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05 marzo, 2023

Vita scaligera da Bohème

Ieri la prima dell’antica Bohème scaligera, figlia del secolare Franco Zeffirelli, il cui allestimento compie proprio in questi giorni i 60 anni di ininterrotta presenza (23 stagioni!) al Piermarini: un vero record, a proposito di musei! Oggi è resuscitata da Marco Gandin e affidata ad una bacchetta coreana, di una ragazzina che sta di casa a San Francisco, quella di Eun Sun Kim.

Giusto quindi festeggiare queste ricorrenze irripetibili, ma…

Per rinfrescarmi la memoria avevo guardato in rete una recita fra quelle rimaste storiche, questa del 1979.

Ora, non voglio certo fare il passatista e proporre confronti improponibili (anche perchè sarebbero inevitabilmente impietosi!) fra i cast di 45 anni fa e quello di oggi.

Faccio invece qualche commento sul pubblico. Siamo proprio in un’altra epoca storica: allora si andava alla Scala come (e più che) a SanSiro. Come cartina di tornasole si osservi e si ascolti (nel video citato) ciò che accadeva in ciascuna delle prime tre chiusure di sipario: chiamate ripetute e un’autentica bolgia, urla selvagge e belluine, pubblico in delirio, insomma una partecipazione emotiva generale e al calor rosso.

Ieri sera, negli stessi momenti? Una sola uscita, quattro applausetti di circostanza e ciao. Pochi bravo! e qualche urletto soltanto alle uscite finali.

Quindi: siamo cambiati noi (in peggio o in meglio?) o si poteva fare qualcosa (o molto) di più per celebrare degnamente le due irripetibili ricorrenze?

23 ottobre, 2012

Bohéme senza sorprese alla Scala


Due delle undici recite di questa Bohème erano attese con grande curiosità: quelle che vedevano il ruolo di Mimì coperto dalla star Anna Netrebko. Importanti soprattutto per gli allibratori, che su di lei accettavano scommesse: non già sulla qualità della prestazione o sull'accoglienza che avrebbe ricevuto, ma sull'eventualità di una sua defezione all'ultimo momento (smile!)


Ebbene, questa volta niente sorprese: la divina Anna non ha accampato scusanti, e si è eroicamente presentata alla ribalta! Ed ha ottenuto un successo davvero strepitoso, in un teatro praticamente esaurito.

Ma direi che tutta la compagnia è stata all'altezza: Beczala innanzitutto, un convincente Rodolfo, il veterano Capitanucci, che alla scala fa Marcello ormai da un'eternità e lo Schaunard di Cavalletti; un filino sotto il Colline di Spotti e la Musetta della Dehn. Dignitosi gli altri comprimari e lodevoli i cori di Casoni.

Daniele Rustioni (fa rima con Battistoni, ma nel gesto assomiglia assai a… Mariotti) non ha – alle mie orecchie – demeritato, confermandosi ormai più che una promessa.

L'allestimento di Zeffirelli, che compie praticamente mezzo secolo, è proprio di quelli da museo: ma non nell'accezione sprezzante e diseducativa (sì, diseducativa, perché i musei sono l'asset più importante di una civiltà…) dei tifosi delle moderne regìe usa-e-getta, ma perchè davvero merita di essere portato ad esempio di serietà, coerenza e soprattutto di rispetto assoluto di un capolavoro del teatro musicale.

Come detto: gran trionfo, mi pare proprio meritato.


22 febbraio, 2012

L’Aida alla Scala: continua il calvario


Ieri sera terza rappresentazione di Aida in un Piermarini abbastanza gremito e che, fino alla fine, era parso come il proverbiale MET, dove si applaude sempre (quasi) tutto e tutti. Poi è ri-scoppiato il putiferio già udito per radio alla prima.

