XIV

da prevosto a leone
Visualizzazione post con etichetta herheim. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta herheim. Mostra tutti i post

04 aprile, 2009

Se Bardi l’avesse previsto...

.
Il Corriere della Grisi riporta in primo piano l’ormai annoso problema delle regìe di opera, pubblicando un decalogo di regole di comportamento cui i registi - e i loro datori di lavoro, sovrintendenti e direttori di teatri - dovrebbero attenersi, allo scopo di limitare, da un lato, il fenomeno della sistematica distorsione della natura delle opere, e dall’altro di calmierare i costi di allestimenti che coniugano la scelleratezza artistica con un ormai insostenibile sperpero di risorse del contribuente.

Di certo v’è da chiedersi se Giovanni Bardi avrebbe deciso lo stesso di fondare la sua Camerata, se avesse previsto che fine avrebbe fatto l’opera lirica, anzi il dramma per musica da lui così fermamente voluto, a 500 anni di distanza.

Perchè - purtroppo - ciò che Bardi inventò è una cosa talmente speciale e unica al mondo che - unica, appunto, fra tutte le arti - si presta alle più stampalate (o anche serie a volte) manipolazioni, adulterazioni, ai più grotteschi o cervellotici stravolgimenti fra ciò che l’Artista autore aveva ideato e scritto sulla carta e ciò che un tizio, chiamato regista, si arroga il diritto di mettere in scena. Colui che dovrebbe essere il servo di quell’opera e quindi della volontà del suo Autore, è oggi assurto al ruolo di libero ricreatore dell’opera originale. E spesso e volentieri si tratta di ricreazioni che andrebbero gratificate mettendo il ricreatore a ricrearsi nell’ora d’aria di un carcere. Invece sono ricompensate con cachet milionari.

Tanto per fare un esempio, ve lo immaginate un regista che ambientasse l’Enrico IV ai giorni nostri, calando il Re d’Inghilterra, che so, nei panni del George W. Bush che si appresta a far guerra all’Iraq, dopo aver messo a ferro e fuoco l’Afghanistan? Sentite come esordirebbe il 43:

Scossi ancor come siamo
e spalliditi dai recenti affanni,
non concediamo tuttavia respiro
a questa nostra spaurita pace
e, con voce pur rotta dall’affanno,
ritorniamo a parlar dell’altra guerra
da portare su più lontani lidi.

Una gran farsa, diciamolo pure, nulla più. E infatti nessuno ha avuto - per ora almeno - il coraggio di proporre una simile stupidaggine.

Invece un Bieito qualunque può impunemente rappresentare il Ratto ambientandolo in un postribolo, con sesso orale esplicito... tanto c’è la musica di Mozart che lo salva, e il pubblico medio poco bada alla “trama”, addirittura alle parole e al fatto che il regista abbia stravolto la prima e manipolato le seconde. Perchè se la performance musicale è di livello, si passa sopra anche alle più bieche idiozie del regista, anzi quasi le si apprezza perchè allora sembrano dare un tocco di vita e di novità ad oggetti che altrimenti apparirebbero, appunto, come ammuffiti in un museo (oh, che barba, rivedere la Gioconda di Leonardo per la ventesima volta; godiamoci quella baffuta di Duchamp, che è più moderna!) Sembra poi un paradosso, ma quanto più le regìe sono strampalate ed arbitrarie, tanto più necessitano di un’esecuzione musicale (canto e orchestra) di primissimo ordine, poichè il pubblico in fin dei conti è andato lì principalmente per ascoltare la musica e apprezzare il canto, non perchè attirato dalla profondità dei testi o dalla plausibilità della trama (manco per Wagner... che è tutto dire).

Sul fronte più serio, i Carsen e gli Herheim, come i loro maestri-brechtiani-DDR-impastranati alla Götz Friedrich, mettono in scena spettacoli che sono - in se stessi - delle opere d’arte ma, appunto, sono il Parsifal di Herheim (non di Wagner) o l’Alcina di Carsen (non di Händel).

Oggi si arriva ormai (Carsen docet, proprio con Alcina) a far forza alla musica, con tagli anche sostanziali precisamente funzionali allo stravolgimento che il regista ha fatto del soggetto. Domani, per le stesse ragioni (modernità, appeal verso il pubblico, innovazione) si arriverà anche ad intervenire sui righi, sull’orchestrazione, e così via.

A ben pensarci, ne può uscire un business enorme: basta immaginare quante versioni diverse, una più interessante dell’altra, si potrebbero scrivere del Fidelio, del Lohengrin, dell’Otello!
.

20 marzo, 2009

Daniele Gatti riconfermato a Bayreuth

.
La notizia è passata quasi sotto silenzio, ma non era poi così scontata, a fronte degli arricciamenti di naso che si erano visti in quel di Bayreuth dopo l’esordio di Gatti nel Parsifal 2008 di Herheim.

Il sito ufficiale del Festival conferma invece che anche nel 2009 sarà Daniele Gatti a dirigere le cinque rappresentazioni dell’ultima opera di Wagner. Immutato anche il cast, almeno nei ruoli-chiave.
.

16 agosto, 2008

Parsifal 2008: aveva ragione Gatti? (update)

I gentili Klingsor e Nike hanno voluto onorare il mio post precedente esprimendo interessanti impressioni, che hanno l’indubbia qualità dell’esperienza diretta e non (come la mia) mediata dai media!

Su questo Parsifal, le mie sono perplessità di fondo, come non manco di ripetere, e riguardano precisamente le conseguenze che una certa (non tutta) “regia di teatro” induce sulla fruizione dell’opera (soprattutto dei drammi wagneriani) da parte dello spettatore. Il rischio è che il dramma diventi il mezzo usato per raggiungere il fine della spettacolarità dell’allestimento, e cioè l’esatto contrario di ciò che dovrebbe essere... secondo logica.

L’avviso del 1951 - riportato da Herheim come testimonianza storica di ciò che Bayreuth ha rappresentato e rappresenta, non solo in Germania - è la dimostrazione lampante di quell’inversione fra causa ed effetto, fra mezzo e fine, fra significato e significante, che finisce per negare allo spettatore la possibilità di vivere nel modo giusto l’esperienza davvero unica, o quasi, dei drammi wagneriani (diverso è ovviamente il discorso per le classiche opere di belcanto, dove non c’è molto da capire, ma solo da godere appunto il canto e la musica). Lo spettatore “non iniziato” a Wagner ne uscirà con una impressione come minimo distorta, quello “esperto” rischia di sentirsi “disturbato” dagli aspetti gratuiti dello spettacolo. Leggo sulla stampa tedesca commenti che rivalutano (rispetto ad Herheim) nientemeno che Schlingensief (?!) che almeno aveva un sua personale interpretazione “filosofica” del sacro dramma.

