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05 aprile, 2025

Orchestra Sinfonica di Milano - Tjeknavorian & Babayan soli al comando

Come intermezzo fra le due serate del 23° concerto, i suoi due protagonisti sono tornati sul palco dell’Auditorium per uno straordinario da camera dove hanno spaziato da Mozart a Janàček a Brahms, per poi chiudere sul festeggiato Ravel (150 anni dalla nascita).  

Programma parzialmente modificato rispetto all’annuncio originale, con Brahms a sostituire Prokofiev, più Mozart (due sonate - K301+K305 - invece della K367) e con l’aggiunta di un intermezzo di Kreisler.

Come si po' dedurre, qui è il violino (del Tjek) a farla da protagonista, con un illustre pianista (Babayan) a supportarlo sontuosamente. Ecco la sequenza dei nove brani eseguiti:

1- Leóš Janàček: Sonata per violino e pianoforte (ultima versione, 1922); Con moto; Ballada; Allegretto; Adagio:

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2- Wolfgang Amadeus Mozart: Sonata per violino e pianoforte in Sol maggiore K 301 (1778, a Mannheim); Allegro con spirito; Allegro:

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3- Fritz Kreisler:

1. Rondino in stile Beethoven (1905): si tratta di una riduzione del Rondo per violino e piano, trasposto da SOL a MIb maggiore; le strofe del Rondo sono in MIb, SIb, DO minore, LAb maggiore:

2. Alt-Wiener Tanzweisen (<1905) è un trittico di tre danze viennesi:

a) Liebesfreud: struttura A-BB’-A; Allegro, DO maggiore / Grazioso, Allegro, FA maggiore / Allegro, DO maggiore:

b) Liebesleid: struttura A-B-A-B; Ländler, LA minore / Poco meno mosso, LA maggiore:

c) Schön Rosmarin: Struttura A-B-A; Grazioso, SOL maggiore / Meno mosso, SOL maggiore-minore, SIb maggiore, SOL maggiore / SOL maggiore:

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4- Johannes Brahms: Scherzo in Do minore per violino e pianoforte dalla sonata F.A.E. (1853). L’acronimo del brano sta per Frei aber einsam, composto in realtà a tre mani, per omaggiare il grande Joachim: I. Allegro, da Albert Dietrich; II. Intermezzo, da Robert Schumann; III. Scherzo, da Brahms; IV Finale, da Schumann:

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5- Wolfgang Amadeus Mozart: Sonata per violino e pianoforte in La maggiore K 305 (1778, Mannheim); Allegro di molto; Tema con variazioni:

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6- Maurice Ravel: Tzigane. Rapsodie de concert (1924); oltre a questa, per violino e pianoforte, esistono del brano altre due versioni: quella con accompagnamento di orchestra e quella con accompagnamento di Luthéal (un ibrido pianoforte-organo, oggi in disuso). L’atmosfera gitana si rivela già dall’esordio, esclusivamente assegnato al violino:

Poi diventa quasi schizofrenica prima della conclusione, con un funambolico susseguirsi di indicazioni di agogica e di diteggiatura:

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Dopo un esordio accidentato (colpa del tablet con gli spartiti di Babayan che non obbediva ai comandi via smartphone della ragazza addetta al volta-pagina) il programma è andato in continuo crescendo. Janàček (questo, almeno) non è facile da digerire, anche perché lo stesso Autore la tirò in lunga per un decennio, cambiando anche gli scenari della sua narrativa: è un’opera complessa e complicata, poco lineare, e c’è voluta tutta l’abilità e l’abnegazione dei due protagonisti per rendercela almeno accettabile, ecco.

Poi Mozart ha ovviamente aperto un primo squarcio di sano classicismo, con le sue leziosità giovanili. Kreisler ha anche scaldato i motori del virtuosismo. NB. la sequenza dei quattro brani è stata: Liebesleid, Rosmarin, Rondino, Liebesfreud, in modo da lasciare l’ultima parola nota prima dell’intervallo al pezzo forte, o quanto meno al più trascinante dei quattro.

