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03 ottobre, 2024

Il fanciullo Mozart a Milano.

Il più piccolo teatro di Milano per la più piccola Serenata del piccolo Mozart!

Questa simpatica definizione, di Angelo Foletto, ben sintetizza l’evento ospitato ieri nella bomboniera del Teatro Gerolamo, a Milano.

Dove sono risuonate, per la prima volta in Italia, le note di questa miniatura di musica notturna del Mozart bambino, grazie all’iniziativa della Fondazione dell’Orchestra Sinfonica di Milano.

La serata si è aperta con il saluto della Presidente della Fondazione, Ambra Redaelli, che ha ringraziato la Direzione del Teatro, con la quale è in atto un sodalizio culturale (vi vengono eseguiti i concerti della Stagione da Camera dell’Orchestra) e ha ricordato con quale e quanto entusiasmo laVerdi abbia affrontato l’impervia impresa di eseguire questa primizia, a meno di 15 giorni dalla sua presentazione al mondo (Salzburg, 19/9/24).   

Si è poi entrati nel vivo della serata, con l’arrivo sul palco dei tre moschettieri de laVerdi, protagonisti dello storico evento: Luca Santaniello, spalla dell’Orchestra, e due delle prime parti, la capofila dei secondi violini, Lycia Viganò, e quello dei violoncelli, Tobia Scarpolini.

Chiudendo gli occhi, per ignorare l’assenza di parrucchini e la presenza di uno spartito-tablet sfogliato da Santaniello con un… piede, si poteva avere una precisa sensazione dell’atmosfera in cui si godeva musica 260 anni fa!

Un’esecuzione invero apprezzabile, anche in piccoli dettagli che mostrano persino il rispetto delle usanze dell’epoca, come i piccoli abbellimenti introdotti dagli interpreti, nei raccordi e nelle ripetizioni dei da-capo!

A questo punto è toccato ad Angelo Foletto di raccontarci qualcosa su questa scoperta, inquadrata nell’ambito della produzione mozartiana. A partire dalla costruzione del catalogo delle opere del genio di Salzburg, in origine compilato dal padre Leopold e poi dallo stesso Wolfgang. Fino a giungere al quel 1862, quando uno scienziato e musicista dilettante, Ludwig von Köchel, pubblicò l’omonimo catalogo, classificando cronologicamente tutte opere (conosciute al tempo) di Mozart con la numerazione KV (Köchel Verzeichnis). Catalogo arrivato oggi alla nona edizione, che include, appunto, la minuscola serenata appena tornata alla luce.   

Foletto si è chiesto quanto sia certa la paternità dell’opera, che non si può garantire al 100%, date le circostanze, ma ha concluso che ci piace immaginarla così, semplicemente perché la troviamo esteticamente e stilisticamente bella, e vicina a tutto ciò che Mozart comporrà in seguito.

E proprio una di queste composizioni, posteriore di pochi anni alla minuscola serenata, è il Quartetto in SOL (KV156) del 1772, che prese forma a Milano, durante uno dei viaggi in Italia del Mozart ancora ragazzino. Quartetto che è stato eseguito dal trio di strumentisti della serenata cui si è aggiunta la prima parte delle viole, Gabriele Mugnai.

Dopo questa perla, prima di congedarsi, il trio Santaniello-Viganò-Scarpolini non ci ha fatto mancare un bis: la Boloneso (che gli studiosi interpretano come Polonaise), quarto dei sette movimenti della minuscola serenata, le cui 14 battute (8+6) Santaniello (riprendendo Foletto) considera uno dei semi da cui nascerà il gigantesco albero della produzione mozartiana.   


02 giugno, 2019

laVerdi 18-19 - Concerto n°31


Oggi pomeriggio è toccato al Direttore Principale Ospite (al suo quarto appuntamento) offrirci il penultimo concerto della stagione 18-19.

Ancora Brahms in locandina, a chiusura dell’integrale di sinfonie e concerti dell’amburghese. In programma quindi il Doppio (violino e violoncello) ultima fatica del compositore nel campo dei brani per grande orchestra. Una strana coppia sostiene le parti solistiche: al violino la spalla de laVerdi, Luca Santaniello, che solo eccezionalmente si alza dalla sua sedia... e una specialista di violoncello ormai affermata - benchè soltanto ventenne! - in campo internazionale, Erica Piccotti. Per l’occasione Stefano Borali, che suonò in Orchestra... nel secolo scorso (per i primi 5 anni dalla fondazione) ha preso il posto di Konzertmeister.

È un Brahms assai cerebrale e ostico, quello dell’Op.102, ma i due riescono a rendercelo gradevole, e non solo nel lirico Andante centrale. Tecnica sopraffina e grande affiatamento, assolutamente necessario per una buona riuscita del concerto. Completa l’opera l’Orchestra, che Fournillier fa dialogare con i solisti senza mai... metterli in secondo piano.  

Dopo il funambolico bis (la Passacaglia che Halvorsen ha tratto da Händel) Ruben Jais esce sul palco per congratularsi con la bravissima Erica e per festeggiare il compleanno di Luca, imitato dall’Orchestra che intona la celebre tanti auguri a te...
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Ecco poi l’apoteosi della danza (copyright Richard Wagner) al secolo la Settima beethoveniana. Che Fournillier presenta con piglio quasi forsennato (se si esclude l’Allegretto, ovviamente) ottenendo effetti fin esagerati, dei quali va a ringraziare di persona ogni prima parte ed ogni sezione dell’orchestra.

Per lui e per tutti ovazioni da stadio.

03 marzo, 2017

2017 con laVerdi – 10


Riecco Zhang Xian sul podio de laVerdi per un concerto tutto russo, con una quasi primizia (per l’Orchestra) seguita da un autentico cavallo di battaglia.

Ecco quindi l’apertura con il Prokofiev della difficile, ostica e poco eseguita Sesta Sinfonia. Composta poco dopo la splendida Quinta, alla fine della WW2, e presentata a Leningrado dal fido Mravinsky nel 1947, godette un immediato quanto effimero successo di pubblico e critica, presto annullato dall’inappellabile e sommaria sentenza di Zhdanov&C: formalismo antisovietico!

Per gli ottusi censori di Stalin tutto ciò che tovarisch Stakanov non riusciva a canticchiare e fischiettare dopo il primo ascolto era musica degenerata e chi l’aveva composta meritava il disprezzo e magari il gulag... E guarda caso la Sesta è musica non orecchiabile, in gran parte cupa, tetra, sofferta.

La stessa struttura formale è piuttosto indecifrabile: a parte i tre soli movimenti (e questo sarebbe il meno) l’iniziale Allegro moderato appare di difficile inquadramento, a prima vista sembra la pura giustapposizione di tre temi che vengono presentati in successione, e poi riproposti ancora: molto labilmente vi si può riconoscere un simulacro di forma-sonata, oltretutto assai eterodossa dal punto di vista dei rapporti tonali. Il secondo tema tornerà poi ciclicamente, ma apparentemente avulso dal contesto, proprio nelle battute finali della sinfonia.   

