XIV

da prevosto a leone
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08 giugno, 2024

Orchestra Sinfonica di Milano – Stagione 23-24.24

Il penultimo concerto della stagione 23-24 dell’Orchestra Sinfonica di Milano ci offre un programma tutto russo-sovietico, da fine ‘800 a metà ‘900. E perciò sul podio sale un Direttore che viene da quelle parti, il redivivo Stanislav Kochanovsky, fresco Direttore Principale della NDR RadioPhilharmonie di Hannover.

Ecco quindi Ciajkovski e il suo iper-inflazionato Primo Concerto per pianoforte, interpretato dalla bella 41enne Anna Vinnitskaya da Novorossysk (un posto oggi piuttosto insicuro, a ridosso della Crimea, preso spesso di mira dai resistenti ukraini) ma ormai stabilitasi in occidente e in Germania in particolare.

Esecuzione davvero trascinante, negli enfatici passaggi dei due movimenti esterni come nei languori dell’Andantino semplice e nei virtuosismi delle cadenze. Da parte sua Kochanovski ha gestito con equilibrio il dialogo con la solista, accompagnandola sempre con discrezione, salvo scatenare l’orchestra quando necessario.

Accoglienza trionfale per la Vinnitskaya che ci ha regalato ancora Ciajkovski e poi il Mendelssohn veneziano della Romanza senza parole op.30, n°6. 
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Il secondo brano in programma è – al contrario del primo - di abbastanza rara esecuzione: si tratta di 6 dei 18 brani che costituiscono le quattro Suites dal balletto Spartak dell’armeno (nato peraltro a Tbilisi, in Georgia) Aram Khachaturian, che nella parte centrale del ‘900 fu, con Shostakovich e Prokofiev, uno dei principali alfieri della musica sovietica, avendo quindi con il regime rapporti altalenanti, fra incarichi, onorificenze e… zdanoviane accuse di formalismo.

Il balletto, del 1954, si ispira alle gesta di Spartacus, eroe della Tracia che più di 2000 anni orsono guidò a Roma una delle rivolte degli schiavi. Una figura emblematica dello spirito di lotta per la libertà, che quindi ebbe in URSS vasta popolarità (anche nello sport, vedi lo Spartak Mosca, una delle più titolate squadre calcistiche del mondo sovietico).

Khachaturian ricavò via via ben quattro Suites dalle musiche del balletto. Lo schema sottostante ne riporta la struttura, affiancata dai sei numeri liberamente scelti da Kochanovsky per questo concerto.

Suite
Brano
Kochanovsky
I
1. Introduzione e danza delle ninfe
 
 
2. Adagio di Aegina e Harmodius
 
 
3. Variazioni di Aegina e Bacchanalia
2
 
4. Scena e danza di Crotalusa
3
 
5. Danza delle Gaditanae – Vittoria di Spartacus
6
II
1. Adagio di Spartacus e Frigia
4
 
2. Entrata dei mercanti – Danza delle cortigiane romane – Danza generale
5
 
3. Entrata di Spartacus – Contesa – Tradimento di Harmodius
 
 
4. Danza dei pirati
 
III
1. Danza dello schiavo greco
 
 
2. Danza della fanciulla egiziana
 
 
3. Intermezzo notturno
 
 
4. Danza di Frigia – Scena del commiato
 
 
5. Al circo (Danza delle spade)
1
IV
1. Danza malinconica di Bacchante
 
 
2. Processione di Spartacus
 
 
3. Morte del gladiatore
 
 
4. Chiamata alle armi – Rivolta di Spartacus
 

È tipica musica da film, o da musical, orecchiabile, con qualche inflessione sincopata, o di jazz e di swing… ma vi troviamo anche squarci di grande lirismo.

In platea ad ascoltare c’era anche un altro personaggio di origine armena, quell’Emmanuel Tjeknavorian che fra poche settimane sarà anche formalmente il nuovo Direttore Musicale dell’Orchestra di casa.

Dopo la vibrante esecuzione dei brani della Suite di Spartacus, accolta da trionfali applausi, Kochanovsky e l’Orchestra hanno offerto come bis quello che è un po’ il marchio di fabbrica di Khachaturian!

