XIV

da prevosto a leone
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15 settembre, 2019

MITO-2019 - Marin rimpiazza Temirkanov al Conservatorio


Altra stazione del MITO, in un Conservatorio stracolmo, dove purtroppo il venerabile Yuri Temirkanov, annunciato sul programma originario, ha dovuto dare forfait (ancora una volta... managgia, ma mica si può criminalizzare un 81enne dalla salute malferma se si vede costretto a disdire appuntamenti; o lo giudichiamo alla stregua di una qualunque starlette capricciosa che si prende gioco di tutto e di tutti?) sostituito dal solido, ma non ancora venerabile, austro-rumeno Ion Marin a dirigere i Filarmonici di SanPietroburgo.

Programma testa-coda: una prima italiana e una... millesima mahleriana.

L’apertura è stata però una... cerimonia: presenti la Presidente e il Direttore artistico del MITO, nonchè l’immancabile maieuta Gaia Varon, l’Assessore DelCorno ha infatti premiato il compositore James MacMillan con il prestigioso Sigillo della città, in omaggio al suo consolidato sodalizio con Milano. E proprio del compositore scozzese abbiamo ascoltato la prima italiana del Larghetto for Orchestra, trascrizione strumentale di un brano per coro a cappella del 2009 (originariamente dedicato al complesso londinese The Sixteen) intitolato Miserere (tratto dal Salmo 51). La strumentazione è del 2017 e fu dedicata al 10° anniversario di Manfred Honeck come guida della Pittsburgh Symphony, dei quali si può apprezzare proprio la prima esecuzione (suggerisco di scaricare l’mp3 per poi ascoltarlo su iTunes o altro player).

Mentre il Miserere può essere scambiato - ad un ascolto naïf - per gregoriano o fiammingo, il Larghetto, introducendo modiche dosi di armonia, si presenta quasi come un lavoro di primo-novecento, sospeso fra diatonismo e atonalità. Lo schema che segue consente di allineare i versi del Miserere al Larghetto: i tempi indicati si riferiscono alla citata esecuzione di Honeck a Pittsburgh.

Larghetto
Miserere
21”
.
1’11”
.
2’02”
.
2’40”
.
3’40”
.
4’22”
.
5’08”
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5’50”
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6’28”
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7’04”
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7’34”
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8’01”
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8’32”
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9’42”
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10’06”
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10’41”
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11’18”
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11’57”
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12’39”
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13’31”
.
Miserere mei, Deus,
secundum magnam misericordiam tuam.
Et secundum multitudinem miserationum tuarum,
dele iniquitatem meam.
Amplius lava me ab iniquitate mea:
et a peccato meo munda me.
Quoniam iniquitatem meam ego cognosco:
et peccatum meum contra me est semper.
Tibi soli peccavi, et malum coram te feci:
ut justificeris in sermonibus tuis, et vincas cum judicaris.
Ecce enim in inquitatibus conceptus sum:
et in peccatis concepit me mater mea.
Ecce enim veritatem dilexisti:
incerta et occulta sapientiae tuae manifestasti mihi.
Asperges me hyssopo, et mundabor:
lavabis me, et super nivem dealbabor.
Auditui meo dabis gaudium et laetitiam:
et exsultabunt ossa humiliata.
Averte faciem tuam a peccatis meis:
et omnes iniquitates meas dele.
Cor mundum crea in me, Deus:
et spiritum rectum innova in visceribus meis.
Ne projicias me a facie tua:
et Spiritum sanctum tuum ne auferas a me.
Redde mihi laetitiam salutaris tui:
et spiritu principali confirma me.
Docebo iniquos vias tuas:
et impii ad te convertentur.
Libera me de sanguinibus, Deus, Deus salutis meae:
et exsultabit lingua mea justitiam tuam.
Domine, labia mea aperies:
et os meum annuntiabit laudem tuam.
Quoniam si voluisses sacrificium, dedissem utique:
holocaustis non delectaberis.
Sacrificium Deo spiritus contribulatus:
cor contritum, et humiliatum, Deus, non despicies.
Benigne fac, Domine, in bona voluntate tua Sion:
ut aedificentur muri Jerusalem.
Tunc acceptabis sacrificium justitiae, oblationes, et holocausta:
tunc imponent super altare tuum vitulos.

Brano davvero di grande effetto, che i sanpietroburghesi hanno perfettamente introiettato per poi restituirlo ad un pubblico che ha ascoltato in religioso silenzio, prorompendo alla fine in un calorosissimo applauso: per gli esecutori e per l’Autore, tornato sulla ribalta a ringraziare.
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La super-inflazionata Titan-Sinfonie ha poi chiuso la parte ufficiale della serata. A partire dalla Mahler-renaissance del dopoguerra, chissà quante volte le pareti della vetusta Sala Verdi hanno accolto e riverberato i Naturlaute e i fracassi di quest’opera... ricordo personalmente un’esecuzione degli anni ’70, con l’Orchestra RAI-MI e un ventenne israeliano di belle speranze (quel Daniel Oren che in questi giorni è protagonista del Rigoletto alla Scala) dirigerla danzando sul podio come un orso da circo ed accompagnandola con rantoli e urla strozzate! 