Brahms ha poi degnamente tirato la volata al secondo Mozart, le cui variazioni hanno davvero incantato. I due moschettieri si son presi un minuto di pausa prima della Tzigane, che ha chiuso il programma ufficiale con grande trionfo per questa coppia davvero unica nel suo genere.

Praticamente scontato (e preparato) il bis di congedo: ancora Ravel, con il pezzo in forma di Habanera. Ma il pubblico – anche oggi oceanico - non se n’è dato per inteso, e così l’ultima parola musica l’ha avuta ancora il kreisleriano Liebesleid, romantiche pene d’amore… come quelle che ormai sembrano accumunare il pubblico e il suo nuovo Direttore Musicale!

23 ottobre, 2020

laVerdi 20-21. Concerto n°5

Allora, proprio ieri sera è scattato il coprifuoco - dalle 23 alle 5, tipiche ore di punta di movida, partite di calcetto clandestine, sessioni intensive di palestra e assalti a treni e autobus - con l’emissione da parte di Fontana dell’ordinanza, in contrasto con gli... ordini del suo capitano (il quale a sua volta ha l’unico obiettivo di scaricare la patata bollente nell’altro campo, dove stanno i sindaci PD delle principali città lombarde, per poi impallinare loro).

Ora, chi come il sottoscritto abita a mezz’ora (in moto) o a 50 minuti (mediamente, con i mezzi pubblici) dall’Auditorium la cosa può anche interessare poco: il concerto (al giovedi) finisce prima delle 22 (le altre tre repliche sono ancora più anticipate) e quindi si ha il giusto tempo per rientrare all’ovile; ma chi deve venire dall’hinterland o - peggio - da fuori provincia, come fa? Il biglietto di ingresso può servire come salvacondotto, da allegare all'autocertificazione? Ah, saperlo... Forse - come argutamente si scrive sul FattoQuotidiano - bisognerebbe imporre un coprifuoco dalle 5 alle 23 per Gallera&C!
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Bene, dato a Cesare Fontana ciò che... non si merita, vengo al sodo: riecco sul podio il Direttore musicale Flor per il quinto appuntamento del primo trimestre di questa stagione covid-dipendente.

Appuntamento che vede il ritorno del tuttora sottovalutato Leoš Janáček, già protagonista del concerto inaugurale alla Scala con uno dei suoi ultimi lavori (Taras Bulba) e del quale adesso si esegue invece un brano giovanile (composto a 23 anni) che impegna i soli archi dell’Orchestra: la Suite del 1877. (Brano da non confondere con la meno eseguita Suite per Orchestra - fiati 2-2-3-2/3-2 inclusi, più timpani, triangolo e arpa - del 1891, che è una specie di centone ricavato da musiche per il teatro.)

La Suite si presenta in 6 movimenti, originariamente pensati proprio sul modello barocco, ma poi realizzati in modo del tutto (o quasi) divergente da esso, tanto che l’Autore la fece pubblicare solo quasi mezzo secolo dopo averla composta, e senza alcun sottotitolo. Abbastanza innovativa (per qualcuno magari anche cervellotica...) la progressione tonale, che parte dal SOL minore per chiudere in SI maggiore! Insomma, un bell’esercizio di un tipo promettente, che poi - non per sua colpa - non ha mai veramente sfondato.  
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Ecco qualche sommaria indicazione per seguirne lo sviluppo, ascoltandola da Manfred Honeck alla Philharmonie con gli archi di Pittsburgh.

Si parte (1’43”) con un Moderato in SOL minore (4/4 alla breve, una novantina di battute) aperto da pesanti accordi con acciaccatura. La prima sezione, caratterizzata da un tema energico, sfocia, dopo rapide modulazioni a SIb maggiore e LA maggiore, verso una pausa di riflessione (note pizzicate degli archi bassi) che prepara la seconda sezione. Che inizia a 3’02” in DO maggiore, esponendo un tema più lirico e cantabile. A 3’35” si modula a MIb maggiore, poi ancora (4’07”) a SOL maggiore per chiudere con una cadenza morente.

