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05 aprile, 2025

Orchestra Sinfonica di Milano - Tjeknavorian & Babayan soli al comando

Come intermezzo fra le due serate del 23° concerto, i suoi due protagonisti sono tornati sul palco dell’Auditorium per uno straordinario da camera dove hanno spaziato da Mozart a Janàček a Brahms, per poi chiudere sul festeggiato Ravel (150 anni dalla nascita).  

Programma parzialmente modificato rispetto all’annuncio originale, con Brahms a sostituire Prokofiev, più Mozart (due sonate - K301+K305 - invece della K367) e con l’aggiunta di un intermezzo di Kreisler.

Come si po' dedurre, qui è il violino (del Tjek) a farla da protagonista, con un illustre pianista (Babayan) a supportarlo sontuosamente. Ecco la sequenza dei nove brani eseguiti:

1- Leóš Janàček: Sonata per violino e pianoforte (ultima versione, 1922); Con moto; Ballada; Allegretto; Adagio:

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2- Wolfgang Amadeus Mozart: Sonata per violino e pianoforte in Sol maggiore K 301 (1778, a Mannheim); Allegro con spirito; Allegro:

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3- Fritz Kreisler:

1. Rondino in stile Beethoven (1905): si tratta di una riduzione del Rondo per violino e piano, trasposto da SOL a MIb maggiore; le strofe del Rondo sono in MIb, SIb, DO minore, LAb maggiore:

2. Alt-Wiener Tanzweisen (<1905) è un trittico di tre danze viennesi:

a) Liebesfreud: struttura A-BB’-A; Allegro, DO maggiore / Grazioso, Allegro, FA maggiore / Allegro, DO maggiore:

b) Liebesleid: struttura A-B-A-B; Ländler, LA minore / Poco meno mosso, LA maggiore:

c) Schön Rosmarin: Struttura A-B-A; Grazioso, SOL maggiore / Meno mosso, SOL maggiore-minore, SIb maggiore, SOL maggiore / SOL maggiore:

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4- Johannes Brahms: Scherzo in Do minore per violino e pianoforte dalla sonata F.A.E. (1853). L’acronimo del brano sta per Frei aber einsam, composto in realtà a tre mani, per omaggiare il grande Joachim: I. Allegro, da Albert Dietrich; II. Intermezzo, da Robert Schumann; III. Scherzo, da Brahms; IV Finale, da Schumann:

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5- Wolfgang Amadeus Mozart: Sonata per violino e pianoforte in La maggiore K 305 (1778, Mannheim); Allegro di molto; Tema con variazioni:

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6- Maurice Ravel: Tzigane. Rapsodie de concert (1924); oltre a questa, per violino e pianoforte, esistono del brano altre due versioni: quella con accompagnamento di orchestra e quella con accompagnamento di Luthéal (un ibrido pianoforte-organo, oggi in disuso). L’atmosfera gitana si rivela già dall’esordio, esclusivamente assegnato al violino:

Poi diventa quasi schizofrenica prima della conclusione, con un funambolico susseguirsi di indicazioni di agogica e di diteggiatura:

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Dopo un esordio accidentato (colpa del tablet con gli spartiti di Babayan che non obbediva ai comandi via smartphone della ragazza addetta al volta-pagina) il programma è andato in continuo crescendo. Janàček (questo, almeno) non è facile da digerire, anche perché lo stesso Autore la tirò in lunga per un decennio, cambiando anche gli scenari della sua narrativa: è un’opera complessa e complicata, poco lineare, e c’è voluta tutta l’abilità e l’abnegazione dei due protagonisti per rendercela almeno accettabile, ecco.

Poi Mozart ha ovviamente aperto un primo squarcio di sano classicismo, con le sue leziosità giovanili. Kreisler ha anche scaldato i motori del virtuosismo. NB. la sequenza dei quattro brani è stata: Liebesleid, Rosmarin, Rondino, Liebesfreud, in modo da lasciare l’ultima parola nota prima dell’intervallo al pezzo forte, o quanto meno al più trascinante dei quattro.

Brahms ha poi degnamente tirato la volata al secondo Mozart, le cui variazioni hanno davvero incantato. I due moschettieri si son presi un minuto di pausa prima della Tzigane, che ha chiuso il programma ufficiale con grande trionfo per questa coppia davvero unica nel suo genere.

