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13 agosto, 2023

ROF-44 via radio - Aureliano

Ieri a Pesaro è stata la volta di Aureliano in Palmira, una produzione del 2014 firmata da Mario Martone, oggi ripresa da Daniela Schiavone. Produzione che – ahimè – mi lasciò piuttosto perplesso (per non dir di peggio) come commentai severamente su queste pagine. (Chissà se il ri-allestimento ha portato… consiglio, staremo a vedere più avanti.)

Viceversa il lato musicale (almeno a giudicare dalla diffusione radio) ha suscitato impressioni più che positive.

Il Direttore George Petrou, specialista del barocco (con il suo ensemble è stato recentemente ospite alla Scala con Carlo il Calvo) mi è parso perfettamente a suo agio con questo Rossini che lui (intervistato da Oreste Bossini) ha definito romantico (beh, insomma…) Il suo approccio non mi è parso poi tanto distante da quello di Will Crutchfield, l’editore critico della partitura, che diresse appunto nel 2014: tempi piuttosto sostenuti e austeri, come si addice a questo lavoro del pesarese (che ci aveva dedicato gran cura, per il suo esordio in Scala); e grande attenzione alla gestione degli innumerevoli recitativi accompagnati che costellano la partitura, caratterizzandola proprio come opera seria.     

L’Orchestra Rossini l’aveva già preparata a dovere e poi suonata 9 anni fa con Crutchfield ed evidentemente ha fatto tesoro di quell’esperienza. Il coro invece allora era quello di Bologna (prima del divorzio dal ROF) ed oggi gli è subentrato meritoriamente quello del Teatro della Fortuna, diretto da Mirca Rosciani.

Molto positive le prestazioni delle voci, a partire dall’ispanica Sara Blanch (uscita dall’Accademia 10 anni orsono) che ha sfoggiato le sue grandi doti virtuosistiche e i suoi acuti per rivestire al meglio il personaggio della Principessa amante e guerriera. Ottima anche la prestazione di Alexey Tatarintsev (due anni fa efficace Éliézer nel Moïse) che ha sciorinato la sua voce squillante e penetrante e alcuni iper-acuti staccati quasi con facilità. E poi Raffaella Lupinacci, passata dal ruolo di Publia del 2014 a quello ben più impegnativo di Arsace: che lei ha sostenuto con pieno merito, in tutte le diverse sfaccettature di questo complesso personaggio. All’altezza dei loro compiti gli altri comprimari.

Franco successo quindi per l’intera compagnia.

23 agosto, 2014

ROF XXXV live: Aureliano in Palmira

 

Il ROF-35 ha chiuso ieri sera i battenti con la quarta ed ultima replica di Aureliano in Palmira al Teatro Rossini. Dico subito che questa proposta (si tratta dell’ultima opera importante che mancava al carnet del Festival) merita comunque un encomio: probabilmente per la prima volta da… 200 anni si è ascoltato questo prodotto del 21enne Rossini in tutta la sua interezza. Grazie alla Fondazione e a Will Crutchfield che hanno reso possibile l’impresa.

L’ascolto integrale dell’opera lascia peraltro intuire le ragioni del suo scarso successo lungo gli anni, e degli innumerevoli tagli cui è stata regolarmente sottoposta: a dispetto del grande spessore della musica, incredibilmente innovativa se pensiamo al 1813, la sua lunghezza smisurata e la scarsa consistenza del soggetto la rendono difficilmente digeribile. Soprattutto – e vengo a questa proposta del ROF – se la messinscena (di Mario Martone, mi spiace per lui) è di sconsolante banalità, tanto che si può star certi che meglio sarebbe stato affidare la realizzazione dello spettacolo ai ragazzi e ai docenti dell’Accademia di Belle Arti di Urbino (Barbiere docet!)

Ecco, parto subito da Martone. Veramente censurabile la sua proposta, priva di una qualunque cifra interpretativa: sembra il compitino in classe di un ragazzino cui si è fatta leggere la favola della regina Zenobia. Una cosa fra la scimmiottatura di Zeffirelli e la parodia di un filmaccio di Maciste. La scena dei pastori è di un deprimente… realismo: quattro caprette che entrano sul palco a brucare stoppie! Velleitaria l’idea di mettere in scena i due strumentisti al continuo (Lucy Tucker Yates e David Ethève). Ma davvero insopportabile è la trovata finale: per mostrare a tutti che la sua è una regìa impegnata, Martone che ti inventa? Mentre i protagonisti stanno cantando il concertato conclusivo, lui fa scendere il velario trasparente e vi proietta sopra la storia vera (!?) di Zenobia. Così il pubblico si impegna per leggere il pistolotto e si perde tutto il finale! Pistolotto che si conclude con un riferimento di tutta attualità: ciò che accade oggi in medioriente altro non è se non uno strascico di quelle vicende di 2000 anni fa; insomma, i criminali dell’ISIS sono i nipotini di Zenobia! Ma bravo!
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Ma torniamo alla musica. Dicevo: opera altamente innovativa, e non a caso Rossini dedicò alla composizione di Aureliano tempo e fatica insoliti per lui, in quei primi e vorticosi anni della sua produzione. Un chiaro indizio di ciò è il trattamento riservato alla Sinfonia: a differenza dei suoi successivi imprestiti (ad Elisabetta e Barbiere, opere dove non ha alcun riferimento ai contenuti)  motivati quasi esclusivamente da fretta e mancanza di tempo, qui la Sinfonia è parte integrante dell’opera, anticipandone alcuni motivi peculiari: l’introduzione lenta in MI maggiore, che udremo nel second’atto, allorquando Arsace si inoltra nei boschi dopo essere fuggito dalla prigione di Aureliano; la sezione finale del primo tema (in MI minore); il cantabile in SOL maggiore (seconda sezione del secondo tema) e il successivo famoso crescendo e cadenza conclusiva che chiudono il primo atto.

