XIV

da prevosto a leone
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09 febbraio, 2019

laVerdi 18-19 - Concerto n°16


Carlo Boccadoro (chiamato a sostituire l’indisposto Direttore musicale) Fabio Vacchi e Domenico Nordio (poi c’è anche un tale Mendelssohn...) sono i protagonisti del concerto di questa settimana, che incastona un’opera modernissima fra due che ormai si avvicinano ai due secoli di vita, ma benissimo portati!

Si apre quindi con la Ouverture zu den Hebriden (Fingals-Höhle) composta dal giovane Mendelssohn dopo una gita alle Ebridi, in particolare a Staffa, dove si trova la celebre grotta marina che dal ‘700 ha preso il nome dall’eroe scozzese Finn mac Cool (per gli amici… Fingal):


L’Ouverture, canonicamente in forma-sonata, è tutta pervasa da atmosfere ossianiche, che si ritroveranno anche nel movimento iniziale e in quello finale dell’ultimo brano in programma, la sinfonia scozzese, concepita guarda caso nello stesso periodo (1829-30) anche se completata anni e anni più tardi.

Ascoltandola si resta sempre ammirati dalla cristallina purezza di forma e contenuti che traspare da questo come da altri lavori giovanili di Mendelssohn (penso all’Ouverture del Sogno) e anche l’esecuzione di ieri non ha mancato di far emergere quelle qualità.
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Ecco poi due artisti-in-residence presso laVerdi, Fabio Vacchi e Domenico Nordio, interpretare Natura naturans, il Concerto per violino e orchestra che Vacchi compose nel 2016 e che ha recentemente rivisitato, dandogli anche il titolo che richiama sentimenti eco-ambientalisti. La prima versione ricevette il battesimo a Bari con D’Orazio al violino e un’altra vecchia conoscenza dell’Auditorium, John Axelrod sul podio (qui la registrazione dei tre movimenti del concerto: 1-2 e 3). 

Questa seconda versione vide la luce nel 2018, eseguita  a Budapest (1/10) e NY (5/11); come la prima, e come il quasi contemporaneo Concerto per violoncello, è dedicata alla figura di Livia Pomodoro, eminente donna di legge ma soprattutto paladina della difesa dei diritti, oltre che attiva anche nel mondo dell’arte e della cultura. Una dedica che, almeno nello spirito, ne richiama un’altra: quella alla memoria di un angelo, che Alban Berg appose al suo Violinkonzert, opera che Vacchi dichiara apertamente essere stato il suo modello di riferimento.  

Ecco come il compositore presenta il suo lavoro, ma in realtà anche la sua... visione del mondo e dell’arte:

Il mio primo concerto per violino è nato senza titolo. Ho lavorato a questa seconda, riveduta versione mentre ero immerso nella natura. Le aggiunte, i tagli e le modifiche derivano da un impulso che mi spingeva ad aderire anche dal punto di vista creativo a scelte ambientaliste, animaliste e, proprio in quanto tali, in difesa dell’uomo. In termini estetici, ad avvicinarmi sempre più a una scrittura che non dimenticasse mai, per ragioni puramente strutturali e soggettive, il rispetto della nostra fisiologia, della nostra percezione, della nostra natura.

La musica non è per me frutto di convenzioni astratte, la cui natura può essere definita solo in base a considerazioni arbitrarie, concettuali, ideologiche, filosofiche. La musica deve riflettere anche un’essenza umana universale innata, fisiologica, antropologica e in quanto tale collettiva. Ci sono alcuni processi organici, psicologici e simbolici che sono sostanziali nella composizione, anche contemporanea, dai quali non si può prescindere nel cercare una sintesi tra patrimonio popolare e storico da un lato e innovazione, sperimentazione, ricerca dall’altro.

Gli studi etnomusicologici e l’amore per la musica folcloristica innervano, insieme alle radici nell’avanguardia strutturalista e all’assimilazione della grande lezione classica e romantica, Natura naturans. Le melodie, i ritmi, le armonie e le atmosfere di ascendenza popolare mi hanno insegnato la libertà con cui utilizzare materiali consonanti o atonali, gesti tradizionali ed esplorativi. Oltre all’esigenza di rigore formale, la mia musica ricerca infatti una gestualità diretta, naturale ed emotiva, che deve penetrare al di là della superficie per arrivare alla più oscura logica sottostante. Le neuroscienze ci dicono che esistono limiti naturali entro i quali la comunicazione, anche musicale, può raggiungere le menti e i corpi degli altri: devono essere forzati dalla fantasia e dall’urgenza di scoprire inediti orizzonti, ma rispettati come tali.