Praticamente scontato (e preparato) il bis di congedo: ancora Ravel, con il pezzo in forma di Habanera. Ma il pubblico – anche oggi oceanico - non se n’è dato per inteso, e così l’ultima parola musica l’ha avuta ancora il kreisleriano Liebesleid, romantiche pene d’amore… come quelle che ormai sembrano accumunare il pubblico e il suo nuovo Direttore Musicale!

22 febbraio, 2025

Orchestra Sinfonica di Milano - 24-25.17 – Alfred Eschwé

È un pimpante 76enne viennese il Direttore che questa settimana sale sul podio dell’Orchestra Sinfonica di Milano, per offrirci un concerto che spazia da fine ‘700 a fine ’800, coinvolgendo Haydn, Mozart e Brahms.

Eschwé è uno degli eredi del leggendario Willy Boskowsky (che i diversamente giovani ricorderanno protagonista di 25 edizioni - ’55-’79 - del Concerto di Capodanno) alla guida della Wiener Johann Strauss Orchester, nata 60 anni fa per perpetuare la tradizione straussiana. Insomma, è uno che ha Vienna e la sua musica nel sangue.

Si parte quindi con Haydn, del quale ascoltiamo la londinese Sinfonia n. 94 in Sol maggiore, nota con il nick La sorpresa. Di cui ho tracciato una sommaria descrizione in questo scritto di qualche tempo fa.

Eschwé la dirige con leggerezza, eleganza e leziosità (proprio come fosse alle prese con gli Strauss…) senza però mancare di mettere in risalto le mazzate del timpano che danno il nome alla sinfonia.

E così il pubblico lo ricambia calorosamente.

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Eccoci ora ad un Mozart vocale. È la bella soprano slovacca Slávka Zámečníková (presentatasi con un appariscente abito attillato, a schiena quasi nuda, insomma, una gran… ehm) che interpreta tre arie composte da Mozart per opere non sue (come era consuetudine a quei tempi) o su testo mutuato da quello di un libretto d’opera.

Le prime due arie sono del Mozart ormai al culmine della carriera (Vienna, 1789) e si tratta di arie cosiddette sostitutive per l’opera Il burbero di buon cuore di Vicente Martin y Soler. I Testi (mutuati da Le bourru bienfaisant di Carlo Goldoni) sono di Lorenzo DaPonte.

Sono entrambe cantate da Madama Lucilla, moglie di Giocondo (sempre burbero e irascibile a causa di disavventure economiche) e preoccupata per il suo futuro.

Chi sa, chi sa, qual sia K 582 (Primo atto, scena 14). 4/4 alla breve, forma bistrofa A-B-A, Andante, tonalità DO-SOL-DO maggiore. 

A Chi sa, chi sa qual sia
L'affanno del mio bene?
Se sdegno, gelosia,
Timor, sospetto, amor.

B Voi che sapete, oh Dei!
I puri affetti miei,
Voi questo dubbio amaro

Toglietemi dal cor. 

Vado, ma dove? K 583 (Secondo atto, scena 6). 4/4, forma A-A’ (Allegro) / B-B’ (Andante sostenuto), tonalità MIb-SIb-MIb maggiore (sia A che B).

A Vado, ma dove? Oh Dei!
Se de' tormenti suoi,
se de' sospiri miei
non sente il ciel pietà!

B Tu che mi parli al core,
Guida i miei passi, amore;
Tu quel ritegno or togli
Che dubitar mi fa.

La terza aria è Voi avete un cor fedele K 217, su versi di Carlo Goldoni, tratti dall’opera Le nozze di Dorina di Baldassare Galuppi (primo atto, scena 4). Il testo è stato appositamente adattato per questa aria da concerto, composta da un Mozart 19enne a Salzburg. Nell’opera Dorina esterna ai due spasimanti (Titta e Mingone) i suoi dubbi sulla loro futura fedeltà; nel testo dell’aria il suo interlocutore è soltanto uno.

Il testo si struttura in due strofe (A e B) inizialmente esposte nelle tonalità SOL (Andantino grazioso, 3/4) e (due volte) RE maggiore (Allegro, 4/4). Poi tornano A (Tempo primo) e B (Allegro). È A (Tempo primo) a chiudere l’aria.