Sul piano musicale, temo che Gatti sia vittima, da un lato dell’eccessiva attenzione riposta sulla regia, dall’altro di una (immeritata) fama di “italianate” che lo accompagna, oltre che dei suoi modi riservati, dal basso profilo che tiene (il che per me è un merito, sia chiaro) ed anche della non perfetta dimestichezza con la lingua tedesca (al contrario di un Sinopoli, per dire): iniziare un’intervista in radio o in TV con poche parole di circostanza in tedesco, e poi passare subito all’inglese... costituisce agli occhi di molti (orchestrali inclusi) un indizio piuttosto negativo. L’impressione che ne ho avuto ascoltando in radio la prima del 25 luglio è stata positiva, ma non entusiasmante, in particolare l’atto di mezzo ha lasciato a desiderare (complici le “fanciulle-fiore”?) Adesso, oltre alle restanti rappresentazioni 2008, Daniele avrà altri 3-4 anni di repliche e tutto il modo di rifarsi.

04 agosto, 2008

Parsifal 2008: aveva ragione Gatti?

In un’intervista rilasciata a poche ore dalla prima, Stefan Herheim aveva candidamente riconosciuto come Daniele Gatti fosse rimasto enormemente scettico di fronte alla sua idea (il Konzept) dell’allestimento.

La prima di venerdi 25 luglio sembrava invece aver consacrato Herheim (molto meno Gatti, per la verità) alla storia.

Domenica 3 c’è stata la seconda (con un pubblico prevedibilmente più competente e di bocca meno buona - anche perchè pagante, e sono bei soldoni, oltre agli anni di attesa!): molti buuh per la regia, e critiche non proprio morbide anche per il Kapellmeister.

Insomma, un pallone che si sta già sgonfiando? Effetti senza cause?

29 luglio, 2008

Ancora sul Parsifal di Herheim

Il commento preoccupato di Amfortas al post precedente mi spinge a qualche doverosa precisazione riguardo ai problemi posti dal cosiddetto Regietheater.

La regia di opere e drammi musicali è ormai assurta ad uno status di arte (!?) di per sè, e dobbiamo quasi ringraziare un Herheim che almeno con Parsifal non è caduto in gratuite volgarità, come altre volte ha fatto (vedi il tristemente famoso Ratto del 2003 a Salzburg o il Don Giovanni dell’anno scorso a Essen) e come altri fanno spesso e volentieri (a proposito, dare un’occhiata alle immagini dell’attuale salisburghese Don Giovanni di Claus Guth - quello che l’anno scorso ha fatto scempio dei Meistersinger, superando persino la “piccola peste” Kathi Wagner, sonoramente “buata” anche domenica sera).

Che lo spettacolo del Parsifal 2008 a Bayreuth sia sontuoso ed emozionante, non lo metto in dubbio: peraltro ho visto cose superbe anche agli MGM-Studios in Florida, e persino - senza allontanarmi troppo - a Gardaland!

Ecco, produzioni di questo genere dovrebbero magari farsi in cinema, e avendo il coraggio di chiamarle con il loro nome: libere interpretazioni di un’opera originale, secondo i criteri e gli approcci più diversi.

Oltre a quello usato da Herheim e dal suo team per Parsifal (rappresentare l’opera tramite le circostanze esterne in cui è stata concepita e gli “effetti” che essa ha storicamente provocato - o cui ha per così dire “assistito”) si può interpretare liberamente un’opera trasponendone i fatti e i personaggi nel presente, o nel futuro, o nel passato, fate voi... insomma: in epoche, tempi e scenari diversi da quelli scelti dall’autore. Oppure interpretare a proprio modo il significato del significante (termini la cui cardinalità è - per definizione - n:1, con n tendente all’infinito) Quindi va bene anche il Parsifal che fa - come il Papa a Montecitorio - una visita al Bundestag, ma potrebbe anche fare il missionario in Sudan, o l’aspirante kamikaze a Jenin, o il figlio illegittimo di una prostituta che si intestardisce a voler redimere il magnaccia di sua madre e poi, non riuscendo a redimerlo, lo fa semplicemente secco. Lo scenario dei cavalieri del Gral e del cattivone Klingsor potrebbe essere trasposto nel Bronx, dove di pretesti per rappresentare faide tra bande di disperati spacciatori di drogral ce n’è a volontà. Se passiamo al Ring, si può inscenare l’imprenditore apparentemente probo ed onesto (Wotan) che invece fa concorrenza sleale ad Alberich, rubandogli nottetempo i suoi segreti industriali (ah, mi avvertono in questo momento che l’idea è già stata applicata anche a Bayreuth...) o Siegmund e Sieglinde che si iscrivono al partito radicale per rivendicare almeno i dico, o i pacs, e invece il papa (o papà) Wotan che è costretto dalla binetti di turno a sopprimerli per coprire lo scandalo dell’incesto; Alberich si può personificare in un vallanzasca - un vero genio del male, capace però di impensabili arditezze mentali - e le Figlie del Reno trovano mille possibili applicazioni, dal trio-lescano alle spice-girl, alle sorelle-bandiera o alle simpatiche brasiliane finte del cacao-meravigliao, il moderno oro del renato (carosone).

Quel geniaccio di Calixto Bieito ha spiegato di aver avuto la sua fulminante idea per un Fliegende Holländer (pieno di lavatrici e frigoriferi, tutto in partitura, s’intende...) un giorno che stava seduto all’aeroporto di Zurigo, aspettando un volo puntualmente in ritardo: lì ha capito come doveva sentirsi quel pirata-giramondo olandese, sballottato da un oceano all’altro, con la possibilità di scendere a fare pipì solo una volta ogni sette anni!

Tornando a Parsifal, nel 1995 a Monaco tale Peter Konwitschny, un altro che va per la maggiore, si è distinto nell’impossibile impresa di rovesciare come un calzino lo spirito del dramma sacro: da religioso ad ateistico, dalla redenzione al nichilismo, dalla ricerca della luce alla disperazione. E la cosa è tanto piaciuta che verrà ripresa nel 2009, ormai è un classico, più classico del Parsifal di Wagner, e Herheim dovrà farci i conti!

Insomma: ci può stare tutto, basta un po’ di fantasia... ma bisognerebbe cambiare le locandine!

Le domande che vengono spontanee sono tante:
- dell’opera originale non frega più nulla a nessuno, è roba passata e decrepita (le resta appena il titolo) e quindi può solo essere contrabbandata dopo opportuna e drastica adulterazione;
- i frequentatori dei teatri sono gente incolta (per lo meno sul piano artistico): quindi vanno attirati con effetti speciali (sesso, violenza e spettacolari trovate tecnologiche sono ingredienti matematicamente appropriati);
- i veri appassionati ed esperti sono un’infima minoranza (per di più con pochi quattrini in tasca) e l’economia di larga scala di oggi non può permettersi di accontentarli a costi sostenibili (ma l’opera biologica, non si potrebbe fare?);
- una cricca di furbi e smaliziati individui ha capito che più le spara grosse, più viene apprezzata e valutata dai manager della cultura, e così si è creata una nuova casta, il Regisseur, che invece di servire (che fatica!) si serve delle cose importanti inventate da altri per far soldi e carriera a buon mercato e a colpo sicuro;
- il progresso umano è inarrestabile, e comporta la totale revisione, rimanipolazione, ristrutturazione, e reimpasto di tutte le espressioni artistiche: in fondo già il cinema si fa oggi più col computer e con le animazioni, che non con gli attori e le riprese in studio o dal vivo; e l’opera non può sottrarsi a questo inevitabile destino.