Ecco come ce la propone Evgeny Mravinsky in una registrazione fatta precisamente a 20 anni di distanza dalla prima, sempre con la sua Filarmonica di Leningrado.
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L’iniziale Allegro moderato (6/8 – 9/8 – 4/4 in MIb minore) è introdotto da 10 battute di lugubri rintocchi di ottoni e archi bassi, che creano uno scenario a dir poco spettrale. Come detto, si può assai vagamente parlare di forma-sonata: esposizione dei tre temi (A, B, C), quindi sviluppo (praticamente del solo tema A) e ricapitolazione dei temi B-C-A, più una coda.

Il primo (16”) è un cupo tema in MIb minore, in violini primi e viole, che sale alla tonica partendo, contrariamente al normale, invece che dalla dominante, dalla sottodominante: LAb-SIb-DOb-MIb. Da qui la melodia si dipana con metro trocaico (semiminima-croma) alternato a terzine di crome, che le conferisce un senso di inquietudine e di instabilità. Dopo un primo intervento dei legni, che riprendono il tema in forma variata, esso viene esposto da oboe e fagotto (41”) in tonalità di LA minore, quindi a distanza di un tritono (cosa di per sè sinistra!) dal MIb di impianto.

Presto però (51”) una velocissima scala discendente dei primi violini ci riporta al MIb per un ponte dove il tema A viene rielaborato dalle diverse sezioni orchestrali sfociando (1’16”) in un insistito inciso trocaico che prelude (1’26”) al ritorno del tema A in violini primi e viole. Gli segue un nuovo ed esteso sviluppo, chiuso (2’51”, tempo Poco più sostenuto) da un’ennesima variante che rallenta il tempo fino ad introdurre (3’09”, Moderato) il secondo tema (B) in SI minore, altra tonalità piuttosto distante dal MIb d’impianto: come si vede si tratta di concatenazioni tonali che creano un’atmosfera tutt’altro che serena e rassicurante.

Questo secondo tema – esposto inizialmente per due volte dagli oboi in ottava, mutua dal primo l’andamento ondeggiante dovuto alle terzine di crome (in 6/8) che si susseguono alternate a momenti di relativa calma (battute in 9/8). Alla seconda esposizione degli oboi (3’21”) è preceduto da una scala ascendente (dalla sensibile LA alla dominante FA#) che richiama l’attacco del primo tema, con il quale questo secondo è quindi visibilmente apparentato. Un controsoggetto (3’35”) lo completa, prima che venga esposto (3’48”) da violini primi e viole e ancora (4’03”) ripreso liricamente dal corno.

Dopo un trillo sul LA grave del clarinetto, ecco (4’32”) un improvviso Allegro moderato aperto dai primi violini con veloci semicrome che salgono per quasi tre ottave dal LA grave fino al FA# acuto, dove una variante del tema A (quasi si trattasse di rondò) esplode nell’intera orchestra, per poi spegnersi a poco a poco, finchè (5’05”) gli archi bassi tornano allo stesso tema A (MIb ottenuto per enarmonia come RE#) subito reiterato con decisione e quindi ancora (5’22”) in LA# (=SOLb) fino a perdersi su una quinta vuota (MIb-SIb) di oboe, corno inglese, fagotto e archi bassi.

Ora si presenta (5’44”, Andante molto) il terzo tema (C) in 4/4, introdotto da una scansione ritmica affidata a fagotti e pianoforte. È il corno inglese (6’02”) ad esporlo insieme alle viole. Poi (6’42”) questi lo reiterano anche con l’aiuto dei primi violini, mentre l’orchestra li acccompagna con pesanti accordi. La melodia è tanto nobile quanto carica di accenti dolorosi, completando così il quadro di questo movimento che sembra parlarci di sofferenze e lutti. La tonalità è dapprima indistinta, poi il RE minore si fa avanti ed infatti ecco che (7’22”, Allegro, 6/8) in questa tonalità (ancora un’apparente bizzarria se misurata sui canoni della forma-sonata) torna il primo tema (A) negli archi.

La lunga sezione che segue è considerabile come un sviluppo di forma-sonata, poichè il tema A vi viene sottoposto a poderose manipolazioni e tutta l’orchestra ha modo di sbizzarrirsi in grandi galoppate, interrotte da squarci più lirici, ma caratterizzate da proterve scansioni ritmiche e reiterate esplosioni di rumore. Il tutto poi si placa e conduce, dopo un’oasi di calma, al ritorno (potremmo chiamarlo l’inizio della ricapitolazione?) del tema B, che riudiamo (9’58”, Moderato) nella tonalità di impianto (MIb minore, questa volta secondo i canoni della forma-sonata) esposto prima dal corno poi dal corno inglese quindi da oboi violini primi e viole, ancora da corno, ottavino e flauto.

Dopo una breve transizione si arriva quindi (11’17”, Andante molto, 4/4) alla riproposizione del tema C, nel corno inglese e nelle viole, cui poi si aggiungono violini e oboi. La tonalità vira al SIb minore e vi rimane in vista dell’arrivo (12’09”, Allegro moderato, 6/8) del tema A, che sembra prendere la rincorsa fino ad esplodere (12’21”) su un MIb armonizzato come terza di DOb maggiore! Il quale MIb si va spegnendo (12’27”) in tempo Andante verso una coda, che porta alla sommessa chiusura, nel grave, sull’accordo (inaspettato?) di MIb maggiore.

Il centrale Largo (4/4 – 3/4) reca 4 bemolli in chiave, ma certo il LAb maggiore (e meno ancora la relativa FA minore) si faticano a distinguere con chiarezza. La tonalità è sempre aspra, a causa dei cromatismi a volte esasperati e solo in un paio di occasioni si ritrovano squarci di un certo lirismo.     

Il movimento è aperto (13’16”) e sarà poi chiuso da un motivo ancora una volta piuttosto lugubre, nei legni, che scende dal MIb con saltelli cromatici e si ferma dapprima sul DO e poi su LAb. Viene ripreso (13’42”) dai violini a partire dal LAb per chiudere dapprima sul FA e ancora (14’05”) sul LAb. I temi principali sono fondamentalmente due (A e B):



Il primo (14’13”) è in carico a violini primi e tromba e si muove sempre sulla tonalità di LAb. Ancora una volta è un motivo assai poco rassicurante, intriso di cromatismi e dissonanze, che sfocia (14’40”) in un inciso dal sapore parsifaliano (Amfortas) e poi modula verso SOL minore e ripresenta (15’32”) quello stesso inciso. Poco dopo l’atmosfera si fa rarefatta e corno inglese e corni preparano l’arrivo di un secondo tema (B) anch’esso di carattere piuttosto dimesso, nobile ed austero, esposto (16’20”) da fagotto e violoncelli, in MIb e sviluppato (16’59”) dai legni fino a spegnersi su veloci figurazioni di corno inglese, fagotto e degli archi.