08 aprile, 2016

laVERDI 2016 – Concerto n°13


Stanislav Kochanovsky ricompare per la quarta volta sul podio de laVERDI, dopo le tre apprezzate presenze degli ultimi mesi del 2015. Anche questa volta ci presenta solo musiche di... casa propria: tre diverse suite da balletti.     

L’impaginazione originale prevedeva una specie di... crescendo di difficoltà: un leggero Ciajkovski, poi un semi-leggero Khachaturian e chiusura in bellezza con il difficile (non pesante, per carità) Stravinski.

Invece la locandina in loco e un foglietto volante nel programma di sala annunciavano che l’ordine era cambiato, portando in apertura il pezzo forte (un po’ come nel concerto precedente). Essendo una modifica dell’ultimo (o penultimo) momento, vien da pensare che sia stata originata non da ripensamenti estetici, ma magari da prosaiche circostanze, del tipo: uno strumentista insostituibile in Petrushka doveva inderogabilmente andarsene alle 21:15 (!?)

Insomma, quale ne sia stata la motivazione, si è partiti con il pezzo non solo più forte, ma anche più impegnativo del programma: Petrushka nulla ha infatti da invidiare - quanto a straordinaria barbarie musicale - al sovversivo Sacre, che sarebbe comparso di lì a poco, ma che era in gestazione proprio negli stessi mesi della marionetta. La versione 1947 cambia qualcosa di quella del 1911, differenziandosene per la più economica strumentazione (chissà, forse le ristrettezze post-belliche...) Ciò si evince dalla sottostante tabella:

1911
2 ottavini
(I anche flauto IV, II anche flauto III)
2 flauti
4 oboi
(IV anche corno inglese)
3 clarinetti in SIb (poi in LA)
clarinetto basso (anche clarinetto IV)
3 fagotti
controfagotto (anche fagotto IV)
4 corni in FA
2 cornette in SIb (poi in LA)
2 trombe in SIb (poi in LA)
(I anche tromba piccola in RE)
3 tromboni
tuba
timpani
cassa
piatti
tam-tam
triangolo
tamburo basco
tamburo militare
tamburino provenzale
campanelli
celesta (2 e 4 mani)
piano
2 arpe
xilofono
quintetto d’archi
1947
ottavino
(anche flauto III)
2 flauti
2 oboi
corno inglese
3 clarinetti in SIb
(III anche clarinetto basso)
2 fagotti
controfagotto
4 corni in FA
aaaaa
3 trombe in DO e SIb
aaaaa
3 tromboni
tuba
timpani
cassa
piatti
tam-tam
triangolo
tamburo basco
aaaaaa
aaaaaa
aaaaaa
celesta
piano
arpa
xilofono
quintetto d’archi

A dir la verità i ragazzi de laVERDI sono talmente gagliardi che l’orchestra sembra proprio quella del 1911, un fantastico insieme che – guidato con mano esperta da... Stanislao, uno del quale è facile predire che farà molta strada – sciorina un’esecuzione a dir poco entusiasmante. I ragazzi sarebbero tutti da elencare per nome e cognome, così scelgo io il loro alfiere nell’esile Carlotta Lusa, che ha splendidamente suonato l’impegnativa parte del pianoforte.
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Dopo la pausa, ecco quindi la Bella addormentata, i 5 brani che compongono la Suite dai 3 atti del balletto. Musica che non si smetterebbe mai di ascoltare, tanto ti droga con la sua impareggiabile vena melodica. Era uno dei pezzi prediletti del venerabile Vladimir, fondatore dell’Orchestra, e ascoltandolo non si può non tornare a ricordarne la straordinaria figura.
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Si chiude con il compatriota di Stalin (un onore! ehm...) Aram Khachaturian e la suite di Masquerade, della quale ho scritto qualche nota a margine di un’esecuzione con Grazioli in Auditorium circa tre anni fa.

Il successo qui lo si ottiene a buon mercato, ecco, e così ci sta pure un bis con la riproposizione dell’indiavolato galop finale, per un pubblico (non da record...) osannante.   
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Ora il bravo Stanislav si prepara per una prova impegnativa in quel di Firenze... ma ci sarà occasione per tornare sull’argomento.

