trump-zelensky

quattro chiacchiere al petrus-bar
Visualizzazione post con etichetta rilling. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta rilling. Mostra tutti i post

02 novembre, 2013

Orchestraverdi – Concerto n°7

 

Torna sul podio de laVerdi il venerabile Helmuth Rilling per proporci un delizioso programma tutto mozartiano.

Programma aperto dalla Sinfonia K319 (catalogata come la 33ma) composta da un Teofilo 23enne che era in procinto, con Idomeneo, di spiccare il grande volo delle opere della maturità. 

E proprio nell’iniziale Allegro assai scopriamo un motivo secondario che Mozart riproporrà come tema conduttore dell’ultimo movimento di sinfonia da lui composto, quasi 10 anni dopo:
 
Qualcuno l’ha definita la pastorale di Mozart, e non senza ragione; a giustificarlo basta questo esempio di un motivo del Finale:

Come sempre Rilling dirige con grande sobrietà, ma con assoluto rigore,  ed è davvero un piacere ascoltare da lui – ben assecondato da Dellingshausen che guida l’orchestra da par suo - questo piccolo capolavoro.
___
Ecco poi la sorridente tedeschina Mirella Hagen farsi avanti per interpretare Exultate, Jubilate!  Composto dal 17enne Mozart ed eseguito per la prima volta proprio a Milano nel gennaio 1773 (altro anniversario… 240 anni!) fu dedicato e indirizzato al castrato Venanzio Rauzzini, già interprete di opere mozartiane.

A volte è definito mottetto, altre volte aria: in effetti ha un testo vagamente spirituale (non strettamente religioso) su cui Mozart ha scritto una musica assolutamente laica e profana, piena di svolazzi da teatro. E che chiude – sull’Alleluja! - con un accenno all’inno dell’imperatore, nientemeno:

La Hagen fa gorgheggi da usignolo (non per niente quest’estate a Bayreuth ha sostenuto la parte dell’Uccellino del bosco…) e si merita calorosi applausi dal foltissimo pubblico.
___
Chiude il programma la Praga (K504) già diretta qui proprio da Rilling anni orsono. Di struttura haydn-iana, a partire dalla lunga introduzione lenta all’iniziale Allegro, che anticipa nelle atmosfere cupe l’imminente DonGiovanni, manca però del Menuetto, cosa che ancora gli esperti devono decidere se sia stata voluta da Mozart, o sia dipesa da… perdite nelle tubature (smile!)

Rilling non si smentisce e ce ne dà ancora un’interpretazione impeccabile, accolta calorosissimamente dal pubblico, che si è goduto una serata davvero… distensiva.    

18 gennaio, 2013

Orchestraverdi – concerto n.18


Il monumentale Ein Deutsches Requiem occupa interamente (e a buon diritto!) il cartellone del concerto di questa settimana. 

Dalla sua Stoccarda, dove lo ha diretto poche settimane fa, arriva a proporcelo uno dei più amati Direttori ospiti de laVerdi: Helmuth Rilling, che a dispetto dei suoi quasi 80 anni sprizza vitalità da tutti i pori!

In un Auditorium finalmente affollato (come non si vedeva da qualche settimana, eccezion fatta per la Nona di fine anno) ancora una volta, a distanza di quasi due anni dall’ultima esecuzione con Zhang Xian, sono risuonate le note di questo straordinario inno di speranza e consolazione. Del quale non saprei davvero cosa scrivere di nuovo o di originale, tale è la sua fama (qui poche note proposte in occasione di una visita milanese di Pappano&C).  

Rilling ce lo ha porto con un approccio intimistico, tenendo un volume di suono sempre contenuto, persino nelle poderose fughe che costellano la partitura, rinunciando a qualunque enfasi e ai facili effetti che talvolta caratterizzano interpretazioni eccessivamente cariche di teatralità tardo-romantica: insomma, il Requiem di Brahms, e non quello – con tutto il rispetto, per carità (e lo aspettiamo qui a marzo) - di… Verdi!

Impeccabile il coro di Erina Gambarini e sempre lodevole la compattezza dell’orchestra, in specie il pacchetto degli archi bassi, chiamati ad un impegno eccezionale. Quanto alle due voci, bellissima, anche se piccola, quella di Letizia Scherrer, voce che secondo me magnificamente si adatta al testo e alla musica dell’Ihr habt nun Traurigkeit; meno efficace, sempre a mio modestissimo avviso, quella del giovane baritono Johannes Mooser, voce di potenza inversamente proporzionale all’imponenza della sua stazza, e di timbro eccessivamente leggero.

Ma alla fine ciò che conta è la grandissima emozione che sempre ti prende e che ti resta dentro all’ascolto di questo capolavoro.

Prossimamente ancora Brahms e Mendelssohn.

24 settembre, 2012

Una grande Creazione di Rilling al Conservatorio


Chiusura (o quasi…) in grande stile per il MITO-2012 al Conservatorio, dove ieri sera è stato presentato – peccato per i grandi vuoti in sala… - il monumentale oratorio Die Schöpfung (La creazione) di Haydn

Ad interpretarlo la Internationale Bachakademie Stuttgart, la prestigiosa formazione (che comprende le voci della Gächinger Kantorei e gli strumentisti del Bach-Collegium Stuttgart) diretta dal venerabile Helmuth Rilling, che ne fu il fondatore quasi 60 anni fa! Solisti di canto il soprano Julia Sophie Wagner (nei ruoli di Gabriel ed Eva) il tenore Lothar Odinius (Uriel) e il basso Markus Eiche (Raphael e Adamo). 

Il testo dell'Oratorio, di provenienza albionica ma di dubbia paternità, fu poi predisposto per Haydn da un nobile austriaco – tale Barone Gottfried Freiherr van Swieten – e ricalca da vicino la Bibbia (Genesi e Salmi) e il Paradise Lost di Milton. Il primo verso, recitato da Raphael l'Arcangelo, è proprio Im Anfange schuf Gott Himmel und Erde (Genesi, 1,1: In principio Dio creò il cielo e la terra.)  

Haydn pensò bene di anteporre all'Oratorio una specie di Ouverture, cosa del tutto logica e consueta, però attenzione, non vi inserì temi ripresi poi nel corso dell'opera (qualche motivo effettivamente lo risentiamo più avanti) ma ne fece propriamente un Preludio alla Creazione, intitolando queste 58 battute in 4/4 Die Vorstellung des Chaos, La rappresentazione del Caos. (Si noti che questo è anche l'unico sottotitolo che compare in tutta la partitura.) 