Segue (5’29”) un Adagio in SOL maggiore (4/4, una trentina di battute) affidato ai soli archi alti, divisi in 4 parti (Violini I, 2 Violini II e Viola). La tonalità è continuamente increspata da inflessioni espressioniste (mahleriane, si direbbe) e la struttura è in tre sezioni. La prima viene ripetuta a 6’25”, la seconda (7’10”) presenta una fugace digressione a RE maggiore e viene a sua volta ripetuta a 7’54”. La terza (8’38”) ha la funzione di cadenza conclusiva.

Ecco ora (9’43”) un Andante con moto, ancora in SOL maggiore (4/4, meno di 30 battute). Si tratta di un breve e gaio brano di danza popolare. La prima sezione viene ripetuta a 9’55” e si chiude a 10’06”. La seconda sezione presenta pure una ripetizione (ma non con il da-capo) e porta, dopo due impertinenti quanto fugaci modulazioni a MIb maggiore, alla rapida conclusione.

Lo Scherzo (10’45”) è in RE minore e SOL (minore-maggiore) in 3/4 per circa 210 battute, e sa molto di... Beethoven (nona): l’incipit del Presto riprende pari-pari quello di un piccolo esercizio (Intrada, per 4 violini) del 1875, nella stessa tonalità. La prima sezione sfocia in SOL minore e viene ripetuta a 11’05”. A 11’22” ecco la seconda, che resta in SOL minore salvo una breve digressione alla relativa SIb maggiore, per concludersi a 11’53”. Qui il tempo si fa Andante (è in effetti il Trio dello Scherzo) e la tonalità è SOL maggiore: è una melodia soave e cullante, che si chiude a 12’57” con l’ultima riproposizione nei gradi più alti della tessitura strumentale. A 13’17” riprende il Presto che conclude il movimento abbastanza sorprendentemente (tramite il FA# dei Violini II) in RE maggiore.

Segue (14’12”) un secondo Adagio in RE e poi SIb maggiore (4/4, poco più di 40 battute). Si caratterizza - a differenza di quello del secondo movimento, riservato ai soli archi alti - per il ruolo preminente di quelli bassi, che nelle prime 8 battute introducono, riprendendo il RE maggiore dell’ultima semiminima dello Scherzo, il languido tema che (15’07”) viene esposto dai violini ancora in RE, per poi virare, attraverso il SI, al SIb maggiore (15’37”) dove viene ripreso dai violoncelli, quindi (16’15”) da violini, poi viole, ancora violini e celli. A 17’18” ecco la sezione conclusiva, affidata a celli e bassi, poi ancora ai violini, che ripropone il tema.

Chiude la Suite un nuovo Andante in SI minore (4/4, 80 battute). Anche questa è una parziale sorpresa, criticata da molti (incluso l’autorevole biografo-esegeta di Janáček, Jaroslav Vogel): sia per il tempo (si preferirebbe un Allegro) che per la tonalità (tutta la Suite tende a ruotare intorno al SOL, e il SI naturale gli è un filino distante - la relativa minore della dominante RE). Il movimento rispetta abbastanza da vicino i canoni della forma-sonata: si inizia (18’33”) con l’esposizione del primo tema, seguita da quella del secondo (19’00”) nella relativa RE maggiore. L’esposizione viene (19’24”) classicamente ripetuta, poi (20’12”) arriva lo sviluppo, che elabora principalmente il secondo tema. Infine ecco (21’05”) la ricapitolazione dei due temi nella stessa tonalità di SI minore, fino alla coda conclusiva (21’42”) che vira inaspettatamente (forse, stante i precedenti...) a SI maggiore.
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Devo dire che un (sia pur minuscolo) lato positivo il Covid ce lo ha portato: la possibilità (legata alla necessità) di ascoltare dal vivo opere, come questa, che sono di assai rara programmazione, soprattutto da parte delle maggiori compagini sinfoniche che - come laVerdi - fanno del grande repertorio classico il loro cavallo di battaglia. Così è accaduto anche per questa proposta invero interessante, che i ragazzi dell’Orchestra hanno mostrato di affrontare con lo stesso entusiasmo che mettono in Mahler, Strauss, Beethoven e Mozart.
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Che è l’autore del secondo ed ultimo brano in programma, interpretato da un giovane di belle speranze, il 25enne Aaron Pilsan, tornato qui dopo quasi due anni. Allora aveva affrontato un mostro sacro qual è il Quarto beethoveniano, sorprendendo tutti per la sua maturità nel padroneggiarlo. Adesso conferma la sua grande classe con il Concerto per pianoforte e orchestra K414 In LA maggiore, una delle prime composizioni del Mozart viennese (1782-3) destinata ad aprire la strada alla gloriosa serie di concerti che culminerà con il K595 del 1791.