Insomma, Rossini qui fece le cose con il massimo impegno e la massima cura, e i risultati si sentono! E se ne rese conto lo stesso Rossini che, a dispetto dello scarso successo delle prime rappresentazioni alla Scala, pescò abbondantemente nell’Aureliano per successive opere; a parte la sinfonia, ne riutilizzò, rielaborandole ma senza renderle irriconoscibili, alcune melodie: il coro iniziale (Sposa del grande Osiride) fu impiegato nel Barbiere per la cavatina d’esordio di Lindoro (Ecco ridente); la cabaletta di Arsace (Non lasciarmi in tal momento) divenne parte dell’aria di Rosina (sempre nel Barbiere); e di lì a poco anche il Sigismondo mutuerà più di uno spunto dall’Aureliano.
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Il pubblico (teatro quasi esaurito) ha avuto solo apprezzamenti per tutti, ma Jessica Pratt è stata l’autentica trionfatrice della serata: dopo il suo MIb sovracuto (Per donarvi libertà) gli applausi e le urla si sono prolungati per minuti e minuti (forse sperando che la cantante australiana tornasse in scena a rispondere all’omaggio)! In effetti la giunonica Jesica ha sfoderato tutta la sua splendida voce, e solo qualche appunto mi sentirei di muoverle alla scarsa penetrazione nelle note più gravi.

Acclamato anche Michael Spyres, che pure non mi è parso al 100% delle sue possibilità: acuti non perfetti e gravi piuttosto sforzati.

Lena Belkina non mi ha convinto del tutto (rispetto all’ascolto radiofonico): voce poco… contraltile e con timbro che nelle note acute tende a metallizzarsi. Mi verrebbe da dire che al suo posto, come Arsace, avrei visto (sentito) meglio la Raffaella Lupinacci, che invece è stata una più che apprezzabile Publia.

Degli altri, bene il Licinio di Sergio Vitale, mentre non esaltanti mi son parsi Dempsey Rivera (Oraspe) e Dimitri Pkhaladze (Gran Sacerdote). Raffaele Costantini si è dignitosamente comportato nella piccola parte del pastore. Su buoni standard il coro di Andrea Faidutti.

Will Crutchfield ha tenuto un approccio veramente (e direi doverosamente) serioso a questa partitura che lui ha personalmente riportato all’originale splendore, e della quale non ci ha risparmiato nulla (in ciò, come dicevo più sopra, può anche risiedere il limite della sua proposta, che mette a dura prova la… resistenza fisica del pubblico): la sua è una direzione sempre sostenuta, con tempi mediamente dilatati e accenti ieratici; in sostanza, una lettura coerente con l’intera operazione… filologica. L’orchestra Rossini lo asseconda dignitosamente e perdoneremo qualche piccolo inciampo dei fiati.

Tutto sommato direi che si è trattato della più riuscita, musicalmente parlando, delle tre opere del cartellone principale.        
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Ma ecco che, chiuso il 35, già si profila all’orizzonte il 36:


Come si usa precisare in simili circostanze: la Direzione si riserva la facoltà di apportare in qualunque momento modifiche al programma… etc. etc.

13 agosto, 2014

ROF XXXV: le prime alla radio (3)


C’è da dire che l’avvio di questa edizione del ROF ha avuto un po’ le caratteristiche di un proverbiale crescendo rossiniano: dopo una deludente Armida e un Barbiere nulla più che dignitoso, ecco ieri un Aureliano, al suo esordio al festival, accolto da un buon successo. E a dispetto dell’ipertrofica durata (ben più di 3 ore nette di musica!)

Will Crutchfield è l’artefice dell’impresa (parlo per ora dei suoni di Radio3, le immagini di cui è responsabile Martone andranno prima… viste): al musicologo-direttore yankee va innanzitutto riconosciuto il merito delle complicate ricerche compiute per arrivare ad un’edizione per quanto possibile appropriata (in assenza di fonti autografe) della partitura; poi la sensibilità esecutiva, evidente conseguenza di quegli approfonditi studi. Un esempio per tutti: l’introduzione della Sinfonia, che rispetto alla versione-Barbiere (udita la sera prima da Sagripanti) ha un passo solenne e serioso, e a piena ragione, poiché anticipa la scena sesta del second’atto, dove lo sconfitto Arsace vaga fra boschi e pascoli.

Nulla è stato risparmiato ai cantanti: recitativi e soprattutto i da-capo nelle arie principali. E i cantanti han risposto in modo positivo. Prima su tutti Jessica Pratt, una Zenobia convincente anche se non sempre perfetta, e insieme a lei l’Aureliano di Michael Spyres: i due hanno ripetuto il successo ottenuto qui un paio d’anni fa nel Ciro. Discreta anche la Lena Belkina nei panni di… Velluti (il castrato che fu il primo e paradigmatico Arsace) a dispetto di un timbro non proprio gradevole. Una buona prova hanno pure offerto Raffaella Lupinacci come Publia e Dimitri Pkhaladze come Gran Sacerdote; su onesti standard i comprimari Dempsey Rivera (Oraspe) Sergio Vitale (Licinio) e Raffaele Costantini (un pastore). Discreta, anche se con qualche incertezza, la prestazione del Coro bolognese di Andrea Faidutti. Encomiabile l’Orchestra Rossini, che ha retto benissimo il gravoso impegno.  

Per chiudere sulla copertura radiotelevisiva del Festival, ricordo che giovedi 14 RAI5 trasmetterà in differita l’Armida inaugurale e che Radio3 riproporrà on-demand (18-19-20) le tre prime.