Ora, sappiamo che nella Bibbia mai si parla di Caos – inteso come ciò che preesisteva alla creazione dell'universo – e che il Caos è invece un concetto ben più antico, usato dai Greci e prima ancora dagli Ittiti. I moderni esegeti della Bibbia lo impiegano per immaginare quella realtà disordinata cui Dio avrebbe posto ordine con la creazione di cielo e terra (e di tutto il resto… Uomo incluso). E di sicuro Haydn a questo pensò decidendo di anteporre al racconto biblico il suo Preludio.  

Bene, chiunque di noi si ponesse l'obiettivo di evocare in musica il concetto di Caos, molto probabilmente penserebbe a cose del tipo: stridenti dissonanze, improvvise esplosioni di suoni e rumori, continui cambi di tempo e di ritmo, anzi propriamente assenza di ritmo e tempo, insomma: un totale disordine sonoro prodotto da strumenti magari impiegati fuori e contro le loro stesse naturali prerogative. Oppure, come fece il buon Wagner nel preludio del Rheingold, il semplice silenzio, rotto magari da un indistinto ronzio, un sordo rumore di fondo evocante l'abissale nulla cosmico. 

Haydn? Beh, il nostro buon credente deve aver ragionato così: anche se prima della creazione c'era il Caos, esso non poteva però preesistere a Dio! Ergo, anche il Caos doveva essere necessariamente un prodotto di Dio, anche se un prodotto magari ancora rozzo, che infatti Dio decise in seguito di, ehm… perfezionare. Ecco perché la Vorstellung, ben lungi dal presentarci un caos sonoro, è invece un mirabile, perfettamente strutturato e ordinato brano musicale, nel quale l'Autore semplicemente introduce alcune deviazioni rispetto alle vigenti regole canoniche di composizione. Deviazioni nemmeno poi troppo gravi né così scandalose per i suoi tempi, e addirittura trascurabili per noi, che ormai da più di un secolo ad autentici caos sonori abbiamo dovuto, volenti o nolenti, allenare le nostre orecchie.
___

Già sui righi della partitura compaiono in chiave i tre bemolli, che ci preparano al DO minore (o al MIb maggiore) quindi tonalità classiche del diatonismo, ma poi nella prima battuta – quella che ci dovrà inevitabilmente presentare lo scenario originale, ciò che preesisteva anche al Caos - ascoltiamo tutti gli strumenti (escluso il terzo trombone e il controfagotto - che non suonano mai nella Vorstellung - e i corni) suonare con 18 voci, ad intervalli di ottave, un'unica nota: il DO (per noi la prima nota musicale!) forte (ma con forchetta decrescente) e lungo a piacere (corona puntata); insomma, sembra qui di vedere il Creatore, evocato da due sue ben precise prerogative: l'unità (la trinità verrà dopo…) e la solenne e imperturbabile eternità!  

Nelle tre successive battute (piano) a suonare sono soltanto gli archi (tutti con sordina) contrabbassi esclusi (curiosità: nel citato preludio del Rheingold, in analogo scenario, Wagner farà invece suonare solo i contrabbassi); nella battuta 2, ai violoncelli che continuano a suonare il DO (ma un'ottava più in alto) si aggiunge il MIb delle viole che ci salgono dal DO originario e quindi ci portano vagamente verso l'atmosfera di DO minore (è per caso il Caos visto musicalmente come un'emanazione minore di Dio?) ma nella seconda metà della battuta entrano i secondi violini con un LAb, raggiunto salendo dal DO sottostante: ohibò, qui abbiamo la triade fondamentale di LAb maggiore (altro che caos… come udiremo fra poco!) Che dura solo quella mezza battuta, chè nella terza viole e violoncelli degradano di un semitono, rispettivamente a RE e SI naturale, mentre i violini primi entrano con un FA e i secondi tengono ancora il LAb: abbiamo quindi qui un accordo di quattro note (SI-RE-FA-LAb) costituito da una sovrapposizione di tre terze minori: ciò che accademicamente è definito accordo di settima diminuita, che ha un sapore piuttosto sinistro. Ma dura solo mezza battuta, poiché i violini secondi scendono al SOL, producendo un effetto di accordo di dominante (di DO) ma solo per una semiminima, dato che i violini primi salgono al FA#, creando una momentanea dissonanza. Insomma, qualcosa si sta muovendo, e lo fa all'interno di uno scenario non certo caotico (nel senso che noi diamo comunemente al termine) ma musicalmente organizzato, sia pure con qualche piccolo… disordine.  

Ora quella dissonanza lascia spazio ad una battuta suonata dai soli violini primi, che percorrono all'unisono, a partire dal precedente FA#, un semplice arco cromatico (con SOL-LAb-SOL) per poi cadere sul RE. Sembrerebbe la classica cadenza preparatoria per il DO (minore o maggiore) ed invece qui, a battuta 5, ecco riesplodere, forte, tutta l'orchestra (anche i corni adesso arrivano a dar manforte): al MIb e al DO (che ci porterebbero appunto a DO minore) si aggiunge il LAb di violini secondi, fagotti, flauti, oboe, corno, clarinetto e trombone, il tutto a creare l'accordo perfetto di LAb maggiore (la triade LAb-DO-MIb) tenuto per una minima (metà battuta) dall'intera orchestra e protratto fino a fine battuta da violini secondi, viole e violoncelli. Ci siamo quindi adagiati sulla sesta diminuita di DO; cosa possiamo immaginare? Il Creatore che è sceso dal suo trono di un paio di gradini (toni interi) per osservare il Caos, e che già pensa (la triade) che dovrà sporcarsi le mani?  