Nell’arte e nella musica, l’imprescindibile necessità di inventare e di rivoluzionare deve quindi rimanere entro i limiti naturali della dimensione umana che è definita anche in termini biologici, fisici, chimici, neurologici. La bellezza e l’arte hanno il dovere di opporsi all’avanzata del consumismo e del semplicismo. Bisogna contrastare l’impoverimento, la banalizzazione del linguaggio. La musica è anche una via per riavvicinarci e aprirci ad altre culture, ad altri punti di vista, ad altre tradizioni. Per non cadere nel fanatismo, nell’oscurantismo. Difendere la natura significa difendere l’uomo e la vita.

I tre movimenti, costruiti sugli stilemi del concerto solista del diciottesimo e del diciannovesimo secolo, sono un omaggio all’impareggiabile Concerto per violino di Berg, che è per me il più grande punto di riferimento del ventesimo secolo. La struttura estremamente unitaria poggia sul legame intrinseco tra il materiale armonico e melodico del solista e quello dell’orchestra.

Il primo movimento, l’Allegro moderato, sebbene estremamente virtuosistico, ha accenti lirici che emergono quasi contrapponendosi all’andamento rapido, per rallentarlo, per interrogarlo, per svelarne l’espressività profonda in un dialogo onirico e ipnotico tra «l’interno e l’esterno», qui rappresentati dal violino e dall’orchestra.

Il cantabile Andantino è desiderio e nostalgia di melodia, della sua naturale forza espressiva e narrativa.

Nel terzo movimento, Presto brillante, la velocità è metafora di una pulsione primaria al superamento delle barriere, senza però mai violare quei limiti naturali oltre i quali si nega la nostra stessa umanità: la violenza verso gli altri, verso i deboli, verso i diversi, verso il pianeta, verso gli animali. Per quanto riguarda l’arte e la musica, la violenza contro la memoria, il pensiero, la natura cui apparteniamo.

Il Concerto per violino nella sua prima versione, nata per il Petruzzelli di Bari nel 2016, e nella sua seconda versione, Natura naturans, che ha avuto la prima europea all’Opera di Budapest il 12 ottobre 2018, la prima americana alla Carnegie Hall di New York il 5 novembre e questa prima italiana, ora, alla Verdi di Milano, è dedicato a Livia Pomodoro. Anche il concerto per violoncello, che ha avuto la prima al Petruzzelli di Bari il 30 ottobre 2018, fa parte di questo dittico dedicato a una grande donna d’oggi che ha dato tutta se stessa per i valori in cui credeva, e in cui io credo: la giustizia, la tutela dei minori, il teatro e l’arte.

Boccadoro, che è soprattutto compositore, rende un bel servizio al collega Vacchi, guidando da par suo l’orchestra ad integrare la prestazione di Nordio, che ci mette tutta le sensibilità e il pathos di cui è capace per valorizzare al massimo l’opera, accolta da vibranti apprezzamenti del folto pubblico dell’Auditorium. 

Così alla fine grande trionfo per Vacchi, salito sul palco visibilmente emozionato, poi ripetutamente chiamato alla ribalta, con interprete e direttore; lui più volte manda baci di ringraziamento all’orchestra, la cui prestazione evidentemente deve averlo soddisfatto appieno.
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Conclusione ancora ossianica con la Scozzese, di certo la migliore delle quattro sinfonie di Mendelssohn (non per nulla è anche l’ultima ad essere stata completata, a dispetto della numerazione). Nata - proprio in compagnia dell’Ouverture che ha aperto il concerto - da sensazioni ed emozioni vissute dall’Autore durante il viaggio (professional-turistico) del 1829 in terra albionica. E perciò la si può anche descrivere come fosse un poema sinfonico...

Nel primo movimento, aperto à-la-Haydn da un Andante con moto di ben 63 battute (la cui melodia verrà impiegata nella Walküre da un tale che di Mendelssohn - in quanto ebreo - scriverà peste e corna) che poi fa posto ad un Allegro un poco agitato, emergono proprio scenari da isole sferzate dal vento, di cui gli archi evocano ripetutamente le folate.

Nel Vivace non troppo (lo scherzo) la melodia del tema principale assume forme quasi telluriche, quando sono gli archi bassi e ottoni ad appropriarsene.

Una vera e propria oasi di pace sopraggiunge con l’Adagio, uno scorcio di mirabile lirismo, un intermezzo davvero pastorale, rotto soltanto da un paio di energici richiami degli ottoni.

