ricongiungimenti

Maurizio & Claudio

30 settembre, 2022

laVerdi 22-23. 1

Il primo concerto dell’Orchestra Sinfonica di Milano della stagione principale 22-23 vede il gradito ritorno sul podio di Stanislav Kochanovsky, che ormai da anni opera regolarmente in Italia e a Milano in particolare. Programma di impaginazione tradizionale, aperto e chiuso da due delle composizioni strumentali più celebri di Modest Musorgski che incastonano l’unico concerto solistico composto da un 38enne Jan Sibelius.

Ecco quindi Una notte sul Monte Calvo, di cui viene eseguita – credo sia la prima volta per laVerdi - la versione originale (quella non ancora inquinata – in senso buono! – da Rimski). Quindi da chiamarsi correttamente La Notte di San Giovanni sul Monte Calvo. Rimando qui ad una mia breve disamina delle diverse versioni di questo brano. 

Kochanovsky ce lo propone proprio in tutta la sua barbarie (i critici di Musorgski – Rimski compreso – la scambiarono per totale insipienza nell’orchestrare) solo saltuariamente interrotta da squarci di luce notturna. E l’Orchestra ne segue il gesto sobrio ma efficace, accolta dal pubblico (piacevolmente assai folto e con incoraggiante presenza giovanile) con calore e partecipazione.
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Il 37enne armeno Sergey Khachatryan arriva poi per cimentarsi con il Concerto per violino di Sibelius. Nel quale lo vediamo esibirsi, sempre con Kochanovsky, poco più di tre anni fa in Olanda.

Lui sembra mettere nelle corde del suo Guarneri del Gesù del 1740 la pietas e la dignità di tutto un popolo. Ne esce un Sibelius crepuscolare ma non decadente, sofferto (l’Adagio di molto davvero da trattenere il respiro) esuberante ma non sguaiato nell’Allegro, ma non tanto conclusivo. Kochanovsky lo supporta al meglio, mitigando i tutti orchestrali e per il resto lasciando al solista il massimo del rilievo.

Strepitoso successo, con lunghi applausi ritmati, ripagato da Sergey con un bis dedicato alla sua patria, che ancora oggi attende giustizia dalla storia.
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Ha chiuso la serata Quadri di un’esposizione, nella lussureggiante trascrizione orchestrale di Maurice Ravel, della quale rimando pure ad una mia passata e sommaria esegesi.

Una prestazione superlativa (i fiati soprattutto in grande spolvero, meritatamente fatti alzare più volte dal Direttore per gli applausi finali) che ha chiuso in bellezza questo ritorno alla normalità (speriamo non ci siano… ricadute) dopo la disgraziata parentesi del Covid. 

12 settembre, 2022

laVerdi ha aperto la stagione 22-23

Come ormai tradizione consolidata, laVerdi (oh, pardon, l’Orchestra Sinfonica di Milano) è stata ospitata dalla Scala (piacevolmente affollata) per inaugurare la nuova stagione principale.

Terminato il mandato di Claus Peter Flor a Direttore Musicale (con promozione a Direttore Emerito…) l’Orchestra è affidata ad una specie di quadrumvirato: un Direttore in Residenza (Andrey Boreyko); due Direttori Principali Ospiti (Alondra de la Parra e Jaume Santonja) e un Direttore dell’Orchestra da Camera (Kolja Blacher).

Ed è proprio Andrey Boreyko a salire sul podio per questo concerto inaugurale, aperto da una esecrabile (ahimè) esecuzione del Preludio dei Meistersinger. Dico, una pesantezza e una grevità così indisponenti da far apparire Klemperer o Celibidache dei velocisti (solo che loro tenevano tempi lenti sì, ma senza scadere nel volgare…) E non escluderei che, paradossalmente, questo approccio sia responsabile anche di alcune evidenti sfasature emerse qua e là… Insomma, una partenza tutta in salita. 
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Ecco poi il gradito ritorno dei fratelli Lucas&ArthurJussen, che proprio da questa stagione sono anch’essi in residenza presso l’Orchestra (con la quale torneranno ad esibirsi il prossimo marzo) per offrirci un pezzo di rara esecuzione: il Concerto in MI maggiore per due pianoforti di Mendelssohn.

