XIV

da prevosto a leone
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16 aprile, 2025

Orchestra Sinfonica di Milano - 24-25.24 – Tjeknavorian & Rossini

Un Auditorium stracolmo di pubblico - in religioso raccoglimento durante l’esecuzione e poi trasformatosi in una bolgia da stadio dopo l’ultimo accordo di SOL minore dell’orchestra – ha accolto questa nuova, grande prova del giovane Direttore Musicale, uno Stabat Mater che ci ha davvero coinvolto ed emozionato.

Plauso ovviamente da estendere all’Orchestra, in stato di grazia in ogni sezione, e al superlativo Coro di Fiocchi Malaspina.

Si discute sempre dell’eccessiva melodrammaticità di questo Rossini sacro. Ammesso che ciò abbia ancora rilevanza al di fuori della ristretta cerchia di puristi e custodi dell’ortodossia, direi che il Tjek se ne sia bellamente fregato, leggendo Rossini per quel che è (non ci sono Rossini buffi, seri o sacri, ma un solo straordinario genio, capace di eccellere in ogni campo e in ogni genere). Così il Direttore – che ha mandato a memoria anche queste 250 pagine! - ha interpretato l’agogica ora con sostenutezza e sapienti prese di respiro, ora con passo travolgente (come nelle colossali fughe) e lo stesso ha fatto con le dinamiche, tenendo sempre alto il contrasto fra piani e forti, e scolpendo così un sontuoso edificio musicale, che ci appare con tutte le qualità, insieme del teatro e della cattedrale.       

Francamente qualche riserva me la… riservo per i quattro solisti: appena sopra la sufficienza Benedetta Torre e piuttosto a disagio con la sua parte Martina Belli; Juan Francisco Gatell ha avuto la disavventura di incappare subito in una spiacevole acciaccatura proprio sull’impervio REb del Cuius animam, e forse ciò può aver condizionato anche il resto della sua non proprio brillantissima prestazione. Da elogiare invece il navigatissimo Nicola Ulivieri, distintosi sempre nei suoi impegnativi passaggi.

Le riserve sui solisti mi portano inevitabilmente a domandarmi (sospettare?) la ragione della scelta di affidare il Quando corpus morietur al coro e non ai singoli. Cito al proposito un passaggio del venerabile Alberto Zedda: …N.9 Quando corpus morietur, pagina di alta commozione capace di trasformare il terrore della morte in paradisiaco stupore, è stato pensato da Rossini per quattro voci soliste: la difficoltà di mantenere una corretta intonazione, resa problematica da procedimenti cromatici ed enarmonici che si prolungano per intensi episodi, ha fatto tradizionalmente preferire l’impiego dell’intero coro, ideale per realizzare con la giusta espressione i colori dinamici fondamentalmente basati su piano e pianissimo. Ed è un fatto che a Pesaro (e non solo làggiù...) il brano sia sempre affidato al coro. Il che però lo priva oggettivamente della sua intensità quasi metafisica; per intenderci: quella che caratterizza lo stesso brano in Pergolesi, del quale Rossini aveva una stima incondizionata.

Ma insomma, non sottilizziamo troppo e teniamoci stretto questo Tjek, che ormai mostra di non temere qualunque prova, e che rivedremo e ascolteremo per altri tre concerti verso la fine della stagione.

PS: chi desideri ascoltare (o ri-ascoltare) il concerto di ieri, inclusa la presentazione da studio di Barbieri e i commenti dalla sala di Bossini, può farlo grazie alla registrazione di mamma RAI.    


29 marzo, 2025

Orchestra Sinfonica di Milano - 24-25.22 – Tjeknavorian

Già poco dopo l’inizio della sua prima stagione come Direttore Musicale dell’Orchestra Sinfonica di Milano il rampante Tjek è diventato un idolo del pubblico e pure della critica, che gli ha assegnato di recente il prestigioso Premio Abbiati. Così ieri sera si è portato appresso anche la famigliola (a partire dal padre-d’arte Loris) in platea ad applaudirlo. [A proposito, chissà se è mai successo, o che effetto farebbe vedere padre e figlio in scena insieme, il primo sul podio e il secondo imbracciando il violino…]

Dopo lo Shostakovich patriottico, ecco ancora un programma tutto russo, con la coppia Borodin-Prokofiev, due personaggi curiosamente provenienti dalle periferie dell’impero zarista e poi sovietico: Georgia (il padre di Borodin) e Ukraina orientale (Prokofiev).

Di Aleksandr Borodin è in programma una selezione di brani da Il Principe Igor, precisamente:

1. Ouverture dell’opera,
2. Marcia dei guerrieri polovesiani (Preludio atto III),
3. Danza delle fanciulle polovesiane (secondo numero dell’Atto II),
4. Danze polovesiane (ultimo numero dell’Atto II).

