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19 agosto, 2023

ROF-44 live - Aureliano

Il mio secondo passaggio al ROF-live ha avuto come oggetto Aureliano in Palmira, la produzione del 2014 firmata da Mario Martone, produzione che avevo abbastanza duramente criticato al suo apparire; critiche che la ripresa di Daniela Schiavone non ha per nulla fugato.

Come scrissi allora, in effetti si tratta di una messinscena di sconsolante banalità, priva di una qualunque cifra interpretativa: sembra il compitino in classe di un ragazzino cui si è fatta leggere la favola della regina Zenobia. Una cosa fra la scimmiottatura di Zeffirelli e la parodia di un filmaccio di Maciste. La scena dei pastori, in particolare, è di un deprimente… realismo: tre caprette che entrano sul palco a brucare stoppie! Velleitaria l’idea di mettere in scena il continuo (la brava Hana Lee al fortepiano): sarà pure più vicino ai cantanti, ma è 30 metri più lontano dal pubblico!

Ma davvero insopportabile è la trovata finale: per mostrare a tutti che la sua è una regìa impegnata, Martone che ti inventa? Mentre i protagonisti stanno cantando il concertato conclusivo, lui fa scendere un pannello su cui viene proiettata sopra la storia vera (!?) di Zenobia. Così il pubblico si impegna per leggere il pistolotto e si perde tutto il finale! Pistolotto che si conclude con un riferimento di tutta attualità: ciò che accade oggi in Medioriente, e in Siria-Iraq in particolare, altro non è se non uno strascico antimperialista di quelle vicende di 2000 anni fa; insomma, i criminali tagliagole dell’ISIS sono i nipotini di Zenobia! 
___
Avanzo qui un’altra considerazione, seguita da una domanda: dato che il trasferimento dal Teatro Rossini all’Arena (palcoscenico assai più vasto con in più la passerella che circonda l’orchestra) ha costretto necessariamente ad apportare modifiche piccole o grandi alla messinscena, non sarebbe stato il caso di cogliere l’occasione – che non tornerà tanto presto - per proporre dell’opera, anzichè la versione completa e lunghissima, quella più breve, pur prefigurata come la prima dall’edizione critica di Will Crutchfield? Il che avrebbe anche avuto un senso dal punto di vista filologico, nel rispetto degli obiettivi del Festival che ormai, chiuso definitivamente - con Eduardo & Cristina - il ciclo delle prime, deve necessariamente percorrere vie nuove. 

In effetti l’ascolto integrale dell’opera lascia intuire le ragioni del suo scarso successo lungo gli anni, e degli innumerevoli tagli cui è stata regolarmente sottoposta: a dispetto del grande spessore della musica, incredibilmente innovativa se pensiamo al 1813, la sua lunghezza smisurata e la scarsa consistenza del soggetto (si pensi solo allo stucchevole succedersi di battaglie, tregue, trattative cui seguono altre battaglie…) la rendono difficilmente digeribile nella versione completa.

Opera altamente innovativa, appunto, e non a caso Rossini dedicò alla composizione di Aureliano tempo e fatica insoliti per lui, in quei primi e vorticosi anni della sua produzione. Un chiaro indizio di ciò è il trattamento riservato alla Sinfonia: a differenza dei suoi successivi imprestiti (ad Elisabetta e Barbiere, opere dove non ha alcun riferimento ai contenuti)  motivati quasi esclusivamente da fretta e mancanza di tempo, qui la Sinfonia è parte integrante dell’opera, anticipandone alcuni motivi peculiari: l’introduzione lenta in MI maggiore, che udremo (trasposta in MIb) nel second’atto, allorquando Arsace si inoltra nei boschi dopo essere fuggito dalla prigione di Aureliano; la sezione finale del primo tema (in MI minore); il cantabile in SOL maggiore (seconda sezione del secondo tema) e il successivo famoso crescendo e cadenza conclusiva che chiudono il primo atto.