Composto da un ragazzino 14enne per il compleanno della sorella Fanny (poi rivisto dopo qualche anno) mostra – al primo ascolto - segni di un certo cerebralismo, o velleitarismo, tipico dei talenti precoci ma anche dei coraggiosi innovatori… Quindi non meraviglia se il concerto (assieme al suo fratello minore in LAb, di un anno posteriore) sia stato escluso dalla pubblicazione da parte dello stesso Autore e poi lasciato per decenni a riposare in uno scantinato della Biblioteca di Stato di Berlino, colà dimenticato da tutti. Solo nel secondo dopoguerra fu ripescato e rimesso in (sia pure… limitata) circolazione: e ciò è un bene, poiché un’opera così non meritava di certo un oblio perenne.

Il primo movimento (Allegro vivace, 4/4) si caratterizza per una lunga introduzione della sola orchestra che espone – ben distinguibili - i due temi principali, nelle tonalità di MI e SI maggiore, reiterando poi il primo. Ora i due pianoforti aprono la classica (ma qui assai eterodossa) struttura esposizione-sviluppo-ripresa presentandosi in sequenza e in solitario con grande enfasi (sulla tonica il primo e sulla dominante il secondo) e con virtuosistici svolazzi di biscrome. Da qui è tutto un continuo dialogo fra solisti (scatenati in veloci figurazioni) e orchestra, lungo le tre sezioni del movimento, tutte aperte dai due interventi solistici, ma dove i due temi esposti nell’introduzione orchestrale fanno più che altro fugaci comparse. Una stretta di 13 battute chiude enfaticamente il movimento.

Segue ora l’Adagio non troppo, 6/8 in DO. Maggiore e minore, tonalità fondanti delle tre sezioni (A-B-A) del movimento. Qui emerge il Mendelssohn intimistico, quello delle successive Romanze senza parole, per dire. Dopo un’introduzione affidata ancora alla sola orchestra, è il primo pianoforte a condurre praticamente da solo (l’orchestra lo supporta con il massimo rispetto) l’intera sezione A, caratterizzata da un tema sereno. Per poi cedere la scena al secondo che a sua volta monopolizza l’attenzione per l’intera sezione B, in modo minore, esponendo un tema di carattere più riflessivo. I due fratellini? si riuniscono finalmente per il ritorno al DO maggiore del primo tema.

Da ultimo ecco – una vera e propria orgia sonora - l’Allegro (MI, 4/4) dove si ribalta la sequenza di entrate: prima i due pianoforti, poi l’orchestra. La struttura è una specie di rondo, con il tema ricorrente esposto - dopo una breve introduzione affidata al primo - dal secondo pianoforte, e poi rimbeccato da due impertinenti incisi dei fiati. Segue un secondo tema, sempre in MI maggiore, esposto ancora dal secondo pianoforte, che sfocia in un tutti orchestrale a preparare la reiterazione enfatica del tema ricorrente. Sempre il secondo pianoforte propone un nuovo motivo, ancora in MI, che porta al ritorno (riproposto da entrambi i solisti) del tema ricorrente, ma ora nella dominante SI maggiore. Dopo una lunga transizione si torna a MI maggiore, con un muovo motivo esposto (è una costante, questa) dal secondo pianoforte, che ci conduce ad un intermezzo nella relativa DO# minore. Da qui si torna al motivo ricorrente, sempre nel secondo pianoforte, che ora avvia una lunga transizione verso una spumeggiante e altrettanto lunga coda che chiude in gloria il concerto.

I due fratelli tulip (il maggiore, 29enne Lucas al piano1 e il 26enne Arthur al piano2) hanno letteralmente dato spettacolo, trascinando il pubblico all’entusiasmo (come doveva accadere quasi due secoli fa ai fratellini Mendelssohn…) E allora hanno ricambiato le ovazioni riproponendo qui un bis già eseguito in Auditorium più di un anno fa, in occasione della loro prima visita sui navigli.
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Ha chiuso la serata Brahms con la Seconda Sinfonia, che già da tempo sul sito della Fondazione aveva rimpiazzato (per qualche insondabile ragione) la Quarta di Ciajkovski originariamente annunciata a maggio e tuttora presente al sopracitato link della stagione. 

Boreyko qui ha riguadagnato buona parte della (mia) stima, con un’esecuzione rispettosa del carattere sereno di questa brahmsiana pastorale. Sugli scudi tutto il pacchetto dei fiati, con gli ottoni poi a chiudere l’Allegro con spirito in modo davvero spettacolare.

Ora appuntamento al 29 settembre all’Auditorium con il nuovo Governo per il primo concerto in abbonamento.  