Ora seguono altre tre battute, in cui il Caos si agita viepiù: oltre agli archi entrano infatti in azione anche i fiati con funzione melodica (vedi le terzine ascendenti del fagotto) per arrivare (a battuta 9) ad un esito ancora imprevisto, come vedremo. Nella seconda metà della battuta 5 e nelle battute 6-7 i violini, le viole, i violoncelli, i flauti e il primo fagotto presentano linee che ricompariranno quasi identiche alle battute 41-42 (e questo già ci dice qualcosa della strutturazione della Vorstellung!) Lasciando il LAb maggiore, e tornando in piano, l'atmosfera ridiventa grigia, con il FA# dei primi violini e la discesa a RE e SI naturale (da MIb e DO) di viole e violoncelli. Nella seconda metà della battuta 6 i violini primi scendono al FA e i secondi al SOL, mentre entrano oboi e flauti: l'accordo diventa (dal basso) SI-RE-FA-SOL-LAb, quindi una settima diminuita rinforzata dal SOL, con il SI naturale e il LAb acuti di flauto e oboe a creare un'atmosfera davvero sinistra, agitata dall'inserimento del fagotto con due terzine ascendenti (SOL-SI-RE_SOL-SI-RE). Atmosfera che però presto si rischiara un poco, a metà della battuta 7, dove ci si sposta gradatamente verso il DO minore, anche con l'entrata dei clarinetti che suonano per terze sulla scala minore (SOL-MIb poi FA-RE) e le viole che arpeggiano con due terzine ascendenti sulla scala di DO minore. A battuta 8 sembra proprio che la risoluzione sul DO minore sia cosa fatta, visto l'incedere di clarinetti e fagotto e la preparazione di flauto e oboe (RE e FA# rispettivamente). Invece - ma guarda un po' - a battuta 9 esplode inaspettato il MIb maggiore. (Che sia il Creatore che risale sul trono, ma adesso fattosi trino, perché decisosi all'immane impresa?) 

Nelle battute da 10 a 20 si rimane – pur con una certa instabilità, vedi la dissonanza provocata dal SOLb nel trombone e dal LA naturale in clarinetto e violini secondi sul secondo quarto della battuta 12 – nell'atmosfera del MIb maggiore, ma appunto a battuta 20 c'è un'ardita modulazione che - passando dall'accordo di LAb minore e trasformando la tonica MIb in sopratonica - fa degradare la tonalità di un intero tono portando - a battuta 21 - ad un accordo pieno di REb maggiore (! è ancora Dio che scende un gradino per meglio osservare?) che viene rinforzato da pesanti crome puntate di tutti gli archi e dal clarinetto che ne percorre la triade discendente LAb-FA-REb. 

A questo punto abbiamo quattro battute (22-25) fondamentali nell'economia strutturale della Vorstellung: oboe e flauto espongono (22-24) una linea melodica costituita da semiminima doppiopuntata e sforzata – semicroma – semiminima – semiminima, con andamento ad arco; la figurazione si ripete tre volte ad altezze crescenti di un tono intero: dal MIb, al FA, al SOL, da dove poi la melodia sale cromaticamente – battuta 25 – al LAb, al LA e da qui al SIb, tornato dominante di MIb. Queste tre figurazioni (che ricompariranno ad altezza diversa alle battute 45-48) sembrano dar l'idea di forze che cercano in qualche modo di organizzarsi e di emergere, ma ancora con grande fatica, come testimonia l'armonizzazione cupa con cui sono presentate. 

A battuta 25 siamo comunque tornati al MIb, che ora sembrerebbe instaurarsi stabilmente, come ci dicono gli arpeggi del secondo clarinetto sulla dominante. Ed a battuta 28 gli oboi, per terze, ripetono la sezione ascendente della figurazione esposta a 22-24, a velocità doppia (croma puntata – semicroma- croma) prima partendo da sopratonica-sensibile (FA-RE) e poi dalla mediante-tonica (SOL-MIb) in un'atmosfera a dir poco inebriante. Ma a battuta 29, allorquando sono i corni ad imitare gli oboi con le stesse figurazioni, ecco che il primo clarinetto, il primo oboe e il fagotto emettono degli autentici lamenti (una seconda minore che scende dal DOb sforzato al SIb) che inquinano l'atmosfera sognante che si era appena installata. Idem per la prima metà della battuta 30, dopodiché la figurazione, su un forte dell'orchestra ribadito da un secco colpo di timpano, porta ad una settima diminuita (SOLb-LA-DO-MIb) che sembra non promettere nulla di buono e invece… sfocia (battuta 31) ancora in MIb maggiore, con il primo clarinetto che ci arabesca una scala ascendente di più di due ottave (dal SIb grave al DO acuto). 

Nella battuta 32, dove il clarinetto si ferma sulla sesta di MIb (DO) e i violini secondi martellano sommessamente le loro crome sulla sopratonica FA, le viole restano ancora con note ribattute sul MIb, ma prima i contrabbassi e poi i violoncelli ripetono a canone stretto l'inciso ascendente (semiminima doppio puntata – semicroma – semiminima) dalla sottodominante LAb al DOb, creando così una tensione armonica che prepara una incredibile modulazione al SOLb maggiore (dominante REb): cose che riudiremo solo nel… Parsifal

L'atmosfera si incupisce di nuovo, mentre gli incisi ascendenti si ripetono negli archi bassi, nel fagotto, flauto, clarinetto, oboi; il flauto (battuta 36) aggiunge un veloce arpeggio, a partire dal FA#, scalando e scendendo ben sei terze minori, prima che il DO di violini primi e clarinetto e il FA# di viole ed oboe (battuta 38) ci portino verso il SOL, che reiterato con una velocissima scalata di due ottave del flauto, prepara, insieme ai martellanti rintocchi del timpano - DO e poi SOL - il pesantissimo ritorno (battuta 40) del DO, che la (quasi) intera orchestra scandisce con una sestina di semicrome seguita da una croma. Sembra quasi che Dio voglia ribadire la sua potenza e la sua immutabilità… però, a differenza della prima battuta della Vorstellung, qui deve picchiare i pugni sul tavolo (!) Ed anche il MIb dei corni (che all'inizio avevano taciuto) adesso macchia irrimediabilmente la sua immagine di minore

Ma è ciò che avviene ora che ci conferma cosa Haydn pensasse del Caos. Dalla seconda metà della battuta 40 e per altre due battute abbiamo la riproposizione (quasi) pari-pari delle battute 5-7: stesse note e stesse tonalità; poi, le sei battute dalla 43 alla 48 ci ripresentano – con l'intervento del clarinetto e qualche diversa infiorettatura del flauto al posto del fagotto - ciò che avevamo udito da battuta 20 a 25… ma in tonalità diversa e precisamente una terza minore sotto. Insomma, pare di essere di fronte ad un – sia pure embrionale – schema di forma-sonata! Il Caos… organizzato, per l'appunto! 