Insomma, Rossini qui fece le cose con il massimo impegno e la massima cura, e i risultati si sentono! E se ne rese conto lo stesso Autore che, a dispetto dello scarso successo delle prime rappresentazioni alla Scala, pescò abbondantemente nell’Aureliano per successive opere; a parte la sinfonia, ne riutilizzò, rielaborandole ma senza renderle irriconoscibili, alcune melodie: il coro iniziale (Sposa del grande Osiride) fu impiegato nel Barbiere per la cavatina d’esordio di Lindoro (Ecco ridente); la cabaletta di Arsace (Non lasciarmi in tal momento) divenne parte dell’aria di Rosina (sempre nel Barbiere); e di lì a poco anche il Sigismondo mutuerà più di uno spunto dall’Aureliano.
___ 

Ieri sera il pubblico (Arena non proprio esaurita) ha tributato un grande successo alle due voci femminili del cast: Sara Blanch, una Zenobia che non fa rimpiangere la sontuosa Pratt del 2014; la perla è stato il suo MIb sovracuto (Per donarvi libertà) che ha fatto impazzire gli spettatori; e poi l’Arsace di Raffaella Lupinacci, che nel 2014 impersonò la più modesta (come parte) Publia, quest’anno affidata alla promettente Marta Pluda: due perle le sue desolate esternazioni dopo le batoste subite in battaglia. Ma anche insieme, le due hanno scatenato l’entusiasmo del pubblico, culminato in un interminabile applauso dopo il duetto finale, chiuso sulla passerella, sopra il podio del Direttore.

Alexey Tatarintsev ha a sua volta riscosso consensi: più per gli stentorei acuti (DO e REb) sparati con grande sicurezza, che non per la prestazione complessiva, dove ha mostrato ancora qualche limite, che potrà superare continuando a impegnarsi con studio e dedizione.

Degli altri, detto del discreto ritorno di Marta Pluda, una menzione va ad Alessandro Abis, che ha dato risalto alla parte limitata quantitativamente del Gran Sacerdote. Bene anche il Licinio di Davide Giangregorio, mentre come Oraspe (nel 2014 era quel Dempsey Rivera poi prematuramente scomparso) Sunnyboy Dladla ha mostrato qualche carenza di penetrazione della voce, pur chiara e ben impostata. Elcin Adil si è dignitosamente comportato nella piccola parte del pastore.

Su buoni standard il coro del Teatro della Fortuna di Mirca Rosciani, che ha qui una parte assolutamente di rilievo.

Del Direttore ateniese George Petrou devo confermare la buona impressione fatta alla prima alla radio: gesto sobrio, attacchi puliti, agogiche sostenute e dinamiche settecentesche, come si addice a questo dramma serio; qualità messe in luce già dall’esecuzione della famosa Sinfonia. L’Orchestra Rossini si merita a sua volta un encomio per la brillantezza del suono e la compattezza mostrata in tutte le sezioni.

In definitiva, un meritato successo per tutti, ferme restando (ma qui parlo per me soltanto) le perplessità sull’allestimento. 

13 agosto, 2023

ROF-44 via radio - Aureliano

Ieri a Pesaro è stata la volta di Aureliano in Palmira, una produzione del 2014 firmata da Mario Martone, oggi ripresa da Daniela Schiavone. Produzione che – ahimè – mi lasciò piuttosto perplesso (per non dir di peggio) come commentai severamente su queste pagine. (Chissà se il ri-allestimento ha portato… consiglio, staremo a vedere più avanti.)

Viceversa il lato musicale (almeno a giudicare dalla diffusione radio) ha suscitato impressioni più che positive.

Il Direttore George Petrou, specialista del barocco (con il suo ensemble è stato recentemente ospite alla Scala con Carlo il Calvo) mi è parso perfettamente a suo agio con questo Rossini che lui (intervistato da Oreste Bossini) ha definito romantico (beh, insomma…) Il suo approccio non mi è parso poi tanto distante da quello di Will Crutchfield, l’editore critico della partitura, che diresse appunto nel 2014: tempi piuttosto sostenuti e austeri, come si addice a questo lavoro del pesarese (che ci aveva dedicato gran cura, per il suo esordio in Scala); e grande attenzione alla gestione degli innumerevoli recitativi accompagnati che costellano la partitura, caratterizzandola proprio come opera seria.     

