XIV

da prevosto a leone
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09 aprile, 2018

Gioconda ha chiuso il tour a Reggio E.



Ieri pomeriggio al Valli di Reggio E. (piacevolmente affollato in ogni ordine di posti) si è chiuso il tour emiliano de La Gioconda, già transitata a marzo da Piacenza e Modena (teatri co-produttori dello spettacolo). Rendo subito merito alla provincia (emiliana, nella fattispecie) che ancora una volta mostra di saper proporre e allestire opere importanti e difficili come questa, raggiungendo allo stesso tempo risultati di tutto rispetto.

È noto che le difficoltà di allestire Gioconda risiedono principalmente nella necessità di mettere insieme un cast vocale di quantità (oltre che qualità) assai robusta: si tratta di sei protagonisti e deuteragonisti che coprono altrettante (quindi tutte le) diverse tessiture vocali. E il cast che ha sostenuto per intero la prova si è dimostrato mediamente all’altezza del compito.

A partire dal Barnaba di Sebastian Catana, davvero convincente sia sul piano vocale (ottima impostazione e timbro bronzeo) che su quello scenico, perfettamente calato nel truce personaggio.

Francesco Meli conferma le sue doti di fine lirico, sfoggiando difficili acuti a mezza voce e timbro cristallino. Il suo cielo&mar è stato lunghissimamente applaudito da un pubblico in delirio, che in pratica lo ha costretto ad un bis che taglierebbe la... gola a chiunque.

Bene la Cieca di Agostina Smimmero, voce corposa e passante, accompagnata ad un’efficace presenza scenica.

Giacomo Prestia è stato un Alvise corretto, ma i decibel cominciano a scarseggiare e - forse involontariamente - Callegari lo ha un paio di volte coperto con eccessivo volume dell’orchestra.
   
Note discrete, non di più, per le due donne principali: Saioa Hernández ha un vocione invidiabile, ma assai poco... disciplinato, dall’emissione periclitante e con acuti spesso tendenti alla vociferazione. Si è salvata con il... suicidio (!) che essendo l’aria più impegnativa dell’opera è stata probabilmente studiata e messa a punto meglio del resto. Anna Maria Chiuri ha mostrato discreta padronanza del ruolo di Laura, ma negli acuti ha manifestato analogie con la Gioconda: il loro duetto-scontro del second’atto è stato un po’ un festival dello schiamazzo, ecco...

Oneste le prestazioni dei comprimari Dellavalle, Donini, Izzo e Tansini. Un encomio al Coro piacentino di Corrado Casati e ai piccoli del Farnesiano guidati da Mario Pigazzini (tutti applauditissimi alla fine).

Ottime cose ha fatto il concertatore Daniele Callegari, che ha saputo estrarre e soprattutto valorizzare le tante raffinatezze dell’orchestrazione di Ponchielli, mantenendo (quasi) sempre un buon equilibrio nel sostegno delle voci. Onori ovviamente all’Orchestra ORER, sia come complesso che come singoli, spesso chiamati da Ponchielli a difficili passaggi solistici.

In definitiva, un bel successo sul piano musicale.
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Successo condiviso dall’equipe responsabile dell’allestimento. Federico Bertolani ha rispettato in pieno lo spirito ed anche la lettera del soggetto di Boito-Ponchielli, mettendo in risalto gli aspetti peculiari delle personalità dei diversi protagonisti del dramma. Una volta tanto è stata apprezzabile l’esecuzione del Preludio a sipario alzato: un tableau-vivant dove - sottolineati dai temi del Rosario e di Barnaba - il pubblico ha potuto far conoscenza con i principali protagonisti del dramma.

Il regista si è avvalso di scene (Andrea Belli) di assoluto ma essenziale ed efficace minimalismo: cielo e mar, verrebbe da dire, che sono onnipresenti nell’opera, e che si materializzano nell’acqua vera che allaga il palco (e riverbera le sue increspature fin sul soffitto del teatro...) e sul cielo dalle sfumature tenui, che fa da sfondo e si confonde con l’acqua, proprio come accade normalmente in laguna. Fa eccezione l’ambientazione del terzo atto, dove l’interno della Ca’ d’Oro è rappresentato come un enorme crogiolo tutto rosso porpora: il sangue che viene versato da ciò che si trama in quell’ambiente. Ambiente abitato invece - e qui siamo al nero più nero - da autentici pipistrelli (quali appaiono tutti i dignitari - e rispettive consorti - della Repubblica colà riuniti).

Efficaci e raffinati i costumi di  Valeria Donata Bettella, così come i giochi di luce di Fiammetta Baldisserri.

Gioconda è un grand-opéra infarcito di danze e balletti. La Compagnia Artemis Danza di Monica Casadei si fa carico di questa non marginale componente dello spettacolo, valorizzandola al meglio, pur con risorse ridottissime (6 danzatori per Le ore!)

In complesso: una prova encomiabile da parte di tutti, che il pubblico ha gratificato di lunghi e calorosi applausi. Viva la provincia!

09 ottobre, 2017

Jérusalem a Parma


Ieri pomeriggio un Regio abbastanza (ma non totalmente) affollato ha ospitato la seconda delle quattro recite di Jérusalem. È la seconda comparsa dell’opera a Parma, dopo l’esordio avvenuto a distanza di ben 139 anni dalla prima parigina: 1986, con Renzetti sul podio e Giacchieri alla regìa.    

Quest’anno viene presentata una nuova edizione critica, di Jürgen Seik, che ha recuperato materiale finora sconosciuto, fra cui alcuni minuti aggiuntivi, rispetto agli spartiti storici, ai balletti del terz’atto (ecco da 2’57” l’esecuzione di Renzetti dell’86). Balletti di cui si può sempre discutere la pertinenza (qui sono più di 25 minuti di spettacolo-nello-spettacolo) ma che Leda Lojodice ha coreografato con eleganza e raffinatezza.