Il conclusivo Allegro vivacissimo ci riporta in mezzo a bufere e tormente che spazzano e bruciano le coste scozzesi, ma alla fine tutto si placa, Ossian si dilegua e ci appare, quasi per incanto... Buckingham Palace, con Sua Maestà la Regina Vittoria (dedicataria dell’opera, non dimentichiamolo) circondata dalla sua corte, in un Allegro maestoso assai che - impiegando poche note dell’introduzione al primo movimento - porta la sinfonia all’enfatica e decisamente regale conclusione. 
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Grande prova di sicurezza e compattezza dell’orchestra, che Boccadoro deve più che altro... tenere in strada: ecco, per lui dev’essere stato come guidare una Ferrari, dove si deve evitare il pericolo di farla imbizzarrire. Gloria e applausi per tutti, da un pubblico evidentemente appagato.

08 marzo, 2014

Orchestraverdi – Concerto n°24

 

Ecco, questo è un concerto davvero particolare, da tanti punti di vista, e non tutti piacevoli… Intanto perché è diretto da una signora. Direte: oh, che novità, la Xian! Eh no, invece abbiamo Claire Gibault, un’altra delle poche quote rosa del firmamento direttoriale. Poi perché mette in programma una prima, il che non è cosa di tutti i giorni. Infine perché ci permette doveva permettere di ascoltare ancora dal vivo le note, genuine o supposte tali, dell’estremo lascito mahleriano.

Ma andiamo con ordine. Di Fabio Vacchi, compositore in residence presso l’Orchestra, abbiamo ascoltato la prima assoluta del melologo Veronica Franco. Ispirato ai testi letterari della più colta ed emancipata puttana che la storia ricordi, si compone di versi originali della Franco cantati dal soprano (ieri era Talia Or) e di testi che Paola Ponti ha tratto da altri scritti (epistolari, per lo più) della honorata cortigiana veneziana del XVI secolo (ieri recitati da Giovanna Bozzolo).

La musica di Vacchi, oltre ad accompagnare il canto, si incarica anche di creare l’atmosfera adatta per supportare il racconto della voce recitante. Il soggetto, se così si può dire, del melologo è incentrato sul processo che la Franco subì da parte dell’Inquisizione (accusa: stregoneria) e nel quale lei si difese da sola, ottenendo la piena assoluzione.

Si parte dalla sera precedente all’udienza, dove la donna prepara la sua difesa (-offesa in realtà) per continuare con la sua arringa auto-difensiva che le consente di salvarsi dal rogo. E dai versi e dai racconti di Veronica emerge tutto lo spaccato di civiltà a lei contemporanea, insieme alle sue incredibili doti di intelligenza, cultura e saggezza.

Vacchi trova il giusto equilibrio di suoni e colori per evocare le tante facce della vicenda di Veronica: dalle atmosfere non proprio idilliache dei pregiudizi e delle accuse contro di lei, ai suoi slanci di donna orgogliosa e decisa a vender cara la pelle, fino alla positiva conclusione della storia. Per raggiungere l’obiettivo il compositore impiega tutte le risorse disponibili in orchestra (percussioni in grande evidenza) ma senza mai esagerare in enfasi o retorica. E sempre mantenendo alto il livello di cantabilità e di lirismo dei suoi temi, cosa che del resto caratterizza tutta la sua produzione.

Convinti applausi e ovazioni hanno accolto l’esecuzione e gli autori.
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La Decima di Mahler prevista in questo concerto è una delle ultime ricostruzioni della sinfonia (che l’Autore, come noto, lasciò allo stadio di torso). A quasi tre anni fa risale l’ultima esecuzione qui in Auditorium: allora venne impiegata la versione predisposta da Derick Cooke, che negli anni ’60 del secolo scorso era stato il primo a cimentarsi nell’impresa (ardua ed anche discutibile, e assai discussa) di tradurre gli schizzi – corredati da indicazioni… extramusicali! - di Mahler in qualcosa di eseguibile.


Da allora altri si sono cimentati in questa stessa impresa e uno di questi è una vecchia – e ahinoi scomparsa – conoscenza de laVerdi: Rudolf Barshai. Il quale nel 2000 produsse la sua versione dell’opera, che ha poi eseguito varie volte (ecco una di queste) ed ha presentato anche qui nel 2002.  

Ferme restando le solite considerazioni relative all’arbitrarietà delle scelte operate dal ricostruttore/completatore - che ovviamente cerca (in perfetta buona fede, s’intende) di mettersi nei panni di Mahler per decidere come strumentare ciò che l’Autore aveva semplicemente abbozzato su pochi pentagrammi - si possono fare apprezzamenti sulle diverse ricostruzioni, come fa – qui peraltro in modo interessato – il recensore della Universal Edition che ha pubblicato la versione Barshai, in concorrenza a Faber Music che pubblicò quella di Cooke.  