Un motivo apparentemente nuovo, in realtà mutuato dal tema A, compare adesso (17’32”) negli archi, in tonalità di MI maggiore, chiaro indizio di uno squarcio di lirismo e pace, dove ritroviamo (18’07”) l’inciso parsifaliano. Qui inizia però una sezione assai animata e turbolenta, caratterizzata da pesanti interventi (18’18”) di crome in fortissimo dei legni, accompagnati dal pizzicato degli archi e da secchi colpi del legno (percussione). Subito dopo toccherà ai timpani esplodere micidiali scariche di colpi, alternate ad altri secchi interventi di legni e archi, finchè (19’03”) i fagotti intervengono a calmare l’atmosfera, preparando una nuova sezione lirica di sapore mahleriano (primo tempo della settima) dominata (19’16”) dai corni in DO maggiore.

Una sommessa dissonanza (DO-SI) nei violini (20’11”) sfociante in un RE tenuto introduce isolate e rapide figurazioni (20’24”) nei legni rotte da due secchi interventi di piano-arpa e ottoni; la cosa si ripete (20’44”) per portare però (21’08”) ad una nuova oasi romantica con i corni (tonalità SIb maggiore e poi DO maggiore). E il DO supporta la ripresa (21’48”) nei violini del tema A, che è protagonista di un’autentica perorazione, culminante (22’21”) in un’esplosione di fortissimo generale, mentre i violini sviluppano la melodia passando ancora (22’55”) per la citazione parsifaliana. 

Ancora fortissimo per un passaggio a FA minore (23’01”) che poi via via si modera per riportarci (23’31”) al motivo dell’introduzione, ripreso praticamente pari-pari, nelle due sezioni, e quindi seguito da una lenta cadenza (illuminata da un rapido recitativo dell’oboe) che si spegne sul LAb.

Vivace (2/4, MIb maggiore) è il tempo conclusivo, che contrasta in modo smaccato con ciò che lo ha preceduto, tale è il brio e l’entusiasmo che lo muovono... ma vedremo che il finale ci riserverà un’amara sorpresa. Due sono i temi principali:

  
Il primo tema viene subito esposto dai primi violini (25’31”) sopra un ritmo sghembo degli altri archi. Dopo una proterva interruzione dell’orchestra, che modula plagalmente a LAb, esso viene ripreso (25’42”) in questa tonalità dal clarinetto, che gli conferisce un carattere esilarante. Un controsoggetto meno brillante (25’53”) gli subentra momentaneamente, in attesa (26’07”) di una riesposizione del tema nei violini (MIb) e (26’15”) nel clarinetto (LAb). Ora troviamo un’ulteriore modulazione a SOLb e da qui passiamo ad uno sviluppo del tema, che impegna ancora l’orchestra in ripetuti sussulti, poi torna il controsoggetto e infine somno i fagotti (26’40”) ad attaccare una melopea che fa da transizione verso il secondo tema.    

Tema B che appare (27’03”) in DO maggiore nei legni, un tema assai lungo e cantabile, che in seguito (27’37”) viene ripreso anche con il supporto dei violini primi. Un suo controsoggetto (28’06”) viene esposto da flauto e corni e ci porta alla ripresa (28’28”) del tema A in MIb nei violini e quindi (28’37”) in LAb nel clarinetto. Inizia qui uno sviluppo del tema A di notevoli proporzioni, in un’atmosfera che si è fatta più cupa e inospitale, con frequenti irruzioni di bordate di ottoni e pianoforte e ripetute apparizioni dell’inciso iniziale del tema.

A conclusione di questo sviluppo (30’36”) ecco riapparire nei legni il tema B, adesso in SIb maggiore (in luogo del precedente DO). Altra modulazione (30’55”) del tema B a SOLb maggiore e poi ecco una vera e propria scena-madre: a 31’19” si torna a SIb maggiore, dove il tema A nei violini si contrappunta mirabilmente con il tema B in tromba e corni! Poi, mentre i violini insistono con le veloci semicrome del tema A e i corni si limitano a brevi e sporadici interventi, i legni sparano alcune rapide discese in staccato, fino a chiudere questa sezione con il ritorno al MIb maggiore di impianto.

Il tema A (31’54”) è ora esposto dall’intera orchestra, con grande corposità di suono e poi ripetuto (32’03”) nella sottodominante LAb. Ancora i corni (32’14”) ad esporre un controsoggetto assai ampio, contrappuntato poi (32’25”) di violini. Il tema A (32’39”) viene poi a lungo sviluppato, con irruzioni dei legni e velocissime discese degli stessi supportati dal pianoforte. Ancora una pesante transizione (32’58”) affidata agli ottoni, poi (33’23”) sono i fagotti, cui si aggiunge il clarinetto basso, a guidare una lenta cadenza che porta ad un allargando dove il suono si spegne su un FA in corona puntata.

Adesso (33’57”) ecco ciò che il cipiglio del Vivace non lasciava presagire: gli oboi  (Andante tenero) raggiunti poi dal corno inglese e ancora dopo dai flauti, ripropongono mestamente, in MIb minore, il tema B del movimento iniziale! Su un tremolo di SIb minore (34’52”) di violini secondi e viole si stagliano ancora due incisi di oboi e corno inglese, poi (35’09”) altro tremolo (SOLb) e i legni scagliano un nuovo lancinante urlo, virando a MI naturale, il tutto ripetuto dopo una pausa.

Torna (35’43”) il tempo Vivace, come prima, ma come prima per nulla allegro e sereno: dopo una carica crescente di archi bassi, legni, poi ottoni e quindi archi, ottoni e pianoforte, ecco (35’59”) un’autentica esplosione di tutta l’orchestra, un caduta inarrestabile che sfocia su secche semiminime di ottoni, pianoforte e archi, seguite (36’12”) da autentiche martellate e infine da una velocissima rincorsa di legni e archi in semicrome che chiude la sinfonia su un incredibile schianto di MIb maggiore!
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Che dire? Pessimismo mescolato a pazzia? Dolore invano esorcizzato con risate isteriche? Schizofrenia galoppante? Tutte spiegazioni extramusicali, ovviamente, buone per un poema sinfonico, forse. I suoni, se ascoltati senza pregiudizi o aspettative socio-filosofico-letterarie, lasciano francamente (parlo per me, natürlisch) una sensazione di incompiutezza e forse di impotenza creativa, ben mascherate dalla proverbiale maestria dell’Autore nell’impiego della tavolozza sonora.