A Voi avete un cor fedele
come amante appassionato,
ma mio sposo dichiarato,
che farete? Cangerete?
Dite, allora, che sarà?
Mantenete fedeltà?

B Ah, non credo! Già prevedo,

mi potreste corbellar,
non ancora, non per ora,
non mi vuò di voi fidar.

Beh, la Slávka ha dimostrato che le sue qualità non si limitano al ...fisico, ma anche all’artistico: voce ben impostata, da soprano lirico, ha cesellato le due arie per il Burbero con grazia e pathos; poi, come Dorina, ha anche dato fondo alle sue capacità virtuosistiche e coloraturistiche.

Per lei gran successo e tre chiamate a furor di popolo. 

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Il programma si chiude quindi con il giovine (25 primavere) Brahms e la sua Prima Serenata per Orchestra, l’op.11. Insieme ai primi abbozzi di quello che diventerà il Primo Concerto per pianoforte, le due Serenate (questa, e la seconda per soli fiati) costituirono i primi approcci di Brahms al sinfonismo, che 15 anni più tardi conoscerà la sua lunga stagione (1873, Variazioni Haydn => 1887, Doppio Concerto) che vedrà nascere anche le quattro Sinfonie, il Secondo Concerto per pianoforte, quello per violino e le due Ouvertures, come schematizzato in questo elenco cronologico: 

1855 Primo Concerto Pianoforte
1858 Prima Serenata
1860 Seconda Serenata
1873 Variazioni Haydn
1874 Prima Sinfonia
1877 Seconda Sinfonia
1878 Concerto Violino
1880 Ouverture accademica / Ouverture tragica
1881 Secondo Concerto Pianoforte
1883 Terza Sinfonia
1884 Quarta Sinfonia
1887 Concerto Violino-Violoncello

Questa prima Serenata, a dispetto del classico genere relativamente leggero (vedi Mozart) con Brahms assume infatti robuste caratteristiche quasi sinfoniche (Joachim ne parlò proprio come di una sinfonia): basti dire che il primo movimento consta di un numero di battute (574, da-capo escluso) superiore a quello di tutti i suoi primi movimenti di sinfonia e concerto; e che il solo Adagio dura (a seconda dei direttori, escluso il velocista Chailly) da 12 a 15 minuti, più di metà dell’intera Sinfonia di Haydn (Mahler, è lei?!) 

Seguiamola con un giovane Haitink (1977) e l’orchestra del Concertgebouw:

I. Allegro molto. Forma sonata.

Esposizione: Primo tema, RE maggiore.     
1’52” Secondo tema, dominante LA maggiore.
2’56” Coda secondo tema. [da-capo omesso].
3’19” Sviluppo.
5’58” Ripresa. Primo tema.
6’57” Secondo tema, nella tonica RE maggiore.
8’01” Coda secondo tema e richiamo primo tema.
8’45” Coda. Primo tema variato e… sbriciolato.

II. Scherzo. Allegro non troppo. RE minore. Sezione I.

27” Da-capo Sezione I.
52” Sezione II.
1’49” Un poco ritenuto.
2’06” In tempo.
2’49” Trio. Poco più moto. SIb maggiore.
4’48” Coda del Trio.
5’14” Ripresa Scherzo, Sezione I.
5’40” Sezione II.

III. Adagio non troppo. Forma sonata.

Esposizione: Primo gruppo tematico, SIb maggiore. Parte prima.     
2’22” Parte seconda.
3’41” Secondo tema, dominante FA maggiore.
5’05” Coda.
5’53” Sviluppo.
7’56” Ripresa. Primo gruppo tematico, Parte prima, in SI maggiore.
8’57” Ora in SIb maggiore.
11’02” Parte seconda.
12’00” Secondo tema, nella tonica SIb maggiore.
12’51” Coda (su secondo tema).

IV. Due Menuetti (I-II-I).

Menuetto I. (solo fiati). SOL maggiore. Sezione I.
18” Da-capo Sezione I.
36” Sezione II.
1’01” Da-capo Sezione II.
1’29” Menuetto II. (solo archi). SOL minore. Sezione I.
1’45” Da-capo Sezione I.
2’00” Sezione II.
2’31” Da-capo Sezione II.
3’10” Menuetto I. SOL maggiore. Sezione I.
3’26” Sezione II.
3’54” Coda.