07 novembre, 2015

Orchestraverdi 14-15 – Concerto n° 58


L’EXPO ha chiuso i battenti, ma non Campogrande, che prima di dedicarsi al prossimo MITO si sofferma ancora sugli inni nazionali (Vietnam, questa volta).

Poi programma tutto sovietico, diretto da Stanislav Kochanovsky, che torna dopo nemmeno un mese sul podio dell’Auditorium, rimpiazzando l’originariamente designato Aziz Shokhakimov (che in compenso è appena stato nominato Direttore Principale Ospite de laVERDI).

Dapprima per supportare il rampante Yuri Revich (anche per lui un ritorno qui dopo due anni) nel Concerto di Aram Khachaturian, azero-armeno di Georgia, presto trasferitosi a Mosca - proprio come il suo conterraneo Stalin - e pienamente e convintamente integratosi nell’establishment musicale dell’URSS, scalandone la piramide fino al top. A parte una fugace e tardiva (1948) accusa di formalismo mossagli da un ormai moribondo Ždanov - accusa presto rientrata più a causa della scomparsa del censore che per merito della deliberatamente ipocrita autocritica del musicista – il nostro potè poi girare il mondo in lungo e in largo a spese del regime per farne l’apologia.

Il concerto qui eseguito è del 1940, periodo in cui il patto Molotov-Ribbentrop aveva illuso Stalin e compari di poter continuare indisturbati il consolidamento del loro potere assoluto, fatto di purghe e fucilazioni per i dissidenti e di premi in natura per gli artisti vessilliferi del regime. Regime che – attraverso l’Unione dei Compositori Sovietici, del cui comitato organizzativo Khachaturian era allora vice-presidente! - aveva fatto sorgere a Ruza (100Km a ovest di Mosca) una specie di villaggio del riposo e della creatività per musicisti, dove il nostro trascorse proprio l’estate del ‘40 con la moglie Nina incinta e dove compose di getto il concerto per violino, poi sostanziosamente rivisto dall’amico e dedicatario Oistrakh, che lo tenne quasi subito a battesimo a Mosca e di cui ecco un’esecuzione con l’Autore sul podio.

Oistrakh, oltre a fornire apprezzati consigli a Khachaturian sulla parte solistica, scrisse anche, per l’iniziale Allegro con fermezza, una sua cadenza (che si ascolta nella registrazione citata, da 8’06”) più brillante e classica nel contenuto di quella originale (che si può ascoltare invece da Haik Kazazyan, da 7’56”). 

Khachaturian si attiene scrupolosamente alla struttura classica: tre movimenti (due veloci ad incastonare quello lento) e impiego della forma-sonata nel primo e del Rondo nel finale; praticamente… fine ‘700! Certo, i temi sono tutt’altro che sinfonici, ispirati come sono a melodie popolari vagamente orientaleggianti, che il compositore aveva assimilato nelle sue terre caucasiche; ma sono magistralmente elaborati e danno al brano quella brillantezza che ne ha garantito il successo fin dalla prima esecuzione.
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Seguiamo la citata interpretazione di Oistrakh. Non ci sono accidenti in chiave, ma l’Allegro con fermezza (che occupa quasi il 40% dell’intera durata) è in RE minore, introdotto da 9 robuste battute orchestrali, dopo le quali (15”) il solista espone il primo tema, di sapore maschio e nervoso, suddiviso in due sezioni, subito rimbeccato dall’orchestra; tema poi ripetuto (1’03”) un’ottava più in alto e ancora sviluppato con il concorso orchestrale. Una transizione lenta (1’51”) conduce al secondo gruppo di temi (2’12”, Poco meno mosso) più elegiaco, vagamente ambientato sulla dominante LA e caratterizzato da un secondo motivo (3’27”) quasi lamentoso. Una breve cadenza (3’54”) conduce al corposo sviluppo, introdotto ancora rumorosamente (4’09”) dall’orchestra, dove il solista ripropone assai variati i temi principali, dialogando con l’orchestra fino ad adagiarsi su trilli di FA acuto. Qui (7’40”) violino e clarinetto si rimbeccano un veloce motivo di biscrome che scende e risale di un’ottava per sfociare (8’06”) nella lunga cadenza principale del solista. Dopo la quale(10’45”) ecco la ricapitolazione dei temi, nelle stesse tonalità dell’esposizione, ma con qualche variante: il primo (10’54”) e poi (12’00”) il secondo. Infine ecco (13’51”) una veloce coda conclusiva, basata sul primo tema.