Detto che la musica che si ascolta è un poco anche farina del sacco di Rimski e Glazunov, che si presero l’onere di completare una partitura lasciata dall’Autore come un colabrodo… c’è da dire che questo Borodin non a caso ricorda da vicino Musorgski, per la crudezza, quasi barbarie, dei temi di estrazione popolare che costellano la partitura. L’unica eccezione è quella rappresentata dalla sognante melodia delle fanciulle, poi ripresa dall’intero coro, che innerva la scena delle Danze polovesiane. [I diversamente giovani ricorderanno l’impiego di questo tema fatto nel musical Kismet, con il titolo di Stranger in Paradise, qui a 2’00”, che fece conoscere anche a parecchi musicomani l’esistenza di Borodin!]

Quasi sempre le esecuzioni in sala da concerto impiegano solo l’orchestra, ma questa signora Orchestra è anche affiancata da un gran Coro (diretto da Massimo Fiocchi Malaspina), il che ci ha consentito di ascoltare le Danze complete anche delle voci, così come previsto dall’Autore. Danze che hanno chiuso in gran spolvero un’esecuzione a dir poco entusiasmante.

Dobbiamo davvero ringraziare l’Orchestra, il Coro e i loro condottieri per questo autentico regalo – una cosa più unica che rara! - che ci hanno fatto. E il pubblico è letteralmente impazzito riservando a tutti un’accoglienza trionfale.

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Sergej Prokofiev, che già due settimane fa aveva monopolizzato il programma, torna con quella che personalmente considero una delle musiche più straordinarie prodotte nell’intero ‘900: il balletto Romeo & Giulietta, del quale abbiamo ascoltato un estratto dalle tre Suite, comprendente [numeri Suite da numeri Balletto]:

1. Danza del mattino [S3-2 da B-4]

2. La strada si risveglia [S1-2 da B-3]
3. Maschere [S1-5 da B-12]
4. Morte di Tibaldo [S1-7 da B-33-6-35-36]
5. Montecchi e Capuleti [S2-1 da B-7-13]
6. La giovane Giulietta [S2-2 da B-10]
7. Danza delle 5 coppie [S2-4 da B-24]
8. Romeo e Giulietta prima della separazione [S2-5 da B-38-39-43]
9. Romeo presso la tomba di Giulietta [S2-7 da B-51-52]

Impaginazione decisa dal Tjek in persona, pescando numeri dalle tre Suite proposte direttamente dall’Autore. Ma questa è musica talmente bella che qualsivoglia selezione e ordinamento dei brani garantisce infallibilmente il gradimento del pubblico.

Come è puntualmente accaduto anche ieri, dopo che l’ottavino ha guidato gli archi sul DO maggiore della conclusione spirituale, eterea, di Giulietta addormentata per l’eternità. Il Tjek ha imposto almeno 20 secondi di religioso silenzio; poi, l’entusiasmo incontenibile del pubblico ha letteralmente scosso l’Auditorium dalle fondamenta!

Fra Direttore e musicisti e fra entrambi e il pubblico si è instaurata un’atmosfera di totale comunione: un momento magico che speriamo duri il più a lungo possibile…


31 dicembre, 2024

Orchestra Sinfonica di Milano - 24-25.11

Fedeli all’ormai lunghissima tradizione, l’Orchestra Sinfonica e il Coro Sinfonico di Milano celebrano il Nuovo Anno con 4 esecuzioni della Nona Sinfonia di Beethoven, della quale quest’anno si celebra il 200° compleanno.

Dopo il battesimo di domenica, ieri c’è stata la prima replica, cui seguiranno le  altre due, oggi e domani.

A guidare strumenti e voci il Direttore Musicale Emmanuel Tjeknavorian, coadiuvato dal preparatore del Coro, Massimo Fiocchi Malaspina.

Sappiamo che Emmanuel è figlio d’arte, e qui possiamo ascoltare e vedere il paparino  Loris (oggi 87enne) mentre dirige proprio la nona ad Yerevan, capitale di quell’Armenia che aveva dato i natali ai suoi genitori, poi sfollati in Iran, dove lui è nato e da dove ha intrapreso le sue innumerevoli peregrinazioni in giro per il mondo, e in particolare a Vienna, dove nel 1995 è venuto alla luce Emmanuel, che oggi ne sta brillantemente seguendo le orme.

Come dimostra la sicurezza quasi irriverente con la quale ha affrontato questo autentico mostro, mandato tutto a memoria!

A partire dall’Allegro ma non troppo iniziale, con la misteriosa emersione del primo tema dalle brume della quinta vuota di RE minore, per far poi spazio alla delicata melodia in SIb maggiore e poi al dipanarsi di questa lunga, complessa e ardita costruzione in forma-sonata.