L’Orchestra Rossini l’aveva già preparata a dovere e poi suonata 9 anni fa con Crutchfield ed evidentemente ha fatto tesoro di quell’esperienza. Il coro invece allora era quello di Bologna (prima del divorzio dal ROF) ed oggi gli è subentrato meritoriamente quello del Teatro della Fortuna, diretto da Mirca Rosciani.

Molto positive le prestazioni delle voci, a partire dall’ispanica Sara Blanch (uscita dall’Accademia 10 anni orsono) che ha sfoggiato le sue grandi doti virtuosistiche e i suoi acuti per rivestire al meglio il personaggio della Principessa amante e guerriera. Ottima anche la prestazione di Alexey Tatarintsev (due anni fa efficace Éliézer nel Moïse) che ha sciorinato la sua voce squillante e penetrante e alcuni iper-acuti staccati quasi con facilità. E poi Raffaella Lupinacci, passata dal ruolo di Publia del 2014 a quello ben più impegnativo di Arsace: che lei ha sostenuto con pieno merito, in tutte le diverse sfaccettature di questo complesso personaggio. All’altezza dei loro compiti gli altri comprimari.

Franco successo quindi per l’intera compagnia.

15 giugno, 2023

Il barocco in concerto alla Scala

Ieri sera al Piermarini il lutto nazionale si è chiuso giusto in tempo per garantire l’unica recita, in forma concertante, di Carlo il Calvo di Nicola Porpora. E così scongiurare anche prevedibili contestazioni – tipo Regio di Torino - in caso di richiesta del minuto di raccoglimento. Sala per la verità con ampi vuoti (forse anche causati dai problemi di circolazione nella zona, legati agli strascichi del funerale di Stato…) poi ulteriormente cresciuti all’intervallo, ma assai ben disposta per questo barocco che mostra di avere tuttora schiere di appassionati cultori.

Per curiosa coincidenza il soggetto dell’opera, da risibile fumettone pseudo-storico, è diventato di immanente attualità, proprio a fronte della scomparsa del tycoon: la spartizione del bottino della sua colossale eredità, politica e materiale!

Come prevedibile (e già successo a Vienna in passato) l’esecuzione senza messinscena ha consigliato/comportato un’ampia sforbiciata ai recitativi secchi: il vantaggio è ovviamente la massima concisione e la prevalenza del flusso puramente musicale; ma a scapito della piena comprensibilità della trama. Certo, chi fra gli spettatori non si è adeguatamente preparato in anticipo, ha solo potuto limitarsi a godere delle note di Porpora (cosa comunque sempre gratificante); oppure ha cercato aiuto nel testo pubblicato sul programma di sala per seguire lo sviluppo del plot, in assenza del servizio (sempre precario peraltro) legato ai piccoli display in dotazione al teatro.

E ai suoni ha provveduto l’Orchestra ellenica Armonia Atenea, guidata dal suo Direttore George Petrou, indiscusso specialista del barocco, già protagonista dell’esecuzione di Bayreuth del 2020 in forma scenica (oltre che di quella di Vienna in forma di concerto). Un ensemble ieri costituito da 12 archi principali (6-3-3) più due celli e un basso per il continuo (con fagotto) e da 6 fiati (2 oboi, 2 corni, 2 trombe) cui aggiungere timpani e cembalo. In tutto quindi 24 elementi.   

Della citata esecuzione erano presenti quattro dei sette interpreti, precisamente: il controtenore Franco Fagioli (Adalgiso); il soprano Julia Lezhneva (Gildippe); il controtenore Max Emanuel Cenci (Lottario) e il soprano Suzanne Jerome (Giuditta). Ai quali si sono aggiunti qui il mezzosoprano Ambroisine Bré (Edvige); il controtenore Dennis Orellana (Berardo); e il tenore Stefan Bonnick (Asprando).