Il centrale Andante sostenuto è permeato di… Caucaso: le lunghe melodie del solista sono un omaggio ai canti dei bardi armeni (gli ashug). La macro-struttura è di pseudo-rondo: A-B-A-B-A-B, dove sia A che B vengono però continuamente variati e sviluppati. È il fagotto ad introdurre l’embrione del motivo A (14’56”) intercalato dal clarinetto, prima dell’entrata del solista (16’21”) con il tema B, una lunga emozionante melopea. Dopo una breve parentesi orchestrale (18’16”) il solista riprende (18’27”) il tema A, che sviluppa ampiamente e al quale fa seguire (19’24”) il tema B, anch’esso sviluppato con un’accelerazione (20’10”) ad Allegretto, che l’orchestra ulteriormente accentua con un movimentato Allegro (20’30”) che introduce, tornando ad Andante (20’58”) il tema A, variato e ripreso successivamente con nuove variazioni (22’13”) dal solista. Altro siparietto orchestrale (24’02”) con cadenza del fagotto sul tema A e alcuni strappi con intervento dei piatti, quindi (24’34”) il solista riespone B all’ottava inferiore rispetto alle altre due entrate, contrappuntato dal clarinetto. A 25’22” l’orchestra interviene a completare B con una perorazione grandiosa, che porta (26’06”) alla coda conclusiva del solista.

Il finale è un Rondo Allegro vivace con il ritornello in RE maggiore. La macro-struttura è A-B-A-C-A-B-A’, più Introduzione e Coda. È l’orchestra (27’13”) ad aprirlo con una spettacolare fanfara introduttiva. Il ritornello A (il cui tema è vagamente mutuato dal secondo del movimento iniziale) viene esposto dal solista a 27’49” ed è seguito da un breve controsoggetto. Nuova esposizione di A (28’13”) seguita da una sua seconda sezione (28’23”) che attacca in minore per poi riproporre il tema in maggiore. L’episodio B (28’34”) presenta un tema dolce, esposto dal solista con interventi dell’orchestra (28’54” e 29’18”) che sfociano nella riproposizione delle due sezioni di A (29’29” e 29’41”). Una nuova fanfara (29’58”) orchestrale porta all’episodio principale (il più lungo) caratterizzato dall’agogica cantabile appassionato: a 30’10” il solista ne espone una prima sezione, seguita, dopo un intervento dei corni (30’11”) da una seconda e quindi, dopo altro intervento orchestrale (32’31”) da una terza assai virtuosistica (32’57”). L’orchestra (34’07”) e il solista (34’23”) preparano il ritorno di A (34’28” e 34’37”) seguito subito (34’50”) da B. Ancora l’orchestra (35’13”) introduce l’ultima apparizione di A (35’18”) qui virante a minore. A 36’06” ecco la virtuosistica coda, chiusa dalla fanfara che aveva introdotto il finale.        
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Revich ci mette tutto l’impegno per trasmetterci la vitalità del concerto. Peccato che (forse causa penuria di prove) l’intesa con Kochanovsky non sia stata perfetta: non tanto sugli attacchi, ma sul peso degli strumenti dell’orchestra, che hanno spesso e volentieri coperto (per eccesso di volume) il suono pur gagliardo del violino solista. 