Poi lo Scherzo, che in particolare esercita sempre un fascino quasi sinistro: quel ritmo ossessivo lo rende simile ad un moto perpetuo che toglie il respiro. E il Trio, solo apparentemente più tranquillo, non fa che sostenere questa continua tensione (forse solo lo Scherzo dell’ottava di Bruckner è altrettanto invadente). Qui però mi tocca di fare una modesta critica al Tjek: averci risparmiato (proprio come papà Loris nella citata registrazione) i da-capo delle due sezioni dello Scherzo. A qualcuno potranno sembrare delle inutili lungaggini: in effetti sono almeno 5 minuti di musica, ma personalmente sono sempre felice di ascoltarli, e deluso se mancano all’appello.

Poi il Tjek si è rifatto ampiamente con l’emozionante Adagio.Andante, con le sue celestiali melodie che creano un’oasi di raccoglimento prima dell’esplosione del Finale. Dove celli e bassi si sono ancora una volta superati nel proporci a mo’ di austero recitativo quel Freude, schöner Götterfunken che poi le voci si incaricheranno d’innalzare al cielo nell’apoteosi conclusiva.  

E, a proposito di voci, I quattro solisti SATB (presentatisi, come consuetudine, prima dell’Adagio e dislocati al proscenio) hanno complessivamente ben meritato, a partire dal baritono coreano Jusung Gabriel Park che si è distinto nel recitativo che apre l’Ode schilleriana. Bene anche le due voci femminili, Elisabeth Breuer (soprano) e Caterina Piva (mezzosoprano, già ben nota ai palcoscenici italiani). Quanto al sudafricano di colore Katleho Mokhoabane, ha mostrato voce ben impostata, peccato però che manchi di qualche decibel: la sua frase che chiude con freudig, wie ein Held zum Siegen è stata purtroppo inghiottita dal pieno di orchestra e coro.

Il quale coro ha mostrato ancora una volta di cosa è capace, e giustamente Fiocchi Malaspina al termine è stato, come tutti, ampiamente ovazionato.

Serata davvero magica e trionfale, in un Auditorium pieno più di un uovo e con l’entusiasmo del pubblico che ha raggiunto il calor bianco. 


01 giugno, 2024

Orchestra Sinfonica di Milano – Stagione 23-24.24

Di tanto in tanto, l’Orchestra Sinfonica di Milano si (e ci) regala qualche escursione nel genere del teatro musicale. Questa volta tocca a Puccini (di cui si celebra il centenario della scomparsa…) e a Suor Angelicaalla sua seconda apparizione dopo quella di 18 anni orsono con Bisanti.

Questa produzione è realizzata in collaborazione con l’Accademia del Teatro alla Scala, da cui provengono 5 delle 7 interpreti dell’opera (Monica Zanettin e Silvia Beltrami sono le altre due). Per l’occasione torna per la terza volta sul podio dell’Auditorium il 34enne tarantino Vincenzo Milletarì, già ospite qui nel ’22 e ’23.

Serata per (quasi) tutte rappresentanti del genere femminile: oltre alle sette interpreti (dei 14 ruoli) anche la Direttrice del Coro di Voci Bianche (tutte ragazze) Maria Teresa Tramontin. A rappresentare il genere maschile, oltre al Direttore, è il Maestro del Coro Massimo Fiocchi Malaspina, con tenori e bassi che nel finale si aggiungono alle signore e alle voci bianche.    

I tre ruoli principali dell’opera, dal punto di vista musicale, sono senz’altro Angelica, Principessa e Genovieffa.

La protagonista del title-role si presenta esponendo la sua filosofia della bella morte, dove ogni umano desiderio è già realizzato prima ancora di manifestarsi, grazie all’intercessione della Beata Vergine. Poi la vediamo all’opera come esperta di medicina e farmacologia, quando prepara la pozione contro le punture di vespa; tornerà ad esercitare questa sua sapienza nel finale, allorquando preparerà la mortale bevanda per sé medesima. Poi la vediamo in preda all’ansia, all’annuncio di una visita che la riguarda; e subito dopo affrontare il drammatico incontro-scontro con la Zia Principessa, dove emerge la sua aperta ribellione contro i pregiudizi della società. Deve poi sopportare il devastante dolore alla notizia della morte del figlioletto. Da qui la decisione di darsi la morte per raggiungerlo in Paradiso, subito seguita dal pentimento per la consapevolezza della mortale peccaminosità del gesto. Infine, lo scioglimento della sua vicenda terrena nella celeste beatitudine.

Insomma, un ruolo complesso e dalle mille sfaccettature, che Puccini ha scolpito mirabilmente in musica. Ebbene, l’ormai veterana Monica Zanettin ha mostrato di sapersi calare assai bene in questa parte che alterna toni dimessi e riflessivi a scatti di passione, amor materno che arriva al sacrificio, ma anche disprezzo per la società che l’ha punita invece di comprenderla e aiutarla. Avesse un po’ più di penetrazione negli acuti sarebbe quasi perfetta. A lei è andato il maggior consenso del pubblico.

