Come ormai tradizione consolidata, laVerdi (oh, pardon, l’Orchestra Sinfonica di Milano) è stata ospitata dalla Scala (piacevolmente affollata) per inaugurare la nuova stagione principale.
Terminato il mandato di Claus Peter Flor a Direttore Musicale (con promozione a Direttore Emerito…) l’Orchestra è affidata ad una specie di quadrumvirato: un Direttore in Residenza (Andrey Boreyko); due Direttori Principali Ospiti (Alondra de la Parra e Jaume Santonja) e un Direttore dell’Orchestra da Camera (Kolja Blacher).
Composto da un ragazzino 14enne per il compleanno della sorella Fanny (poi rivisto dopo qualche anno) mostra – al primo ascolto - segni di un certo cerebralismo, o velleitarismo, tipico dei talenti precoci ma anche dei coraggiosi innovatori… Quindi non meraviglia se il concerto (assieme al suo fratello minore in LAb, di un anno posteriore) sia stato escluso dalla pubblicazione da parte dello stesso Autore e poi lasciato per decenni a riposare in uno scantinato della Biblioteca di Stato di Berlino, colà dimenticato da tutti. Solo nel secondo dopoguerra fu ripescato e rimesso in (sia pure… limitata) circolazione: e ciò è un bene, poiché un’opera così non meritava di certo un oblio perenne.
Il primo movimento (Allegro vivace, 4/4) si caratterizza per una lunga introduzione della sola orchestra che espone – ben distinguibili - i due temi principali, nelle tonalità di MI e SI maggiore, reiterando poi il primo. Ora i due pianoforti aprono la classica (ma qui assai eterodossa) struttura esposizione-sviluppo-ripresa presentandosi in sequenza e in solitario con grande enfasi (sulla tonica il primo e sulla dominante il secondo) e con virtuosistici svolazzi di biscrome. Da qui è tutto un continuo dialogo fra solisti (scatenati in veloci figurazioni) e orchestra, lungo le tre sezioni del movimento, tutte aperte dai due interventi solistici, ma dove i due temi esposti nell’introduzione orchestrale fanno più che altro fugaci comparse. Una stretta di 13 battute chiude enfaticamente il movimento.
Segue
ora l’Adagio non troppo, 6/8 in DO. Maggiore e minore, tonalità fondanti
delle tre sezioni (A-B-A) del movimento. Qui emerge il Mendelssohn intimistico,
quello delle successive Romanze senza parole, per dire. Dopo
un’introduzione affidata ancora alla sola orchestra, è il primo pianoforte a
condurre praticamente da solo (l’orchestra lo supporta con il massimo rispetto)
l’intera sezione A, caratterizzata da un tema sereno. Per poi cedere la scena
al secondo che a sua volta monopolizza l’attenzione per l’intera sezione B, in
modo minore, esponendo un tema di carattere più riflessivo. I due fratellini?
si riuniscono finalmente per il ritorno al DO maggiore del primo tema.
Da ultimo ecco – una vera e propria orgia sonora - l’Allegro (MI, 4/4) dove si ribalta la sequenza di entrate: prima i due pianoforti, poi l’orchestra. La struttura è una specie di rondo, con il tema ricorrente esposto - dopo una breve introduzione affidata al primo - dal secondo pianoforte, e poi rimbeccato da due impertinenti incisi dei fiati. Segue un secondo tema, sempre in MI maggiore, esposto ancora dal secondo pianoforte, che sfocia in un tutti orchestrale a preparare la reiterazione enfatica del tema ricorrente. Sempre il secondo pianoforte propone un nuovo motivo, ancora in MI, che porta al ritorno (riproposto da entrambi i solisti) del tema ricorrente, ma ora nella dominante SI maggiore. Dopo una lunga transizione si torna a MI maggiore, con un muovo motivo esposto (è una costante, questa) dal secondo pianoforte, che ci conduce ad un intermezzo nella relativa DO# minore. Da qui si torna al motivo ricorrente, sempre nel secondo pianoforte, che ora avvia una lunga transizione verso una spumeggiante e altrettanto lunga coda che chiude in gloria il concerto.
Ora
appuntamento al 29 settembre all’Auditorium con il nuovo Governo per il
primo concerto in abbonamento.
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