Quanto alla cadenza, Revich ha deciso di mettere tutti d’accordo creandone una sua personale, che parte da quella di Khachaturian e poi mutua qualcosa da Oistrakh e un po’ anche da… lui medesimo! In ogni caso il successo è garantito e le chiamate del pubblico vengono ricompensate con un Bach assai spigliatamente proposto.
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Infine la Quinta di Shostakovich, che torna in Auditorium dopo 17 mesi (allora diretta da Xian). Opera che andrebbe apostrofata come Sinfonia ipocrita: ciò a voler prestar fede alle dichiarazioni pubbliche e private dell’Autore; le prime di aperte scuse per i passati errori (la Lady) e di apologia del regime staliniano (la realizzazione dell'uomo); le seconde che smentiscono clamorosamente le prime (Il giubilo è forzato, è frutto di costrizione) denunciando la mancanza di libertà che quel regime imponeva a sudditi e compositori.

Ovviamente basta ignorare del tutto sia le une che le altre esternazioni per poter godere di questa musica, una sinfonia tardo-romantica composta quasi a metà del ‘900, e chi se ne importa. Allo Höhepunkt del Largo c’è sempre da rabbrividire a quel passaggio dal SOLb maggiore al FA maggiore dove i violoncelli – sul tremolo degli altri archi e il tappeto di semicrome dei clarinetti - espongono un motivo davvero sbudellante (anticipato poco prima dall’oboe e poi dal flauto e ripreso in armonici dall’arpa alla fine):



Inutile dire che l’Orchestra ha splendidamente suonato, facendo fare un bella - ma tutto sommato anche meritata - figura al giovane Kochanovsky!

22 marzo, 2013

Orchestraverdi – concerto n.27


Giuseppe Grazioli sale sul podio nella stagione principale (lui ne ha una sua propria, che occupa molte mattinate domenicali) per dirigere un programma (quasi) sovietico.

Si parte proprio dall’unico non-sovietico, Stravinski e dalla sua Suite da PulcinellaÈ costituita da 8 (in realtà 11) dei 18 numeri del balletto originale (dove è prevista anche una voce) che Stravinski compose ispirandosi a – anzi, diciamo pure, scopiazzando a più non posso – il buon Pergolesi, più altri musicisti autori di brani erroneamente attribuiti al famoso maestro del settecento:  

1. Sinfonia
2. Serenata
3. Scherzino - Allegretto - Andantino
4. Tarantella
5. Toccata
6. Gavotta (con due variazioni)
7. Vivo
8. Minuetto - Finale 

Naturalmente va dato atto a Stravinski dello sfoggio di gran maestrìa nella trascrizione di temi e soprattutto nell’orchestrazione, con la ricerca raffinata di timbri e sonorità innovativi. 

Buona la prestazione dell’orchestra, pur con qualche sbavatura negli ottoni, chiamati a difficili acrobazie, come questa del finale, affidata alla tromba:

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L’italo-russo 64enne Boris Petrushansky, non nuovo come ospite de laVerdi, si cimenta poi in Shostakovich, e precisamente nel controverso Secondo Concerto, composto (1957) 4 anni dopo la morte di Stalin e circa un anno dopo l’inizio della cosiddetta destalinizzazione che ebbe per artefice quella specie di simpatico contadinaccio (apparentemente) troglodita che rispondeva al nome di Nikita Kruscev (quello della scarpa sbattuta sul banco dell’ONU nel 1960, o della gomitatina galeotta quanto ridicola rifilata a Jaqueline Kennedy a Vienna nel 1961):


Sarà che è una composizione quasi di ricorrenza (per il 19° compleanno del figlio Maxim, che ne sarà poi interprete) ma di sicuro sembra opera di uno che finalmente può farsi gli affari suoi la musica sua come gli pare e piace, senza la spada di… baffone sul capo!
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Pur impiegando i mezzi classici (forma-sonata, bitematismo, esposizione, ripresa e cadenza solistica) Shostakovich sa inventare un primo movimento (Allegro) assolutamente originale, dove pianoforte e orchestra si integrano vicendevolmente, scambiandosi spesso i ruoli e i motivi.

E gli stessi motivi sono fra loro intrecciati, come si può notare già dall’esposizione del primo oggetto tematico (FA maggiore); sei battute introduttive e poi l'irruzione del pianoforte:


Segue un secondo tema esposto dalla tastiera, con l’impertinente accompagnamento del tamburino militare, sulla dominante DO maggiore (regola da Conservatorio…):


Il solista lo sviluppa, poi assume la funzione di contrappunto alla melodia del primo tema, esposta ora dall’orchestra e ulteriormente sviluppata.