Ieri sera i Filarmonici-della-Neva, pur orfani del loro condottiero, hanno offerto una prova magistrale: grazie ai buoni uffici del compassato ma un po’ gigionesco Marin, naturalmente, ma soprattutto - credo io - alla loro perfetta intesa, che li fa assomigliare ad una macchina (come si cerca di fare oggi nel campo automobilistico) che sa perfettamente districarsi da sola anche in mezzo al traffico più caotico! Insomma: difficile stabilire il nesso causa-effetto fra i suoni prodotti dall’Orchestra e le mossette del Direttore... 

Trionfo assicurato e congedo con un Brahms ungherese

21 aprile, 2017

Alla Scala ultime cartucce di una Bolena non poi così derelitta

 

Ieri penultima recita della bistrattata Anna Bolena che la Scala ha importato dalla Francia, dove non era certo stata accolta con entusiasmi nelle sue apparizioni da 4 anni a questa parte. Così alla prima al Piermarini aveva finalmente collezionato sul suo libretto anche il riprovato del pubblico scaligero. 

L’altro giorno, a proposito di Rossini e della Gazza, avevo espresso un mio personale convincimento che riapplico qui a Donizetti e alla sua Bolena: basta una proposta artistica appena appena decente per farmene (farcene?) apprezzare la grandezza. Ho ancora nelle orecchie quella incredibile rappresentazione del 19 marzo 2012 al Comunale di Firenze dove l’opera venne data – causa sciopero - senza l’orchestra, rimpiazzata da un solo pianoforte: beh, fu un autentico trionfo! Dovuto sul piano musicale al duo Devia-Ganassi e su quello scenico alla regia di Vick.

Ebbene, la proposta artistica di questa Bolena mi sembra che galleggi tranquillamente sopra il livello di sufficienza; quindi, a meno che non sia straordinariamente migliorata nelle quattro precedenti repliche, non mi pare si meritasse le stroncature senza appello della prima. Certo, dalla Scala ci si aspetterebbe assai di più, ma in senso assoluto non mi sentirei di usare il pollice verso.

Ampia sufficienza darei alla parte musicale, con la piacevolissima (per me) sorpresa costituita da Federica Lombardi, che deve avere doti naturali di livello assoluto: voce dal timbro caldo e corposo, in particolare nei centri e negli acuti (certo lei non è la Devia e i MIb gratuiti li lascia perdere) e sensibilità interpretativa già più che convincente. Insomma, una bella realtà che – se ben coltivata -ha davanti un futuro luminoso.

Con lei Sonia Ganassi, che viene da un passato luminoso, ma che ancora sa imporre la sua personalità: splendido in particolare il duettone del second’atto con la Lombardi. Buone notizie anche da Piero Pretti, bella voce squillante e ben impostata, capace di salire senza affanni ai DO. Su un piano dignitoso le prestazioni di Mattia Denti e della (travestita) Martina Belli (meglio l’aria della canzone d’esordio). Onesto e promettente l’accademico Giovanni Sebastiano Sala.

Discorso a parte per Carlo Colombara, uscito malconcio dalla prima e purtroppo buato (unico nel cast) anche ieri sera. Certo non mi ha entusiasmato, tuttavia non è incorso in svarioni o topiche clamorose: una prestazione che definirei incolore, e quindi la contestazione mi è parsa un po’ troppo severa (personalmente mi sarei limitato a non applaudire, ecco).

Sarà anche etichettabile come routine, ma la direzione di Ion Marin non mi ha per nulla deluso, così come il coro di Casoni, sempre all’altezza della sua fama. In sostanza, una performance musicale non strepitosa, ma più che passabile, sottolineata da molti applausi a scena aperta e calorosa accoglienza (Colombara escluso) alla fine.
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La regìa di Marie-Louise Bischofberger è di quelle che non suscitano entusiasmi: le scene di Erich Wonder sono di un minimalismo assoluto che si può spiegare (insieme con la cupa ambientazione delle luci di Bertrand Couderc) con l’obiettivo di concentrare tutta l’attenzione sullo scavo psicologico dei personaggi. E qui la regista qualcosa di buono ha in effetti proposto. Passabili i costumi di Kaspar Glarner, con qualche cappottone di troppo.

In conclusione, una proposta debole rispetto alle aspettative che sempre un teatro come la Scala suscita, ma complessivamente dignitosa: insomma, ciò che si può discutere, al solito, è il rapporto price/performance...