Dopo la quale, la critica (ufficiale e ufficiosa) non si era stranamente divisa sul giudizio sui cantanti – tutti da protestare con richiesta di risarcimento, pareva – ma su chi dava tutte le colpe del disastro al povero ebreo errante Wellber e chi lo difendeva a spada tratta, puntando minacciosamente i missili della IDF contro quelle terribili armi di distruzione di messa (in scena) costituite dai buu del loggione, ma soprattutto da cerbottane e archibugi che alcuni cecchini annidatisi in buca avrebbero impiegato per colpire a tradimento l'impavido Kapellmeister

Cito letteralmente due (autorevoli?) giudizi – apparsi dopo la prima - sul Maestro e chiedo (e mi chiedo): in che mondo viviamo? 

Scriveva tale Carla Moreni sul Sole24Ore: Wellber in questa Aida della Scala rappresentava l'unico in locandina veramente da applaudire: per il dominio tecnico nel rapporto buca-palcoscenico, per la quantità di idee musicali in orchestra, per la tensione teatrale complessiva. Gli si poteva rimproverare di non aver forgiato in maniera unitaria i cantanti, che andavano ognuno per la sua strada e con una propria lingua, ma non certo di non saperli accompagnare, con duttilità e sicurezza, senza mai errori. A suo agio con il lessico dell'ultimo Verdi, diabolico nel passaggio repentino dalla massa debordante al dettaglio minuto. Il terzo atto, restituito nella sonorità notturna, increspato nelle tinte laminate degli archi, drammatico nello sbalzo degli accenti spostati, trapuntato di mille finezze, era un autentico pezzo di bravura, reinventato col viso aperto dei trentenni.

Lo stesso direttore, nella stessa serata, era così giudicato dal barcacciaro Stinchelli: Insalvabile, per quanto riguarda la concertazione, Omer M.Wellber: una direzione pessima, trasandata, moscia, demotivata. (…) A fronte di un simile s-concertatore, che definire "incapace" è forse un delicato eufemismo, la barca non poteva che affondare.

Insomma, anche i paludati si sono lasciati andare ad epinici ed epicedi tipici da tifoseria, e quindi costituzionalmente poveri di realismo e sobrietà. Perché Wellber – parliamoci chiaro – non è di certo (ancora quantomeno…) il Toscanini risorto, ma nemmeno è uno salito sul podio ieri mattina per la prima volta.

Poi c'è la critica ruspante, che ben si configura come i classici ultras-folgore vs commandos-tigre. Questi alcuni tipici commenti:

Wellber non sa tenere insieme l'orchestra, tuonano gli ultras-in-kefiah. Sta lì solo perché raccomandato da Barenboim e dai banchieri ebrei!

Manco per niente - replicano le tigri - basta vedere come ha tenuto insieme le orchestre di Valencia e di Bassano del Grappa! Sono i Trepper che fanno schifo!

Ma allora – urlano i folgorini – com'è che gli schifosi Trepper quando arriva tale Harding si trasformano nella bella copia dei Berliner?

Perché sono invidiosi di chi fa carriera in fretta, soprattutto se ebreo, inveiscono i commandos

Beh, direi che il paragone calcistico (compreso qualche tipico flavour razzista) torni proprio a pennello, poiché orchestra e direttore sono esattamente – dal punto di vista dello sviluppo dei rapporti interni ai gruppi organizzati - come la squadra e l'allenatore. Da che mondo è mondo esistono allenatori che fanno sfracelli con la squadra A, mostrando di saperla tenere in pugno con assoluta sicurezza… per poi cadere miserevolmente quando chiamati ad allenare la squadra B, che magari sulla carta sembra migliore della A. Tale Marcello Lippi vinse n trofei con la Juve ma poi – passato all'Inter - dovette dileguarsi col favore delle tenebre per sfuggire ad un linciaggio. Ed è la stessa persona che ha poi vinto un mondiale, mostrando di saper tenere insieme una squadra-di-prime-donne-isteriche, per perderne schifosamente un altro dove si era portato dietro solo i più scodinzolanti yes-men del momento… E nel business, quante volte capita che un CEO porti alle stelle la Corporate-X e poi, assoldato a peso d'oro dalla Corporate-Y, la porti invece sull'orlo della bancarotta? 