Ancora il solista che propone un nuovo motivo, ora in RE minore (tonalità relativa di quella di impianto, anche qui siamo a scuola…):


Dopo averla abbondantemente sviluppata, il pianoforte la chiude in RE maggiore, sfumando poi a minore.

Qui ecco un improvviso accordo di sesta, sul SI (che in realtà è mediante di SOL) dove si introduce lo sviluppo, che svaria dal SOL del primo tema variato al MI del secondo tema; ancora una transizione del pianoforte sul SOL, indi il primo tema in orchestra sul SIb e quindi, dopo un intervento del solo pianoforte, ancora negli archi in LA maggiore… insomma si va parecchio a spasso! Ecco il secondo tema ancora in SIb, in tutta l’orchestra, seguito da una lunga e poderosa transizione caratterizzata da volate del solista e secchi accordi dell’orchestra, che porta alla cadenza solistica, imperniata sul primo tema.

Ed ora, canonicamente, la ripresa del primo tema esposto in FA dall’orchestra e seguito dal secondo, che il pianoforte riespone – toh! – pure in FA. Torna il primo tema, enfaticamente, mentre il pianoforte ci ricorda, sempre in FA, il motivo esposto precedentemente in RE minore (insomma, un’applicazione quasi… talebana dei sacri canoni). Si arriva così alla perentoria conclusione con accordi secchi di crome di tutta l’orchestra e del solista.

Il centrale Andante è un pezzo elegiaco, dove il pianoforte opera quasi esclusivamente per terzine (tipo la Mondschein, per intenderci) sulle tonalità dei tre bemolli (DO minore e MIb maggiore) con una breve sezione - proprio l’ingresso del solista - in DO maggiore:


Per il resto i soli archi e un corno accompagnano languidamente e assai discretamente il solista nelle sue sognanti divagazioni, chiuse da due terzine… zoppe, sul DO, che preparano l’attacco diretto del finale Allegro.

In tutto il movimento il solista ha soltanto sei brevissimi momenti di respiro (ciascuno di 2-3 battute al massimo); per il resto deve suonare continuamente e alla velocità di un treno in corsa. 

Ecco la prima esposizione, dove sembra proprio di sentire un treno che si mette in moto:


Ad essa segue una sezione in 7/8, introdotta dalla sola orchestra, dove il ritmo si fa più frenetico:

Poi il pianoforte riprende la sua corsa sfrenata, spesso suonando quasi da solo, con scarsi interventi orchestrali, oppure accompagnato da pochi fiati (corni e clarinetti). È un turbine di volate e di scale (pare che Shostakovich vi abbia introdotto deliberatamente esercizi scolastici, a beneficio del figlio… diplomando) che non conosce soste, fino allo schianto conclusivo, che rappresenta per tutti un’autentica liberazione!
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Trascinante l’esecuzione di Petrushansky, benissimo coadiuvato dall’orchestra, che Grazioli tiene sempre saldamente in controllo. Sicuro nei passaggi più percussivi (come le famose ottave spaccatasti) e delicato nel porgere le atmosfere sognanti dell’Andante.   

Trionfo assicurato e ricambiato da un bis... dicembrino.
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Dopo l’intervallo arriva Prokofiev con la Suite delle musiche dal film di Aleksandr Nikoleyevich Faintsimmer (tratto dal breve racconto di Yury Tynyanov) Il luogotenente Kiže, del 1933. La trama del film e soggetto del paradossale racconto è un inesistente militare, nato per un errore di copiatura di un documento da parte di uno scrivano dello Zar Paolo I. Il quale Zar si infatua della figura del militare, lo promuove e ne vuol seguire la carriera. Per non disilluderlo, i burocrati dell’esercito fanno addirittura maritare il fantomatico luogotenente, ma quando lo Zar chiede di riceverlo in persona, non trovano di meglio, per pararsi il culo, che dichiararlo improvvisamente morto e fargli un dovuto funerale (!) 