Quest’ultima variante del fenomeno è forse la più subdola e al tempo stesso moderna e innovativa: torniamo ad Herheim e al suo Parsifal. Quest’opera (Wagner mi perdonerà se la apostrofo così, neanche fosse un Bruschino qualunque) si presta magnificamente - come altre del maestro di Lipsia - ad operazioni tipo Herheim. Costui, con un indefesso lavoro di un intero team, composto da storici (non solo della musica) e da esperti, esegeti e topi di biblioteca, ha saputo e potuto costruire un allestimento del Parsifal impiegando tutto quel mare di riferimenti (extra-musicali ed extra-artistici, sia chiaro) che l’opera si tira dietro. Parsifal nasce nel bel mezzo della civiltà guglielmina, in una Germania che cerca la sua identità e il suo redentore; e Wagner si autopone - sul piano artistico, quanto meno - come il faro che illumina la via da percorrere. Wahnfried e il Festspielhaus diventano - per la società di quel tempo - autentici luoghi sacri. Richard non c’è più, ma la terribile Cosima, col figlio prediletto (e maledetto?) si incarica di continuare a celebrare i riti del gral e a nutrire di illusioni e di ideologia di grandezza i suoi compatrioti. La grande guerra è uno dei passaggi di questo inseguimento alle chimere parsifaliane; una volta persa, con milioni di morti, diventa un pretesto per rilanciare, come si fa a poker, e la nazista-ante-litteram Winifred si appropria delle opere del suocero per supportare adeguatamente il sein Kampf, e Parsifal volentieri si presta alla bisogna. Perduta un’altra guerra, stavolta in modo tragicamente definitivo (Zertrümmert! Zerknickt! verrebbe da dire, con Alberich) ecco che Parsifal si rifà vivo, portato per mano dall’ex prediletto del Führer (Wieland) a porsi, ancora e sempre, come il faro che illumina la via al nuovo Gurnemanz, Konrad Adenauer. Herheim si è fermato qui, ma poteva benissimo arrivare fino al parsifaliano Helmuth Kohl, che nel 1989 ha riportato la Germania al suo apice... prima della diluizione del Deutsche Mark nell’Euro.

Il Parsifal di Herheim è tutto questo, quindi una grande cosa, indiscutibilmente, proprio sul piano artistico. Aggiungiamo poi l’impiego dei potenti mezzi della tecnologia ed abbiamo la spiegazione dell’enorme successo che il regista norvegese sta riscuotendo, dopo una sola rappresentazione.

Operazione subdola, peraltro, poichè utilizzando il vero Parsifal per raccontarci un pezzo di storia dell’umanità, finisce per distruggerlo.

Appropriazione indebita e scempio di un’opera d’arte, per impiegarla nella costruzione di un’altra opera d’arte, questo - per me - il succo dell’impresa.

Per il resto, manca solo di intervenire anche sul pentagramma... ma ormai temo sia solo questione di tempo.

27 luglio, 2008

Parsifal 2008: gli incantesimi di Herheim

Tanto per sgombrare il campo da qualunque sospetto: Stefan Herheim è indiscutibilmente un genio della regia, sotto ogni punto di vista. Uso delle moderne tecnologie (luci, filmati, macchine), sapiente impiego dei doppi-tripli-ennupli piani di presentazione dell’azione scenica, fantasia sbrigliata nell’individuare relazioni e connessioni causa-effetto fra opera e realtà nella quale l’opera fu creata e quella in cui essa fu recepita, capacità di ammiccamento verso i lati deboli dello spettatore medio...

Il suo Parsifal sta già diventando, a poche ore dalla prima rappresentazione, una specie di pietra miliare, la regia del futuro, la pietra di paragone con cui da oggi si dovranno confrontare e misurare tutte le regie (wagneriane e non) di opera. Questo si legge sulla stampa, tedesca e non. Chi se ne frega della musica. Gatti? Chi era costui? (di Knappertsbusch ne abbiamo avuti abbastanza, e del resto questo italianate sa solo vagamente scimmiottarlo...)

Allora, ecco il mago Herheim all’opera. Wahnfried è Monsalvat: geniale! I tedeschi del 1870: tutti angeli caduti all’inferno, con tanto di ali nere, che aspettano il redentore che li riscatti da quel fetentone di Klingsor, il viados che si è fregato la sacra lancia. Si fa una messa, si mostra il tabernacolo, e tutti corrono a far la prima guerra mondiale! (ne muoiono qualche milione? Chi se ne frega, c’è sempre quello stesso eunuco di Klingsor che organizza un lazzaretto per curare - anche con un pochino, ma poco, sesso, i feriti). Parsifal? È un puro imbecille, o no? Guarda come un ebete la gente che gli gira intorno, lui che giocava ingenuo col suo cavallino a dondolo... Poi si ritrova nel lazzaretto di Klingsor (che gira in giarrettiera) che è sempre villa Wahnfried (ma allora: Klingsor è Wagner? Già, il maestro aveva predilezioni particolari per l’abbigliamento intimo femminile, vero? Griffe italiana, preferibilmente. Ma allora Parsifal è forse Siegfried, il figlio culo del maestro? Certo, in casa di Klingsor ci sta proprio bene) Il nostro redentore fa un salto di sei metri dal balcone, giù nel giardino di villa Wahnfried dove si trastulla con le ballerine del can-can (già, Wagner provava odio-amore per Parigi e poi, quell’ingrato di Nietzsche non ha forse scritto che il Parsifal è un’operetta?) Adesso Klingsor mostra la sua vera faccia: è Göring, perdio! Ci aspettiamo i forni crematori, ma Herheim se li è riservati per quando farà il Ring (quello del bicentenario del 2013?) In mezzo ad un turbinìo di stendardi con croce uncinata, SS che imperversano col passo dell’oca (c’entra col cigno e con il finale del primo atto?) che fa Parsifal? Nessuno lo sapeva, fino al 25 luglio 2008, ma in Germania, sotto Hitler, ci fu la Resistenza! Sì, come in Italia e in Francia, anche in Germania! È chi ne fu l’eroe? Indovinate, da non crederci: PARSIFAL! Che prende la sacra lancia e fa secchi Klingsor/Göring, la Wehrmacht e la Luftwaffe in un sol colpo, e poi (chi è quel pirla che ha fatto il fotomontaggio dei sovietici che innalzano la loro bandiera della libertà sulle rovine di Berlino?) restituisce alla Germania la sua dignità. E - nel terzo atto - va anche a redimere, già che c’è (ma sì, facciamo 31) i parlamentari del Bundestag (la Merkel è in prima fila!) a volte gli venisse qualche idea di revanche, come a quelli del 1920! Alla fine Herheim cala enormi specchi dall’alto, in modo che il pubblico si possa riconoscere come diretto discendente ed erede di quei pecoroni che hanno affollato da sempre il Festspielhaus pensando di trovarci il Gral.