La messinscena di Hugo De Ana è precisamente ciò che ci si può immaginare leggendo il libretto. Toh, che cosa banale e ammuffita, dirà qualcuno con la puzza al naso, qualcuno che avrebbe voluto vedere, come minimo, un’ambientazione in Iraq, o Afghanistan, alla peggio in Yemen o Siria, e il prologo in Texas, a casa dei Bush o direttamente in un albergo di Trump. Con kalashnikov, bombe a mano e droni, mica spadoni, scudi e pugnali di latta. E invece qui leggiamo subito, durante il preludio, la bolla di Papa Urbano del 1095 che aizza i crociati, e poi, a partire dal second’atto, le pietraie di Palestina dove agonizzano gli assetati pellegrini e dove arrivano i liberatori papalini.

Ecco, uno spettacolo di eccellente fattura, in stile zeffirelliano (come sono sempre quelli del regista argentino, che cura anche scene e costumi, avvalendosi dei giochi di luci di Valerio Alfieri e delle proiezioni olografiche di Sergio Metalli) che valorizza al meglio una partitura che merita sicuramente una considerazione maggiore di quella in cui vien tenuta da più di un secolo.

Sul fronte dei suoni notizie dal discreto al buono, direi. Dove il buono arriva sicuramente dalla concertazione di Daniele Callegari, che ha gestito al meglio la Filarmonica Toscanini (la cui esperienza nel sinfonico ne fa interprete ideale per questa partitura): sia la compagine in buca che la banda fuori scena, che ha portato da lontano suoni pulitissimi e mai sguaiati. E buona la prestazione del coro del Regio di Martino Faggiani, che qui ha un impegno invero gravoso; impegno assolto con magistrale professionalità: O mon Dieu, il famoso O signor, qui anticipato al second’atto, ha riscosso minuti e minuti di applausi.

Fra le voci, la palma del migliore va all’intramontabile Michele Pertusi, autentico mattatore, oltre che profeta in patria: la voce forse non ha più lo smalto di un tempo e le note gravi sono un po’ forzate, ma in complesso il Roger che ne esce è da incorniciare.

Con i due protagonisti amanti si scende (sul mio personalissimo cartellino, come usava dire il Rino Tommasi commentatore di boxe) verso il discreto: Ramon Vargas ha voce ormai usurata, opaca, poco squillante, il che per una parte scritta per tale Gilbert-Louis Duprez non è proprio il massimo, ecco (i due DO acuti del second’atto? mah...) Annick Massis da parte sua ha mostrato qualche limite negli acuti e una voce non molto penetrante e dal timbro non proprio gradevolissimo. Al suo livello la sua confidente Isaure di Valentina Boi.

Abbastanza efficaci il Legato pontificio di Deyan Vatchkov, il Conte di Paolo Gálvez e l’Emiro di Max Catellani. Oneste le prestazioni degli altri tre comprimari.

Tirando le somme: una proposta che fa onore al Regio e che non per nulla il pubblico ha mostrato di gradire assai, con applausi a scena aperta dopo i principali numeri e alla fine per tutti i protagonisti. Mi sentirei di inserirla decisamente nei miei consigli per gli acquisti.

05 ottobre, 2015

A Parma un Otello un po’… basso

 

Il FestivalVerdi2015 mette in scena in questi giorni un capolavoro assoluto del Maestro di Roncole: ieri sera seconda delle quattro rappresentazioni, in un Regio abbastanza affollato e… ben disposto.

La produzione ha avuto qualche vicissitudine non proprio tranquilla, con defezioni e cambi nel cast fino all’ultimo. E proprio il protagonista (delle prime due recite) Rudy Park è arrivato quasi all’ultimo momento e gli va dato atto di aver tenuto la barca a galla (a dispetto della sua mole, smile!)  

Lui ha un vocione quasi da… basso con estensione tenorile, che alle prime lascia un filino perplessi; ma poi si deve riconoscere che il suo Otello non è proprio malaccio: caso mai gli si può rimproverare un certo approccio monocorde (tendenza a cantare sempre forte) e quindi una scarsa varietà di accenti. Comunque il coreano si merita un’ampia sufficienza, ed anzi il pubblico lo accoglie proprio come un… salvatore della patria!    

Altro protagonista subentrato in corsa è Marco Vratogna: il cui Jago mi è parso di livello onesto: se non altro scevro da facili gigionerie. Voce chiara e sempre ben passante, anche nei difficili concertati dove personaggi diversi cantano insieme frasi indipendenti, che spesso si fatica a decifrare.      

Aurelia Florian mi è parsa una Desdemòna (pronunciato all’albionica, niente di offensivo, smile!) a corrente alternata. Vociferante nei passaggi acuti e poco udibile nell’ottava bassa, si è però riscattata… prima di morire, con apprezzabili salice e Avemaria.  

Questi i protagonisti-chiave. Il resto della ciurma (vedi locandina) cerca di fare onorevolmente il suo dovere e per mio conto ci riesce abbastanza. Buona la prova del coro di Martino Faggiani e bravissimi i piccoli di Gabriella Corsaro.

Daniele Callegari (anche lui assoldato a rimpiazzare l’originale Bignamini) ha diretto con mestiere la ruspante Filarmonica Arturo Toscanini, forse eccedendo talvolta con indebiti fracassi. Buona però anche la sua concertazione con le voci sul palco.


Solo due parole sull’allestimento del venerabile Pier Luigi Pizzi. Che di questi tempi è da giudicarsi semplicemente scandaloso, avendoci presentato l’Otello precisamente come è scritto in libretto e partitura!