V. Scherzo, Allegro. RE maggiore. Introduzione.

12” Scherzo.
48” Da-capo Scherzo.
1’24” Trio. Sezione I.
1’30” Da-capo Sezione I.
1’36” Trio. Sezione II.
1’49” Da-capo Sezione II.
2’03” Ripresa Scherzo. Introduzione.
2’14” Scherzo.

VI. Rondo, Allegro. Sonata-rondo (A-B-A.C-B-A-Coda). RE maggiore.

Esposizione. Tema A.
1’08” Tema B. LA maggiore.
1’47” Tema A.
2’19” Sviluppo. Tema C. SOL maggiore.
3’04” Ripresa. Tema B. RE maggiore.
3’54” Tema A.
5’23” Coda. 

Come si può notare, a parte la discreta complessità del tutto, troviamo anche alcune (più o meno ardite) deroghe dagli schemi classici, a testimonianza della spinta innovatrice di Brahms, che poi si manifesterà nel resto della sua produzione, giustificando l’attributo di progressivo che il rivoluzionario Schönberg affibbierà al conservatore amburghese.  

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Eschwé (che si è sempre tenuto sul leggio volumetti da pocket-score…) ha saputo coniugare il Brahms romantico e pastorale con quello che guardava con interesse e devozione al primo ottocento (Haydn, Beethoven). L’Orchestra, che in passato aveva affrontato il pezzo solo una volta, e tre lustri fa, gli ha risposto al meglio, con i fiati in gran spolvero e gli archi impeccabili.

Successo travolgente, che il Direttore ha ripagato – commemorando i 200 anni dalla nascita del suo adorato Johann - con la brillante Pizzicato-Polka!


15 febbraio, 2025

Orchestra Sinfonica di Milano - 24-25.16 – Eun Sun Kim

Una giovane ma già affermata direttrice coreana (ha già diretto una Bohème alla Scala, ma l'Archivio scaligero non la nomina nemmeno...) sale per la prima volta sul podio dell’Auditorium di largo Mahler per dirigere un concerto che ci porta da Mozart (sub-judice…) a Korngold.

È infatti di un Mozart non propriamente genuino che si ascolta la Sinfonia concertante K297b per oboe, clarinetto, corno e fagotto con accompagnamento di archi, oboi e corni.

Quest'opera è tuttora oggetto di dispute e diatribe, quanto alla sua autenticità. Si sa che Mozart (in gita nel 1778 a Parigi con la mammina, che purtroppo di lì a poco vi morirà e vi verrà sepolta, dopo un misero funerale cui assistettero solo Wolfgang e un amico) si era impegnato a comporre una Concertante per quattro solisti di Mannheim (col flauto al posto del clarinetto). Ma né un originale, né copie autentiche o attendibili sono mai emersi e ciò che abbiamo a disposizione - e che ha dato il nome (francamente usurpato) all'opera - è soltanto un manoscritto di dubbia provenienza, scovato e fatto ricopiare a Berlino da tale Otto Jahn quasi un secolo dopo la presunta composizione e, guarda caso, proprio mentre costui si apprestava a pubblicare una sua biografia di Mozart!

C'è comunque chi sostiene sia musica troppo grande (escludendo magari il modesto accompagnamento orchestrale…) per non essere del Teofilo; chi invece ipotizza sia un pastiche (tre movimenti, tutti nello stesso MIb, orrore!) messo insieme da sconosciuti sulla base di ricordi di qualche concerto; chi pensa sia stata effettivamente scritta da Mozart a Parigi (col flauto al posto del clarinetto) ma poi andata davvero perduta, e quindi riscritta – a memoria – dal compositore per il nuovo organico di solisti; chi invece sospetta che a Parigi Mozart non abbia composto proprio un bel nulla di quel pezzo (tant'è che il concerto dei solisti di Mannheim per i quali era stato commissionato non ebbe luogo…) dopodichè si sarebbe inventato per papà Leopold la scusa del manoscritto non restituitogli dallo sbifido committente (Joseph LeGros) e solo successivamente avrebbe buttato giù qualcosa (la parte solistica) senza portarlo a termine; e così via immaginando.