La Sinfonia non è fra i cavalli di battaglia de laVerdi (un paio di isolate esecuzioni in tutta la sua storia ulraventennale) e anche la Xian non deve averla diretta molto. Tuttavia mi è sembrata un’esecuzione assolutamente apprezzabile, che il pubblico ha accolto con sufficiente calore, anche se senza entusiasmi da stadio, ecco...
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Ben diverso il discorso su Shéhérazade (qui alcune mie vecchie note in merito) che i ragazzi conoscono a meraviglia, a partire dal protagonista (en-travesti...) Luca Santaniello, che ogni volta aggiunge qualche particolare tocco di espressività ai suoi... racconti volti ad imbonire lo sbifido sultano. E poi, diciamolo pure, questo Rimski non pone certo all’ascoltatore problemi di decifrazione dei contenuti musicali! Così ecco un’altra grande prestazione di tutti e il ritorno... dell’entusiasmo in platea.

09 dicembre, 2016

laVERDI 2016 – Concerto n°37


Ultima apparizione di Zhang Xian sul podio dell’Auditorium in veste di Direttora Musicale de laVERDI (ciò non significa che sparirà per sempre dai Navigli... già nella stagione prossima tornerà per ben 4 concerti!) In programma tutto e solo Beethoven e (quasi) tutti e soli esecutori autarchici, tanto che il concerto sa molto di saggio di fine anno a scuola.

Nicolai Freiherr von Dellingshausen (co-spalla dell’Orchestra, con Santaniello) apre le due parti del concerto esibendosi nelle due Romanze per violino e orchestra: dapprima la più conosciuta (op.50, in FA) e poi con l’op.40 in SOL. Si tratta di lavori chiaramente disimpegnati, ma Beethoven è sempre lui, anche quando si prende qualche attimo di pausa. E il bravo Nicolai si prende i meritati applausi per la sua onorevole prestazione.
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Appunto la spalla storica Luca Santaniello si unisce a Mario Shirai Grigolato (primo violoncello) e al pianista volante Roberto Cominati (che torna qui dopo qualche tempo) per il Concerto triplo. I due agli archi lo avevano già proposto anni fa sempre con Xian e rimando a un post dell’epoca per alcune note sui contenuti del brano.

Se, con una battuta irriverente, dirò che la cosa più interessante è stata vedere Cominati con gli occhiali... non credetemi: un’esecuzione più che dignitosa, se si tiene conto che questo è un pezzo solo apparentemente facile (doveva suonarlo al piano un mezzo principiante, l’Arciduca Rodolfo, allievo del Maestro) ma in realtà ha una struttura e corposità non proprio banali.

Certo, chi ha nelle orecchie esecuzioni come questa magari farà lo schizzinoso, ma io dico bravi a tutti non fosse altro che per averci permesso di godere di questo quasi-capolavoro.
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La chiusura è occupata dalla Quarta sinfonia. Sinfonia pari, quindi sempre sommariamente relegata fra le cenerentole. Così ovviamente non è: l’Introduzione lenta sarà pure un ricordo di Haydn, ma contiene novità mica da poco, con modulazioni enarmoniche che definire ardite (per quei tempi) è ancora poco; il primo tema dovette sembrare un pugno in faccia nell’anno di grazia 1806; il copista meccanicamente scrisse in testa al terzo tempo Menuetto (!) senza accorgersi che non solo è uno Scherzo, ma proprio... da prete (smile!)


Insomma, una signora sinfonia, certo più sulla scia della seconda che della terza, ma sappiamo che anche la seconda non è per nulla una cosuccia trascurable, ecco.

Xian non perde più il vizietto (mica solo suo, s’intende) di cassare brutalmente ogni da-capo, con ciò rendendo a mio modestissimo avviso un cattivo servizio alla Sinfonia. I ragazzi però compensano con una prestazione che questa volta non ha alcuna pecca e si merita prolungate acclamazioni.

31 gennaio, 2016

laVERDI 2016 – Concerto n°5


Programmazione insolita (niente giovedi e/o venerdi, ma sabato e domenica, e vedremo perchè...) per il quinto concerto stagionale de laVERDI, che ha proposto opere di Ciajkovski, Respighi e Schumann, brani tra loro lontani nel tempo e nei contenuti.

Di Ciajkovski è stata eseguita un’opera giovanile (in origine un esercizio di Conservatorio): trattasi dell’Ouverture in Fa maggiore nella seconda stesura del 1866. Della prima, di un anno più vecchia, eseguita in origine da studenti del Conservatorio di SanPietroburgo (quello di Rubinstein Anton, dove Ciajkovski studiava) erano andate perse - anzi, pare proprio date alle fiamme dall’Autore medesimo - le tracce, ma poi si è riusciti a ricostruirne la partitura e a renderne possibile l’esecuzione. Qui un esempio con una vecchia conoscenza de laVERDI alla guida dei radiofonici moscoviti. Come si noterà, sono poco più di sei minuti di musica, piuttosto acerba, ma che lascia intravedere stilemi che caratterizzeranno la produzione matura di Ciajkovski.

La seconda versione, predisposta su invito di colui (Rubinstein Nikolay) che stava per fondare il Conservatorio rivale (quello moscovita, dove Ciajkovski insegnò) e ascoltata qui, oltre ad irrobustirsi nella quantità (quasi raddoppiando la durata e impiegando un organico assai rinforzato, soprattutto negli ottoni) si distingue per un maggiore respiro sinfonico ed anche per una certa enfasi (vedi la coda) che ritroveremo in più di una delle sei sinfonie che Ciajkovski snocciolerà nel seguito della sua carriera. Eccone un’eccellente interpretazione di Mikhail Pletnev con i suoi nazionali russi.

Nulla da dire sull’esecuzione dei ragazzi, che è servita a... scaldare i motori.
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Ecco poi un Respighi poco eseguito, quello del Concerto gregoriano per violino e orchestra, qui interpretato dal Konzertmeister titolare de laVERDI, Luca Santaniello.

Opera del 1921, non è parente nemmeno lontano dei concerti classici o romantici: il titolo tradisce chiaramente l’approccio di Respighi, che intende rifarsi alle più profonde radici della musica occidentale. La citazione letterale – nel centrale Andante - della sequenza Victimae Paschali laudes ne è una testimonianza incontrovertibile:

  
In quest’opera il solista, più che un eroe che sfida torme di agguerriti nemici, è un salmodiante che unisce la sua voce a quella di un coro di salmodianti: il che comporta una quasi totale mancanza di contrasti e invece una continua simbiosi dell’individuo con la comunità. Eccone una preziosa esecuzione storica (1991) di Uto Ughi.