Le ultime 8 battute della Vorstellung poi… sembrano addirittura anticipare Tristan (è detto tutto). La chiusa, dopo le discese di flauto e clarinetto, è dei soli archi, su una triade, mesta e grave, di DO minore. 

Ecco: Dio ha osservato il Caos e si prepara (sembrerebbe quasi… di malavoglia!) ad intervenire. 
___

In omaggio all'assunto secondo cui il durante e il dopo della creazione – però va tenuto presente che nel dopo qui non si va oltre l'Eden! – devono essere del tutto diversi dal prima, Haydn ha rivestito le tre parti dell'Oratorio (le prime due raccontano i sei giorni – 4+2 - del durante e la terza il dopo) di vesti musicali totalmente diverse da quelle della Vorstellung. Quanto questa è prevalentemente sofferta e cupa, tanto il resto è sereno e solare.  

In effetti tutta l'opera è pervasa di gioia ed ottimismo, assecondando in pieno le caratteristiche del testo, che innalza lodi alla potenza e alla provvidenza divina, esaltando le bellezze del creato, senza mai nemmeno sfiorarne gli aspetti tragici. Ammiriamo il leone e la pecorella, che popolano la terra crescendo e moltiplicandosi, ma non vediamo il leone che – per crescere e moltiplicarsi – azzanna la pecorella… (perché è la mano di Dio che nutre ogni creatura). Non manca nell'elenco degli animali il serpente, ma nulla lascia presagire che poi il rettile assumerà un ruolo decisivo nel portare Eva ed Adamo alla perdizione. Gli stessi fenomeni naturali, anche i più drammatici, come le tempeste e le folgori, vengono sempre descritti per evocare la grandezza del Creatore, mai i danni che provocano all'ambiente e a chi lo abita.  

In tutto il testo troviamo solo pochissimi e vaghi accenni – quasi soltanto dei presentimenti – ai risvolti negativi legati alle caratteristiche del creato: qui un semplice aggettivo – distruttore – a descrivere l'uragano; là il riferimento all'usignolo il cui petto non è ancora oppresso dal dolore; infine, l'ultima esternazione di Uriel, che esalta l'eterna beatitudine della coppia umana… finchè non si lasci vincere dal desiderio di avere, e soprattutto di sapere di più.  

Ma l'opera termina in gloria, con l'ennesima lode per il Creatore. E ciò che colpisce subito è la sua grandissima cantabilità, le sue melodie orecchiabili, schubertiane, quasi romantiche… lontane assai dai temi sempre severi, classici, colmi di austerità e seriosità - anche quando allegri - delle sinfonie e dei quartetti del sommo Josephus.
___

Rilling e i suoi Musikanten – una compagine dalle dimensioni non ipertrofiche, meno di 40 strumentisti e meno di 50 coristi - ne hanno dato un'interpretazione pregevolissima (del resto si tratta di uno dei loro cavalli di battaglia) sia nelle pagine prettamente strumentali che nei grandi squarci corali. Discreta la prova dei solisti, fra cui è spiccata la bella voce di Julia Sophie Wagner; accettabili le prestazioni di Lothar Odinius e Markus Eiche (quest'ultimo un po' a corto di… potenza.)  

Caloroso successo e grandi applausi per tutti, fra i quali anche quelli di Erina Gambarini, Maestro del Coro de laVerdi – di cui Rilling è da anni uno dei Direttori principali ospiti – che nell'intervallo è andata a salutare il Maestro con cui i prossimi 17-18-20 gennaio proporrà in Auditorium il Requiem brahmsiano.

03 febbraio, 2012

Orchestraverdi – concerto n 18


Ancora Helmuth Rilling sul podio per proporci un oratorio di quelli davvero enormi: Elias di Mendelssohn.

Un vero peccato che l'Auditorium fosse semideserto, probabilmente (anche) a causa del trasloco (speriamo temporaneo) della Siberia in Italia. Però mi pare che qualcuno abbia anche fatto il furbo, andandosene a casa nell'intervallo: fatto sta che la seconda parte dell'Oratorio ha visto più musicanti sul palco che spettatori in sala (!)

I solisti sono (soltanto) quattro, ma si fanno in quattro (smile!) per coprire le necessità. Così il doppio-quartetto diventa un quartetto-single; poi la brava Simone Easthope, oltre che la parte di soprano, si accolla anche quella del ragazzino che Elia manda a scrutare il mare, e addirittura sale in galleria, giusto per dare un tocco scenografico alla sua prestazione. In compenso, per ottenere con due soliste un terzetto (di Angeli, nella seconda parte) si cooptano al proscenio due signore del coro, e così il terzetto diventa addirittura un quartetto! Bravissimo il baritono Markus Eiche, nelle vesti del protagonista profetico: voce forse un filino troppo chiara per l'austero personaggio, ma benissimo impostata e con efficace modo di porgere. Discreti anche il tenore Dominik Wortig e il contralto Kismara Pessatti. Superba la prestazione del coro di Erina Gambarini.

Helmuth Rilling – come suo solito – quando fa una cosa la fa sul serio, così stavolta ha mandato a memoria tutte le 350 pagine di questa gigantesca partitura, che rivaleggia con quelle delle grandi passioni bachiane, di cui lui è (come lo fu Mendelssohn!) un super-esperto.

Successo assicurato, con applausi convinti da parte dei pochi – ma buoni – aficionados lapponi.

Prima di chiudere, qualche personale considerazione su quest'opera. Sulla cui grandezza formale non si discute, come sull'ispirazione melodica di molte frasi, a cominciare dalla bellissima aria del tenore:

 
O il delicato terzetto (quello che Rilling ha trasformato in quartetto!) degli Angeli:


Però è il complesso dell'opera che (a me) lascia, come dire, un retrogusto non propriamente entusiasmante, come di quei dolci che dopo qualche boccone finiscono per provocare un principio di nausea. Per carità, non voglio certo condividere qui l'analisi stroncante (su basi che sfiorano il razzismo) proposta da Wagner nel suo famigerato libello sul Giudaismo in musica. Ma alcune acute considerazioni che vi si leggono, in particolare sulla posizione dell'opera di Bach nella storia della nostra civiltà musicale e sul velleitarismo di riproporne gli stilemi (che metterebbe a nudo l'impotenza di Mendelssohn - a differenza di Beethoven - a comporre musica che tocchi le corde più sensibili del nostro cuore e della nostra anima) credo che non siano del tutto peregrine.