È vero che nel calcio (come in quasi tutti gli sport) i risultati sono determinati in modo abbastanza oggettivo, e cioè dai gol fatti e subiti (oltre che anche dal culo, dalla sfiga, dai pali, dai gol-in-fuori-gioco e dall'arbitro-venduto) mentre all'opera si vince o si perde a seconda di come è composto il pubblico giudicante (5% del totale, a dir tanto) e di quanto fiato ha da spendere… però, insomma, il clima che si crea fra squadra e allenatore un minimo di importanza ce l'ha. Ergo, se fosse vero, come si dovrebbe purtroppo dedurre da ciò che si è letto su giornali e web, che fra la squadra dei Trepper e l'allenatore Omer non corre buon sangue, la regola vorrebbe che fosse quest'ultimo a togliere il disturbo, non foss'altro perchè è uno solo da sostituire invece di 18-20 (nel calcio… qui, addirittura, invece di 80-100!) E quindi il presidente del club meneghino (nella fattispecie tale Stefano Lisseneri) non dovrebbe far altro che convincere il suo facpocum-scaligero a rimandare il pupillo Wellber ad allenare il Valencia e il Chievo. In attesa che, chissà – proprio come sta accadendo al mitico Harding, inizialmente vituperato e irriso – fra qualche anno anche Omer possa tornare alla Scala da profeta… 

Ma siamo poi sicuri che il problema stia lì? Torniamo a ieri sera. Intanto, di cerbottane e archibugi in buca non si è vista l'ombra. Poi, durante la recita solo applausi (scarsi, ma chiari); anche per il maestro ai rientri. Poi, chiusa la pesante lapide sui due poveri disgraziati Aida-Radames, ecco ciò che non ti aspetti: uscita collettiva dei cantanti (manca il povero dulcamara Maestri, morto nel frattempo, che si è visto negare la singola alla fine del terz'atto per mancanza di… stimoli) e applausi convinti. Uscita collettiva di cantanti, più Wellber e Casoni e – fra convinti applausi – un coro di buu e di vergogna! in particolare dal secondo loggione! Ohibò, a chi diretti? Dovremmo capirlo alle successive uscite singole: per tutti i cantanti chiari e forti applausi; poi esce Wellber e si prende, fra gli applausi, solo qualche buu rachitico… L'unico a non uscire da solo è Casoni: ergo, si dovrebbe dedurre che i vergogna! erano tutti e solo per lui (e per il coro)? Mi parrebbe francamente assurdo, quindi… che dire dell'arbitro
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Adesso però, anche se so benissimo che non frega nulla a nessuno, devo esprimere – per dignità verso me stesso - la mia impressione su questa recita. In assoluto la giudicherei discreta: nel cast dei cantanti, nel coro e anche nell'orchestra e nel direttore. Che vuol dire in assoluto? Che non ho rilevato errori marchiani, stonature clamorose, abissali scollamenti fra buca e palco, né attacchi fuori tempo. Ma basta questo, alla Scala? Ecco, non me ne vogliano i bocia, ma questo risultato (forse) basta dalle parti di Bassano del Grappa. La Scala deve dare di più, non foss'altro perché chiede di più, molto di più, e a tutti: pubblico, istituzioni e sponsor.
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PS-1: a rincarare la dose è arrivato anche il papà (anzi, il… bisnonno) di questo allestimento, giudicato irriconoscibile! Ma Zeffirelli non se l'è presa col povero Marco Gandini (colpevole di… qualche bacetto di troppo fra Radames e Amneris) bensì con il cast e la produzione musicale in genere, che avrebbero rovinato la reputazione della sua mirabile creatura (!)
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PS-2: da abbonato alla stagione d'opera ricevo ieri una lettera - su carta e in busta rigorosamente giallo-Scala - che mi avverte con profonde scuse del default di Semyon Bychkov per la prossima FroSch… ecco, questo sì che è Customer-Relationship-Management! (Invece, sulla mini-locandina cartacea, è scritto che quella di ieri sera era la quarta rappresentazione: forse la terza l'han fatta sul ponte di Bassano?)