Quanto alla pratica, la versione che si esegue normalmente è quella rinvenuta (?!) da Jahn e pubblicata nel 1886 da Breitkopf col titolo Concertantes Quartett, che è entrata ed uscita dal catalogo Köchel come in una porta girevole: dapprima inserita fra le opere perdute; poi nel 1936 (Einstein) immessa nel catalogo principale; poi, dalla sesta edizione del 1960, relegata nel limbo dei supplementi, dove si trova ancor oggi: la NMA (Neue-Mozart-Ausgabe) la inserisce nella Serie X/29/1: Opere di incerta paternità

[A proposito, perché non impiegare l’IA, invece dei musicologi, per questo tipo di ricerche? I risultati sono… ehm, proprio artificiali!] 

Insomma, una storia lunga, travagliata e certamente non ancora chiusa. Ad esempio, il solito (ultimo in ordine cronologico di una lunga serie) primo della classe (Robert D.Levin, nella fattispecie, autore del saggio Who Wrote the Mozart Four-Wind Concertante?) ha provato a ri-arrangiare il brano sulla base di complesse ricerche statistiche sulle tecniche compositive di Mozart. Intanto ha riesumato il flauto (in luogo dell'oboe, che prende a sua volta il posto dell'espunto clarinetto); poi ha fatto intervenire i solisti da subito, già sulla prima esposizione dei temi dell'Allegro (di cui ha riscritto completamente la cadenza); ha tagliato molta parte orchestrale (dove effettivamente si incontrano bizzarrìe formali assai poco mozartiane…) e anche qualche sezione di quella solistica, ugualmente ritenuta fuori-forma (sempre mozartianamente parlando); ha redistribuito qua e là le linee degli strumenti solisti; ha tagliato le 4 misure introduttive orchestrali dell'Adagio; nel conclusivo Andantino con variazioni ha espunto totalmente le 10 apparizioni dell'interludio orchestrale (che precede le altrettante variazioni al tema, trasformandosi effettivamente quasi nel tema principale di un rondò…) introducendo al loro posto la ripetizione di tutte le (22) linee melodiche dei solisti.

Ecco qui un'interessante esecuzione della ricostruzione di Levin dovuta alla Wiener Akademie con Martin Haselböckparte1(Allegro)parte 2(Adagio)parte3(Andantino con variazioni). Effettivamente va dato atto a Levin di aver messo in piedi un prodotto di tutto rispetto, di qualità e godibilità non certo inferiori a quelle del comunque spurio e apocrifo originale. Ma, diciamolo francamente, a questo punto qualunque Allevi di passaggio potrebbe inventarsi la sua propria variante della ricetta, con lo stesso grado di (in)credibilità.

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Qui invece (come nella precedente esecuzione di 13 anni fa, si rimane ancorati alla tradizione (quindi col clarinetto) e i solisti sono le quattro prime parti (quasi le stesse di allora) dell'Orchestra: Emiliano Greci all'oboe, Raffaella Ciapponi al clarinetto, Sandro Ceccarelli al corno e – subentrando al senior pari grado Andrea Magnani - Orsolya Juhasz al fagotto.

Quindi, dopo il Concerto per flauto e arpa di un paio di settimane fa, ecco un'altra occasione di mettersi in mostra per i bravi strumentisti de laVerdi. Che anche stavolta assaporano il loro momento di gloria, mettendosi in vista nei passaggi che di volta in volta li impegnano singolarmente, a coppie, in trio e tutti insieme. Da incorniciare l’Adagio con i mirabili dialoghi fra i quattro. E poi.nelle dieci variazioni finali, le volate dell’oboe, gli arabeschi del clarinetto, gli slanci eroici del corno e gli arpeggi agitati del fagotto. Insomma, una conferma che dietro questa musica non può non esserci lo zampino del Teofilo.

Così il quartetto è subissato da applausi di pubblico e colleghi e ci regala una moderna e indiavolata… comica serenata: la trascrizione dell’ultimo movimento del Quartetto per sax di Jean Françaix.

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Un altro ragazzo-prodigio, Erich Wolfgang Korngold, è l’autore del secondo brano in programma, la sua Sinfonia in Fa diesis, composta per la verità quando il ragazzo era cresciutello assai, avendo nel frattempo conquistato Hollywood, e soprattutto un bel mucchio di… bigliettoni verdi.

Ripropongo qui un mio precedente commento all’opera, che effettivamente non si merita le critiche e l’oblio di cui è caduta vittima. E devo dire che anche ieri Eun Sun Kim ha saputo far risaltare gli aspetti apprezzabili di questo lavoro, accentuandone tutti i contrasti che lo pervadono, fino alla nobile e ottimistica conclusione. 