L’Orchestra è di struttura cameristica: soli quattro fiati (coppie di oboi e corni) più il fagotto, ma solo ad-libitum in funzione di basso. Gli archi sono indicati a quattro, quindi i contrabbassi sono eventualmente impiegabili come rinforzo dell’accompagnamento: qui in Auditorium la configurazione è di 23 elementi (6-5-5-4-3).

Una curiosità - spesso citata nelle esegesi - riguarda il centrale Andante, che si apre con una esplicita citazione (tonalità compresa) del Bach londinese (Johann Christian) che era scomparso al tempo della composizione del Concerto e che Mozart aveva conosciuto nel suo viaggio a Londra: si tratta del tema - sottilmente variato nel ritmo - dell’Andante Grazioso dall’Ouverture per un’opera di Baldassare Galuppi, intitolata La calamita de’ cuori:

Qui Peraya ci propone la giustapposizione dei due brani: prima il passaggio di Bach, e poi (2’23”) l’intero movimento di Mozart.

Pilsan ci ha offerto questo piccolo gioiello con la giusta delicatezza (Mozart ne parlava come di musica che deve immediatamente piacere al pubblico, ma senza essere superficiale o cadere nel volgare) e l’Orchestra a ranghi ridotti ha presumibilmente riprodotto l’ambiente originale che caratterizzava queste esecuzioni. E in effetti il pubblico non ha lesinato convinti applausi a tutti, solista, direttore e strumentisti. Dopo un nuovo richiamo a mezzo applausi ritmati, per ringraziare Pilsan ha offerto - a noi sparuti rari-nantes - dapprima un funambolico Chopin (Etude op.10 n°8) e poi questa personalissima Elisa.

Fuori, una pioggerella pulviscolare ci riporta nella triste prospettiva del coprifuoco... Che - fate voi chi - ce la mandi buona.  

21 settembre, 2020

laVerdi riparte dalla Scala

Continuando, pur in tempi di virus, una tradizione ormai consolidata, laVerdi si è presentata ieri sera alla Scala per quello che solitamente è il concerto di apertura della nuova stagione (della quale in realtà per il momento si conosce soltanto la prima parte, fino a fine 2020, poi... si vedrà). 

Sul podio il Direttore Musicale Claus Peter Flor con un programma di musiche di inizio ‘900 di due autori nativi del vicino est europeo, Gustav Mahler (Jihlava, Boemia) e Leoš Janáček (Hukvaldy, Moravia):

Due musicisti che ebbero rapporti assai diversi con l’establishment musicale (e anche politico!) della mitteleuropa: Mahler pienamente integrandovisi, Janáček cercando una via artistica legata profondamente alle radici della sua terra, e propugnando (proprio con Taras Bulba) la lotta di liberazione di quella che diverrà la futura Cecoslovacchia dal dominio austro-ungarico.
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Il mio primo incontro con la Scala post-lockdown è stato abbastanza (ma anche prevedibilmente) straniante, fin dall’ingresso nel foyer e dall’accesso alla platea, rigorosamente guidati da maschere e percorsi obbligati. Anche qui il distanziamento fra gli spettatori crea del disagio psicologico, mentre appena un poco meglio vanno le cose sul palco, dove l’enorme disponibilità di spazio consente a laVerdi di schierare quasi l’organico standard. Tuttavia anche l’Orchestra intera è distanziata dal pubblico (resta deserto l’intero tetto della buca) e quindi il suono arrivato in sala non mi è sembrato per nulla ottimale.