La Suite si articola in cinque brani che trattano:

I. Nascita di Kiže. Si tratta ovviamente della venuta al mondo del tutto virtuale e involontaria del militare, cui lo Zar dedica inaspettatamente grandi attenzioni. 
II. Romanza. Il fantomatico luogotenente si innamora.
III. Il matrimonio di Kiže, necessario a soddisfare i desideri dello Zar, che pensa che tutti i suoi eroi debbano essere sposati.
IV. Troika.
V. Funerale di Kiže. Per evitare figuracce con lo Zar, i burocrati fanno all’inesistente Kiže delle esequie di Stato. 
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La Suite si apre e si chiude con un segnale militare (tipicamente da silenzio) che la tromba solista esegue standosene molto in lontananza:
L’ottavino presenta un motivo marziale, ma da marcia di… marionette, come si addice ad un soldatino immaginario:

Il matrimonio è introdotto da una fanfara davvero degna di miglior causa…

Infine ecco il tema, a metà fra il guascone e il ridicolo, del luogotenente, ancora esposto dalla tromba:

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L’Orchestra ha dato il meglio, come insieme e come singoli: in particolare la tromba di Alessandro Caruana che, sistemato remotamente, ha intonato nascita e… dipartita del luogotenente virtuale.

A proposito di Prokofiev, allego qui un approfondito – e assai problematico - studio di Franco Pulcini, comparso nel numero di Maggio-Giugno 1991 di Musica&Dossier
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Chiude il concerto Aram Khachaturian, un esempio classico di come l’Unione Sovietica riuscisse, con le buone e più spesso con le cattive, a tenere insieme gente delle più disparate origini. Lui era uno nato in Georgia (la terra di Stalin) da genitori azeri di sangue armeno e si era integrato (non senza avere poi delle marginali divergenze di vedute con quel simpaticone di Andrej Aleksandrovič Ždanov) nell’apparato dell’arte di regime. 

Di lui ascoltiamo la Suite dalle musiche di scena del dramma ottocentesco Masquerade di Mikhail Yurevich Lermontov, un soggetto vagamente simile ad Otello, dove il protagonista Eugene Arbenin uccide la moglie Nina, accecato dalla gelosia provocatagli dallo smarrimento da parte di lei di un bracciale, durante una festa mascherata.  

Poco prima dell’invasione tedesca dell’URSS (1941) Khachaturian compose queste musiche di scena, precisamente 14 numeri così intitolati:

1. Romanza
2. Mazurka 
3. Walzer (al ricevimento)
4. Galop
5. Notturno
6. Walzer (camera da letto)
7. Walzer (alla Masquerade)
8. Walzer (al casinò)
9. Tema della baronessa Strahl
10. Tema di Kazarin (una specie di Jago, ndr)
11. Tema del braccialetto
12. Introduzione
13. Finale del ricevimento
14. Inno

L’Autore estrasse in seguito la Suite che ascoltiamo qui, composta da 5 numeri, disposti con perfetta simmetria (tre mossi – altrettante danze - alternati a due lenti):

1. Walzer
2. Notturno
3. Mazurka
4. Romanza
5. Galop 
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Il Walzer – che è il cuore dell’intera musica di scena, ha una struttura assai semplice, regolare: A-B-A-C-A-B-A. Struttura anche simmetrica, salvo per il fatto che i temi A e B alla prima apparizione vengono ripetuti (di norma un’ottava più in alto) mentre nella ripresa non lo sono.

La tonalità è LA minore (A), MI minore (B) e DO maggiore (C). I temi vengono sempre esposti dagli archi, mentre i legni fanno da contrappunto (a canone) o da raddoppio e gli ottoni più che altro scandiscono i levare del tempo di walzer (salvo alcuni brevi interventi melodici di trombe e corni).

