02 novembre, 2013
Orchestraverdi – Concerto n°7
18 gennaio, 2013
Orchestraverdi – concerto n.18
24 settembre, 2012
Una grande Creazione di Rilling al Conservatorio
03 febbraio, 2012
Orchestraverdi – concerto n 18


Prossimamente terzo appuntamento con Dvorak e Aldo Ceccato.
27 gennaio, 2012
Orchestraverdi – concerto n 17

28 gennaio, 2011
Stagione dell’OrchestraVerdi - 20

.
18 ottobre, 2010
L’Orchestra Verdi ancora alla Scala per opere di bene .
Dopo il concerto inaugurale della stagione, laVerdi è tornata al Piermarini per un concerto a favore dell'Istituto dei Ciechi di Milano. Sul podio uno dei Direttori Principali Ospiti dell'Orchestra, il venerabile Helmuth Rilling. Il programma è assai vicino a quello diretto dallo stesso Rilling in Auditorium lo scorso aprile.
.
.
18 giugno, 2010
Stagione dell’OrchestraVerdi - 36
Chiusura davvero in grande per la stagione 2009-2010 de laVerdi. Con lo sfoggio di tutta l'impressionante potenza di fuoco di cui è capace: in un Auditorium quasi pieno (ma che si è purtroppo smagrito nell'intervallo… bah) abbiamo ascoltato un'opera – il Paulus - che da decenni non si dava in Italia, e vorrà pur dir qualcosa!
Orchestra con disposizione moderna, senza organo (che dovrebbe suonare solo in 13 dei 45 brani e spesso con pura funzione di pedale) e con controfagotto a sostituire l'antico serpente. Il venerabile Rilling – che con questo Mendelssohn bachiano è proprio a casa sua - dirige a memoria!
E a proposito di Bach, cui Mendelssohn non nascondeva affatto di ispirarsi, in questo oratorio ne aleggia proprio lo spirito, dai contenuti religiosi alle forme. Già l'Ouverture cita scopertamente – a parte la tonalità di LA, invece di MIb - il Bach della Cantata BWV-140 Wachet auf, ruft uns die Stimme:
.
.
.
.
Questi stessi versi e note compariranno poi nel grandioso Corale N°15, in RE maggiore.
Dell'incipit del N°1, il coro che apre l'Oratorio, si ricorderà addirittura Wagner, nel principio del suo Lohengrin! (a dispetto del trattamento non propriamente urbano riservato a Mendelssohn dall'antisemita Wagner nel suo libello Das Judenthum in der Musik).
A confermare la predilezione di Mendelssohn per i temi religiosi e biblici – tipico approccio luterano - l'ultima parte dell'ultimo coro (Lobe den Herrn, meine Seele) verrà più avanti ripresa dal compositore ed inserita – diversamente musicata, a parte l'incipit - nella sua seconda sinfonia, come secondo dei 10 brani vocali della Lobgesang:
.
.
.
.
.
.
Un bravo ai quattro solisti – il soprano Simone Schneider su tutti - e soprattutto al coro di Erina Gambarini, che ha anche fornito le due voci di basso soliste (i falsi testimoni) per il N°3 e che ha surrogato con i soprani anche la parte assegnata alle voci bianche nel N°35.
Successo pieno e calorosi applausi per tutti per questa degna chiusura di stagione.
Appuntamento il 5 settembre alla Scala per l'inizio di una nuova avventura!
23 aprile, 2010
Stagione dell’OrchestraVerdi - 28
Solo Mozart per questo concerto de laVerdi. Auditorium al tutto esaurito, evidentemente il Teofilo fa sempre cassetta (vorrà dir qualcosa?) Un concerto per pianoforte incastonato tra due sinfonie (la quart'ultima e la terz'ultima); opere scritte dal sommo fra il 1786 e il 1788, quindi in un periodo di grande fecondità compositiva che si accompagnava a gravi difficoltà materiali.
Helmuth Rilling – uno dei due direttori principali ospiti, 77enne canuto, minuto e curvo, ma capace di scatti da ragazzino - sul podio. Una sua caratteristica interpretativa, materiale fin che si vuole, è che lui rispetta certosinamente tutti i da-capo che trova sulle partiture. L'aveva fatto, mesi fa, nientemeno che con la Grande schubertiana (portata a ben oltre l'ora di durata); figuriamoci se non lo faceva con le sinfoniette (diminutivo solo riferito alla quantità di tempo, ovviamente) del salisburghese.
Si apre con la Praga, dove Mozart, seguendo l'esperienza della precedente Linz, prevede una lunga introduzione lenta (36 misure) all'Allegro iniziale, secondo il classico modello strutturale haydniano. Nelle prime battute c'è qualcosa di dongiovannesco (ormai imminente in quella fine del 1786):
..