Il concerto - tuttora le regole-Covid ne limitano la durata e vietano gli intervalli - si è aperto con il ciclo di 5 Lieder mahleriani su testi di Friedrich Rückert (per qualche breve nota rimando ad un mio vecchio post del 2012) proposti dalla quasi 58enne Petra Lang, nata come mezzosoprano ma col tempo salita di tessitura (e di fama) fino a... Brünnhilde e Isolde.   

La sequenza dei cinque canti (composti fra il 1901 e il 1902 con accompagnamento di pianoforte e successivamente orchestrati dall’Autore – salvo l’ultimo, strumentato da Max Puttmann) è lasciata alla scelta dell’interprete, dal momento che Mahler non diede precise indicazioni in proposito. La Lang ha optato per il seguente ordine, spesso proposto dalle voci femminili (fra parentesi quello cronologico di composizione):

a. Ich atmet' einen linden Duft! (2)

b. Liebst du um Schönheit (5)

c. Blicke mir nicht in die Lieder! (1)

d. Um Mitternacht (4)

e. Ich bin der Welt abhanden gekommen (3)

 
La Lang non mi è parsa propriamente al meglio della condizione: proprio nelle note più gravi, che da mezzosoprano di nascita dovrebbero esserle più congeniali, ha mostrato qualche logoramento, compensato dal mestiere e da un’apprezzabile sensibilità interpretativa. Flor ha trattenuto al massimo l’orchestra - già cameristica per volontà dell’Autore - accentuando il carattere intimistico e quasi crepuscolare di queste canzoni nella cui atmosfera Mahler sembra identificarsi in pieno. Applausi e un paio di chiamate hanno comunque gratificato l’esecuzione.
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Breve intervallo per far posto in palcoscenico a qualche sedia aggiuntiva, occupata ora dalle co-primeparti dell’Orchestra, entrate per accrescerne la potenza di fuoco di fronte alla rapsodia Taras Bulba (un esordio, per laVerdi). Trattasi in realtà di un poema sinfonico (da Gogol) in tre parti, ciascuna evocante vicende assai luttuose (con una spruzzata sentimentale): è il battagliero cosacco Taras che vede i due figli morire (uno per la verità lo fa secco proprio lui!) prima di essere a sua volta mandato arrosto dai suoi acerrimi nemici polacchi. Il patriota Janáček stravedeva per tutto ciò che sapeva di russo e così esaltò questo sanguinario condottiero come fosse un grande eroe, forse solo perchè anche lui ce l’aveva con i polacchi... (Chissà però se nel 1968 avrebbe esaltato la passeggiata in piazza SanVenceslao dei tank dell’eroico... Leonid Bulba Brezhnev!)

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Il racconto di Gogol (12 capitoli, terminato nel 1842) tratta delle imprese dei cosacchi della Seč - la comunità militare insediatasi a Zaporizzia, occupando la grande isola sul Dnepr - che nella prima metà del ‘600 si opposero alle invasioni turche e tartare e soprattutto alla dominazione polacca. In apertura del racconto Gogol ci presenta un loro condottiero, Taras, già in età matura (il più giovane dei suoi due figli ha ormai passato i 20 anni) nella propria casa nel momento in cui i due giovani (Ostap e Andrei) vi fanno ritorno avendo concluso il loro tirocinio in Accademia a Kiev. Taras non vede l’ora di aggregarli alla Seč e di portarli con sè sui campi di battaglia.  

Gogol non ci dà indicazioni geografiche precise sulla posizione della casa di Taras, ma abbiamo alcuni indizi che ci possono aiutare a localizzarla, almeno approssimativamente. Il primo ci informa che Taras, i due figli e la scorta di 10 uomini cavalcano nella steppa verso sud; poi sappiamo che - dopo un giorno e una notte passata all’addiaccio - il gruppo si trova ad attraversare un piccolo fiume, il Tatarka, affluente del Dnepr (quindi dalle parti dell’odierna Dnipro); infine, da lì impiegano quasi tre altri giorni per arrivare in vista della Seč di Zaporizzia. Da tutto ciò si può indurre che la casa di Taras fosse situata parecchio a nord della stessa Dnipro. Orbene, da quelle parti si trovano, guarda caso, luoghi assai cari a Gogol: il suo villaggio natale (Sorochyntsi) poi la cittadina di Mirgorod, che diede il nome alla collana di racconti di cui fa parte Taras, e infine Dikanka, altro teatro di storie gogoliane.