Quanto ai contenuti musicali, oltre ai tagli ai recitativi, ieri sono state omesse alcune arie, per la precisione:
Atto I, scena 6, Berardo, Sai, che fedele io sono;  
Atto I, scena 9, Giuditta, Pensa, che figlia sei;  
Atto II, scena 1, Gildippe, Se veder potessi il core;  
Atto II, scena 4, Asprando, Temer della sorte;  
Atto III, scena 1, Edvige, Quello che sente il cuore;  
Atto III, scena 7, Giuditta, Quel che miri, o figlio;  
Atto III, scena 8, Adalgiso, Con placido contento.  

Due arie sono state ridotte alla sola prima strofa (AA’) e private della seconda e della ripetizione:
Atto I, scena 7, Edvige, Pender da’ cenni tuoi;  
Atto II, scena 9, Gildippe, Amore è un certo foco.

Mantenute le due arie auto-imprestate:
Atto II, scena 13, Lottario, Se tu la reggi al volo (da Ezio);
Atto III, scena ultima, Gildippe, Come nave in mezzo all’onde (da Siface).

L’esecuzione è stata suddivisa in due parti, abbastanza equilibrate come durata: la prima comprendeva l’intero Atto I e il secondo fino all’aria di Lottario (Quando s’oscura il cielo); la seconda il resto dell’Atto II e l’intero Atto III. Rispetto a quanto annunciato sul sito e poi in teatro (rispettivamente 2h40’ e 3h) la durata della recita (intervallo incluso) si è protratta per 3h20’ (!)
___
Interpreti tutti all’altezza, con punte di diamante la Gildippe di Julia Lezhneva e l’Adalgiso di Franco Fagioli, davvero strepitosi (mirabile il loro duetto del terz’atto, un autentico tesoro musicale). Ma sugli scudi anche il Lottario di Max Emanuel Cenci e tutti gli altri interpreti, sempre accolti da regolari applausi a scena aperta al temine di ciascuna aria.

Alla fine, molti minuti di applausi all’intera compagnia (cui si è mescolato inizialmente un isolato quanto ingiustificato dissenso dalla seconda galleria, o ho sentito male?) a testimonianza dell’interesse e del gradimento suscitati da questa coraggiosa proposta del Teatro.

11 giugno, 2023

Primizie scaligere: arriva Carlo il Calvo

Dopo la prima apparizione assoluta di Rusalka, la Scala propone un’altra primizia, nel campo del barocco, sia pure solo in forma di concerto: si tratta di Carlo il Calvo di Nicola Porpora, un’opera composta per Roma e colà rappresentata nel 1738. Siamo già ai tempi in cui, dall’originale, severo recitar-cantando della Camerata de’ Bardi e di Monteverdi, si era passati (a partire da Venezia) al recitar-gorgheggiando, con l’assoluta centralità assunta dal ruolo dei cantanti e delle loro mirabolanti evoluzioni virtuosistiche, che finivano per mettere in secondo piano anche i più mirabili e ispirati contenuti musicali.  

La produzione è mutuata da quella della Markgräfliches Opernhaus di Bayreuth (sì, lassù non c’è solo il teatro di Wagner…) che nel settembre 2020 l’ha messa in scena in forma (quasi) integrale con un team che in gran parte è anche protagonista a Milano: Direttore (George Petrou), Orchestra (Armonia Atenea) e 4 interpreti su 7.

Come si vede nel video, la pandemia a Bayreuth non aveva impedito una rappresentazione normale, anzi (più sotto è riportato lo schema dei contenuti musicali dell’opera come lassù rappresentata). Pochi giorni dopo invece, a Vienna l’opera fu presentata dallo stesso team in forma concertante e senza intervalli (per via del Covid). La durata fu portata a circa 2h20’, rispetto alle 3h40’, due intervalli esclusi (! a proposito di Wagner…) di Bayreuth (atto I: -29’ su 86’; atto II: -18’ su 72’; atto III: -26’ su 56’). I corposi tagli riguardarono quasi tutti i recitativi ed anche alcune delle arie che nell’originale (non a Bayreuth, dove una è stata tagliata e due aggiunte da auto-imprestiti da altre opere) sono 26, più un duetto e il coro finale.