 

18 giugno, 2009

Torna Aida di Zeffirelli, ma con Barenboim (upd. 22/6)


Comincio, proprio per rompere il ghiaccio, con una perlina: scopriamo oggi che l’Aida di Zeffirelli del 2006-07 era diretta da Muti, che fa di nome Riccardo, effettivamente, ma che ai tempi era già defenestrato da due anni. Pazienza.

Nel 2009 subentra, ad un italiano germanizzato, un argentino-israeliano più germanizzato ancora: Daniel Barenboim, recordman di direzioni a Bayreuth ed attuale re di Berlino (ex-est) dopo avervi - figurativamente - estromesso Thielemann (peraltro subentratogli chez-Wagner).

Nel 2006 si parlava solo di Zeffirelli; oggi proprio di nessuno, forse perchè non siamo a SantAmbrogio, bensì in estate e per di più tutti intenti ad una difficile programmazione vacanziera: come far quadrare la crisi con le Maldive. Certo dal prossimo autunno il Daniel che si vuol fare anche la Carmen sarà al centro delle polemiche, non solo musicali.

Tornando a bomba, e dato che prima del 20 giugno si può solo parlare di ciò che già fu visto, dico subito che tendo a stare con Zeffirelli. Magari poteva risparmiare impiegando oro finto e non a 24K, però, vivaddio, leggiamo tutti sul libretto che l’opera si apre con a destra e a sinistra, un colonnato con statue e arbusti in fiore. Grande porta nel fondo, da cui appariscono i templi, i palazzi di Menfi e le Piramidi. E poi vediamo tripodi d’oro da cui si innalza il fumo degli incensi. La Scena II del secondo atto è ingombra di popolo. Poi le truppe egizie, precedute dalle fanfare, sfilano dinanzi al Re. Seguono i carri di guerra, le insegne, i vasi sacri, le statue degli Dei. Un drappello di danzatrici che recano i tesori dei vinti. Da ultimo Radamès, sotto un baldacchino portato da dodici uffiziali. Insomma, nei primi due atti ci sono anche ingredienti da Grand Opéra e delle due l’una: o diciamo chiaramente che Verdi fu stupido o succube di forze maligne, oppure bisognerà pur accettare il fatto che lui musicò - stupendamente - anche scene apparentemente pacchiane, esagerate e retoriche. Viceversa, se vogliamo de-pacchianizzare ed attualizzare tali scene (e qualcuno ci ha già pensato) allora dovremmo anche rivedere musica e orchestrazione... cioè fare un’altra Aida.

La dotazione internet per le 6 recite era andata esaurita in pochi minuti, lo scorso aprile: avendo mancato l’appuntamento allora, avevo ormai disperato, quando un piccolo - ma fondamentale - 1 è comparso miracolosamente proprio stamattina e ciò mi consentirà di non perdere un evento che considero interessante.

Vedremo poi all’atto pratico... (intanto di Egitto si parla già in tutti i bar-sport e cortei di auto strombazzanti dei discendenti di Radames attraversano la nostra periferia).

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Update del 22/06

Come d’abitudine, la prima ha avuto le sue belle contestazioni! (Sono curioso di assistere alla terza, perchè - more solito - potrebbe confermare la regola che ultimamente imperversa al Piermarini).

L’AGI (quella che ci ricordava - vedi sopra - che l’Aida zeffirelliana del 2006 era diretta da Muti) ci fa sapere dei buu al Maestro e alla Smirnova, mentre ci notifica il salvataggio degli altri interpreti.