Nella mappa sottostante sono schematicamente rappresentati gli spostamenti di Taras nella narrazione dello scrittore russo:

1. Trasferimento di Taras con i due figli dalla loro casa alla Seč di Zaporizzia.

2. Restati a lungo inoperosi contro i turchi (avendo concluso un trattato di pace con il Sultano) i cosacchi di Zaporizzia, aizzati da Taras, trovano la giusta causa per muoversi finalmente alla guerra (loro attività prevalente) apprendendo delle continue soperchierie che gli occupanti polacchi (spalleggiati dai ricchi ebrei) stanno perpetrando nell’intera Ukraina. Così cominciano a risalire verso nord-ovest per liberare la loro terra, che consideravano venduta ai Polacchi con la creazione della Confederazione polacco-lituana. Dopo aver commesso atrocità di ogni genere arrivano infine presso Dubno (600 Km in linea d’aria da Zaporizzia) dove pongono l’assedio alla ricca città. Qui il giovane Andrei tradisce i suoi per amore di una bella giovane e nobile polacca conosciuta a Kiev, così non solo diserta, ma addirittura combatte contro padre e fratello, a fianco dei polacchi che cercano di rompere l’assedioÉ Taras in persona a punirlo a sangue freddo, con una pallottola in fronte. I polacchi dopo alterne vicende hanno la meglio sui cosacchi, riuscendo a far prigioniero Ostap. Invano il padre cerca di difenderlo, ma viene a sua volta ferito ed è salvato da un suo fedelissimo.

3. Mentre Ostap viene portato via dai polacchi, Taras ferito e ignaro della sorte del figlio maggiore viene ricondotto agli accampamenti della Seč di Zaporizzia, nel frattempo visitati dai nemici tartari.

4. Qui partecipa ad alcune scorribande contro i Turchi nel MarNero, ma è incapace di resistere al desiderio di conoscere il destino di Ostap. Così Taras si reca ad Uman (circa 300 Km in linea d’aria) presso un commerciante ebreo...

5. ...dal quale si fa trasportare (nascosto nel sottofondo di un carretto) fino a Varsavia (altri 600 Km in linea d’aria) dove immagina sia prigioniero il figlio. E infatti arriva giusto in tempo per assistere, mescolato alla folla, alla tortura e all’esecuzione di Ostap sulla pubblica piazza. Allora si fa avanti e grida alla folla esultante tutta la sua ira, promettendo vendetta.

6. (?) Non si sa come, ma riesce a sfuggire a linciaggio e cattura: Gogol ci racconta solo che Taras torna in Ukraina e si mette alla guida di un reggimento di cosacchi che - con altri sette, ciascuno forte di 12000 uomini - dà la caccia ovunque ai polacchi, che nella cittadina di Polonnoie sono costretti infine a capitolare e a promettere pace e libertà agli ukraini.

7. Ma Taras non accetta quella che considera un’ennesima resa e con i suoi seguaci marcia sulla Polonia, arrivando fino a Cracovia mettendo a ferro e fuoco ben 18 città e 40 chiese cattoliche.

8. I polacchi a questo punto impiegano tutte le loro forze armate e riescono a ricacciare indietro i cosacchi di Taras. Il quale - attardatosi a recuperare pipa e tabacco cadutigli dal cavallo, per non farli cadere in mano nemica! - viene catturato lungo il corso del Dnestr, presso l’attuale confine, quindi legato ad un albero e infine bruciato vivo, non prima di aver lanciato contro i nemici la sua profezia: la Russia dominerà il mondo! 