Il primo tema è costituito da due frasi giustapposte; la prima è una ostinata ripetizione di una scala ascendente:

La seconda è una melodia più cullante che degrada pian piano per poi risalire velocemente. Il secondo tema – che Kachaturian confessò di aver ideato mentre posava per un ritratto fattogli da Eugenia Lurie, prima moglie di Boris Pasternak – ha tratti somiglianti al primo, con le sue salite e riprese a dente di sega:

Il tema centrale, introdotto da pesanti ed enfatici accordi, si muove prevalentemente sull’arpeggio di DO maggiore e chiude con una reminiscenza del verdiano libiamo:

 
Il Notturno (Andantino con moto) è un breve brano monotematico, aperto da 5 battute di accordi arcani di corni, poi fagotti e clarinetti. Il tema, affidato al violino solista e contrappuntato principalmente dal clarinetto, viene sostanzialmente riproposto cinque volte, le prime e le ultime due nella tonalità di LA minore, la terza in SOL minore. Una melodia, a somiglianza dei temi del Walzer, caratterizzata da ascese intercalate da brusche ricadute:

Sia la transizione interna che la chiusa si appoggiano sulla tonalità di DO# maggiore.

La Mazurka (Allegro) in MIb maggiore, presenta, come il Walzer, una struttura perfettamente simmetrica: A-B-C-B-A. Vi troviamo un primo tema che richiama alla lontana quello del primo quadro di Coppelia, tema formato da due sezioni, la prima ancora una volta costituita da veloci salite e bruschi ripiegamenti:


La seconda da una serie di ondeggiamenti di crome in staccato. Dopo la sua ripetizione, ecco il secondo tema, nella relativa DO minore, inizialmente più elegiaco, ma che poi si agita in archi e legni, con veloci scalate:

 
Esso viene ripetuto e poi gli subentra un nuovo, spigliato motivo in FA maggiore, pure ripetuto:

Ritorna poi il secondo tema (qui una sola volta) che infine cede il passo a quello iniziale, che con due ripetizioni chiude il numero.   

La Romanza (Andante) è la musica che deve sostenere i versi che la protagonista Nina canta al suo sposo, che dubita di lei. Il motivo principale, in SIb minore, è esposto dai violini, che salgono lungo l’ottava, da dominante a dominante (FA) per poi ripiegare giù sul SOLb:

Qui il motivo si ripete, ma sviluppato fino virare a REb maggiore, e quindi tornare a SIb minore, chiudendo sulla sopratonica DO.

Ora sono viole e violoncelli a riprenderlo, in seguito modulando dolcemente a LAb maggiore, dove il clarinetto espone una nuova e struggente melodia:

Dopo che l’orchestra ha sviluppato il secondo motivo, si torna al primo tema, SIb, ora esposto con gran portamento e nobiltà dalla tromba solista, che viene poi affiancata dagli archi a completare la riesposizione del tema, fino alla sommessa chiusura sulla dominante FA.

Chiude il Galop (Allegro vivo) un ubriacante pezzo (in SIb maggiore) che ricorda vagamente la polka Tritsch-Tratsch di Johann Strauss. Anche qui struttura semplice e immetrica: A-B-A-C-A-B-A.

Dopo 8 battute che servono ad impostare il folle ritmo del brano, un primo tema esilarante è esposto inizialmente dagli strumentini, e poi verrà ripreso dagli archi:
Dal SIb sfocia su una sospensione in RE minore, caratterizzata da un inciso di ottoni e tamburino che anticipa la struttura del terzo tema. Dopo la ripetizione segue il secondo tema, sempre in SIb, esposto da viole, violoncelli e fagotti, con i violini ad arpeggiare in staccato:


Torna ora il primo tema, cui segue un’introduzione ritmata dalle trombe che prepara il terzo tema, nella sottodominante MIb, con modulazione a SOL minore:

Ora c’è una pausa di tranquillità, dove il clarinetto solista inserisce una sua cadenza, seguito dal flauto solo, che porta alla ripresa dei due temi principali che chiudono in modo spiritoso il brano e l’intera Suite.
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Veramente un pezzo geniale, anche se apparentemente disimpegnato, che Grazioli esegue con la sua proverbiale verve, trascinando l’orchestra ad una prova maiuscola – su tutti il violino di Luca Santaniello e la tromba di Alessandro Ghidotti - e il pubblico ad un’autentica ovazione da stadio! Che convince maestro e professori a ripetere il celeberrimo Walzer.

Prossimamente saremo però sotto Pasqua, e quindi… Passione!