Prossimamente terzo appuntamento con Dvorak e Aldo Ceccato.
--

27 gennaio, 2012

Orchestraverdi – concerto n 17


Uno degli ospiti fissi de laVerdi, il venerabile Helmuth Rilling, torna sul podio per dirigere un programma interamente mozartiano, in un Auditorium abbastanza gremito (si sa, Mozart: un nome, una certezza, smile!

Si inizia con la celeberrima K550 in SOL minore. Rilling schiera proprio l'orchestra come doveva essere ai tempi di Mozart: archi ridotti all'osso ad affiancare i soli 7 fiati previsti dalla partitura (flauto, 2 oboi, 2 corni e 2 fagotti, niente trombe nè clarinetti – che Mozart impiegherà in luogo degli oboi in una seconda versione - e pure niente timpani). Ne esce un'esecuzione precisamente settecentesca, dal suono cameristico e leggero. Chi è abituato a truci interpretazioni romanticheggianti, con orchestre di stazza mahleriana magari non ne esce soddisfatto, ma il vero Mozart è questo!

Invece, a proposito di Mozart non propriamente genuino, si passa alla Sinfonia concertante K297b per oboe, clarinetto, corno e fagotto con accompagnamento di archi, oboi e corni.
___
Quest'opera è tuttora oggetto di dispute e diatribe, quanto alla sua autenticità. Si sa che Mozart (in gita nel 1778 a Parigi con la mammina, che purtroppo di lì a poco vi morirà e vi verrà sepolta, dopo un misero funerale cui assistettero solo Wolfgang e un amico) si era impegnato a comporre una Concertante per quattro solisti di Mannheim (col flauto al posto del clarinetto). Ma né un originale, né copie autentiche o attendibili sono mai emersi e ciò che abbiamo a disposizione - e che ha dato il nome (francamente usurpato) all'opera - è soltanto un manoscritto di dubbia provenienza, scovato e fatto ricopiare a Berlino da tale Otto Jahn quasi un secolo dopo la presunta composizione e, guarda caso, proprio mentre costui si apprestava a pubblicare una sua biografia di Mozart!

C'è comunque chi sostiene sia musica troppo grande (escludendo magari il modesto accompagnamento orchestrale…) per non essere del Teofilo; chi invece ipotizza sia un pastiche (tre movimenti, tutti nello stesso MIb, orrore!) messo insieme da sconosciuti sulla base di ricordi di qualche concerto; chi pensa sia stata effettivamente scritta da Mozart a Parigi (col flauto al posto del clarinetto) ma poi andata davvero perduta, e quindi riscritta – a memoria – dal compositore per il nuovo organico di solisti; chi invece sospetta che a Parigi Mozart non abbia composto proprio un bel nulla di quel pezzo (tant'è che il concerto dei solisti di Mannheim per i quali era stato commissionato non ebbe luogo…) dopodichè si sarebbe inventato per papà Leopold la scusa del manoscritto non restituitogli dallo sbifido committente (LeGros) e solo successivamente avrebbe buttato giù qualcosa (la parte solistica) senza portarlo a termine; e così via immaginando. Quanto alla pratica, la versione che si esegue normalmente è quella rinvenuta da Jahn e pubblicata nel 1886 da Breitkopf col titolo Concertantes Quartett, che è entrata ed uscita dal catalogo Köchel come in una porta girevole: dapprima inserita fra le opere perdute; poi nel 1936 (Einstein) immessa nel catalogo principale; infine, dagli anni '60 (6a edizione del catalogo) relegata al ruolo di appendice, dentro una specie di limbo di opere di incerta paternità, mentre la 297b è tornata ad assumere lo status di non-parvenu.

Insomma, una storia lunga, travagliata e certamente non ancora chiusa. Ad esempio, il solito (ultimo in ordine cronologico di una lunga serie) primo della classe (Robert D.Levin, nella fattispecie, autore del saggio Who Wrote the Mozart Four-Wind Concertante?) ha provato a ri-arrangiare il brano sulla base di complesse ricerche statistiche sulle tecniche compositive di Mozart. Intanto ha riesumato il flauto (in luogo dell'oboe, che prende il posto dell'espunto clarinetto); poi ha fatto intervenire i solisti da subito, già sulla prima esposizione dei temi dell'Allegro (di cui ha riscritto completamente la cadenza); ha tagliato molta parte orchestrale (dove effettivamente si incontrano bizzarrìe formali assai poco mozartiane…) e anche qualche sezione di quella solistica, ugualmente ritenuta fuori-forma (sempre mozartianamente parlando); ha redistribuito qua e là le linee degli strumenti solisti; ha tagliato le 4 misure introduttive orchestrali dell'Adagio; nel conclusivo Andantino con variazioni ha espunto totalmente le 10 apparizioni dell'interludio orchestrale (che precede le altrettante variazioni al tema, trasformandosi effettivamente quasi nel tema principale di un rondò…) introducendo al loro posto la ripetizione di tutte le (22) linee melodiche dei solisti. Ecco un'interessante esecuzione di Neville Marriner e della St.Martin con Aurele Nicolet al flauto, Heinz Holliger all'oboe, Herrmann Baumann al corno e Klaus Thunemann al fagotto: parte1, parte2, parte3, parte4. Effettivamente va dato atto a Levin di aver messo in piedi un prodotto di tutto rispetto, di qualità e godibilità non certo inferiori a quelle del comunque spurio e apocrifo originale. Ma, diciamolo francamente, a questo punto qualunque Allevi di passaggio (smile!) potrebbe inventarsi la sua propria variante della ricetta, con lo stesso grado di (in)credibilità.
___
Qui in Auditorium restiamo invece ancorati alla tradizione (quindi col clarinetto) e i solisti sono quattro prime parti dell'Orchestra Verdi: Emiliano Greci all'oboe, Raffaella Ciapponi al clarinetto, Sandro Ceccarelli al corno e Andrea Magnani al fagotto. Quindi, dopo la Concertante di Haydn di un paio di settimane fa, ecco un'altra occasione di mettersi in mostra per i bravi strumentisti de laVerdi. Che non se la lasciano sfuggire di certo e fanno la loro bella figura, calorosamente applauditi da pubblico e colleghi.

Chiude degnamente la serata la K543, già diretta qui dallo stesso Rilling quasi due anni orsono.