Quanto ai tempi dell’azione, Gogol ci dà solo vaghe indicazioni. Una abbastanza precisa riguarda l’assedio di Dubno, che avviene in luglio. Possiamo quindi posizionare l’inizio del racconto verso la fine di maggio (lo spostamento 2 non può durare meno di 30-40 giorni). Taras viene poi riportato a Zaporizzia (diverse settimane) dove si rimette in sesto (per almeno un mese e mezzo, racconta Gogol) prima di partire - presumibilmente quindi a fine settembre - per Uman (spostamento 4, fatto in una sola settimana, precisa Gogol!) e da qui per Varsavia (spostamento 5). Nella capitale polacca arriverà quindi non prima di novembre inoltrato. Qui abbiamo il black-out informativo, poichè Gogol non ci dà indicazioni su come e quando Taras sia tornato in Ukraina (spostamento 6?) e quanto tempo sia passato prima delle vicende di Polonnoie (ma ci sono di mezzo scorribande e battaglie contro i polacchi, quindi mesi e mesi...) Il blitz in terra polacca (Cracovia, spostamento 7) non può durare a sua volta meno di 30-40 giorni e una settimana trascorre (lo riporta Gogol, spostamento 8) prima della cattura e morte di Taras. Insomma, il tutto assomma a non meno di un anno. 

In preparazione al concerto, il Professor Fausto Malcovati, insigne russologo, ha tenuto una interessante conferenza trasmessa in rete, dove si inquadra la figura di Gogol nella storia della letteratura russa e - per le opere che ispirò - in quella della musica russa, da Musorgski a Shostakovich... e oltre.

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Orbene, da tutto questo po’po’ di avventure - ma Gogol ci infilò anche lunghe descrizioni di usi-e-costumi di quell’epoca - cosa cavò fuori il buon Janáček? Un grand-opéra di 4 ore à-la-Berlioz? Un ciclo di poemi sinfonici à-la-Smetana? No, tre movimenti di meno di 25 minuti, intitolati alla morte dei tre Bulba:

1. Il primo tratta dell’amore di Andrei per la bella nemica e della sua morte violenta.

2. Il secondo evoca i momenti della cattura di Ostap - e della successiva esecuzione.
3. Il terzo ricorda proprio la fine del condottiero, esaltandone lo spirito patriottico.

A differenza da quelli di Strauss, per dire, che impiegano sapientemente temi e motivi musicali per evocare - in modo per quanto possibile appropriato - ora le caratteristiche psicologiche e... somatiche dei personaggi, ora l’ambiente teatro delle loro avventure, questo di Janáček si ispira forse più a Liszt, cioè ad una concezione tendente, del soggetto ispiratore, a conservare solo pochi tratti salienti.
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Seguiamo la trama musicale in questa registrazione amburghese, facendoci aiutare dall’esegesi di Jaroslav Vogel, che raccolse informazioni di prima mano direttamente dalla voce dell’Autore.

Il primo movimento è incentrato sull’amore di Andrei per la bella polacca, e inizia (25”, Moderato quasi recitativo, con dolore) con un tema esposto dal corno inglese a rappresentare il desiderio del giovane per la donna amata, tema poi chiuso (54”) dall’oboe. Ora ecco (1’13”, Andante) la rocambolesca fuga di Andrei dal campo cosacco per penetrare attraverso un passaggio segreto nella chiesa cattolica della città assediata (a 1’25” si odono rintocchi di campana). A 1’39” ecco subentrare timore e apprensione che assalgono Andrei al suo ingresso nella chiesa, dove risuonano a due riprese le note di un organo sulla melopea dell’oboe; poi (2’36”, Allegro vivo) è Andrei ad affrettare il passo in cerca dell’amata. Con la quale si riunisce infine (3’30”, Adagio) accompagnato dal classico love-theme nell’oboe e poi (4’00”) nel clarinetto, tema che si sviluppa successivamente - in due ondate - con piglio sempre più incalzante (Un poco più mosso) come la passione (5’19”) che travolge i due amanti. Dopo una parentesi di calma (5’44”, Adagio e quindi Lento) appare (6’34”, Allegro) minacciosa e proterva, la figura di Taras, con il crudo inciso dei tromboni seguito dalle scosse degli archi bassi. Segue la battaglia che vede Andrei schierato contro il padre, dal quale viene raggiunto e accusato di tradimento. Andrei si sottomette, ma resta fedele (7’49”, Adagio) al suo amore anche di fronte all’estremo castigo comminatogli dal padre, che se ne va al galoppo (8’18”, Presto) lasciando il figlio morente (ultime due battute in Adagio)