Ahinoi, non c’è da scherzare, perchè il futuro di Bayreuth è questo: il 1° settembre la piccola Kathi, pronipotina di Richard, prenderà quasi certamente il comando al posto del venerabile Wolfgang (che per sua parte ne ha combinate abbastanza...) Basta leggere e guardare qualche immagine dei suoi Meistersinger per capire tutto. Poco fa, peraltro, i buuh si sono sprecati (c’è ancora un pò di giustizia a questo mondo...)

26 luglio, 2008

È arrivato Parsifal 2008: trionfo per tutti

Alla fine, applausi e bravo per tutti: quasi una novità per Bayreuth, dove gli allestimenti nuovi solitamente trovano accoglienza contrastata.

Chi non ha visto di persona, ma ha seguito solo alla radio-webbica, come il sottoscritto, può solo riferire sul lato musicale.

Intanto, Daniele: ha complessivamente accelerato (rispetto al suo Parsifal romano) chiudendo con un totale di 4 ore e 25 minuti, una durata che si pone fra quelle più lunghe, ma non lunghissime, nella storia di Parsifal. In particolare è stato più veloce (o meno lento) del previsto il primo atto, chiuso (per 5 minuti) sotto le 2 ore. Preludio davvero à la Knappertsbusch, nella più classica tradizione; la transizione al cambio di scena invece meno pesante (sempre rispetto a Roma) con qualche secondo risparmiato anche grazie al mancato raddoppio delle 4 battute delle campane. Secondo atto (1h e 7m) forse meno colorato rispetto alla tavolozza di Wagner; terzo atto (1h e 22m) impeccabile, con punte di eccellenza nell’introduzione strumentale e nel luminoso e terso finale (purtroppo gli applausi sono scattati quando Daniele stava ancora sulla corona puntata dell’ultima battuta... una conferma che anche lassù - alla prima - forse non c’è il pubblico più competente).

Fra gli interpreti, bene Ventris, un Parsifal forse un poco leggero, e benissimo Kwangchul Youn, grande Gurnemanz, a parte la pronuncia che ai tedeschi avrà fatto un poco storcere il naso. Jesatko un Klingsor quasi perfetto. La Fujimura è stata una Kundry a corrente alternata: in particolare, carente sulle note alte (SOLb, LA) quando deve arrivarci in salita (dove grida, invece di cantare) splendida invece, anche su un paio di SI (compreso quello sul “Geleit” del secondo atto, all’ottava sopra rispetto alla partitura) quando li deve sparare quasi da fermo, potendo prendere bene il fiato. Roth (Amfortas) bravo tecnicamente, ma anche lui con voce di baritono quasi tenoreggiante, poco drammatica per il personaggio.

In Germania ormai guardano quasi solo alla regia, su stampa e internet è tutto un commento su Stefan Herheim, come se la musica fosse un eccipiente: per me, ma credo soprattutto per Wagner e per la musica, brutto segno.

24 luglio, 2008

Aspettando Parsifal 2008: mancano poche ore

L’attesa per il nuovo (nono) Parsifal si fa spasmodica a Bayreuth.

Sul sito dell’organo di stampa che si occupa quasi esclusivamente del Festival non si parla che della regia e del regista, Stefan Herheim, mentre Daniele Gatti nemmeno viene citato. Anche la prova generale di domenica è stata recensita sempre e solo sotto l’angolazione della regia... per direttore e interpreti solo generici e tiepidi apprezzamenti.

Il nuovo portale web del Festival pubblica una serie di foto scattate durante le prove, che ci danno una vaga idea della messinscena e dei costumi. Abbiamo conferma del fatto che sarà un Parsifal visto con gli occhi della storia della nazione tedesca: la società guglielmina, poi i soldati straziati nella grande guerra, una sala con banchi ad anfiteatro (Weimar?) e chissà forse la caduta del terzo Reich... Le immagini ci dicono anche qualcosa riguardo ad alcuni leitmotive scenici che ricorrono spesso: le ali, sempre nere, che vediamo in dotazione quasi a tutti, Parsifal escluso (rappresentano per caso il simbolo del paradiso perduto, alla Dorè?); il letto, di Titurel, di Amfortas, ma anche di Klingsor e di Kundry, e tanti letti che ospitano soldati feriti. C’è poi una vasca da bagno, poco fantasiosa idea per le abluzioni di Amfortas, quindi Klingsor e Kundry acconciati allo stesso modo (frac con ali nere e cilindro) ma Kundry con calzoni lunghi e invece Klingsor in calzamaglia ("bist du keusch?")

Insomma: una regia forse meno provocatoria di altre negli aspetti esteriori, ricca di effetti e anche di preziosità... che ha la prevista - e del resto dichiarata - caratteristica di fondo: è il Parsifal - magari poetico ed interessante - di Stefan Herheim. Wagner?

22 luglio, 2008

Aspettando Parsifal 2008: lo zompo di Parsifal

E così, per la prima volta nella storia, a Bayreuth (questa ci mancava davvero) avremo uno stuntman che fa la controfigura di Ventris, spiccando un salto di 6 metri al posto del (poco atletico?) tenore.

Ma quando e da dove salta?

La logica non dovrebbe lasciare dubbi: nel secondo atto, dalle mura del castello, giù nel giardino delle fanciulle-fiore di Klingsor.

È l’unico indizio che ci viene dalla partitura (che per Herheim, si sa, è sacra); la didascalìa reca: Parsifal salta un poco più in basso, giù nel giardino.

Evidentemente Wagner, nel 1882, non pensava ad una controfigura (non erano ancora state inventate) e non poteva pretendere dal tenore delle prestazioni fuori contratto... così si limitò a prevedere un saltello.

Ma le mura dei castelli sono alte: almeno 6 metri, deve aver saggiamente riflettuto Herheim (sennò che regista di grido sarebbe?); e così, per rendere più realistica la scena, ha pensato allo stuntman.

A cui, per sua - e nostra - fortuna, non viene richiesto di cantare.

21 luglio, 2008

Aspettando Parsifal 2008: indovina indovinello

Nemmeno alla prova generale di domenica lo si è visto: deve restare un’assoluta sorpresa fino a venerdi.

Il Parsifal ha un nuovo interprete: Matthias Schendel, che rimpiazza Christopher Ventris. La notizia ha davvero dell’incredibile.

In realtà Schendel sarà Parsifal solo per qualche istante, il tempo di lanciarsi da 6 metri di altezza su un materasso... poi, con l’aiuto del Tarnhelm (siamo o no a Bayreuth?) ripasserà il ruolo al cantante.

L’indovinello è semplice: in quale atto, scena e circostanza andrà in onda l’impresa dello stuntman?

20 luglio, 2008

Aspettando Parsifal 2008 a Bayreuth: per chi - i più - non può essere lì

L’esordio di Daniele Gatti a Bayreuth non verrà trasmesso da Radio3. Non ci interessa qui appurare se si tratti di una svista, o di cattiva volontà, o di problemi di budget, o di richieste esose dei Wagner, resta il fatto increscioso che un avvenimento storico per il mondo musicale italiano non venga ripreso dalla nostra emittente pubblica.