Il suo gesto è quasi fatto di carezze, mai eccessivo, ricorda un suo celebrato connazionale, Myung-Whun Chung, del quale si avvia a raccogliere il testimone nel mondo musicale. E l’Orchestra l’ha coadiuvata dando il meglio per tensione emotiva e compattezza di suono.

Sala con molte poltrone vuote, complici anche lo sciopero dei mezzi pubblici e un temporale abbattutosi su Milano proprio nel pomeriggio: ma i presenti non hanno mancato di far sentire il calore del loro supporto a musicisti e Direttrice!


01 febbraio, 2025

Orchestra Sinfonica di Milano - 24-25.14 - Axelrod

Il classicismo viennese occupa la locandina di questo 14° concerto della stagione principale dell’Orchestra Sinfonica di Milano che vede il gradito ritorno sul podio dell’Auditorium di John Axelrod. In programma Mozart e Beethoven!

Del sommo Teofilo riascoltiamo, dopo più di sei anni (novembre ’18, dir. Fournillier) il Concerto per flauto e arpa (K299). E come allora i due solisti sono le rispettive prime parti dell’Orchestra, Nicolò Manachino ed Elena Piva.

Concerto composto a Parigi (durante il lungo viaggio del 1778, funestato alla fine dalla morte della madre) su commissione del Duca di Guines, che era discreto flautista ed aveva una figlia che si dilettava con l’arpa (Mozart fu suo maestro ma, a dirla tutta, dopo un’iniziale apprezzamento, finì per considerarla musicalmente una nullità…)

Ma non per questo si tratta di un brano povero di contenuti, caso mai si può pensare che Mozart abbia privilegiato nella composizione uno stile galante e lezioso, evitando arditezze eccessive per i due commisionanti-dedicatari dell’opera. Lo testimoniano anche le tonalità (DO di impianto, SOL e FA ancillari) con il minimo di accidenti. Che abbondano nelle famose cadenze di Carl Reinecke, assai ricche di cromatismi… ma non impiegate qui, in favore di altre più vicine allo spirito mozartiano.

Grande prestazione del duo dei campioni di casa, calorosamente applauditi da un pubblico foltissimo e, soprattutto, con ampia e confortante rappresentanza di giovani e giovanissimi, ricambiati da una pregevole Elegia

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Ecco, infine, la più celebre delle Pastorali, che riascoltiamo in Auditorium a distanza di quasi otto anni: luglio ’17, ciclo delle 9 sinfonie dirette da Flor (qui una mia notazione, più che altro statistica, scritta a quel tempo e purtroppo – ah, il progresso! - infarcita di web-link andati nel frattempo a meretrici…)

Come sappiamo, fu proprio lo stesso Beethoven, seguendo illustri esempi provenienti dal passato, ad introdurre nel corpo della Sinfonia qualcosa di extramusicale, addirittura dotando l’opera e i suoi cinque movimenti di dettagliati titoli descrittivi: Ricordi di vita campestre (più espressione di sentimenti che pittura); (1) Gradevoli, serene sensazioni che si risvegliano nell’uomo all’arrivo in campagna; (2) Presso un ruscello; (3) Allegra riunione di paesani; (4) Tuoni. Uragano; (5) Canto di pastori. Benefici sentimenti accompagnati da ringraziamenti alla divinità, dopo l’uragano.  

Si premurò di precisare che non trattavasi di pittura (leggasi: descrizione di luoghi o fenomeni) ma di espressione di sensazioni provate al cospetto di tali luoghi o fenomeni. Poi però, temendo di non essere abbastanza chiaro, sentì il bisogno di scrivere esplicitamente fra i righi musicali i nomi di tre volatili colà rappresentati da suoni di strumenti dell’orchestra: usignolo, quaglia e cuculo!