08 settembre, 2022

Matrimoni alla Scala

Off-topic: tanto per semplificare la vita al pubblico pagante, il Teatro – a partire da questo settembre – si serve di due diversi provider per la vendita (online ma non solo) dei titoli di ingresso:

- Ticket1 per i biglietti (di opera, balletto e concerti);

- Vivaticket per tutti gli abbonamenti.

La piattaforma Vivaticket ritorna quindi (per ora in… concubinaggio) come fornitore del Teatro dopo esserne stata allontanata alcuni anni fa, quando fu sostituita (dopo travagliato passaggio con ripetute false partenze e rinvii) appunto da quella di Ticket1.

Ovviamente le due piattaforme non si parlano e quindi i dati anagrafici (password incluse) vanno aggiornati separatamente a cura dell’utente.

Si stenta a credere che tale Jeff Bezos non abbia ancora messo gli occhi su questo lucroso business, offrendo biglietti e abbonamenti corredati (sinergie sponsorie) da ricche parure per le ladies e preziosi orologi per i gentlemen accompagnatori.
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Dopo soli (!) 42 anni il Teatro ripropone l’opera più famosa di Domenico Cimarosa, Il matrimonio segreto. La prima recita è stata sottratta (senza diritto a sconti, hahaha) agli abbonati delle… prime dall’anticipo al 5 settembre della recita Under30 (programmata in origine come ultima, il 22/9): un po’ come si fa a SantAmbrogio, ecco…

La penultima (a questo punto) recita del dramma giocoso risaliva a venerdi 6 giugno 1980, con la regìa di Lamberto Puggelli e la bacchetta di Bruno Campanella. Dal ‘49 al ’63 la regìa era stata del grande Giorgio Strehler. A partire dal 1955, l’opera era stata ospitata dall’allora nuovissima (e ahinoi defunta nel 1983 e mai abbastanza rimpianta) Piccola Scala.

Il Teatro affida questa ripresa al Progetto Accademia, dando così modo a giovani cantanti e strumentisti di rompere il ghiaccio con il vasto pubblico. L’unico fuori-quota (per le due prime recite) è il veterano Pietro Spagnoli, nei panni del presuntuoso (e pure sordo) padrone di casa. Sul podio (e al continuo) va il collaudato Ottavio Dantone, mentre la regìa è affidata alla parigina - figlia d'arte - Irina Brook.

Pubblico non oceanico, ma abbastanza ben disposto ad apprezzare i futuri talenti sfornati dall’Accademia: tutti i numeri dell’opera (16, esclusi i finali) e la sinfonia hanno ricevuto applausi di consenso, che alla fine si sono ulteriormente irrobustiti.

Personalmente associo tutti i cantanti in un unico giudizio positivo e… incoraggiante, segnalando un mia predilezione per la Carolina di Aleksandrina Mihaylova e il Conte di Jorge Martinez.

Dantone ha guidato da par suo (anche dalla tastiera, affiancata da quella di Eric Foster) i cantanti sul palco e – in buca - l’accademica Orchestra che si è distinta per il suono trasparente e di colore davvero settecentesco, con stilemi e contenuti che richiamano scopertamente Mozart (più che Gluck…) e anticipano il primo Rossini (che emetteva i primi vagiti precisamente 22 giorni dopo il trionfo viennese del Matrimonio…)
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Spettacolo di alto, se non altissimo, gradimento. La Brook (che inspiegabilmente non è uscita - nonostante Spagnoli si sbracciasse a chiamarla - a raccogliere quelli che sarebbero stati meritatissimi applausi) ha proposto un’ambientazione moderna (smartphone e tablet, per dire, con una moderata razione di Kitsch) grazie a scene spartane e costumi appariscenti di Patrick Kimmonth, ben illuminati da Marco Filibeck.  

Qualche… ehm, caduta di stile in un paio di scene osè (per educande) le può essere perdonata. Così come la dubbia efficacia della presentazione - durante l’esecuzione della Sinfonia - di antefatti (vedi il rapporto Paolino-Carolina) o… postfatti (Conte-Elisetta).  

Insomma, a conti fatti mi pare una proposta più che dignitosa per ripartire dopo le ferie: ci aspettano ora una Fedora (dopo 18 anni…) e uno Shakespeare rivisitato in chiave moderna. Poi sarà ancora SantAmbrogio, con Musorgski (CoPaSiR permettendo…)