Altrettanto incomprensibile che Radio3 trasmetta, dal 28 al 31, i primi tre drammi del Ring, e poi trascuri il Götterdämmerung del 2 agosto (trattasi della terza stagione della produzione Thielemann-Dorst, iniziata nel 2006 e che si chiuderà nel 2010, dopodichè avremo nel 2013 l’epocale Ring del 200° anniversario della nascita di Richard Wagner).

Tornando al Parsifal di Gatti, sarà il web a consentirci di ascoltarlo, venerdi 25 luglio, a partire dalle ore 16 e, intervalli inclusi, fino alle 22:15 - 22:30 (a seconda dei tempi che prenderà Daniele.)

L’emittente che ha già annunciato la diffusione web è la locale Bayerischer Rundfunk, la cui trasmissione dal vivo si può facilmente raggiungere accedendo alla sua home-page e click-ando sul bottone Live hören, che si trova sulla destra della pagina, nell’area rossa sotto Programm. Per chi conosce il tedesco, oltre ad un’ora intera di presentazione, dalle 15, dovrebbero essere interessanti anche gli intervalli, con interviste ad Herheim, Gatti e Ventris, e con analisi del pensiero wagneriano. Al termine, un giro di opinioni a caldo.

L’emittente bavarese diffonde via web dal Festspielhaus anche Tristan e Meistersinger (sabato 26 e domenica 27, rispettivamente); la settimana dopo immetterà sulla rete anche l’intero primo ciclo del Ring, incluso Il crepuscolo dimenticato (...da Radio3).

Sempre in tema webbico, la vulcanica Kathi Wagner, che aspira a sostituire il venerabile paparino Wolfgang (89 anni) alla testa del Festival, ha deciso - in tutta modestia - di irradiare in streaming, domenica 27 luglio, la sua produzione di Meistersinger, che inaugurò Bayreuth 2007 con un colossale scandalo, legato ai contenuti tipici da bieco Regietheater. Mica è gratis, natürlisch, costa la modica cifra di 49€: i curiosi possono prenotare (solo in tedesco, inglese e spagnolo) dal nuovissimo sito del Festspiele.

18 luglio, 2008

Aspettando Parsifal 2008: Herheim scopre le carte

.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
A pochi giorni dalla prova generale (domenica 20 luglio) e a 10 giorni dalla prima del 25, Stefan Herheim ha rilasciato un’intervista a Festspiele, che è un servizio del Nordbayerischer Kurier dedicato esclusivamente ai festival e in primo luogo a Bayreuth. Le esternazioni del regista norvegese sono davvero illuminanti, e confermano quanto già si sapeva di lui, della sua personalità e del suo approccio alla regia di opere e drammi musicali.

Schizofrenia - nell’accezione scientifica e non certo offensiva del termine - è quanto si può dedurre dalle parole di Herheim a proposito della sua visione (il suo Konzept) di Parsifal.

Il nostro ha un principio fermissimo: l’intoccabilità delle partiture.”Sono una specie di Vangelo Artistico”, pontifica. Ohibò, verrebbe da pensare che ci troviamo di fronte ad un conservatore, per non dire di peggio, a un reazionario che pensa soltanto a rappresentare con fedeltà persino pedante ciò che l’Autore ha scritto, senza metterci nulla di suo, nemmeno una virgola, un gesto, una sfumatura, un’interpretazione personale... insomma, uno dei famigerati “bidelli del Walhall” di cosimana memoria.

Poi però ci sciorina candidamente la sua intenzione di spiegarci che in Parsifal esiste un piano di problematiche individuali: il ragazzo ingenuo che impara a conoscere le implicazioni e le conseguenze del potere e a riflettere sulla propria esistenza (sul nuovissimo sito del Festspielhaus sono pubblicate foto e filmati che mostrano Parsifal in tenuta da marinaretto...); e anche un piano di problematiche collettive: la ricerca di identità e di salvezza di una Nazione (sarà mica la Germania? Si intravede, sempre nelle immagini pubblicate, qualche personaggio da Terzo Reich) che si è più volte e maldestramente affidata a figure di redentori (Hitler, per caso? O Wagner medesimo?) - sperando di trovare a Bayreuth il proprio riscatto. (tutto questo sarebbe in partitura?)

Poi tira fuori un geniale parallelo biografico: interpretando a suo modo il verso di Gurnemanz “Dem Heiltum baute er das Heiligtum“ (sì, questo è effettivamente in partitura) ci spiega che il Festspielhaus è per Wagner ciò che il tempio di Monsalvat è per Titurel. (questa è tosta per davvero!)

Ancora ci spiega (a noi poveri pirla) che Parsifal tratta di mascolino e femminino, contrapponendo i maschi - tutti in un sol mucchio: Titurel, Amfortas, Gurnemanz, Klingsor e Parsifal, che cadono l’uno sull’altro e si posizionano sul concetto di redenzione - alla povera Kundry, che sarebbe la loro proiezione al femminino e come tale diversa e perciò da neutralizzare. "Nel dramma sacro non abbiamo alcuna ricerca di emancipazione, di liberazione sociale, ma solo la benevola redenzione gentilmente concessa da un potere superiore".

Orbene: dov’è finita la partitura intoccabile? Anche qui, il nostro genio è candidamente sincero: noi non vogliamo solo raccontare l’azione, ma mostrarne anche i meccanismi (sic) e rappresentare i diversi aspetti del lavoro, e persino il modo come esso fu storicamente ricevuto. (apperò)

Che dire? Visto che ha studiato al conservatorio, già che c’è Herheim potrebbe anche scrivere la musica del suo Parsifal, e poi provare a proporre il tutto per una rappresentazione in qualche locale underground... ma evidentemente è molto più comodo per lui usare un capolavoro indiscusso per far bella figura a buon mercato, nel più famoso teatro del mondo!

(certo, il problema non è lui, ma chi lo ingaggia e chi lo santifica)

Dimenticavo un dettaglio quasi marginale: c’è anche la musica e un Kapellmeister... E con Gatti, come vanno le cose? chiede l’intervistatore. Candidamente il nostro ammette: all’inizio Daniele era enormemente scettico sulle mie scelte... poi abbiamo trovato modo ciascuno di spiegare le proprie idee, in modo da cominciare a sentire con gli occhi e vedere con le orecchie.

(io - per quanto la cosa sappia molto di volpe-uva - sono contento di vedere con le orecchie e basta)

01 luglio, 2008

Il nono Parsifal

Quello che Daniele Gatti dirigerà (da quest’anno e per alcuni anni) è il nono Parsifal prodotto a Bayreuth.

La numerazione caratterizza non certo le esecuzioni (490 ad oggi), nè le interpretazioni musicali (sono ben 25 i Kapellmeister che si sono cimentati con Parsifal a Bayreuth prima di Daniele, da Hermann Levi nel 1882 ad Adam Fischer lo scorso anno) bensì le cosiddette Inszenierungen, cioè le messe-in-scena del sacro dramma. Ciò dimostra l’importanza che in particolare a Bayreuth si attribuisce alla terza componente (dopo musica e poemi) del Gesamkunstwerk wagneriano.