Bene, Santaniello non sfigura affatto al confronto con il gigante veneziano, meritandosi applausi ed ovazioni. E così ringrazia tutti con uno dei fantastici tangacci di Piazzolla.
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Ha chiuso il programma la Seconda di Schumann, di cui avevo scritto qualcosa più di 5 anni fa, quando era risuonata in Auditorium sotto la bacchetta di sir Neville Marriner. È la più complessa (e sofferta, forse) delle sinfonie schumanniane, come testimonia il movimento iniziale, dove l’esposizione dei due temi (55 battute, più il da-capo) fa la figura di una fugacissima apparizione fra l’introduzione e lo sviluppo, che occupano (con la coda) le restanti 336 battute!  

Trascinante davvero la prestazione dei ragazzi, che cavano fuori tutta la luminosità di quest’opera, che è in contrasto stridente con le depressioni psichiche di cui l’Autore soffriva (e che si sarebbero presto aggravate). Successo pieno e meritato.
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Adesso Caetani, Santaniello e l’Orchestra si preparano ad una trasferta sicuramente eccitante: poichè nei prossimi giorni riproporranno (con piccole varianti) questo stesso programma nientemeno che... a casa di Mozart!

05 aprile, 2014

Orchestraverdi – Concerto n°28

 

Ancora Xian sul podio (ci tornerà anche la prossima settimana) per una nuova puntata di tutto-Mozart!

Dopo l’Ouverture del DonGiovanni, suonata da Xian con fiero cipiglio, ecco il piatto forte della serata (con tutto il rispetto per la K550!) che è la Sinfonia Concertante della quale sono protagonisti due alfieri de laVerdi: Luca Santaniello e Gabriele Mugnai, sostituiti sulle loro sedie abituali da Dellingshausen e Yamagishi.

Composta nell’ormai divenuta insopportabile (per lui) Salzburg del Colloredo, al ritorno da un lungo viaggio (che aveva toccato Mannheim e poi Parigi, dove gli era… toccato di seppellire la mamma) è un’opera mirabile, che rivela un Mozart ormai adulto e pronto per le prossime grandi tappe (Idomeneo in testa, scritto anch’esso avendo in mente la favolosa orchestra di Mannheim, da lui diretta nelle recite di Monaco) della sua pur breve esistenza.
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Oggi è diventata poco più che una curiosità, ma c’è un particolare da notare subito, ed è la prescrizione di Mozart riguardo l’accordatura della viola: che deve essere di un semitono più alta rispetto al resto dell’orchestra. Ovviamente, per compensare l’effetto di tale accordatura, la parte della viola, invece che in MIb (la tonalità d’impianto dell’intero brano) è notata in RE (un semitono sotto):

Il risultato, in termini di altezza dei suoni, non cambia (con il temperamento equabile, suonare un RE con strumento accordato un semitono sopra equivale esattamente a suonare un MIb con l’accordatura normale) ma cambia assai – oltre che per maggior comodità di esecuzione per il solista - in termini di timbro e risonanza (caratteristiche legate, fra le altre variabili, alla tensione delle corde dello strumento, che ovviamente cresce innalzando l’accordatura e fa produrre quindi armoniche diverse): l’effetto complessivo è quello di una maggior penetrazione del suono della viola, che compensa sua la cupezza naturale e le consente di dialogare con il violino da-pari-a-pari, senza farsi risucchiare dal vortice orchestrale.

Mozart era un esperto violista, e questo è solo un piccolo esempio della cura e della perspicacia che metteva nelle sue composizioni. Per la verità la sua prescrizione è caduta in… prescrizione, anche a seguito dei miglioramenti tecnici apportati via via allo strumento (le corde, appunto) che ne hanno migliorato la qualità e potenza del suono; e ormai quasi nessuno la segue più, salvo che qualche patito di HIP (Historically Informed Performance).

Per la cronaca e per fare altri esempi, anche Richard Strauss, nel Don Quixote, per un passaggio della Variazione 3, chiederà alla viola solista (che scimmiotta Sancho Panza) di accordare in SI anzichè DO la quarta corda (la più bassa) evidentemente per abbrunarne ulteriormente il suono. E questo procedimento di scordatura applicherà anche Mahler nel secondo movimento della sua Quarta sinfonia, laddove al violino solista si richiede di impiegare uno strumento accordato precisamente un tono più in alto (corde in LA-MI-SI-FA# anziché SOL-RE-LA-MI) rispetto agli altri (che suonano in DO minore, con 3 bemolli in chiave). Il violino ha la parte notata in SIb minore (5 bemolli) esattamente un tono sotto rispetto agli altri: stessa altezza di suoni quindi, ma diverso timbro, assai più stridulo (proprio come voleva l’Autore) a seguito della maggior tensione delle corde:

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Questa sinfonia concertante è un vero gioiello, che raggiunge il massimo della preziosità nell’Andante centrale in DO minore, il cui tema principale è una delle pagine più strabilianti dell’intera produzione musicale:

I due moschettieri de laVerdi ne hanno dato – ben supportati da Xian e dai compagni, in formazione ridotta e con le file dei violini arretrate di un paio di metri per mettere loro in maggior risalto - un’interpretazione invero splendida, accolta da autentiche ovazioni. Insomma, è bello constatare che non siamo ancora al punto di dover rimpiangere certi mostri sacri del passato (come i due Oistrakh - con Menhuin sul podio! – in questa storica esecuzione ripresa a Londra, anni ’60).

E per ringraziare il pubblico osannante – e invero oceanico – che gremiva l’Auditorium, i due lo hanno poi deliziato con un indiavolato bis di Piazzolla, in un arrangiamento dedicato proprio da Gabriele a Luca.
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Si è chiuso in bellezza con la celeberrima Sinfonia in Sol minore, nella versione con i clarinetti (originariamente boicottati da Mozart). Grande prestazione di tutti e accoglienza davvero trionfale.

13 novembre, 2013

Orchestraverdi – Concerto n°9

 

Resta sul podio Zhang Xian per proporre, nel ventennale della fondazione de laVerdi, l’identico programma del primo concerto che la neonata orchestra tenne al Conservatorio quel sabato 13 novembre del 1993, sotto la bacchetta del suo mitico co-fondatore Vladimir Delman.

Questa sera, prima del concerto, i massimi responsabili gestionali (presidente Cervetti e dg Corbani) e lo storico Konzertmeister Luca Santaniello hanno rievocato i giorni e le vicende di quella pionieristica e anche parecchio pazza impresa. Che però ha dato i frutti che oggi sono sotto gli occhi di tutti.

Entrando in sala si nota subito la mancanza del… podio. In compenso la sedia di Santaniello è sostituita da un seggiolone da contrabbassista. Sì perché in Ciajkovski sarà lui a guidare con l’archetto e i cenni del capo il pacchetto degli… archi, alcuni dei quali, come Luca, protagonisti di quel primo concerto di 20 anni fa.