È abbastanza lecito immaginare che alla Scala venga seguito lo stesso approccio di Vienna, tutt’al più (stante l’ora di inizio alle 20) ci potrà essere un intervallo (o al massimo due… ancora il sito scaligero non riporta tempi).  

Il libretto, da L’innocenza giustificata del veneziano Francesco Silvani - musicato da vari compositori, come spesso capitava a quei tempi – ha come soggetto un’intricata trama che si svolge alla corte dell’appena defunto Imperatore Lodovico, nel nono secolo. I personaggi sono sette, più il ruolo del titolo che è impersonato da un bimbetto – Carlo, appunto – che non canta (anche se il libretto – non la partitura - lo farebbe cantare proprio nelle ultime battute dell’opera). A Bayreuth per animare lo spettacolo si è fatto ricorso a innumerevoli comparse, immaginate a partire dai fatti pregressi sommariamente descritti in fronte al libretto a stampa.

A meno di non limitarsi (ma è già molto!) ad ascoltare passivamente le arie di Porpora, che sono tutte bellissime, ma ahinoi fatte – come si usava a quei tempi – con lo stampino (classica struttura AA'-B-AA') è consigliabile prendere un minimo di dimestichezza con il plot, a partire da una sommaria conoscenza con i 7 personaggi che lo movimentano.

Il controtenore Lottario (che sarebbe poi Lotario, nipote di CarloMagno) è l’Imperatore in carica. La sua matrigna Giuditta (soprano) che ha sposato suo padre Lodovico, ha avuto da quest’ultimo un figlio, Carlo appunto, che va ad aggiungersi alle sue due figlie di primo letto (Gildippe, soprano ed Edvige, mezzosoprano). Prima di morire, il vecchio Lodovico, evidentemente per contraccambiare Giuditta delle sue premure, aveva deciso che parte dell’Impero sarebbe dovuta andare al giovin Carlo, a scapito di Lottario.

Di qui l’astio di Lottario per la matrigna e il piccolo fratellastro. Ma anche per il proprio figlio Adalgiso (controtenore) che si è fatto conquistare dalle grazie di Gildippe e quindi parteggia per la di lei madre e per il piccolo ziastro.

Su questo terreno entrano poi – sui due fronti contrapposti - altrettanti disinteressati consiglieri: Berardo (controtenore) da sempre confidente di Giuditta (qualche calunniatore insinua pure che se la sia ingroppata e che sia addirittura padre di Carlo) la quale gli mette a disposizione… Edvige; e Asprando (tenore) pronto a qualunque nefandezza pur di garantirsi le grazie di Lottario.

Ecco, conosciuti i protagonisti non resta che informarci sommariamente sulla vicenda oggetto dell’opera; e per farlo si può partire dalla lettura della succinta sinossi gentilmente offertaci sul sito del Teatro. Dopodichè… buon barocco a tutti!
__        
Struttura musicale dell’Opera (recitativi esclusi) con varianti di Bayreuth

Legenda colonne: Atto/Scena – Aria/Recitativo accompagnato/Duetto/Coro – Protagonista – Titolo - Tempo inizio – Tempo fine – Durata canto – Note (Inizio e fine dal video citato)

In giallo le varianti di Bayreuth.

A/S
R/A/a
Prot
Contenuto/Titolo
Inizio
Fine
Dur
N
 
 
 
Overtura - Allegro
50”
3’02”
2’12”
 
 
 
 
Overtura - Lento
3’24”
4’34”
1‘10”
 
 
 
 
Overtura - Contradanza
4’35”
5’25”
50”
 
I-2
A
LOT
Vado nello splendore
8’50”
14’45”
5’55”
 
I-3
A
ASP
Col passeggiar talora
16’05”
20’45”
4’40”
 
I-4
A
ADA
Tornate tranquille
22’10”
28’30”
6’20”
 