Il primo regista in assoluto di Bayreuth (per le inaugurazioni del Ring nel 1876 e di Parsifal nel 1882) fu Richard Wagner in persona. In pratica, fino alla seconda guerra mondiale, le linee guida degli allestimenti di Richard furono rispettate quasi alla lettera dai suoi successori alla testa del festival: Cosima, poi Siegfried e infine Winifred. In particolare, per Parsifal, l’originale wagneriano venne rigorosamente mantenuto fino al 1933 (27 stagioni) e poi abbastanza poco variato da Tietjen (due volte, dal 1934 al 1939). Si dovrà aspettare il 1951 per vedere una nuova (e rivoluzionaria) regia, quella di Wieland, il nipote di Richard (fratello dell’ottantanovenne pensionando Wolfgang, che il 31 agosto prossimo lascerà - alla buonora, e probabilmente alla figlioletta Kathi - la direzione del festival).

Questa è la lista degli otto precedenti allestimenti:

1882-1933 Richard Wagner (27 stagioni)
1934-1936 Hans Tietjen (2 stagioni)
1937-1939 Hans Tietjen (3 stagioni)
1951-1973 Wieland Wagner (23 stagioni)
1975-1981 Wolfgang Wagner (7 stagioni)
1982-1988 Götz Friedrich (6 stagioni)
1989-2001 Wolfgang Wagner (13 stagioni)
2004-2007 Christoph Schlingensief (4 stagioni)

Sui problemi - oltre che sui misfatti - legati agli allestimenti dei drammi wagneriani, e in particolare di Parsifal, si è scritto di tutto e poco c’è da aggiungere, salvo una forse banale osservazione: qualunque regia, tradizionale o moderna, o post-moderna, dovrebbe sforzarsi di restituire allo spettatore ciò che l’Autore aveva in mente di trasmettere, a tale fine avendo scritto di suo pugno i poemi, le note sui righi, e le indicazioni di scena a margine. Per usare un classico termine teutonico, riprodurre al meglio il Konzept che sta alla base del dramma. Ma il Konzept di Wagner, Wagner Richard per l’esattezza... non quello di Wagner Wolfgang, tanto per esemplificare, nè tanto meno quello di Götz Friedrich o di Christoph Schlingensief o - oggi - di Stefan Herheim. Poichè allorquando il regista si limita a prendere spunto dall’originale, per poi presentarci un Konzept suo proprio, adattandovici la musica di Wagner, è matematico che il valore dell’insieme non potrà che abbassarsi. Non per nulla i drammi wagneriani sono universalmente riconosciuti come opere d’arte assolute, che nessun intervento potrà mai “abbellire” o “migliorare”. Parliamo qui di Konzept, si badi bene, non di scene e costumi, che Richard Wagner per primo faticò a trovare adeguati alle sue stesse idee. Pensare che la rappresentazione di un tipo sia artisticamente migliore di quella dell’archétipo di cui quel tipo è solo una necessariamente parziale manifestazione, è la più grande stupidaggine che si possa fare, oltre che un’offesa all’opera d’arte, al suo autore e, in definitiva, al pubblico.

Wagner ebbe a dire che, dopo aver fatto scomparire l’orchestra (sotto il palcoscenico) avrebbe voluto far scomparire anche il palcoscenico medesimo, tanto avvertiva l’inadeguatezza di qualunque scena e costume rispetto al Konzept che anima i suoi drammi. E forse il miglior interprete della sua volontà fu proprio il nipotino Wieland, con i suoi allestimenti minimalisti dei primi anni ’50, che davano il minimo spazio agli aspetti esteriori, per consentire allo spettatore di concentrarsi totalmente ed esclusivamente sui contenuti più pregnanti - parole, musica e psicologia dei personaggi - dei drammi del nonno.

17 giugno, 2008

Aspettando Parsifal 2008 a Bayreuth: Stefan Herheim dà il calcio d’inizio

Lunedi 16 giugno ha visto il kick-off di Parsifal 2008. Dopo il benvenuto di Kathi Wagner - che evidentemente si sente già Festspielleiterin - Stefan Herheim ed Heike Scheele hanno cominciato a far prendere dimestichezza agli interpreti con regia e scene del dramma sacro.

L’ambientazione è - almeno all’inizio - proprio a Bayreuth (Wahnfried e Festspielhaus). Cioè - dice Herheim - nei luoghi e nei tempi in cui l’opera ultima di Wagner fu concepita. Il che quadra con quanto anticipato da Daniele Gatti, che aveva parlato di un orizzonte temporale che dal 1882 arriva ai tempi del Terzo Reich. (a proposito del direttore, non risulta che fosse presente a questo primo incontro, cosa che ciascuno potrà interpretare a suo modo)

Pare quindi che il Konzept di Herheim - come è sempre il caso suo e dei post-moderni campioni del teatro-di-regia - consista nel presentarci il significato dell’opera (anzi, un significato, quello che lui interpreta con la sua fervida immaginazione) e non già il significante, che è ciò che l’Autore ha scritto di suo pugno (musica, poema e indicazioni di scena). La trasposizione di tempi e persone del dramma nel tempo e nelle persone di quando il dramma fu composto non è una novità in generale, e non lo è per lo stesso Herheim: un paio di anni fa il regista norvegese ha presentato a Riga un Rheingold in cui - come dèi - apparivano Mozart, Nietzsche e Bismarck, dove Wotan e Alberich erano Wagner medesimo e Walhall ed Anello erano per l’appunto i “tesori” di Bayreuth.

Parsifal, un “racconto redenzion-maniacale” lo definisce letteralmente il regista; stando alle indicazioni di Gatti, dobbiamo quindi immaginare che il nazismo ci verrà presentato come il risultato finale di quella maniacale tendenza verso la redenzione (della razza ariana) che Wagner, secondo molti, oggettivamente determinò con la sua opera?

(continua)

10 giugno, 2008

Aspettando Parsifal 2008 a Bayreuth: Stefan Herheim

Chissà se Ioan Holender, Direttore della Staatsoper di Vienna, alludeva a Stefan Herheim, allorquando ha affermato che Bayreuth, per risollevare il suo declinante livello artistico, dovrebbe affidare le messeinscena a dei registi professionisti e non a sperimentatori che possono al più interessare qualche giornalista specializzato...

Il regista norvegese ha già fatto scandalo più volte, specialmente con un Ratto presentato anni fa a Salzburg, che ha anticipato le scempiaggini di quello di Calixto Bieito.

L’anno scorso ad Essen ha ambientato il Don Giovanni in una Chiesa, con gente che amoreggia nei confessionali, dopo la comunione (e fermiamoci pure qui con i piccanti particolari...)

Intendiamoci: il nostro è di un’intelligenza sopraffina, e soprattutto di una fantasia davvero fuori dal comune, un vero vulcano di idee, una più brillante dell’altra.
Dice infatti: “Il potere della musica e l’aura che emana da un’opera evoca in me immagini ed idee che poi io rafforzo attingendo ad un sacco di letteratura”.