Il quale Rilling sarà ancora protagonista la prossima settimana, salendo sul podio per dirigere il colossale Elias di Mendelssohn.
--

28 gennaio, 2011

Stagione dell’OrchestraVerdi - 20



Helmuth Rilling torna a dirigere laVerdi con un programma tutto romantico (anche lui evidentemente ogni tanto sente il bisogno di evadere dal severo mondo bachiano, smile!)

 
Si apre con Mendelssohn e l'Ouverture dalle musiche di scena per Athalia, opera che Rilling ha inciso nella sua interezza con la sua Gächinger Kantorei e l'Orchestra della Radio della sua Stuttgart. Il soggetto è di natura biblica, e l'Ouverture contiene sonorità, motivi e atmosfere già uditi ad esempio nella Lobgesang e nella Reformationssymphonie. Un brano austero e serioso nelle parti esterne (in Maestoso), entro le quali è incastonato il Molto Allegro, che resta comunque ancorato a grande nobiltà.

 
Dopo l'antipasto, ecco un pezzo da novanta. Essendo anno di ricorrenza mahleriana, il boemo viene infilato di traverso anche in questo concerto: suo è infatti l'adattamento per orchestra d'archi del famoso Quartetto D810 di Franz Schubert, noto col sottotitolo La Morte e la Fanciulla. Come accadde anche all'altrettanto famoso Quintetto in LA maggiore (la Trota) anche questo quartetto è lo sviluppo di un precedente Lied schubertiano.

 
Che fra le opere della civiltà musicale europea esistano vasi comunicanti e reciproche influenze è verificabile anche in questo Quartetto. A cominciare da un motivo esposto all'inizio dell'Allegro dal primo violino, che ritroveremo nella Prima sinfonia di Brahms:
Il lungo Andante con moto presenta il tema della morte, preso dall'omonimo Lied e chiaramente ispirato dall'Allegretto della Settima beethoveniana:


 
Poi, lo Scherzo è costruito su un ritmo di cui si ricorderà Wagner, al momento di scolpire la personalità dei suoi Nibelunghi:

 
Infine, fra il tema principale del Presto e la Chanson Bohème parrebbe esserci una qualche, sia pur vaga, parentela:

 
Il trasferimento del quartetto al più vasto organico dell'orchestra servirà magari a renderlo meglio udibile in una vasta sala da concerto, ma gli toglie la caratteristica intimità originaria. Già nel 1894 (anno della trascrizione) quando Mahler eseguì l'Andante all'interno di un concerto ad Amburgo, alcuni critici reagirono assai negativamente: uno dei più autorevoli, tale Josef Sittard, si indignò a tal punto da togliere il saluto al direttore-compositore!

 
Rilling fa del suo meglio per conservare la vena intimistica del quartetto e usa l'orchestra con grande parsimonia, quasi mai andando oltre il mezzo-forte. Fa tutti i ritornelli (come sua precisa consuetudine) e rimedia quindi una durata di tre quarti d'ora. È grande musica, che dà modo ai professori (Danilo Giust in testa, nell'occasione sulla sedia del Konzertmeister) di mostrare le loro qualità solistiche. Tutti accolti da applausi convinti (mah… anche alla fine dei primi due movimenti).

 
Dopo l'intervallo torna Mendelssohn a concludere il concerto con la fin troppo nota Sinfonia in LA maggiore. Anche qui Rilling evita accuratamente ogni enfasi e punta tutto sulla leggerezza e la trasparenza della partitura: ne esce quell'autentico gioiellino che l'Italiana è, quando non si pretende di farne una sinfonia tardo-romantica.

 
La prossima settimana un concerto fuori dagli schemi.
.

18 ottobre, 2010

L’Orchestra Verdi ancora alla Scala per opere di bene .


Dopo il concerto inaugurale della stagione, laVerdi è tornata al Piermarini per un concerto a favore dell'Istituto dei Ciechi di Milano. Sul podio uno dei Direttori Principali Ospiti dell'Orchestra, il venerabile Helmuth Rilling. Il programma è assai vicino a quello diretto dallo stesso Rilling in Auditorium lo scorso aprile.
.

In un teatro assai affollato si comincia con la breve Ouverture dal Paulus di Mendelssohn (lo scorso giugno Rilling aveva diretto, sempre in Auditorium, l'intero oratorio). Vi compare fin da subito il famoso tema bachiano Wachet auf, ruft uns die Stimme, ripreso e variato su una severa fuga, dopo l'introduzione lenta, e riproposto con enfasi e solennità nel finale.
.
Dopo il necessario (?) trambusto per traslocare il pianoforte, arriva Davide Cabassi per cimentarsi con il Concerto n°23 in LA maggiore di Mozart (ad aprile era stato un altro bravo pianista italiano, Roberto Cominati, ad interpretarlo). Come sempre estroverso e quasi scanzonato, sorridente ed ammiccante a direttore e orchestrali, l'ex-barbuto 34enne ci offre una lettura sobria e serena del K488, specie nel languido movimento contrale, nella relativa FA# minore.
.
Grandi applausi per lui, che ci regala come bis una virtuosistica Sonata di Padre Antonio Soler (qui da 2:10 a 6:05).
.
Chiude la Praga, 38ma sinfonia, in RE maggiore, del sommo Teofilo. Che Rilling – come suo costume – esegue con i ritornelli canonici, sia nell'Allegro iniziale, che nel Presto conclusivo.

Applausi convinti e ripetuti, premiati con la ripresa della solenne Ouverture del Paulus, che chiude il concerto proprio come l'aveva aperto. Un bravo a tutti i ragazzi de laVerdi, che - non sarà superfluo ricordarlo – avevano chiuso la colossale sesta mahleriana in Auditorium alle 17:30!
.

18 giugno, 2010

Stagione dell’OrchestraVerdi - 36

Chiusura davvero in grande per la stagione 2009-2010 de laVerdi. Con lo sfoggio di tutta l'impressionante potenza di fuoco di cui è capace: in un Auditorium quasi pieno (ma che si è purtroppo smagrito nell'intervallo… bah) abbiamo ascoltato un'opera – il Paulus - che da decenni non si dava in Italia, e vorrà pur dir qualcosa!

Orchestra con disposizione moderna, senza organo (che dovrebbe suonare solo in 13 dei 45 brani e spesso con pura funzione di pedale) e con controfagotto a sostituire l'antico serpente. Il venerabile Rilling – che con questo Mendelssohn bachiano è proprio a casa sua - dirige a memoria!