Il secondo movimento ha a che fare con la morte di Ostap, ma il suo contenuto musicale è di ardua decifrazione (lo riconoscono musicologi ed esegeti, incluso lo stesso Vogel) riguardo all’attinenza con il soggetto letterario. Le prime 10 battute (8’54”, Moderato) ci presentano verosimilmente la figura del primogenito di Taras, con quattro apparizioni (in violini primi, secondi e viole) di un tema che sembra evocare una personalità austera, caratterizzata da forza di volontà e grande determinazione. Ecco (9’29”) un passaggio in Allegro che richiama evidentemente cavalcate e scontri bellici, cui segue (10’00”, tornando al Tempo I) la riapparizione (3 volte, in violini e archi bassi) del tema di Ostap. Riprende (10’28”, Vivo) la battaglia, ma subito Ostap viene sopraffatto e catturato, come testimonia (10’32”) lo schianto in orchestra. Il passaggio successivo (Moderato) è una vera e propria via-crucis, caratterizzata da una melopea di legni e archi che evoca con pesante mestizia (tema di Ostap negli archi bassi, poi nei legni) il lungo e penoso trasferimento del prigioniero da Dubno a Varsavia. Dove (12’43”, Vivo) c’è grande agitazione seguita da manifestazioni di tripudio popolare a suon di... mazurka, che scimmiotta il tema di Ostap. Il quale è portato verso il patibolo e il clarinetto in MIb ne raccoglie (13’36”) l’eroica resistenza alle torture e il disperato appello al padre. Il quale (13’54”) risponde, palesandosi alla folla dei polacchi e promettendo vendetta.

Il movimento conclusivo si apre (14’23”, Con moto) con un motivo guerresco (terzina arpeggiante e nota lunga) nei corni, che evoca la battagliera personalità di Taras. Gli esegeti non concordano sul significato di queste prime battute musicali: seguendo Vogel, immaginiamo Taras già legato all’albero e in procinto di essere bruciato, mentre ricorda il diletto figlio Ostap, accompagnato da un mesto e dolente motivo che si ripete in varie sezioni dei fiati, accompagnato da ondeggianti sestine degli archi e poi si conclude (16’07”, Maestoso) con un sereno REb maggiore. Ora sono i nemici polacchi ad inscenare (16’35”, Presto) un’irridente krakowiak, che si prende gioco del motivo di Taras. Ma ecco che l’inciso protervo del condottiero cosacco, già udito al momento di punire Andrei, si fa largo (16’57”) a sottolineare la soddisfazione di Taras che vede i suoi (17’14”) scampare alla cattura con una discesa forsennata conclusa gettandosi con i cavalli nel Dnestr. A 17’57”, Allegro, ecco ancora il motivo di Taras udito in apertura che riappare in corni e trombe con sordina e introduce un crescendo (18’26”) che porta infine alla Coda (19’00”) dove il motivo lamentoso di poco prima si trasfigura mirabilmente, chiudendo (20’08”, Maestoso) con cinque battute di enfatica introduzione al patriottico tema (20’36”, con interventi di campane e organo!) che chiude l’opera, con la morte di Taras trasformata in realtà in trasfigurazione, un’autentica beatificazione - in RE bemolle - dell’eroe tanto caro a Janáček.

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Flor qui ha tenuto tempi davvero degni di una cavalcata cosacca, credo abbia stabilito il record di durata minima del Taras. Non che la cosa debba fare scandalo, anzi... L’Orchestra ha risposto da par suo e il pubblico ha mostrato di apprezzare assai. Quindi, ecco Flor tornare sul podio quasi di corsa per un bis ancora più indiavolato (come da partitura...): l’Ouverture di Ruslan&Ljudmila di Glinka, che scatena l’entusiasmo generale.
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Ora l’appuntamento è per il 24 prossimo, con il ritorno in Auditorium, e ancora con il Mahler (smagrito pure lui!) di inizio ‘900.