In sostanza, il genio procede pressappoco su questo iter:

1. ascolto della musica, in cerca di cesure (sic) da cui trarre ispirazione, e ingestione di un bel po’ di letteratura, tanto per farsi un’idea del soggetto dell’Opera;
2. trasposizione - arbitraria e fantastica - del soggetto in chiave moderna, o futuribile, o con riferimenti all’attualità, o a filosofie e ideologie le più svariate, derivandone una personale concezione (Konzept), in sostanza un proprio messaggio da trasmettere allo spettatore (messaggio che quasi mai ha a che fare con il soggetto originale dell’Opera);
3. invenzione di sana pianta di un’ambientazione (addirittura dei dialoghi, nel caso del Ratto!) coerente con il soggetto così trasposto (non con quello originale) e possibilmente infarcita di sesso e violenza, ingredienti che oggigiorno pagano regolarmente.

Un aspetto peculiare dell’approccio di Herheim (e dei suoi amici che fanno fortuna con il Regietheater) è quello di porsi come maieuta dell’umanità. Proprio così: il regista, inscenando l’Opera (non sua, si badi bene, ma di altri e più famosi autori) deve insegnarci qualcosa. Perchè lui è il maestro e noi siamo il popolo bue cui il maestro si degna di aprire gli occhi. Riguardo al suo Ratto, con quest’opera lui ci vuole mostrare che “...la vita è un labirinto sensuale ed emotivo” (e quale mezzo migliore di un atto di fellatio può efficacemente spiegarci tale concetto?)

Ed ancora (sui confini e i limiti della libertà del regista) il nostro così pontifica:

Il confine per me sta dove non posso più vincere l’intima resistenza di un pezzo, per teatralizzarlo come forma educativa e con ciò suscitare nell’Uomo di oggi una reazione che vada al di là del puro divertimento, ma che abbia a che fare con domande etiche e filosofiche, e anche con problemi riguardanti la coscienza, il coraggio civile e la responsabilità storica. Si deve cogliere la possibilità di portare nel mondo qualcosa, non necessariamente di politico, che poi si agiti nella testa dello spettatore.”

Sono quasi le stesse parole che usa il suo antesignano yankee Peter Sellars:
“Ogni mio spettacolo nasce come riflessione su una problematica particolare, o come scoperta di certe implicazioni di cui non si discute abbastanza. L’estetica non mi interessa ci sono prima delle questioni etiche, politiche, economiche; ogni mio lavoro tocca temi che rimettono profondamente in discussione. È questo che dà senso al teatro, perché il teatro è il luogo per affrontare le discussioni che la gente rifiuta nella realtà.”

Chiaro abbastanza, no? Qui è racchiusa tutta la verità sul fenomeno che va sotto il nome di Regietheater, una serie di equivoci e di mistificazioni, che nascono fondamentalmente da tre fattori: la totale mancanza di rispetto per ciò di cui ci si occupa, l’idea che l’opera d’arte altro non sia se non uno strumento da usarsi (e manipolarsi) a “fini educativi”, il tutto condito da un esaltato egocentrismo (io, regista, sono l’unico furbo, capace di spiegare le recondite implicazioni dell’opera ad una massa di sprovveduti... voi, che per questo pagherete il biglietto).

Ora, se si pensa a Parsifal, c’è da rabbrividire solo ad immaginare tutte le possibili idiozie che se ne possono derivare, con un minimo, ma proprio minimo, di fantasia. E Stefan Herheim di fantasia ne ha fin troppa! Così pare abbia cominciato col pensare al conflitto di civiltà Islam-Occidente, che può da solo ispirare mille geniali trovate (che ne dite di Parsifal-Bush che spiana Klingsor-Osama con una lancia a testata nucleare?)

Altri invece ci informano che il 25 luglio sul palco del Festspielhaus compariranno - a spiegarci cosa sia il Gral e a cosa servano i suoi cavalieri - personaggi che negli anni ‘40 sedevano sulle scomode poltrone della degradante platea, impettiti nelle loro brune uniformi. Indirettamente ce lo conferma Daniele Gatti: «Posso anticipare che l'idea è di un viaggio attraverso il mito tedesco, dal tempo della «prima» del Parsifal nel 1882, poi la prima Guerra mondiale, Weimar, l'avvento del nazismo. Un percorso di 50 anni».

Quindi, dobbiamo aspettarci un Gurnemanz che nel terzo atto compare nelle vesti di Heinrich Himmler? E Parsifal che - in pieno Karfreitag - impersonifica il Führer (magari sulla scia delle caricature anni ’20 che raffiguravano Hitler bardato da Siegfried)? Se fosse così, il Konzept di Herheim piacerebbe molto a Gottfried Wagner, che da quando fu cacciato da Wahnfried non fa che sostenere la responsabilità oggettiva del bisnonno nei crimini del nazismo, olocausto incluso.

Insomma, aspettiamo senza ansia questa probabile ennesima parodia nach Wagner (qualcuno sostiene che sarà comunque dura far meglio di Schlingensief).

Per il resto, raccomandiamoci al Daniele... che faccia almeno il bravo lui con la musica!

(continua)

27 marzo, 2008

Aspettando Parsifal 2008: storielle

Parsifal e i semi del Regietheater
.
Wieland Wagner, alla riapertura di Bayreuth dopo la guerra e la denazificazione, sentì il bisogno di purificare l’aria del Festspielhaus e inaugurò una serie di regie minimaliste, volte a mettere in risalto il lato meno compromettente, ed anche il meno contestabile, delle opere di nonno Richard: la musica. Quindi: niente scenari tradizionali, e via i simboli più scomodi. Operazione assai azzardata (perchè quando si oltrepassano certi confini, si sa dove si comincia, ma non si può prevedere dove si andrà a finire) che infatti - dopo le iniziali meritorie e più che accettabili esperienze - portò lo stesso Wieland, e poi, morto lui, più ancora il suo fratello-minore (non solo di età, ma di comprendonio) Wolfgang, a percorrere la strada delle novità-a-tutti-i-costi e del più becero Regietheater, che tuttora impera a Bayreuth, complice addirittura la piccola Kathi, pronipote di Richard e figlia di Wolfgang, che già si è chiaramente espressa lo scorso anno con un’edizione trash dei Meistersinger.

Nei primi anni ’50, col Festival ancora da riportare ad una seria reputazione, Wieland si trovò in difficoltà a chiamare a Bayreuth uno dei mitici direttori del tempo: Hans Knappertsbusch. Costui era così contrario alle nuove regie di Wieland - quelle ancora tutto sommato interessanti e serie - che si rifiutava di dirigere, per non essere correo di tanti (a suo dire) obbrobri.