Insomma, con la sua Sesta, Beethoven cominciò a sdoganare l’idea che una composizione sinfonica potesse avere, oltre a quello tutto interno e privato dell’Autore, anche un programma esplicitamente extra-musicale. Aprendo quindi la strada a Berlioz, Liszt e a tutti i loro epigoni cresciuti lungo l’800 e pure dopo. Uno dei quali (tale Mahler) dopo aver spiegato pubblicamente i programmi extramusicali delle sue prime cinque Sinfonie (così sperando di convincere il pubblico a comprenderle e digerirle meglio!) ritirò tutti quei programmi per invitare il pubblico stesso ad abbandonarsi al rapsodo, senza far caso ad alcun esplicito riferimento! [Fra poco vedremo come Axelrod applichi un concetto analogo alla Pastorale.]

Ripropongo qui il link ad un fulminante, gustosissimo articolo di John Simon, che ridicolizza il concetto stesso di musica descrittiva… Al quale ne aggiungo uno mio personale: È la musica in grado di descrivere alcunchè?  

Ma, tornando a bomba, assai più interessante è stata invece la chiacchierata che Axelrod in persona ci ha propinato prima del concerto, nella consueta conferenza delle 18:30 organizzata da Pasquale Guadagnolo, nella quale il direttore texano ha esposto la sua vision dell’opera.

Che è mutuata dai contenuti di un testo scientifico della psichiatra svizzera, naturalizzata statunitense, Elisabeth Kübler-Ross che, avendo per ragioni professionali seguito diversi casi clinici, ha schematizzato l’ideale percorso psicologico di persone che scoprono di essere affette da malattie incurabili, suddividendolo in 5 fasi distinte (proprio come i 5 movimenti della Sinfonia, osserva Axelrod): si va dalla fase (1) di Negazione (della malattia) ed isolamento; alla (2) di Rabbia (indotta dalla consapevolezza); alla (3) di Contrattazione (promettere qualcosa in cambio di sollievo dalla malattia); alla (4) di Depressione (per la perdita irreparabile di parti di se stesso); e infine alla (5) di Accettazione (e isolamento in attesa della fine).

Ecco, alla luce di questa teorizzazione dei comportamenti umani di fronte alla prospettiva esistenziale legata alle conseguenze di malattie incurabili, Axelrod - invertendo peraltro le posizioni delle fasi (2) e (4) - prova ad interpretare, anche con precisi riferimenti alla partitura, i cinque movimenti della Pastorale come il percorso psicologico di Beethoven, condizionato dalla sua irreparabile sordità: la messa su pentagramma di quei suoni di natura (ecco il riferimento a Mahler e ai suoi programmi ripudiati) che ormai poteva ascoltare soltanto nella sua mente…

Interpretazione accattivante, anche se forse un po’ troppo… freudiana, oltre che strettamente legata alla condizione esistenziale di Beethoven (la sordità): quasi che la sinfonia non fosse il frutto di ciò che Beethoven voleva dirci (e ci ha chiaramente descritto in partitura) ma di ciò che il suo inconscio gli abbia dettato, sotto la pressione della malattia. Ma allora non si spiegherebbe come Beethoven abbia poi composto la Settima (francamente in-interpretabile secondo il metodo psicanalitico della Kübler-Ross, così come l’Ottava e la Nona).

Va dato atto all’onestà intellettuale del Direttore di non pretendere di avere la verità in tasca: ciascuno è libero di condividere o meno questa sua interpretazione psicanalitica. Dopodichè l’esecuzione è stata trascinante ed ha portato tutto il pubblico (comunque l’abbia vissuta) ad apprezzarla al massimo grado, almeno a giudicare dalle ovazioni e applausi ritmati rivolti a Direttore e strumentisti.

30 novembre, 2024

Orchestra Sinfonica di Milano - 24-25.9

Ricorre il 200° anniversario della nascita di Anton Bruckner (4/9/1824) e l’Orchestra Sinfonica di Milano gli dedica un concerto diretto da Lucas Macias Navarro che, essendo nato e cresciuto e divenuto famoso come oboista – fu tra i fondatori dell’Orchestra Mozart con Abbado - apre la serata interpretando e dirigendo il Concerto per oboe e orchestra in Do maggiore K 314 di Mozart.

[Il brano verrà poi da Mozart trasposto in RE maggiore per il flauto; e il terzo movimento fornirà (in SOL maggiore) il supporto musicale ai versi Welche Wonne, welche Lust di Blondine nel second’atto del Serraglio.]

Il Concerto fu registrato da Lucas per l’appunto con l’Orchestra Mozart e Abbado, in una delle ultime fatiche del sommo Claudio! E ieri sera anche qui abbiamo potuto apprezzare la tecnica sopraffina del musicista spagnolo, che ha divorato come noccioline le interminabili volate di semicrome che costellano il Concerto, nei movimenti esterni.

