Fedeli
all’ormai lunghissima tradizione, l’Orchestra Sinfonica e il Coro Sinfonico
di Milano celebrano il Nuovo Anno con 4 esecuzioni della Nona Sinfonia di Beethoven,
della quale quest’anno si celebra il 200° compleanno.
Dopo il battesimo di domenica, ieri c’è stata la prima replica, cui seguiranno le altre due, oggi e domani.
A guidare strumenti e voci il Direttore Musicale Emmanuel Tjeknavorian, coadiuvato dal preparatore del Coro, Massimo Fiocchi Malaspina.
Sappiamo che Emmanuel è figlio d’arte, e qui possiamo ascoltare e vedere il paparino Loris (oggi 87enne) mentre dirige proprio la nona ad Yerevan, capitale di quell’Armenia che aveva dato i natali ai suoi genitori, poi sfollati in Iran, dove lui è nato e da dove ha intrapreso le sue innumerevoli peregrinazioni in giro per il mondo, e in particolare a Vienna, dove nel 1995 è venuto alla luce Emmanuel, che oggi ne sta brillantemente seguendo le orme.
Come dimostra la sicurezza quasi irriverente con la quale ha affrontato questo autentico mostro, mandato tutto a memoria!
A partire dall’Allegro ma non troppo iniziale, con la misteriosa emersione del primo tema dalle brume della quinta vuota di RE minore, per far poi spazio alla delicata melodia in SIb maggiore e poi al dipanarsi di questa lunga, complessa e ardita costruzione in forma-sonata.
Poi lo Scherzo, che in particolare esercita sempre un fascino quasi sinistro: quel ritmo ossessivo lo rende simile ad un moto perpetuo che toglie il respiro. E il Trio, solo apparentemente più tranquillo, non fa che sostenere questa continua tensione (forse solo lo Scherzo dell’ottava di Bruckner è altrettanto invadente). Qui però mi tocca di fare una modesta critica al Tjek: averci risparmiato (proprio come papà Loris nella citata registrazione) i da-capo delle due sezioni dello Scherzo. A qualcuno potranno sembrare delle inutili lungaggini: in effetti sono almeno 5 minuti di musica, ma personalmente sono sempre felice di ascoltarli, e deluso se mancano all’appello.
Poi il Tjek si è rifatto ampiamente con l’emozionante Adagio.Andante, con le sue celestiali melodie che creano un’oasi di raccoglimento prima dell’esplosione del Finale. Dove celli e bassi si sono ancora una volta superati nel proporci a mo’ di austero recitativo quel Freude, schöner Götterfunken che poi le voci si incaricheranno d’innalzare al cielo nell’apoteosi conclusiva.
E, a proposito di voci, I quattro solisti SATB (presentatisi, come consuetudine, prima dell’Adagio e dislocati al proscenio) hanno complessivamente ben meritato, a partire dal baritono coreano Jusung Gabriel Park che si è distinto nel recitativo che apre l’Ode schilleriana. Bene anche le due voci femminili, Elisabeth Breuer (soprano) e Caterina Piva (mezzosoprano, già ben nota ai palcoscenici italiani). Quanto al sudafricano di colore Katleho Mokhoabane, ha mostrato voce ben impostata, peccato però che manchi di qualche decibel: la sua frase che chiude con freudig, wie ein Held zum Siegen è stata purtroppo inghiottita dal pieno di orchestra e coro.
Il quale coro ha mostrato ancora una volta di cosa è capace, e giustamente Fiocchi Malaspina al termine è stato, come tutti, ampiamente ovazionato.
Serata davvero magica e trionfale, in un Auditorium pieno più di un uovo e con l’entusiasmo del pubblico che ha raggiunto il calor bianco.
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