Coro "Près du tendre objet qu'on aime". Il Coro - in FA maggiore - si rivolge ora alla sopraggiungente Euridice, invitandola a rinascere per il suo Orfeo. 

Atto 3 - Orfeo, con l’aiuto di Amore, riporta Euridice alla vita - Apoteosi
Scena 1 - Orfeo accompagna Euridice, ma si volge a guardarla e lei muore
1h11’38” Recitativo Orfeo-Euridice "Viens, viens, Euridice, suis-moi". L’introduzione agitata degli archi, in FA minore, ci fa capire che Orfeo e la sua rediviva sposa stanno cercando di ritrovare l’uscita dall’Inferno, in uno scenario per nulla rassicurante. Il lungo recitativo - che svaria spesso a DO - alterna gli inviti sempre concitati di Orfeo a far presto e le esternazioni di Euridice che, ancora stordita, fatica a capacitarsi di essere tornata creatura vivente, e vorrebbe subito godere dell’intimità con lo sposo. Il quale viceversa non si degna di guardarla e corre avanti imperterrito. Euridice non si dà pace per questo strano comportamento di Orfeo, dal quale si sente quasi oltraggiata. Arriva a desiderare di essere abbandonata laggiù. La chiusa è su un flebile DO maggiore degli archi.
1h15’34” Duetto Orfeo-Euridice "Viens, suis un époux qui t'adore". Dopo poche battute introduttive dei violini, in FA maggiore, fra i due nasce un rapido botta-e-risposta: lui la esorta a seguirlo e lei risponde che preferirebbe morire; ora nella relativa RE minore entrambi - cantando per terze - esternano la propria angoscia, rivolgendosi agli dèi, che hanno accompagnato la loro benevolenza a crudeli tormenti. La seconda parte del duetto viene ripetuta, la tonalità svaria a FA minore per poi chiudere in modo maggiore.
1h19’19” Recitativo Euridice "Mais d'où vient qu'il persiste à garder le silence!" Orfeo si è allontanato da Euridice, accasciandosi su una roccia, mentre la sposa ancora si chiede la ragione di quell’incredibile trattamento che Orfeo la ha riservato: strapparla al mondo dei morti per poi gettarla nella più cupa disperazione! Ostinate terzine degli archi accompagnano la sua profonda agitazione, che chiude il recitativo - dall’iniziale LA - sul DO minore.
1h21’08” Aria Euridice "Fortune ennemie" (parte prima). Attacca ora in questa tonalità un’aria in tre parti, che nella seconda diviene in pratica un duetto, con l’intervento di Orfeo. Dapprima è ancora Euridice, sempre agitata, a prendersela con il destino, che le ha restituito, insieme all vita, atroci tormenti.        
1h22’01” Duetto Euridice-Orfeo Je goûtais les charmes”. Questa sezione centrale è più calma - nella relativa MIb maggiore, in tempo ternario e non binario - e ci porta le rispettive esternazioni dei due giovani (ciascuno parla solo con se stesso, anche se le voci si sovrappongono): lei rimpiange la serenità da cui era circondata nei Campi Elisi, mentre ora dolori e lacrime riempiono la sua vita; lui è tormentato dai sospetti di lei, sospetti che però non può fugare senza disobbedire all’ordine divino, e quindi perderla di nuovo, e per sempre.     
1h23’32” Aria Euridice "Fortune ennemie" (ripresa). Si ritorna a DO minore, tempo più mosso e binario, per la chiusa dell’aria di Euridice, che ripete, variandola, la strofa iniziale.
1h24’20” Recitativo Orfeo-Euridice "Quelle épreuve cruelle!" Orfeo fatica a resistere alla tentazione di disobbedire al volere divino, mentre Euridice si dispera di dover morire senza uno sguardo dell’amato. Il quale è ormai in preda ad una tremenda dissociazione psicologica: vedere Euridice morire, senza far nulla, o farla morire lui cercando di soccorrerla? Nel momento in cui Euridice gli lancia l’ultimo addio, Orfeo si volta e si precipita su di lei: e i loro due nomi si incontrano mirabilmente proprio sulla stessa battuta musicale, formando con gli archi un accordo di settima diminuita (MIb-FA#-LA-DO). É il fatale momento (1h26’20”) in cui Euridice muore per la seconda volta. Ad Orfeo non restano che rimorso, disperazione e... morte, come canta, sulle agitate crome degli archi, chiudendo in RE minore il recitativo.
1h27’44” Aria Orfeo "J'ai perdu mon Euridice". Ma la morte deve attendere: perchè Orfeo ci deve far ascoltare l’aria che diventerà una delle più famose nell’intera storia della musica. In FA maggiore (a Vienna era in DO...) intona il suo lamento, che si struttura in forma di rondò (un ritornello ripetuto tre volte e inframmezzato da due strofe). Il ritornello espone la disperazione di Orfeo, ormai conscio di aver perso l’amata per sempre. Le sue strofe, che iniziano con l’invocazione Euridice! Euridice! si muovono sulla dominante DO, la prima (in maggiore) evocando il vano tentativo di Orfeo di ottenere risposta dalla sposa; e la seconda (in minore) il silenzio mortale che riempie il suo cuore di sofferenze e tormenti.
1h32’16” Recitativo Orfeo "Ah, puisse ma douleur finir avec ma vie!" Finalmente Orfeo pare deciso: rivarcherà le porte dell’Inferno per riunirsi per sempre alla sua Euridice. Estrae quindi la sua spada e si appresta a rivolgerla contro se stesso.