Francamente imbarazzante il commento di Perrino, che ha visto (?!) Amneris interpretata dalla Siri, ma che concorda con Mattioli (Stampa) e Girardi (Corriere) sulla promozione per il buato Daniel. Il quale, l’abitudine (e il coraggio) di sfidare i buanti ce l’ha da mo’ (ultimamente lo dimostrò proprio in Scala dopo un disastroso Imperatore).
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31 agosto, 2008

MaaZeff vs Carsen&C

In questi ultimi giorni di agosto il Corriere ha ospitato una polemica piuttosto accesa sul cosiddetto Regietheater (la regia teatrale di opere liriche e drammi musicali) anzi, più propriamente su quel fenomeno “di costume” che viene etichettato sprezzantemente (ma non senza ragione, secondo me) Eurotrash (spazzatura europea).

Da una parte due vecchi (in tutte le accezioni - buone-cattive - del termine): Lorin Maazel e Franco Zeffirelli; dall’altra un regista canadese (Robert Carsen) in rappresentanza della nutrita schiera dei giovani registi-di-teatro che, soprattutto in Europa, imperversa da anni in molti teatri - non solo tedeschi, dove la practice è nata - con allestimenti controversi e spesso davvero indecenti, di opere e drammi musicali.

MaaZeff sostengono il principio sacrosanto - che sulla carta nemmeno Carsen&C contestano, altrimenti passerebbero subito dalla parte del torto - della supremazia dell’opera d’arte originale e del rispetto che le si deve.

Casren&C - i C si chiamano Bieito, Herheim, McVicar, Guth, Decker, Sellars, Vick, Wilson, Barlow, Brockhaus, Wagner (Kathi), Schlingensief... e hanno come maestri-tutori i vari Konwitschny, Kupfer... e come più lontani campioni Chéreau, Friedrich e addirittura Wieland Wagner - sostengono la necessità che l’ambientazione di un’Opera vada rinnovata, rispetto all’originale e alla tradizione interpretativa, in modo da renderla meglio e più comprensibile e godibile da parte di un pubblico che ha sulle spalle 50 anni, o uno o due o tre secoli di storia, di esperienza e di evoluzione della civiltà, rispetto a quello dei tempi in cui l’Opera fu creata. Lo slogan che tipicamente viene impiegato per supportare tale necessità è: se non viene innovata, un’opera lirica (o un dramma musicale) si trasforma in un museo.

Aperta parentesi: già, un museo. Come quell’obbrobrio del Louvre, vero? dove tuttora ci si interstardisce ad esporre (ma perchè mai milioni di persone la vanno ancora e sempre a vedere?) la Gioconda, proprio come il maestro la dispinse, senza cambiarle una virgola, che so, l’antiquato abbigliamento, o la ridicola pettinatura. Oppure gli Uffizi, dove si può sostare per un tempo limitato (dalla massa di visitatori che premono) ad ammirare capolavori del passato. O l’Ermitage, il Museo Egizio di Torino (o del Cairo) e tutti gli altri musei grandi e piccoli sparsi in tutto il pianeta. Insomma, il museo - per l’opera lirica e il dramma musicale - sarebbe equiparabile ad una discarica maleodorante e impresentabile! Chiusa parentesi.

In sostanza, i campioni del Regietheater sostengono la necessità - quindi il diritto addirittura - di regista, scenografo e costumista (e aggiungiamo pure del responsabile delle luci) di intervenire di testa propria su regia, scene e costumi di un’Opera musicale, con il nobile scopo di mantenere alti l’interesse e la partecipazione del pubblico verso questo genere di Arte.

Tutto ciò rappresenta un fine per nulla disprezzabile. A patto che non si superi un certo limite: quale? Quello oltre il quale l’operazione si trasforma in un vero e proprio sequestro di un capolavoro (come tale universalmente riconosciuto) da parte del regista, allo scopo di promuoverne la sua propria (del regista) visione, con ciò distorcendo però quella del creatore dell’opera medesima, fino a renderla irriconoscibile, privando quindi l’opera delle qualità che ne hanno determinato, nel tempo, l’universale riconoscimento di capolavoro.
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E proprio Carsen ci ha dato quest’anno un’esemplificazione perfetta di cosa significhi valicare o meno quel limite: le sue interpretazioni italiane di Salome e di Elektra.