Nella cadenza dell'Adagio ha anche fatto (come a 5’50” nel secondo video con Abbado) un simpatico omaggio a… Elvira Madigan! E poi ha voluto premiarci con un bis insieme all’Orchestra con l’Adagio dal bachiano Oratorio di Pasqua.

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Il pezzo forte della serata è quindi la Prima Sinfonia di Bruckner, originariamente composta nel 1866 a Linz, quindi riveduta a Vienna fra il 1877 e il 1884, e infine nel 1889-91 (eseguita qui).

Bruckner fu perennemente insoddisfatto delle sue composizioni, ma in particolare delle Sinfonie, un genere che considerava il massimo banco di prova per un compositore. Per tutta la vita continuò a studiare, oltre che insegnare, armonia e contrappunto e, dopo ogni nuova rivelazione che lo studio gli portava, correva a introdurne gli effetti nelle sue opere, anche a distanza di anni e anni.

Per dire del rispetto che Bruckner aveva per la forma sinfonica, basta ricordare che, prima di completare questa Sinfonia in DO minore, ne aveva già composte (attorno al 1863) ben due, interamente o in parte: la Sinfonia in FA minore, rimasta allo stadio di lavoro di scuola (Schularbeit 863, come l’Autore scrisse sulla prima pagina del manoscritto) e quella in RE minore, che Bruckner riprese in mano molti anni dopo, lasciando però sulla prima pagina del manoscritto il temine inequivocabile di ungultig, invalido, senza valore, affibbiando alla Sinfonia il bizzarro N°0 (Nullte).

Miglior fortuna toccò a questa prima, che Bruckner fece eseguire a Linz - con un’accoglienza più stupefatta che ostile - nel 1868, per poi rivisitarla, ormai stabilitosi a Vienna, negli anni 1877-84 (questa è nota come versione Linz). E finalmente, stimolato dal famoso Direttore Hans Richter (propenso ad eseguirla in quella veste) la sottopose ad accurata revisione (oggi nota come versione Vienna) reputata necessaria per poter, a suo dire, rendere presentabile al raffinato pubblico viennese questa sua sguattera insolente (kecke Beserl)!

E in effetti la versione 1889-91, pur conservando intatta la struttura e il contenuto dell’originale, vi rimuove parecchie delle spigolosità e stranezze che l’avevano resa poco digeribile al pubblico di Linz, anche se autorevoli musicologi (fra cui i curatori Robert Haas e Leopold Novak in testa) reputarono che proprio l’originale sia da preferirsi, appunto per il suo carattere di… sfrontatezza.

L’iniziale Allegro principia rigorosamente in forma-sonata, con il primo tema in DO minore, maschio e imperioso, seguito dal secondo (canonicamente nella relativa MIb maggiore) delicato e un po’ decadente; ma gli ascoltatori di Linz nel 1868 probabilmente si stropicciarono gli occhi orecchi quando, al posto del da-capo dell’esposizione si ritrovarono fra i piedi un terzo tema, tracotante, nei tromboni!

L’Adagio in LAb maggiore è un’oasi nobile, culminante nella grandiosa perorazione finale, che non può non suscitare l’emozione dell’ascoltatore. E lo Scherzo – che anticipa nel piglio quelli di successive sinfonie - propone un tema che ricorda quello mozartiano della K550, ma anche lo Schubert della Quinta.

Il Finale infuocato è certo il movimento più innovativo e – come capita a tante innovazioni – anche il più ostico da digerire. Alternando, a mo’ di Rondo, passaggi davvero faticosi e sofferti, con un contrappunto eterodosso, a gloriose perorazioni. inclusa l’ultima in DO maggiore, davvero sesquipedale, che forse non basta a fare da… alka-seltzer!

Lucas, come molti Direttori che vengono dal cuore dell’Orchestra, non cerca il gesto appariscente (che spesso sfocia nel… gigionesco) ma guida il gruppo con sobrietà unita a precisione, oltre a dimostrare (dirigendola a memoria) di avere con questa Sinfonia una dimestichezza assoluta.

Meritatissimi quindi gli applausi per lui e per tutti i suonatori (fiati in primis).