Scena 2 - Amore dissuade Orfeo dal suicidio - Euridice torna in vita - Trionfo
1h33’48” Recitativo Amore-Orfeo-Euridice Arrête, Orphée”. Tipico clichè barocco, ecco scendere sulla scena il deus-ex-machina: è Amore che ferma il braccio di Orfeo, annunciandogli la benevolenza divina. Poi si rivolge ad Euridice, ingiungendole di tornare a repirare. Ancora increduli, i due amanti possono solo esprimere la loro riconoscenza alla potenza divina.
1h35’19” Terzetto Euridice-Orfeo-Amore "Tendre amour". Qui si ascolta il terzetto la cui musica è mutuata da Paride&Elena (dove peraltro compariva in uno scenario del tutto diverso, addirittura di lite fra i due protagonisti - a proposito di adattabilità della musica a supportare situazioni opposte). La prima sezione (MI minore) è aperta da Euridice, seguita da Orfeo e poi da Amore (che modula momentaneamente alla relativa SOL maggiore). Nella seconda sezione, che modula a MI maggiore e passa (da Andante 4/4) ad Allegro in 6/8, i due sposi, spalleggiati dal dio benefattore, inneggiano alla sua munificienza e alle gioie che procura.  
1h38’02” Aria Orfeo-Euridice-Amore (con Coro) "L'amour triomphe". La scena muta istantaneamente, presentando un tempio sontuoso consacrato all’amore. Pastori e pastorelle, che all’inizio dell’opera avevano pianto la morte di Euridice, ora gioiscono accogliendola al suo ritorno alla vita. L’aria è in forma di rondò e, dopo una breve introduzione orchestrale, in LA maggiore, è Orfeo ad esporre il ritornello, subito ripreso, in RE maggiore, dal Coro cui si aggiunge Amore. Il quale espone una prima strofa (Dans les peines, dans les alarmes) ancora in LA maggiore, descrivendo le pene, ma poi le gioie che lui sa provocare negli esseri umani. Torna quindi il coro con il ritornello in RE maggiore. Ora è Euridice ad esporre la seconda strofa (Si la cruelle jalousie) modulando pateticamente alla relativa SI minore, dove ammette di essere stata vittima di gelosia, ma di godere ora del massimo piacere. Amore e Coro ripetono per l’ultima volta il ritornello in RE maggiore, chiuso da un festoso Allegro.

Balletti finali
Le partiture pubblicate a ridosso della prima esecuzione del 1774 presentano una sequenza della scena finale rispetto alla quale le esecuzioni moderne si discostano non di poco. Dopo l’intervento di Amore a trattenere Orfeo dal suicidio, attacca subito l’aria con coro "L'amour triomphe", seguita da 4 numeri di balletto (la Danze del trionfo d’Amore). Quindi ecco il trio "Tendre amour", cui fanno seguito la breve introduzione sul tema de "L'amour triomphe" e i due numeri del balletto finale. Abbiamo invece visto come in questa produzione (e in tutte quelle di oggi) il trio "Tendre amour" venga anticipato e premesso a "L'amour triomphe" (preceduto a sua volta dall’introduzione orchestrale) il quale è poi seguito da ciò che ci prepariamo ad ascoltare.
1h41’40” Danze del Trionfo d’Amore (prima sezione). É un Menuetto (Gratieux, dolce) in LA maggiore, costituito da due poarti ripetute, privo del classico Trio.
1h42’48” (seconda sezione). É una Gavotta, Allegro, che presenta una parte in LA minore incastonata nel corpo di LA maggiore.
1h44’40” (terza sezione). Indicata come Air vif (vivace) in DO maggiore è stata presa di peso dal’Ouverture de Il Trionfo di Clelia, opera composta nel 1763 (un anno dopo l’Orfeo viennese) per l’inaugurazione del Teatro del Bibiena di Bologna.  
1h47’42” (quarta sezione). Anche questo Menuetto (Gratieux) è ripreso dal citato Il Trionfo di Clelia, dove occupa parte del finale dell’Ouverture.
1h49’14” Aria Amore (con Coro) "L'amour triomphe". Al posto della sola introduzione strumentale, ascoltiamo qui la sezione finale dell’aria (in RE maggiore).
1h49’58” Balletto finale (prima sezione). Molto lentamente, in RE maggiore, 3/4, è una delicata musette, ripresa con ampliamenti dall’Andante che a Vienna occupava il posto del terzo balletto finale, prima del coro del trionfo.    
1h52’12” (seconda sezione). É la Chaconne (sempre in RE maggiore) prelevata di peso dal finale di Iphigénie en Aulide. Che chiude con grande brillantezza i festeggiamenti per Orfeo e Euridice e con essi l’opera.