E suonano divinamente anche senza Maestro (nell’Elegia confesso che mi son venute le lacrime agli occhi). Però qualcuno lassù a guardarli e guidarli c’era: proprio il leggendario Vladimir, la cui inconfondibile effige campeggiava sui due schermi posti sopra le loro teste.

Successo straordinario: direi che sono musicisti che nulla hanno da invidiare ai colleghi delle orchestre più blasonate del pianeta. Così ci deliziano ancora con la sezione finale del Walzer.

Poi torna il podio per accogliere Zhang Xian che ancora una volta ci propone la sua visione della Fantastique. Senza mezze misure, con la manopola del contrasto girata sul massimo. E senza far mancare nessuno degli effetti speciali (tipo l’oboe di Emiliano Greci posto stereofonicamente dietro le quinte) o il contrappunto dei… timpani (sempre nella scena campestre).

Un bicchiere di spumante per tutti ha chiuso i festeggiamenti. Dopo la replica di domani si dovrà però sudare assai: è in agguato il padre prodigo Chailly con la sinfonia dei mille!

01 febbraio, 2013

Orchestraverdi – concerto n.20


Riecco in Auditorium Aldo Ceccato, per riprendere dopo un po’ di tempo (e di acciacchi…) il ciclo dedicato all’intera produzione orchestrale di Antonin DvořàkLe quattro opere presentate in questa occasione (in un Auditorium tornato al suo affollamento… medio) si collocano in un decennio (1873-1883) più o meno baricentrico rispetto alla produzione del compositore boemo, le cui prime opere risalgono al 1856 e le ultime al 1893.

Nella prima parte del concerto ascoltiamo una Ouverture e due brani per violino e orchestra, interpretati dal Konzertmeister di casa, Luca SantanielloCeccato (per tutto il concerto) sposta i quattro corni alla sua destra, sotto i tromboni, facendo traslare a sinistra il pacchetto degli strumentini: scelta evidentemente meditata, e del resto una costante di Ceccato in questo repertorio.

L’Ouverture Husitskà è una composizione del 1883 di carattere commemorativo (l’epopea, risalente al Rinascimento, delle lotte civili e religiose degli adepti di Jan Hus) e come tale ha un tasso elevato di retorica ed enfasi, inversamente proporzionale a quello dell’ispirazione (non vorrei sembrare offensivo, paragonandola alla quasi coeva ciajkovskiana Ouverture 1812 - smile!) Dvořàk, ormai compositore maturo e famoso, la costruisce peraltro con perizia e mestiere, giustapponendo nelle tre sezioni i due temi: quello del Cristianesimo povero ma buono (di Venceslao, per intenderci) e quello degli Hussiti, riformatori-ribelli alla Chiesa romana del cristianesimo degenerato (cattivo e secolarizzato) che poi vengono a fondersi nel finale ottimistico.

Su questo tema patriottico, più profondo era stato l’approccio – pochi anni prima – di Smetana, che aveva costruito sul corale hussita l’intero quinto poema sinfonico (Tábor) e uno scorcio del sesto (Blaník) del ciclo Vlast:

L’interpretazione di Ceccato francamente mi è parsa di basso profilo, forse proprio per ridurre al minimo l’enfasi… però resta il fatto che quella è la partitura e non mi pare la si renda migliore attenuandone i contrasti. Un esempio per tutti, la cadenza finale, veramente moscia moscia.
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Luca Santaniello (stasera rimpiazzato sulla sedia di spalla da Dellingshausen) si pone ora al centro dell’attenzione con i due brani successivi. Il primo dei quali è la Romanza per violino e orchestra in Fa minore. Opera composta nel 1873 per accompagnamento di pianoforte e pochi anni dopo ripresa per l’accompagnamento orchestrale. Opera piena di freschezza ed anche di una certa leziosità. Curioso che vi si trovi una cadenza del solista che ricomparirà molti anni più tardi nel finale del Concerto di Sibelius:


Segue a ruota la Mazurek in Mi minore per violino e orchestra. Pezzo brillante, à la Sarasate, di uno Dvořàk ormai avviato alla notorietà (1879).

Impeccabile la prestazione di Santaniello, che ci regala un bis bachiano, facendosi accompagnare in pizzicato dai colleghi della sezione archi.
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Nel percorso a ritroso nel tempo lungo la strada delle sinfonie, siamo arrivati alla Quinta, secondo la moderna numerazione, stilata nel secolo scorso sulla base della cronologia delle composizioni di Dvořàk.

Simrock in realtà la pubblicò nel 1888 come Terza (dopo la 6 op. 60 e la 7 op.70) e con un numero d’opera (76) assai alto, per farla passare come fosse una primizia, mentre l’opera giaceva nei cassetti di Dvořàk da più di 13 anni ed era già stata anche eseguita a Praga quasi 10 anni prima! 

La poca chiarezza sulla numerazione delle sinfonie del boemo fu anche colpa dell’autore medesimo, che trattava così maldestramente le sue composizioni da perderle per strada (come accadde alla prima sinfonia, il cui manoscritto, inviato ad un concorso, non gli fu mai restituito) o da vederle confiscate dal rilegatore (la seconda) che Dvořàk non aveva i soldi per pagare (!) Così per anni e anni circolarono solo alcune delle nove sinfonie, nell’ordine la 6-7-5-8-9 che erano numerate da 1 a 5. Si sospetta che Dvořàk giocasse anche un po’ con la cabala, inventando trucchi pur di non arrivare al fatidico nove  
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La Quinta è catalogata fra le sinfonie pastorali, non solo perché in FA maggiore come quella di Beethoven, ma anche perché intrisa di spunti e melodie popolari e di richiami alla natura. Ma è anche una costruzione ardita e complessa, che pur nel rispetto dei canoni classici, presenta interessanti innovazioni.

Già l’iniziale Allegro ma non troppo è un classico tempo in forma-sonata, ma vi si possono scorgere diversi strappi alle regole, che denotano volontà innovatrice, ma insieme anche un certo velleitarismo. L’incipit del primo tema, di piglio effettivamente pastorale, esposto inizialmente dai clarinetti (con le seste e terze tipicamente boeme) sembrerebbe una reminiscenza da un inciso delle trombe nel Finale della Renana, di quello Schumann per il quale Dvořàk nutriva una grande ammirazione:











Il tema sfocia in una salita da tonica a mediante - contrappuntata da ondeggianti semicrome dei violini - che ricomparirà ciclicamente proprio verso la fine dell’intera Sinfonia (dove anche l’incipit del tema vi farà capolino!)