E a proposito di Bach, cui Mendelssohn non nascondeva affatto di ispirarsi, in questo oratorio ne aleggia proprio lo spirito, dai contenuti religiosi alle forme. Già l'Ouverture cita scopertamente – a parte la tonalità di LA, invece di MIb - il Bach della Cantata BWV-140 Wachet auf, ruft uns die Stimme:

.

.

.

.

Questi stessi versi e note compariranno poi nel grandioso Corale N°15, in RE maggiore.

Dell'incipit del N°1, il coro che apre l'Oratorio, si ricorderà addirittura Wagner, nel principio del suo Lohengrin! (a dispetto del trattamento non propriamente urbano riservato a Mendelssohn dall'antisemita Wagner nel suo libello Das Judenthum in der Musik).

A confermare la predilezione di Mendelssohn per i temi religiosi e biblici – tipico approccio luterano - l'ultima parte dell'ultimo coro (Lobe den Herrn, meine Seele) verrà più avanti ripresa dal compositore ed inserita – diversamente musicata, a parte l'incipit - nella sua seconda sinfonia, come secondo dei 10 brani vocali della Lobgesang:

.

.

.

.

.

.

Un bravo ai quattro solisti – il soprano Simone Schneider su tutti - e soprattutto al coro di Erina Gambarini, che ha anche fornito le due voci di basso soliste (i falsi testimoni) per il N°3 e che ha surrogato con i soprani anche la parte assegnata alle voci bianche nel N°35.

Successo pieno e calorosi applausi per tutti per questa degna chiusura di stagione.

Appuntamento il 5 settembre alla Scala per l'inizio di una nuova avventura!

23 aprile, 2010

Stagione dell’OrchestraVerdi - 28

Solo Mozart per questo concerto de laVerdi. Auditorium al tutto esaurito, evidentemente il Teofilo fa sempre cassetta (vorrà dir qualcosa?) Un concerto per pianoforte incastonato tra due sinfonie (la quart'ultima e la terz'ultima); opere scritte dal sommo fra il 1786 e il 1788, quindi in un periodo di grande fecondità compositiva che si accompagnava a gravi difficoltà materiali.

Helmuth Rilling – uno dei due direttori principali ospiti, 77enne canuto, minuto e curvo, ma capace di scatti da ragazzino - sul podio. Una sua caratteristica interpretativa, materiale fin che si vuole, è che lui rispetta certosinamente tutti i da-capo che trova sulle partiture. L'aveva fatto, mesi fa, nientemeno che con la Grande schubertiana (portata a ben oltre l'ora di durata); figuriamoci se non lo faceva con le sinfoniette (diminutivo solo riferito alla quantità di tempo, ovviamente) del salisburghese.

Si apre con la Praga, dove Mozart, seguendo l'esperienza della precedente Linz, prevede una lunga introduzione lenta (36 misure) all'Allegro iniziale, secondo il classico modello strutturale haydniano. Nelle prime battute c'è qualcosa di dongiovannesco (ormai imminente in quella fine del 1786):















..

.

Dopo l'Andante, in questa sinfonia non c'è Menuetto (sennò diventava troppo lunga?!) e si passa direttamente al finale.

Rilling, che è un bachiano doc, cerca sempre la limpidezza e trasparenza del suono e la leggerezza dell'approccio e ci porge proprio il Mozart qual è, settecentesco, addirittura ante-Haydn; giustamente lontano da tante interpretazioni à la Beethoven. E l'orchestra, ridotta anche nella sezione archi, risponde al meglio.

Roberto Cominati arriva poi per porgerci il ventitreesimo Concerto per Pianoforte, un piccolo gioiello, tutto da suonarsi in punta di dita, caratterizzato da lunghe peregrinazioni sulla scala diatonica, con pochi o nessun passaggio brusco o drammatico (del resto anche l'orchestra è ridotta al minimo, mancando oboi, trombe e timpani e con organico cameristico anche negli archi). Molto bravo il nostro Roberto soprattutto nell'adagio centrale, dove le tonalità di LA maggiore e della sua relativa FA# minore si intersecano di continuo. Appena un poco più movimentato il finale, col suo caratteristico incipit quinta-ottava:





.

.

Un presto che Cominati mostra di padroneggiare benissimo, ben assecondato da Rilling e dall'Orchestra. Successo caloroso, contraccambiato anche da un bis.

Si torna alle sinfonie con la K543, anch'essa strutturata secondo Haydn, con 26 battute di Adagio in 4/4 a preparare l'ingresso dell'Allegro in 3/4:





.

Lungo, ma di quelle lunghezze celestiali, l'Andante con moto. Sempre leggero e misurato il Menuetto, con quel gioiellino del Trio, dove flauto e clarinetti sembrano rincorrersi leggiadramente. Di grande effetto il Finale, con il caratteristico tema, le cui prime sette note chiuderanno la sinfonia in modo quasi esilarante:





.
.
Meritatissimo successo per Rilling e Orchestra.
.
Prossimamente avremo un programma franco-polacco-russo.
.

23 ottobre, 2009

Stagione dell’OrchestraVerdi - 5


Davvero robustissimo il programma del quinto concerto della stagione, diretto da Helmuth Rilling (campione del barocco passato per l’occasione al romantico, che con laVerdi ha ormai lunga consuetudine, e ne è uno dei Direttori ospiti principali). Tre opere che nulla hanno in comune se non le travagliate o complicate vicissitudini legate alla loro nascita.

Qualche vuoto più del solito in Auditorium: a causa dei primi rigori autunnali, o più probabilmente per la forte concorrenza del concomitante concerto in Scala, col duo Chung-Pogorelich impegnato in un programmone russo tardo-romantico.