Per convincerlo a tornare, Wieland-Wolfgang gli promisero che avrebbero ripristinato - nel Parsifal - la colomba che nel finale (lo pretende la didascalìa originale) scende librandosi sulla testa di Parsifal. Ma la colomba era - appunto - uno dei simboli scomodi, e allora cosa architettarono i due fratelli registi per salvare capra e cavoli? Wieland fece appendere una colomba ad una fune legata alla sommità della scena, facendola scendere al momento opportuno. Il grande Kna, dal podio infossato dell’Orchestergraben, la poteva vedere benissimo, e fu contento di aver ripristinato il vero Wagner. Peccato che la colomba restava così in alto da non essere visibile nemmeno dalla prima fila, in cui sedeva la moglie del maestro. Finita la sacra rappresentazione, Kna si rivolse alla moglie con fare trionfante, esclamando: “visto che - grazie a me -Wieland ha finalmente rimesso la colomba?” Ma la moglie, candidamente, rispose: “io non ho visto proprio nessuna colomba” e si ebbe uno sprezzante: “voi maledette donne non sapete veder nulla!” Però, insospettito, Kna si informò meglio e - scoperta l’amara verità - da quel momento chiamò il nipotino di Wagner “Wieland, il farabutto”.

La storiella serve ad introdurre l’argomento del rapporto fra direttore e regista e delle rispettive diverse attitudini verso l’opera che devono insieme rappresentare. Il 25 luglio prossimo saranno Daniele Gatti e Stefan Herheim: due neofiti di Bayreuth e del Parsifal pieno (Daniele lo ha diretto in forma concertata a Santa Cecilia poche settimane fa).

(continua)

21 febbraio, 2008

Parsifal di Bayreuth 2008 (con Daniele Gatti)

Ecco la locandina completa, pubblicata oggi sul sito Festspiele.

Sono confermati gli interpreti principali, di cui si aveva da un po’ avuto sentore.

17 gennaio, 2008

Cominciamo a pensare al Parsifal di Gatti a Bayreuth

Il 25 luglio 2008 Daniele Gatti inaugurerà il 97° Festspiele, dirigendo la rappresentazione n°. 2395 (includendo 12 concerti) dell’intera storia del Festspielhaus.

Daniele è il 26° direttore (il terzo italiano, dopo Toscanini e Sinopoli) a cimentarsi con Parsifal a Bayreuth. Questi i suoi illustri predecessori:

1. Hermann Levi
2. Franz Fischer
3. Felix Mottl
4. Anton Seidl
5. Karl Muck
6. Michael Balling
7. Franz Beidler
8. Siegfried Wagner
9. Willibald Kaehler
10. Arturo Toscanini
11. Richard Strauss
12. Franz von Hoeßlin
13. Wilhelm Furtwängler
14. Hans Knappertsbusch
15. Clemens Krauß
16. André Cluytens
17. Pierre Boulez
18. Horst Stein
19. Eugen Jochum
20. James Levine
21. Daniel Barenboim
22. Giuseppe Sinopoli
23. Christoph Eschenbach
24. Christian Thielemann
25. Adam Fischer

Fino ad oggi sono 490 le rappresentazioni di Parsifal nel Festspielhaus; Gatti porterà il totale a 496. Il dramma sacro è il più rappresentato a Bayreuth, davanti a Meistersinger con 283 (che saliranno quest’anno a 289).

Il sito ufficiale di Bayreuth non ha ancora annunciato il cast, ma solo i nomi dei 5 “principali responsabili”: direttore, regista (Stefan Herheim), scenografo (Heike Scheele), costumista (Gesine Völlm) e drammaturgo (Alexander Meier-Dörzenbach).

C’è però in web un “indizio” non da poco: il giorno 5 settembre (praticamente una settimana dopo l’ultima rappresentazione del 28 agosto, che chiuderà il Festival) il Parsifal è in programma - in forma di concerto - nella Frauenkirche di Dresda. Si tratta di una manifestazione esplicitamente organizzata in collaborazione con il Festspiele, per cui è lecito pensare che i protagonisti - a parte orchestra e coro, che sono ovviamente quelli del luogo (Staatskapelle) - siano gli stessi che hanno recitato a Bayreuth. E quindi, dalla locandina della Frauenkirche possiamo “insinuare” chi siano i cantanti che delizieranno gli spettatori del Festspielhaus (e gli ascoltatori via etere) sotto la bacchetta del Daniele. Ecco qua:

Christopher Ventris, Parsifal
Mihoko Fujimura, Kundry
Kwangchul Youn, Gurnemanz
Detlef Roth, Amfortas

Roth è anche nel cast della rappresentazione - sempre in forma di concerto - che Gatti dirige fra pochi giorni (19, 21 e 23 in radio) a Santa Cecilia e che ci darà modo di intuire “di che pasta sarà” il Parsifal del nostro beniamino.

08 gennaio, 2008

Ancora sul Regietheater

“Immaginate un Parsifal ambientato in una moderna megalopoli, dove Klingsor è un magnaccia impotente che gestisce un bordello; egli usa Kundry per sedurre i membri del circolo del Gral, una banda rivale di spacciatori. Il Gral è gestito da Amfortas, ferito, il cui padre, Titurel, è perennemente in delirio da extradose; Amfortas è messo terribilmente sotto pressione dai membri della sua banda, che pretendono da lui il rituale, cioè la distribuzione della razione giornaliera di droga. Parsifal è un giovane inesperto, figlio di una ragazza-madre senza fissa dimora, è in cerca di droga, e ”prova il dolore”, rifiutando le avances di Kundry, mentre questa gli fa sesso orale...”

Niente male, vero? Chissà se Stefan Herheim ci propinerà un’opera d’arte di questo genere, il prossimo 25 luglio a Bayreuth! (speriamo proprio di no, anche se ci sono precedenti inquietanti, che ce lo mostrano come un antesignano di tale Calixto Bieito).

Tanto comunque - possiamo starne certi - ci penserebbe il nostro bravo Daniele a salvar tutto, facendo emergere dall’Orchestergraben quell’unico, inossidabile, indistruttibile, incorruttibile blob che è la musica di Wagner, che si fa un baffo di qualsivoglia offesa si cerchi di arrecarle, e che resiste - altera - ad ogni attacco di approfittatori senza scrupoli, assoldati da Spielleiter a loro volta imbecilli e rincoglioniti, o più spesso in cerca di pubblicità a buon mercato.

La messa-in-scena virgolettata sopra è stata - per nulla scherzevolmente - immaginata da Slavoj Zizek, un’autentica autorità nel campo della filosofia e della psicanalisi, oltre che wagneriano sopraffino, che l’ha definita “il mio sogno privato”. Sostenendo che Wagner, per continuare a mantenersi vivo, deve alimentarsi con sempre nuovi allestimenti, di tutte le tendenze e di tutte le fogge.

Ahilui non accorgendosi che - invece - il nesso causa-effetto è esattamente l’opposto! Troppo spesso la regia, le scene, i costumi, invece che essere il mezzo che serve a far arrivare al pubblico l’opera che l’Artista ha voluto propinarci (che è il fine) vengono fatti assurgere a fine, per raggiungere il quale ci si serve, come mezzo di sicuro successo, dei drammi di Wagner.

Insomma, la differenza che passa fra: servire e servirsi di.
(nobbuono)