Poi, prima di presentarci il secondo tema, ecco che l’Autore si lascia, come dire, prendere la mano dalla smania di strafare: reiterando più volte negli archi l’incipit del tema, introduce un gran crescendo che sfocia in tre battute occupate da pesanti terzine di tutta l’orchestra dopo le quali si presenta, sempre nel FA maggiore di impianto, una seconda idea (grandioso) ancor più maschile della prima:
Ma non basta, perché a questa segue una transizione piuttosto corposa e articolata, che avvicina progressivamente – dopo il riapparire della seconda idea - l’entrata del secondo tema, assai contemplativo (e fin qui siamo nel pieno rispetto dei sacri canoni) che però è in RE maggiore, invece che sulla dominante (DO):
È un motivo che sembra quasi anticipare il Franck del finale della Sinfonia in RE minore (composta proprio mentre Simrock pubblicava questa di Dvořàk). Viene ripetuto, com’è consuetudine, un’ottava sopra, ma poi i corni lo ripetono ancora, stavolta in FA (? cosa canonicamente da ricapitolazione!)

E qui abbiamo un’altra strana novità: come detto, la tonalità si è spostata verso il FA, e sulle terzine per terze dei flauti e poi dei clarinetti ci fa presagire il termine dell’esposizione e la sua ripetizione col da-capo. Invece Dvořàk ci infila piuttosto gratuitamente un’altra lunga transizione che presenta in particolare il secondo tema, dapprima ancora in FA e poi tornando in RE, due presenze intervallate da pesanti accordi di tutta l’orchestra, quasi che si fosse già nello sviluppo; mentre per arrivarvi manca ancora la coda dell’esposizione e tutto il ritornello della stessa (!)

Lo sviluppo si basa principalmente su elaborazioni del tema principale, esposto in SOL maggiore (anche questa una scelta piuttosto bizzarra) e con successive virate a MI e a DO. Il secondo tema rientra in MIb e viene improvvisamente (e ancora una volta, abbastanza inverosimilmente) soppiantato dall’entrata in grandioso della seconda idea, sempre in MIb. Una modulazione ci riporta al FA, dove i corni preparano, esponendo il tema principale su un tappeto di terzine degli strumentini, il ritorno dei clarinetti che danno inizio alla ricapitolazione.

La quale è invece assai lineare, presentando il tema principale (anche qui seguito, in grandioso, dalla seconda idea) e poi il secondo tema che si allinea rispettosamente al FA maggiore di impianto. Una sua cadenza appoggiata sulla tonica porta direttamente alla Coda, interamente occupata dal primo tema, che passa da flauti a clarinetti e poi, morendo, risale da clarinetti a flauti e infine si assesta sui corni, che chiudono il movimento in un’atmosfera di quiete davvero pastorale

L’Andante con moto che segue è un movimento monotematico, in LA minore (3/8), che viene normalmente catalogato come una Dumka, genere di origine popolare ukraina, dal sapore tipicamente elegiaco e meditabondo; l’agogica infatti lo vuole espressivo e dolente:
Il movimento si suddivide in tre sezioni: le due estreme occupate dal tema principale; quella centrale da sue varianti e modulazioni.

Le prime 4 note sono le stesse che troviamo nell’apertura del Concerto in SIb minore di Ciajkovski, così come nel secondo tema della sua Polacca, composti quasi contemporaneamente alla Sinfonia di Dvořàk. Ne avevamo visto l’origine (più plausibile in Ciajkovski, forse meno in Dvořàk) dalla Reformation di Mendelssohn.

Nella prima sezione il tema è esposto per tre volte: inizialmente dai violoncelli, in forma ristretta; poi dai violini, che ne prolungano la durata; infine, in forma variata, dal flauto, che poi si alterna con gli archi per svilupparlo ancor più, sfiorando diverse tonalità, prima di chiudere sul LA minore.

La sezione centrale (Un pochettino più mosso) è in chiave di LA maggiore. Il motivo pare derivato per sottrazione dal tema principale (mancandovi la terza nota, la sopratonica): scende quindi da dominante a mediante a tonica, in tempo più dilatato. Poi si riavvicina alla struttura originaria, con le crome ascendenti che accelerando ci portano al DO maggiore. Qui il tempo torna tranquillo e il motivo della sezione centrale si sposta dal DO al FA maggiore, dove un poco a poco crescendo e stringendo avvia una pesante perorazione chiusa da tre battute di crome puntate in fortissimo che cadenzano sul MI, dominante del LA di impianto. Una lunga transizione caratterizzata dall’insistito pedale di MI degli archi bassi - su cui svolazzano le biscrome degli archi e sul quale compaiono come spettri gli incisi giambici degli strumentini – ci porta verso la sezione conclusiva del movimento.

Torna quindi il tema in LA minore, in flauti e oboi; poi nei violoncelli, ancora nei flauti e violini. Adesso l’atmosfera si surriscalda, violini secondi e viole, poi i fiati martellano biscrome insistenti sul povero tema, fino a sfociare in un’autentica tregenda, scandita da quattro battute di pesantissimi rintocchi (LA e MI) del timpano, al placarsi dei quali il tema ricompare nei flauti, dando inizio ad una cadenza – in cui riappare anche un simulacro del motivo centrale -  dove i suoni si disgregano, fino alla conclusiva esposizione del tema (flauti, oboi e violini) chiusa da un deciso accordo di LA minore, seguito da due crome puntate e dalla corona finale, nei fiati.   

È questo movimento una parentesi elegiaca e nobile, ma l’assenza di veri contrasti la rende anche piuttosto… stancante (non dico proprio noiosa).

Senza alcuna soluzione di continuità si passa ad nuovo Andante con moto, quasi l’istesso Tempo: si tratta di 16 battute introduttive, dove i fiati riprendono il LA, ma lo armonizzano come sensibile di SIb, sul quale i violoncelli, imitando la melodia del movimento precedente, preparano un’atmosfera sulla dominante, dalla quale tutti gli archi (contrabbassi esclusi) si distaccano percorrendo una salita cromatica, dal FA al LA e quindi al SIb, dove inizia il classico Scherzo con Trio.

Il quale è appunto in Allegro scherzando, sempre 3/8, in SIb maggiore. Il tema dello Scherzo è di una chiarezza e semplicità mirabili e fa quasi pensare a certo… Bruckner:
Vi si possono distinguere tre sezioni: la prima battuta, che stabilisce per così dire la mascolinità del tema; la seconda e terza battuta, caratterizzate da crome su intervalli di quarta e quinta; la quarta battuta, fatta prevalentemente di semicrome. Queste sezioni verranno impiegate anche separatamente nel seguito.

Il tema viene esposto una prima volta dagli strumentini, poi subito ripreso dagli archi; segue una risposta sulla sottodominante, nei fiati, pure ripresa dagli archi. Una transizione che manipola la seconda e terza sezione del tema ci riporta con ondeggianti semicrome dei violini al SIb, dove il tema principale viene sottoposto ad una sorta di sviluppo: dapprima riesposto da flauti e clarinetti, stavolta contrappuntato a canone stretto dai primi violini e quasi troncato sul nascere; poi, dopo una battuta vuota, viene appunto vivisezionato nelle sue tre parti e i frammenti sono sparsi tra strumentini (crome) e archi (semicrome). Questo sviluppo – prevalentemente in MI minore - culmina con un crescendo costellato da pesanti crome delle tombe sul secondo tempo della battuta, chiuso da un poderoso accordo di FA che introduce una nuova transizione, tutta in semicrome che percorrono onde discendenti e infine effettuano una risalita imperiosa al SIb, dove il tema viene esposto con la massima enfasi dall’intera orchestra.