Le differenze fra le due versioni - anche se magari è difficile coglierle all’ascolto dal vivo - non sono propriamente trascurabili, riguardando la scelta degli strumenti cui affidare le linee melodiche e/o le armonie indicate da Mahler e soprattutto la dinamica (a volte persino l’agogica) da perseguire.
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Tutto questo tormentone in realtà non serve ad alcunché, dato che ieri sera, meno di mezz’ora prima dell’inizio del concerto, un cartello esposto sulla locandina avvertiva che della sinfonia sarebbe stato eseguito soltanto l’Adagio iniziale, quello che Mahler lasciò ad uno stadio avanzato di completamento e che fu pubblicato da Universal (edizione di Erwin Ratz) già quasi un secolo fa e da allora eseguito e registrato da Direttori grandi e piccini.

Spiacevole contrattempo davvero, che ha provocato all’uscita reazioni piuttosto inviperite (e non senza motivo). Ciascuno può fare le illazioni che crede sulle cause che hanno portato al default (chissà se la Fondazione darà in proposito spiegazioni non puerili). Resta  purtroppo il fatto incontestabile che di episodio poco edificante si è trattato.

21 dicembre, 2012

Orchestraverdi – concerto n.14


Siamo ormai in pieno 21.12.12 e fino a questo momento non si è visto ancora nulla… però chissà se dipende dal fuso orario o dall’ora legale dei Maya… quindi ci resta forse qualche spicciolo di tempo per sperare ancora… dopodiché mi sa tanto che dovremo tornarcene abbastanza disgustati allo spread, al Berlusconi:0 e all’Amleto Mario

Per ingannare l’attesa, vediamo cosa ci propina questa settimana il concerto n°14 de laVerdi, sul cui podio è ancora Ruben Jais.

In apertura un’opera di Fabio Vacchi del 2008, commissionata dalla Filarmonica della Scala e la cui prima fu diretta nel 2009 da Riccardo Chailly: Prospero o dell’armonia, un melologo per voce recitante ed orchestra.

Il titolo viene dal protagonista principale della Tempesta shakespeariana, di cui Ferdinando Bruni (che fu anche la voce recitante alla prima) ha tradotto ed adattato dieci esternazioni che esprimono appunto la faticosamente conquistata attitudine di Prospero verso la tolleranza, il perdono, la serenità di giudizio, in fin dei conti… l’armonia.

Vacchi li ha rivestiti di musica davvero accattivante, aggiungendovi un’introduzione ed un intermezzo puramente strumentali, per un totale quindi di dodici numeri (per così dire). Assecondando lo spunto letterario, la musica si incarica ora di evocare suoni di natura, ora sensazioni e sentimenti dell’animo umano. Michele Di Giacomo ha interpretato i testi con grande pathos e piena identificazione con la filosofia dell’opera.

L’Autore, presente in sala (in compagnia di un suo giovane collega, Orazio Sciortino, già ospite a sua volta dell’Auditorium) è stato chiamato sul podio e lungamente applaudito dal folto pubblico: evidentemente (certa) musica contemporanea ha ancora molto da dire a cuori e cervelli.

Dopo l’intervallo, tutto Mozart, dapprima con il più alto (per me) dei concerti per pianoforte, il K466, con il trentunenne francese David Fray alla tastiera. Lo avevo sentito suonare questo stesso concerto con Salonen e la Philharmonia nel giugno 2011 al Ravenna Festival, e ne avevo potuto apprezzare le grandi qualità. Qualità che sono emerse anche ieri sera: pulizia estrema e assenza di qualunque romanticheria fuori luogo, insomma un Mozart fresco e trasparente, cui ha contribuito Jais tenendo l’orchestra sempre in atmosfere rarefatte, anche nei momenti più drammatici dell’Allegro iniziale. Una curiosità: le due cadenze non sono quelle celebri di Beethoven (chissà se sono di sua mano…)

Successo pieno per lui e bis con una bachiana Sarabanda.

In chiusura l’immortale Jupiter. Una vera e graditissima sorpresa la direzione di Jais, davvero ispirata e – come nel Concerto - improntata a grandissimo equilibrio e leggerezza; correttamente rispettato anche il da-capo dell’esposizione, cosa che non tutti fanno.

Lunghi quindi, e meritati gli applausi per Orchestra e Direttore.   
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Nel frattempo: dal fronte Maya ancora tutto tace… comincio a temere che bisognerà pazientare fino al 21.12.2112. Vuol dire che ci consoleremo a Capodanno con la Nona, come ormai tradizione qui.