.
Dopo l'Andante, in questa sinfonia non c'è Menuetto (sennò diventava troppo lunga?!) e si passa direttamente al finale.
Rilling, che è un bachiano doc, cerca sempre la limpidezza e trasparenza del suono e la leggerezza dell'approccio e ci porge proprio il Mozart qual è, settecentesco, addirittura ante-Haydn; giustamente lontano da tante interpretazioni à la Beethoven. E l'orchestra, ridotta anche nella sezione archi, risponde al meglio.
Roberto Cominati arriva poi per porgerci il ventitreesimo Concerto per Pianoforte, un piccolo gioiello, tutto da suonarsi in punta di dita, caratterizzato da lunghe peregrinazioni sulla scala diatonica, con pochi o nessun passaggio brusco o drammatico (del resto anche l'orchestra è ridotta al minimo, mancando oboi, trombe e timpani e con organico cameristico anche negli archi). Molto bravo il nostro Roberto soprattutto nell'adagio centrale, dove le tonalità di LA maggiore e della sua relativa FA# minore si intersecano di continuo. Appena un poco più movimentato il finale, col suo caratteristico incipit quinta-ottava:
.
.
Un presto che Cominati mostra di padroneggiare benissimo, ben assecondato da Rilling e dall'Orchestra. Successo caloroso, contraccambiato anche da un bis.
Si torna alle sinfonie con la K543, anch'essa strutturata secondo Haydn, con 26 battute di Adagio in 4/4 a preparare l'ingresso dell'Allegro in 3/4:
.
Lungo, ma di quelle lunghezze celestiali, l'Andante con moto. Sempre leggero e misurato il Menuetto, con quel gioiellino del Trio, dove flauto e clarinetti sembrano rincorrersi leggiadramente. Di grande effetto il Finale, con il caratteristico tema, le cui prime sette note chiuderanno la sinfonia in modo quasi esilarante:
23 ottobre, 2009
Stagione dell’OrchestraVerdi - 5
Davvero robustissimo il programma del quinto concerto della stagione, diretto da Helmuth Rilling (campione del barocco passato per l’occasione al romantico, che con laVerdi ha ormai lunga consuetudine, e ne è uno dei Direttori ospiti principali). Tre opere che nulla hanno in comune se non le travagliate o complicate vicissitudini legate alla loro nascita.
Qualche vuoto più del solito in Auditorium: a causa dei primi rigori autunnali, o più probabilmente per la forte concorrenza del concomitante concerto in Scala, col duo Chung-Pogorelich impegnato in un programmone russo tardo-romantico.
Si comincia con Schubert e con le musiche di scena per Rosamunde (D797). Un’opera davvero disgraziata (nel senso di caduta in disgrazia) che non superò le due rappresentazioni a dicembre 1823. Colpa, a dir di tutti, del soggetto scritto dalla presuntuosa Wilhelmina Christiane von Chézy, che già aveva buggerato il povero Weber con la farraginosa Euryanthe. Avendo avuto sì e no un mese di tempo per comporre la musica, Schubert ricorse ai soliti mezzucci, tipo scopiazzature di altre sue musiche, fino all’uso, pari-pari, proprio à la Rossini, di un’Ouverture scritta per un’opera precedente (Alfonso&Estrella). Non contento, cambiò poi idea, facendo pubblicare col titolo “Ouverture a Rosamunde” nient’altro che la musica (D644) che apriva Die Zauberharfe, in DO maggiore, che è poi divenuta famosa per la sua brillantezza e ricchezza di temi orecchiabilissimi. Oggi di Rosamunde restano 10 numeri (ouverture esclusa) che prevedono anche l’intervento di coro e contralto (una recente esecuzione è quella di Abbado con i Berliner alla Philharmonie).
Per solito si eseguono però diverse spurie suites: in pratica ciascun Direttore assembla qualche numero secondo la propria sensibilità, e secondo il ruolo che intende riservare a questo titolo nello specifico concerto, o all’interno di una registrazione. Rilling ha proposto un estratto di circa 10’: il Balletti dell’Atto II (Allegro Moderato in SI minore, RE maggiore, SI maggiore e poi Andante in SOL maggiore). La prima sezione è ad orchestra piena; la seconda, presa da Rilling quasi come un allegro, ad organico ridotto (mancano trombe, tromboni e timpani, e gli strumentini la fanno da padroni). Rilling ha poi ripetuto parte dell’Allegro moderato, chiudendo sul SI maggiore. Insomma, un gustoso aperitivo, come nella più classica tradizione dei programmi concertistici; uno di quei pezzi che incontrano naturalmente il gusto e il favore del pubblico, che a dirigere siano (non me ne vogliano!) Rilling o Abbado o …Toscanini.