Come all’inizio, c’è la ripetizione (piano) del soggetto e poi la risposta sulla sottodominante (forte – piano) dopodiché si avvia una cadenza che porta, su semicrome di clarinetti e poi di oboi e violini, all’ultima comparsa del tema nelle viole, contrappuntato da clarinetti e flauti, prima dei due secchi accordi di sensibile-tonica che chiudono lo Scherzo.

Qui undici misure di transizione, in cui primi violini e viole variano il tema dello scherzo, ci conducono in terreno di REb maggiore, dove si svolge il Trio. Scopertissimo nel ritmo il richiamo al Trio della Grande (Schubert era proprio venerato da Dvořàk):


Questo Trio si struttura con due sezioni (ripetute) e una coda: la prima sezione è piuttosto concisa (nell’incipit par quasi di vedere… Elsa!) mentre la seconda si sviluppa in maggiore ampiezza, compreso un enfatico passaggio centrale. Il ritmo schubertiano si alterna o mischia con l’esposizione – per terze soprattutto negli strumentini – di melodie di chiara derivazione popolare boema. La coda è assai corposa (48 battute) e include anche un nuovo motivo esposto dai flauti prima e dai violini poi, prima del ritorno verso il SIb per la ripresa dello Scherzo.  

Per me, questo movimento è un autentico gioiellino, il vero pezzo forte dell’opera, che si meriterebbe davvero di stare in tutt’altra compagnia!

Si chiude con il Finale, Allegro molto, 4/4, una specie piuttosto eterodossa di forma-sonata. La tonalità riprenderà il FA maggiore d’impianto dell’intera sinfonia, ma solo più avanti. Per ora abbiamo quella che si potrebbe chiamare una (lunga) Introduzione, dove viene presentato, come in anteprima, il tema principale, che si assesta – anche questa è un’idea che sta fra l’innovativo e il bizzarro – sul LA minore (cosa che peraltro ricorda l’ambientazione del secondo tempo). Ma vedremo che il tema principale toccherà anche altre tonalità, oltre a quella… giusta. Inizialmente è esposto dagli archi bassi:


Un tema assai ben scolpito, che vagamente - nell’atto di raggiungere la tonica passando per la mediante superiore e la sottostante sensibile – ci ricorda Bruch e il suo Concerto per violino, composto quasi 10 anni prima.

Dopo la presentazione in LA minore, lo riprendono gli strumentini in… SOL minore (!) poi gli archi lo scimmiottano sul FA (!) finchè sono violini e oboi a riesporlo, in fortissimo, sul LA, seguiti subito da viole e violoncelli. Ma poi si sbanda ancora di tonalità, passando per RE minore e quindi tornando al SOL minore, sul quale si avvia una transizione caratterizzata dal SOL acuto e poi sovracuto tenuto dai flauti, dopodiché una progressione negli archi ci porta, indovinate… al FA! 

Possiamo qui individuare l’inizio della canonica esposizione dei due temi. Il primo finalmente in FA maggiore, sembra uscire dai… binari, espandendosi a dismisura, sui colpi sincopati dei corni. Si rimane comunque per un po’ sul FA maggiore, dove il tema si sviluppa con una figurazione di cui si ricorderà nientemeno che Strauss nell’avvio del suo Rosenkavalier:


Per il secondo tema cambia ovviamente la tonalità: SOL bemolle. È una melodia che contrasta con quella nervosa del primo tema, e si muove per gradi contigui discendenti.

Ora abbiamo una transizione, dove uno scoppio dei corni sul FA ci riporta verso l’atmosfera irrequieta del primo tema, che dà inizio ad una specie di sviluppo, in tonalità di DO minore. Segue una parentesi idilliaca in LAb, prima di ritornare al protervo tema principale, ora in RE minore, nei violini, seguito da una nervosa sequenza di accordi che sfociano in un MI dei corni, dominante del LA sul quale l’oboe ripropone il tema principale in LA minore, ripreso dal clarinetto basso che chiude lo sviluppo.

I primi violini iniziano la ricapitolazione ancora in LA minore, proprio come nell’introduzione, seguiti dagli strumentini in MI minore, fino all’arrivo del tema principale in FA maggiore, che si sviluppa come nell’esposizione e poi fa spazio al secondo tema. Il quale non può non accettare, a questo punto, di accodarsi alla tonalità principale (FA) e lo fa trascinando poi una lunga cadenza che scende dalla mediante LA alla dominante DO (chiara reminiscenza del mendelssohn-iano Sogno) ripetuta da diversi strumenti, a canone largo, e che conduce alla coda.   

Qui ricompare negli strumentini il motivo ascendente (da tonica a sopratonica e mediante) che viene dalla coda del primo tema della Sinfonia. Esso porta una breve pausa di calma, presto rotta da un crescendo orchestrale che ha il culmine in due accordi che ricordano il climax della Leonore-3 e introduce la travolgente chiusa, dove frammenti del tema principale la fanno da padroni. 

Su un accordo pieno di FA maggiore, a partire da 13 battute prima della conclusione, e anticipando il consueto fracasso degli schianti finali, i tromboni ci fanno riascoltare, per due volte, anche l’incipit del primo tema dell’Allegro ma non troppo, che mette quindi il suo sigillo sull’intera Sinfonia.
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In conclusione, una sinfonia che presenta una narrativa piuttosto articolata, magari anche un tantino contorta e discutibile, ma tutto sommato abbastanza… digeribile, se è vero che anche un tipo non proprio di bocca buona – perlomeno a giudicare dall’accoglienza riservata alla Totenfeier di Mahler! - come Hans von Bülow, dedicatario dell’opera, se ne dichiarò entusiasta. 

Come l’ho sentita ieri? Mah, il buon Ceccato neanche qui mi ha propriamente entusiasmato: passi per l’omissione del ritornello dell’esposizione (forse ha voluto togliere le castagne dal fuoco all’Autore, smile!) ma imperdonabile giudico il taglio del da-capo del Trio, che ha pesantemente compromesso l’equilibrio del terzo movimento. Per il resto un’esecuzione lodevole dal punto di vista tecnico (perdonabile un’incertezza delle trombette sugli accordi finali) da parte dei ragazzi, ma il complesso non è stato a mio modesto avviso del tutto convincente.

Finalmente rivedremo il Direttore principale John Axelrod in un programma di… quarte.