I-5
A
GIL
Sento che in sen turbato
29’20”
35’00”
5’40”
 
I-6
A
BER
Sai, che fedele io sono
36’55”
42’25”
5’30”
 
I-7
A
EDV
Pender da’ cenni tuoi
43’10”
48’00”
4’50”
 
I-8
A
LOT
Se rea ti vuole il cielo
51’55”
55’35”
3’40”
 
I-9
A
GIU
Pensa, che figlia sei
57’20”
1h01’50”
4’30”
 
I-10
A
GIL
Se nell’amico nido
1h02’50”
1h13’20”
10’30”
1
 
 
 
Marcia
 
 
 
2
I-11
A
GIU
Vorresti a me sul ciglio
1h16’15”
1h19’10”
2’55”
 
I-13
R-acc
ADA
O cieli! O cieli!
1h19’33”
1h20’28”
55”
 
 
A
ADA
Saggio nocchier
1h20’30”
1h27’10”
6’40”
 
 
 
 
Fine Atto I
 
1h27’10”
57’17”
 
 
A/S
R/A/a
Prot
Contenuto/Titolo
Inizio
Fine
Dur
N
II-1
A
GIL
Se veder potessi il core
1h31’25”
1h33’55”
2’30”
 
II-2
A
ADA
Taci, oh Dio!
1h35’40”
1h42’40”
7’00”
 
II-3
A
LOT
Quando s’oscura il cielo
1h44’45”
1h53’20”
8’35”
 
II-4
A
ASP
Temer della sorte
1h55’40”
1h59’50”
4’10”
 
II-7
R-acc
GIU
Misera! O cielo!
 
 
 
2
 
A
GIU
Tu m’ingannasti, oh Dio
 
 
 
3
II-8
A
BER
Per voi sul campo armato
2h01’25”
2h05’30”
4’05”
 
II-9
A
GIL
Amore è un certo foco
2h06’20”
2h12’20”
6’00”
 
II-10
A
EDV
Il provvido cultore
2h13’00”
2h20’15”
7’15”
 
 
A
GIU
Tu m’ingannasti, oh Dio
2h21’35”
2h24’50"
3’05”
3
 
 
 
Marcia
 
 
 
2
II-11
R-acc
BER
Guerrieri, ecco l’arena
 
 
 
2
 
A
LOT
Se tu la reggi al volo
2h27’35”
2h31’50"
4’15”
4
II-14
A
ADA
Spesso di nubi cinto
2h32’10”
2h39’30”
7’20”
 
 
 
 
Fine Atto II
 
2h39’30”
54’15”
 
 
A/S
R/A/a
Prot
Contenuto/Titolo
Inizio
Fine
Dur
N
III-1
A
EDV
Quello, che sente il cuore
 
 
 
2
III-2
A
BER
Su la fatal arena
2h41’30”
2h45’15”
3’45”
 
III-3
R-acc
ASP
Misero, e dove sono
2h45’28”
2h46’40”
1’12”
 
 
A
ASP
Piena di sdegno in fronte
2h46’40”
2h49’50”
3’10”
 
III-4
D
ADA GIL
Dimmi che m’ami, o cara
2h54’25”
3h07’05”
12’40”
 
III-6
A
LOT
So che tiranno io sono
3h14’40”
3h18’55”
4’15”
 
III-7
A
GIU
Quel che miri, o figlio
3h19’30”
3h21’35”
2’05”
5
III-8
A
ADA
Con placido contento
3h22’30”
3h27’20”
4’50”
 
 
A
GIL
Come nave in mezzo all'onde
3h29’25”
3h33’40”
4’15”
6
III-11
C
 
Ecco alfin che il fosco orrore
3h34’25”
3h35’55”
1’30”
 
 
 
 
Fine Atto III
 
3h35’55”
29’42”
 

 Note:

1. Come da partitura; testo nel libretto: Vedersi togliere l’amato bene
2. Taglio
3. Spostata dopo la Scena 10
4. Dall’opera Ezio    
5- Aria troncata dopo la sezione AA'
6. Dall’opera Siface