allibratori all'opera

bianca o nera?
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11 settembre, 2019

Un frizzante Elisir mette la Scala di buonumore.


Sarà forse perchè i contestatori seriali delle prime hanno prolungato le vacanze, fatto sta che L’elisir d’amore andato in scena ier sera al Piermarini (peraltro con diverse poltrone vuote in platea...) è stato accolto con pieno consenso di pubblico, senza se e senza ma. Intendiamoci, nulla di storico o di strabiliante, ma uno spettacolo che nel complesso si è rivelato di buon livello, in tutte le sue componenti: voci, orchestra e allestimento.

Allestimento di Grischa Asagaroff già ampiamente e positivamente collaudato alla sua comparsa nel 2015, con le poetiche e favolistiche scene e gli sgargianti quanto esilaranti costumi di Tullio Pericoli, il tutto sapientemente illuminato da Hans-Rudolf Kunz.

Alla grande come sempre il Coro di Mario Casoni, che Donizetti qui impegna corposamente ad interloquire con i protagonisti, o a creare le tipiche atmosfere contadine in cui prende piede la patetica vicenda di Nemorino e Adina.

E i protagonisti di questo lieto fine hanno riscosso un caloroso consenso di pubblico: lo yankee René Barbera per la sua voce squillante che ha messo al servizio del rustico e ingenuo personaggio, prestazione culminata con un trionfo dopo la Lagrima; la casertana Rosa Feola (non proprio impeccabile soprattutto nelle note gravi) per la civetteria e la verve di cui ha ricoperto la sua parte di ragazza un po’ viziatella ma alla fine... innamorata.

Ambrogio Maestri sembra nato per parti come questa di Dulcamara (o di Schicchi o Falstaff): le fa con tanta efficacia che poi rischia di... compromettere personaggi seri o truci come Amonasro, per dire. Per lui, ormai beniamino della Scala e deus-ex-machina della vicenda, accoglienza poco meno che trionfale.

Discreto anche Massimo Cavalletti, efficace nell’impersonare il tronfio Belcore: qualche forzatura di tono magari poteva essere evitata.

L’accademica Francesca Pia Vitale ha dignitosamente interpretato Giannetta, un ruolo tutt’altro che di contorno.

Per tutti, incluso il mimo Stefano Guizzi (tirapiedi di Dulcamara) applausi e bravo! si sono sprecati.

Positivo anche il ritorno sul podio del 35enne Michele Gamba, che ha guidato un’orchestra in gran spolvero (qualche eccesso di decibel si può perdonare, e comunque non è mai andato troppo a discapito delle voci) e concertato con cura e precisione singoli e masse sul palco (lavorare con gente come Pappano e Barenboim evidentemente fa bene alla salute!) Lo si rivedrà nel sinfonico, il 3 ottobre in Auditorium quando inaugurerà Milano Musica con laVerdi in Francesconi e Mahler.

Come ripeto: tutto sommato una serata più che positiva.

06 ottobre, 2010

Un Elisir per chiudere in gloria il 2009-2010 della Scala

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Ultimo titolo della stagione 2009-10 alla Scala: l'Elisir. Al centro dell'attenzione il redivivo Ronaldo... ah no, scusate l'anagramma, Rolando. Che pare intenzionato a passare dall'altro lato della barricata - un po' come ha fatto da tempo il suo semi-connazionale Topone, e come si appresta a fare la Ceci - dedicandosi all'ippica (ops... alla regìa del teatro d'opera). Forse perché la voce se ne sta andando per sempre? Ecco il tragico dubbio che assilla i melomani di mezzo mondo!

Sabato scorso, alla prima, pare che le cose fossero andate così-così, anzi benino, insomma meno peggio del temuto. Ieri sera è stato un autentico trionfo, per lui in particolare, ma con lui per tutti i protagonisti (incluso il simpatico cagnolino che per due volte ha attraversato il palco). Personalmente mi associo ai complimenti – anche se sono sempre abbastanza largo di maniche con gli interpreti, posto che non siano appunto dei… cani – dato che le mie orecchie (che sono quelle dell'uomo della strada, e non certo quelle di un esperto delle tecniche di vocalizzazione tramandate da tale Garcia) hanno ricevuto dal mexicano impulsi sonori sempre gradevoli e piacevoli, e assai coerenti con l'oggetto del canto medesimo. E non solo nella fatidica lagrima, accolta da ovazioni da stadio, ma già da subito, col pubblico ancora freddo e contratto, con la cavatina Quanto è bella, quanto è cara! Che ha evidenti somiglianze con un'altra, che pure si cala in uno scenario tutt'affatto diverso:


(Sì, perché ogni compositore si porta dentro dei cromosomi che poi affiorano qua e là, anche in contesti fra loro lontanissimi.)
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Anche la simpatica Nina (scusate, ma a me chiamare Nino una bella gnocca mi fa venir l'orticaria…) si è portata più che discretamente: o è migliorata nel frattempo, oppure in loggione i buatori di sabato erano momentaneamente distratti. Forse negli acuti ha una voce un po' chioccia, ma nella fattispecie adatta al contesto di una fattoria (smile!)
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Ambrogio Maestri è stato un Dulcamara divertente – gigione quanto basta, ma anche quanto si deve – e il suo vocione ha piacevolmente riempito l'enorme massa d'aria del Piermarini.
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Belcore, al secolo Gabriele Viviani, forse un po' sotto la media, ma non gli tolgo per questo la sufficienza. Così come alla Giannetta di Barbara Giannesi.
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Sempre all'altezza il coro di Casoni (colpevolmente omesso – vergogna! - dalla locandina web) e buone notizie anche dalla buca, che con questo Donizetti forse si ritrova meglio che con Bruckner. Immagino anche per merito del navigato Renzetti.
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Alla fine interminabili applausi e ripetute chiamate. L'ultimo tocco strappalacrime lo dà proprio Villazon con un furtivo… bacio al sipario, al momento del definitivo rientro.
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Quanto alla regìa, Laurent Pelly ci propina uno spettacolo assolutamente gradevole, fatto con intelligenza, gusto e humor. È chiaro che qui siamo all'Elisir, mica al Tannhäuser! E quindi poco o nulla a noi importerà se l'ambientazione è nella bassa padana e non – selon Scribe – nella bassa navarra, in un paesino che ha – toh! – lo stesso nome del protagonista Rolando (che all'anagrafe fa Emilio Rolando Villazón Mauleón) E se il tutto accade nell'ultimo dopoguerra italiano e non nel '7-800 francese. Ciò che ci importa è che dell'opera emergano i tratti caratteristici, che vanno dalla bonaria faccia tosta del sedicente dottore, all'ingenuità del ragazzotto di campagna; dalla spocchia del solito sergente che si crede chissàcchì solo perché ha un berretto in testa, all'ambiguità della figura della possidente, che mai si capirà se sia solo una ragazza con la puzza al naso, o una verginella piena di complessi, o magari una sgualdrinella in piena regola…
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Ecco, con un raggio di luce ed un sorriso la stagione scaligera esaurisce i 12 titoli, dopo non pochi stenti e più di un buco nell'acqua (a proposito: prima di SantAmbrogio ci sarà ancora una recrudescenza di Carmen… come non bastassero le influenze autunnali). Non ci resta che sperare che le cose migliorino prossimamente (anche perché scendere sotto questa media sarebbe impresa obiettivamente ardua). Buon 2010-11!
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