14 febbraio, 2018

Le vicissitudini di Orfeo (2)


Qualche osservazione a margine di Orphée et Euridice, al suo tardivo quanto colpevole debutto scaligero il prossimo 24 c.m.

Da sempre la produzione di quest’opera presenta – come in non pochi analoghi casi, fra i quali proprio un’altra opera del Gluck-riformato, Alceste, anch’essa nata a Vienna e poi portata con varie modifiche a Parigi – problemi di scelta del materiale da impiegare, dato che dell’opera esistono varie versioni e rimaneggiamenti che hanno consentito (in passato) e consentono (ancor oggi) di costruire il prodotto finito a partire da un canovaccio sul quale innestare componenti diverse, a discrezione dei responsabili dell’allestimento. Una disamina delle versioni e varianti di Orfeo/Orphée si può leggere qui: come si vede, alle due versioni originali di Gluck (1762 Vienna, protagonista un castrato-contralto e 1774 Parigi, protagonista un tenore-acuto) se ne sono poi aggiunte altre, per mano dello stesso Autore (Orfeo versione Parma 1769, con protagonista un castrato-soprano) ma soprattutto di Hector Berlioz (Orphée del 1859, strutturato in 4 anzichè 3 atti - mediante scorporo dall’atto secondo delle scene 2-3-4 - e con il fondamentale impiego della voce di mezzosoprano-en-travesti per il protagonista, più la totale soppressione del finale - coro e balletti - sostituito con un coro da Écho et Narcisse - Le dieu de Paphos et de Gnide) e una serie di altri interventi più o meno sostanziosi su testo e musica.

Successivamente sono state prodotte alcune edizioni dell’opera (Dörffel-Peters 1866, Ricordi 1889 e Novello) che in effetti sono basate prevalentemente sulla versione Berlioz (riportata però a 3 atti e con ripristino del finale di Gluck) ma con delle contaminazioni dalle due originali (ad esempio quella Dörffel, oltre a presentare anche il testo in tedesco, riporta in appendice la chiusa del primo atto con il recitativo, se non si esegue l’arietta - vedi più avanti - di Orfeo; mentre quella Ricordi riporta tutto in lingua italiana, ritraducendo le aggiunte di Moline). Ne segue che chiunque si sente autorizzato a cogliere fior-da-fiore e a costruirsi il suo Orfeo (non di rado si omette persino l’Ouverture, perchè considerata corpo estraneo). Qui un elenco sterminato e ormai certamente incompleto delle incisioni dell’opera, a partire dal 1940.
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Solo pochi richiami ad alcune particolarità, fra le mille, relative ai contenuti musicali dell’Orphée. Intanto, a smentire che la moda degli auto-imprestiti sia stata introdotta da Rossini 50 anni più tardi, nell’Orphée (non certo nel rivoluzionario Orfeo) Gluck infila brani da sue varie opere precedenti (anteriori e posteriori alla riforma del 1762).

La Danza delle Furie, che chiude nell’Orphée la prima scena dell’atto secondo, è presa di peso dal balletto Don Juan, composto un anno prima dell’Orfeo viennese. Nella seconda scena dell’atto secondo di Orphée, Gluck aggiunge – con altra nuova musica fra cui il meraviglioso assolo di flauto – una gavotta suonata dagli archi, presa da Paride&Elena del 1770. E dalla stessa opera Gluck importa nel finale la musica (non il testo, nichilista!) del trio Tendre Amour; trio che nell’originale parigino andrebbe a precedere i 3 numeri del balletto finale, mentre è ormai tradizione consolidata anticiparlo a prima dell’aria L’amour triomphe che precede appunto le danze conclusive.