Si comincia con Schubert e con le musiche di scena per Rosamunde (D797). Un’opera davvero disgraziata (nel senso di caduta in disgrazia) che non superò le due rappresentazioni a dicembre 1823. Colpa, a dir di tutti, del soggetto scritto dalla presuntuosa Wilhelmina Christiane von Chézy, che già aveva buggerato il povero Weber con la farraginosa Euryanthe. Avendo avuto sì e no un mese di tempo per comporre la musica, Schubert ricorse ai soliti mezzucci, tipo scopiazzature di altre sue musiche, fino all’uso, pari-pari, proprio à la Rossini, di un’Ouverture scritta per un’opera precedente (Alfonso&Estrella). Non contento, cambiò poi idea, facendo pubblicare col titolo “Ouverture a Rosamunde” nient’altro che la musica (D644) che apriva Die Zauberharfe, in DO maggiore, che è poi divenuta famosa per la sua brillantezza e ricchezza di temi orecchiabilissimi. Oggi di Rosamunde restano 10 numeri (ouverture esclusa) che prevedono anche l’intervento di coro e contralto (una recente esecuzione è quella di Abbado con i Berliner alla Philharmonie).

Per solito si eseguono però diverse spurie suites: in pratica ciascun Direttore assembla qualche numero secondo la propria sensibilità, e secondo il ruolo che intende riservare a questo titolo nello specifico concerto, o all’interno di una registrazione. Rilling ha proposto un estratto di circa 10’: il Balletti dell’Atto II (Allegro Moderato in SI minore, RE maggiore, SI maggiore e poi Andante in SOL maggiore). La prima sezione è ad orchestra piena; la seconda, presa da Rilling quasi come un allegro, ad organico ridotto (mancano trombe, tromboni e timpani, e gli strumentini la fanno da padroni). Rilling ha poi ripetuto parte dell’Allegro moderato, chiudendo sul SI maggiore. Insomma, un gustoso aperitivo, come nella più classica tradizione dei programmi concertistici; uno di quei pezzi che incontrano naturalmente il gusto e il favore del pubblico, che a dirigere siano (non me ne vogliano!) Rilling o Abbado o …Toscanini.

Poi è la volta del tanto bistrattato quanto famoso Concerto doppio opus 102 di Brahms, con la figliola del Direttore (e fan di Roberto Benigni, come si apprende dal suo profilo su Facebook) Rahel, al violino e Dávid Adorján al violoncello. Bistrattato poiché – anche per colpa di Brahms – è da molti considerato con sospetto, un’opera mal riuscita, né carne né pesce, una quinta sinfonia abortita, un vorrei-non-posso partorito quasi di malavoglia e più che altro per compiacere due solisti (Hausmann e Joachim). La più deludente critica al concerto arrivò da tale Clara Schumann… figuriamoci! Sul tubo si può trovare una ormai storica esecuzione del trio russo Oistrakh-Rostropovich-Kondrashin (Allegro-a, Allegro-b, Andante, Finale) oltre ad una più recente (2004) dei simpatici bolivariani diretti da un impettito Gustavo con capelli corti, pizzetto ed occhiali (Allegro-a, Allegro-b, Andante, Finale).

I due solisti non sono chiamati a virtuosismi impossibili, ma debbono quasi amabilmente dialogare come fossero due gentlemen al club, solo di tanto in tanto risvegliati e interrotti da qualche sussulto dell’orchestra: una specie di quadretto domestico, che musicalmente ben rappresenta lo status di Brahms verso la fine degli anni ’80, al momento per lui di tirare i remi in barca e dedicarsi esclusivamente a composizioni cameristiche. E Rilling ha se possibile ulteriormente accentuato i tratti cameristici del pezzo, deludendo forse le aspettative di chi si aspetta da un concerto per solisti e orchestra una più accesa dialettica.

Fra le due parti, quella del violoncello è probabilmente la più impegnativa ed appariscente, e così e stato anche ieri sera, con Dávid Adorján in bella mostra. La Rilling direi senza infamia nè lode, ha fatto accuratamente il suo compitino. Applausi non proprio trionfali, da parte di un pubblico forse un pochino narcotizzato…

Infine, il clou della serata, la Grande di Schubert. A parte la singolarità di una sinfonia che ha tutti e quattro i movimenti privi di accidenti in chiave, DO maggiore e LA minore (il che fa pensare istintivamente ad una stomachevole mappazza del famoso cacao-meravigliao) ogni sua esecuzione solleva immancabilmente la curiosità e la conseguente domanda: ma sono stati eseguiti tutti i da-capo (le ripetizioni che motivarono la famosa definizione di Schumann di divina lunghezza)? Normalmente (su Youtube si trova ad esempio una ripresa live di Böhm del ‘73 con i Wiener - qui le parti 1a, 1b, 2a, 2b, 3a, 3b, 4a, 4b) il Direttore omette 4 ritornelli: quello dell’esposizione dell’Allegro non troppo iniziale, due dello Scherzo (seconda sezione prima del Trio e seconda sezione del Trio medesimo) e quello – interminabile – del Finale. Tanto per dare un’idea, rispetto alla durata dell’esecuzione citata di Böhm, circa 50’30” (ho un vecchio vinile di Sawallisch con i Symphoniker, che dura un minuto in più…) si tratta di circa 11 minuti di musica che, se eseguiti in toto, porterebbero la durata oltre l’ora, in piena zona-Mahler!

Per l’interpretazione di Rilling la locandina dell’Auditorium reca l’indicazione di circa 55’, che si potrebbe interpretare in vari modi: durata al lordo delle pause fra i movimenti (quindi verosimilmente senza ritornelli) o durata netta, che porterebbe a supporre che il Direttore esegua un paio dei da-capo, o come minimo quello del finale. Poi sul programma di sala, sempre assai ben curato e firmato per questa sezione da Gabriella Mazzola Nangeroni, leggiamo di una durata di 50’ circa, il che sembrerebbe non lasciar dubbi sui tagli divenuti ormai consueti. Invece Rilling sorprende tutti ed esegue per intero i ritornelli, raggiungendo un mirabile equilibrio di durate dei 4 movimenti: 16’-14’-14’-16’ per un totale di un’ora esatta! Certo questo dato matematico non basterebbe a promuovere col massimo dei voti un’esecuzione.

In realtà qualche imprecisione o manchevolezza si è notata (ad esempio i tromboni troppo invadenti nel Finale, archi non sempre compatti, un Andante preso con eccessiva velocità…) però il gran pregio dell’esecuzione è di non essere stata per nulla pesante, menchemeno stomachevole. Lunga, ma gradevole, se non proprio divina. Al termine applausi scroscianti, che ancora perduravano quando il Konzertmeister Luca Santaniello ha dato il rompete le righe ai colleghi, visto che erano quasi le 11 di sera!

E già incombe, fra sette giorni, altro grande appuntamento: Requiem di Verdi.
.