Poi è la volta del tanto bistrattato quanto famoso Concerto doppio opus 102 di Brahms, con la figliola del Direttore (e fan di Roberto Benigni, come si apprende dal suo profilo su Facebook) Rahel, al violino e Dávid Adorján al violoncello. Bistrattato poiché – anche per colpa di Brahms – è da molti considerato con sospetto, un’opera mal riuscita, né carne né pesce, una quinta sinfonia abortita, un vorrei-non-posso partorito quasi di malavoglia e più che altro per compiacere due solisti (Hausmann e Joachim). La più deludente critica al concerto arrivò da tale Clara Schumann… figuriamoci! Sul tubo si può trovare una ormai storica esecuzione del trio russo Oistrakh-Rostropovich-Kondrashin (Allegro-a, Allegro-b, Andante, Finale) oltre ad una più recente (2004) dei simpatici bolivariani diretti da un impettito Gustavo con capelli corti, pizzetto ed occhiali (Allegro-a, Allegro-b, Andante, Finale).
I due solisti non sono chiamati a virtuosismi impossibili, ma debbono quasi amabilmente dialogare come fossero due gentlemen al club, solo di tanto in tanto risvegliati e interrotti da qualche sussulto dell’orchestra: una specie di quadretto domestico, che musicalmente ben rappresenta lo status di Brahms verso la fine degli anni ’80, al momento per lui di tirare i remi in barca e dedicarsi esclusivamente a composizioni cameristiche. E Rilling ha se possibile ulteriormente accentuato i tratti cameristici del pezzo, deludendo forse le aspettative di chi si aspetta da un concerto per solisti e orchestra una più accesa dialettica.
Fra le due parti, quella del violoncello è probabilmente la più impegnativa ed appariscente, e così e stato anche ieri sera, con Dávid Adorján in bella mostra. La Rilling direi senza infamia nè lode, ha fatto accuratamente il suo compitino. Applausi non proprio trionfali, da parte di un pubblico forse un pochino narcotizzato…
Infine, il clou della serata, la Grande di Schubert. A parte la singolarità di una sinfonia che ha tutti e quattro i movimenti privi di accidenti in chiave, DO maggiore e LA minore (il che fa pensare istintivamente ad una stomachevole mappazza del famoso cacao-meravigliao) ogni sua esecuzione solleva immancabilmente la curiosità e la conseguente domanda: ma sono stati eseguiti tutti i da-capo (le ripetizioni che motivarono la famosa definizione di Schumann di divina lunghezza)? Normalmente (su Youtube si trova ad esempio una ripresa live di Böhm del ‘73 con i Wiener - qui le parti 1a, 1b, 2a, 2b, 3a, 3b, 4a, 4b) il Direttore omette 4 ritornelli: quello dell’esposizione dell’Allegro non troppo iniziale, due dello Scherzo (seconda sezione prima del Trio e seconda sezione del Trio medesimo) e quello – interminabile – del Finale. Tanto per dare un’idea, rispetto alla durata dell’esecuzione citata di Böhm, circa 50’30” (ho un vecchio vinile di Sawallisch con i Symphoniker, che dura un minuto in più…) si tratta di circa 11 minuti di musica che, se eseguiti in toto, porterebbero la durata oltre l’ora, in piena zona-Mahler!
Per l’interpretazione di Rilling la locandina dell’Auditorium reca l’indicazione di circa 55’, che si potrebbe interpretare in vari modi: durata al lordo delle pause fra i movimenti (quindi verosimilmente senza ritornelli) o durata netta, che porterebbe a supporre che il Direttore esegua un paio dei da-capo, o come minimo quello del finale. Poi sul programma di sala, sempre assai ben curato e firmato per questa sezione da Gabriella Mazzola Nangeroni, leggiamo di una durata di 50’ circa, il che sembrerebbe non lasciar dubbi sui tagli divenuti ormai consueti. Invece Rilling sorprende tutti ed esegue per intero i ritornelli, raggiungendo un mirabile equilibrio di durate dei 4 movimenti: 16’-14’-14’-16’ per un totale di un’ora esatta! Certo questo dato matematico non basterebbe a promuovere col massimo dei voti un’esecuzione.
In realtà qualche imprecisione o manchevolezza si è notata (ad esempio i tromboni troppo invadenti nel Finale, archi non sempre compatti, un Andante preso con eccessiva velocità…) però il gran pregio dell’esecuzione è di non essere stata per nulla pesante, menchemeno stomachevole. Lunga, ma gradevole, se non proprio divina. Al termine applausi scroscianti, che ancora perduravano quando il Konzertmeister Luca Santaniello ha dato il rompete le righe ai colleghi, visto che erano quasi le 11 di sera!
E già incombe, fra sette giorni, altro grande appuntamento: Requiem di Verdi.