Ai balletti del trionfo d’amore Gluck aggiunge due numeri tratti dall’Ouverture del bolognese (1763) Trionfo di Clelia: il vivace (Air vif) dalla prima sezione (Moderato) e parte del menuetto della sezione finale. Infine riprende, come chaconne conclusiva, quella composta per il finale di Iphigénie en Aulide, sua prima opera parigina.  

C’è infine la vexata-quaestio dell’arietta L’espoir renait dans mon âme, che Gluck aggiunse in coda al primo atto (che nell’Orfeo si chiude con un recitativo): si sospettò già a suo tempo che non fosse farina del sacco di Gluck, ma che fosse stata presa di peso dal Tancredi (1766) del Ferdinando Bertoni da Salo’ (ma pare che Gluck l’avesse già composta a Francoforte nel 1764 e che quindi il plagiatore sia Bertoni...) Berlioz e il suo assistente Saint-Saëns la lasciarono di malavoglia al suo posto, poichè negli anni era diventata letteralmente il brano di maggior successo dell’opera (ma per ripicca la infarcirono di virtuosismi inventati da loro e dalla stessa interprete Pauline Viardot, degni del miglior Gluck... ante-riforma). In alcune edizioni puriste, come questa, rimasta di riferimento, l’arietta viene pertanto omessa tout-court. In compenso - siamo all’Orfeo del 1762 - Toscanini nel 1907 alla Scala chiuse il primo atto con l’aria Divinità infernal (in origine Divinités du Styx) presa dal finale del prim’atto dell’Alceste parigino! Imitato poi nel 1951, sempre alla Scala, da Furtwängler con la Barbieri (qui a 30’31”).
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È opinione diffusa fra i musicologi che gli interventi operati da Gluck sul primitivo Orfeo per ricavarne l’Orphée abbiano sì raggiunto l’obiettivo di adattare l’opera ai gusti del pubblico e ai cliché del teatro musicale parigino, ma che ciò sia avvenuto purtroppo a spese della mirabile quanto innovativa concezione estetica che aveva guidato – a Vienna - la stesura dei versi di Calzabigi e delle note del compositore. E anche i vari auto-imprestiti hanno di certo contribuito a questa contaminazione.

L’ascolto – oggi alla portata di tutti - delle due versioni originali conferma questa tesi: l’Orfeo (destinato al pubblico scelto e colto della Corte viennese) lascia stupefatti per la sua estrema concisione (che si riflette sulla durata, non più di 90 minuti); per la rigorosissima impalcatura tonale; e per l’assenza di ogni autocompiacimento virtuosistico. È - insomma – un vero e proprio ritorno al recitar cantando fiorentino di fine ‘500. L’Orphée è invece un’opera destinata ad un pubblico di massa e soprattutto amante dello spettacolo e quindi ecco il proliferare di danze ed effetti scenici, l’ampliamento delle dimensioni e della durata (quasi 2 ore) e il ripristino di componenti virtuosistiche del canto che erano state oggetto di critica e di... scomunica da parte della coppia Calzabigi-Gluck a Vienna. Le trasposizioni della parte del protagonista e le altre aggiunte hanno poi minato (per non dire scardinato) l’impianto tonale dell’opera. 
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Oggi possiamo finalmente apprezzare le due (così diverse) versioni proprio come uscite dalla penna di Gluck; e mandare meritatamente in soffitta tutti gli ibridi nati a seguito del (pur geniale, all’epoca) arrangiamento di Berlioz. Infatti nel 1967 l’editore Bärenreiter ha approntato due edizioni critiche degli originali del 1762 e 1774. Tornando alla Scala, le cinque produzioni dell’Orfeo dal ‘47 al ‘69 (come pure le precedenti sei, a partire dal 1891) impiegarono l’ibrida, ma universalmente diffusa, versione Ricordi, mentre Muti nell’89 utilizzò appunto quella di Bärenreiter (fedele quindi all’originale del 1762, ma ovviamente con contralto-en-travesti). Quanto all’Orphée, l’edizione Bärenreiter è stata impiegata da Marc Minkowski per la sua produzione di Parigi del 2002 (peraltro con un diapason a 403, quindi un tono intero più basso rispetto all’odierno 440 e senza i balletti finali, registrati a parte). E la stessa edizione è quella che si vedrà e ascolterà alla Scala, che ha importato la produzione 2015 della ROH, lassù con Gardiner sul podio.

Al cui ascolto ci prepareremo (in corpore vili) nella prossima puntata.

(2. continua)