La Zia Principessa è la classica espressione femminile della società patriarcale in auge in quel lontano 1600 (ma le cui propaggini si spingono fino a noi…) Obbedienza cieca a principii ottusi; inflessibile esercizio dell’autorità: e disprezzo, in luogo di comprensione, per chi esce dalla retta via. La navigata Silvia Beltrami si è ben calata nella parte, facendo emergere con la sua solida voce contraltile tutta la freddezza e l’ottusa severità del personaggio. Anche con lei il pubblico è stato assai generoso. 

Genovieffa rappresenta l’ingenuità e la sincerità della gente comune. Sa apprezzare la bellezza di un tramonto; mostra premura nel ricordare una sorella defunta; non trova sconveniente avere desideri, se sono innocenti (agnellino = Agnus Dei…) e non animati dall’egoismo; mostra comprensione per l’ansia di Angelica. L’alfiere delle accademiche scaligere, Greta Doveri, l’ha efficacemente interpretata, accollandosi anche i ruoli marginali di seconda cercatrice e seconda conversa.

Le altre interpreti sono Elena Caccamo (Badessa + Suora zelatrice); Fan Zhou (Osmina, Dolcina, Novizia); Laura Lolita Perešivana (prima cercatrice, prima conversa) e Dilan Saka (Maestra e Suora infermiera). Le loro parti sono di portata quantitativamente limitata: accumunerei tutte in un giudizio lusonghiero. E il pubblico mi pare abbia fatto altrettanto.

Bene Milletarì, gesto sempre essenziale e precisione negli attacchi, che con questo Puccini evidentemente ha trovato una buona consonanza, valorizzandone al meglio questa difficile partitura. E l’Orchestra lo ha assecondato alla grande: da antologia tutto il finale, in cui è spiccato il mirabile passaggio (guidato dai violoncelli) che accompagna Lodiam! La Grazia è discesa dal cielo! di Angelica.

Hanno completato degnamente l’opera i cori di Tramontin e Fiocchi Malaspina. Alla fine, lunghi e convinti applausi per tutti, da parte di un pubblico assai folto e partecipe. Una serata davvero da incorniciare. 

30 dicembre, 2023

Capodanno con la Sinfonica di Milano

È lunghissima tradizione per laVerdi che l’appuntamento con l’anno nuovo (quattro concerti fra il 29/12 e l’1/1) abbia come messaggero quell’universale appello che prende il nome di Nona Sinfonia.

Anche quest’anno a dirigerla è il Direttore Emerito Claus Pater Flor, che fece il suo un po’ rocambolesco esordio sul podio dell’Auditorium proprio in occasione di uno storico Capodanno, quello del nuovo millennio.

Prima dell’inizio, a orchestra e coro già schierati, un preludio particolare: Massimiliano Finazzer Flory si è presentato al proscenio per leggere il famoso Testamento di Heiligenstadt, che il Beethoven ormai sulla strada della sordità sempre più grave scrisse nel 1802 ai fratelli, confessando che solo l’amore per l’Arte lo aveva convinto a resistere, vivendo e componendo, alla tentazione di farla finita.

E poi, ecco la Sinfonia che il genio di Bonn potè ascoltare solamente nella sua testa, dove del resto era nata e cresciuta: e nessuno può dire con certezza quanto i segni da lui lasciati sui righi della carta da musica corrispondano a ciò che risuonava nel suo orecchio interiore…

Flor ce l’ha proposta con cipiglio davvero teutonico: un primo movimento austero e cupo; poi uno Scherzo quasi demoniaco, martellante, protervo; lo stupefacente Adagio, commovente come sempre (peccato una macchiolina dovuta ad uno scarto di un corno verso la fine); e poi quell’immenso finale, con gli archi bassi ad introdurlo in modo impeccabile nell’iniziale recitativo.

E infine i solisti (dislocati appropriatamente al proscenio) e il coro di Fiocchi Malaspina, che hanno chiuso trionfalmente la serata. Tutte apprezzabili e da promuovere a pieni voti le voci di Lenneke Ruiten, Theresa Kronthaler, Patrik Reiter (questi ultimi due già positivamente cimentatisi in passato in Auditorium) e Modestas Sedlevičius (gran bella prestazione la sua, a partire dallo stentoreo recitativo di apertura).

Pubblico davvero oceanico che ha tributato applausi e ovazioni a tutti. Quindi un inizio di… fine d’anno più che promettente, che ci trasmette almeno un po’ dell’incrollabile fede di un sommo Artista nella Vita e nell’Uomo. E Dio solo sa quanto ce ne sia bisogno!