XIV

da prevosto a leone
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21 aprile, 2017

Alla Scala ultime cartucce di una Bolena non poi così derelitta

 

Ieri penultima recita della bistrattata Anna Bolena che la Scala ha importato dalla Francia, dove non era certo stata accolta con entusiasmi nelle sue apparizioni da 4 anni a questa parte. Così alla prima al Piermarini aveva finalmente collezionato sul suo libretto anche il riprovato del pubblico scaligero. 

L’altro giorno, a proposito di Rossini e della Gazza, avevo espresso un mio personale convincimento che riapplico qui a Donizetti e alla sua Bolena: basta una proposta artistica appena appena decente per farmene (farcene?) apprezzare la grandezza. Ho ancora nelle orecchie quella incredibile rappresentazione del 19 marzo 2012 al Comunale di Firenze dove l’opera venne data – causa sciopero - senza l’orchestra, rimpiazzata da un solo pianoforte: beh, fu un autentico trionfo! Dovuto sul piano musicale al duo Devia-Ganassi e su quello scenico alla regia di Vick.

Ebbene, la proposta artistica di questa Bolena mi sembra che galleggi tranquillamente sopra il livello di sufficienza; quindi, a meno che non sia straordinariamente migliorata nelle quattro precedenti repliche, non mi pare si meritasse le stroncature senza appello della prima. Certo, dalla Scala ci si aspetterebbe assai di più, ma in senso assoluto non mi sentirei di usare il pollice verso.

Ampia sufficienza darei alla parte musicale, con la piacevolissima (per me) sorpresa costituita da Federica Lombardi, che deve avere doti naturali di livello assoluto: voce dal timbro caldo e corposo, in particolare nei centri e negli acuti (certo lei non è la Devia e i MIb gratuiti li lascia perdere) e sensibilità interpretativa già più che convincente. Insomma, una bella realtà che – se ben coltivata -ha davanti un futuro luminoso.

Con lei Sonia Ganassi, che viene da un passato luminoso, ma che ancora sa imporre la sua personalità: splendido in particolare il duettone del second’atto con la Lombardi. Buone notizie anche da Piero Pretti, bella voce squillante e ben impostata, capace di salire senza affanni ai DO. Su un piano dignitoso le prestazioni di Mattia Denti e della (travestita) Martina Belli (meglio l’aria della canzone d’esordio). Onesto e promettente l’accademico Giovanni Sebastiano Sala.

Discorso a parte per Carlo Colombara, uscito malconcio dalla prima e purtroppo buato (unico nel cast) anche ieri sera. Certo non mi ha entusiasmato, tuttavia non è incorso in svarioni o topiche clamorose: una prestazione che definirei incolore, e quindi la contestazione mi è parsa un po’ troppo severa (personalmente mi sarei limitato a non applaudire, ecco).

Sarà anche etichettabile come routine, ma la direzione di Ion Marin non mi ha per nulla deluso, così come il coro di Casoni, sempre all’altezza della sua fama. In sostanza, una performance musicale non strepitosa, ma più che passabile, sottolineata da molti applausi a scena aperta e calorosa accoglienza (Colombara escluso) alla fine.
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La regìa di Marie-Louise Bischofberger è di quelle che non suscitano entusiasmi: le scene di Erich Wonder sono di un minimalismo assoluto che si può spiegare (insieme con la cupa ambientazione delle luci di Bertrand Couderc) con l’obiettivo di concentrare tutta l’attenzione sullo scavo psicologico dei personaggi. E qui la regista qualcosa di buono ha in effetti proposto. Passabili i costumi di Kaspar Glarner, con qualche cappottone di troppo.

In conclusione, una proposta debole rispetto alle aspettative che sempre un teatro come la Scala suscita, ma complessivamente dignitosa: insomma, ciò che si può discutere, al solito, è il rapporto price/performance...

19 marzo, 2012

Una Bolena “alternativa” al Maggio fiorentino


Oggi non vorrei proprio essere nei panni di un orchestrale del MMF. Perché mi sentirei di avere sulla coscienza, con lo sciopero per la seconda di Anna Bolena, almeno tre spettacolari risultati:

1. Aver certificato coram-populo la verticale spaccatura sindacale all'interno delle maestranze del Teatro, divise fra scioperanti (gli orchestrali, appunto) e krumiri (masse tecniche e coro);

2. Aver consegnato su un piatto d'argento alla Sovrintendente Colombo (presentatasi al pubblico prima dell'inizio ed accolta da pochi vergogna! e molti più applausi) l'occasione per trasformarsi, da principale responsabile del dissesto in cui versa il Teatro, a salvatrice della patria, essendo riuscita nonostante tutto a regalare, a centinaia e centinaia di persone venute da ogni dove, la rappresentazione della Bolena (non Anna, ma Mariella!);

3. Aver dato a tutto il mondo la dimostrazione pratica che il MMF è perfettamente in grado di allestire spettacoli dall'esito trionfale pur facendo a meno dell'orchestra!

Come masochismo, si son toccati davvero i vertici!

Per dare un'idea della voglia di opera (e di Devia) che animava il pubblico, basterà dire che era data a tutti la possibilità di assistere al primo atto e poi di andarsene a casa facendosi rimborsare il biglietto. Bene, non un solo spettatore ha deciso di approfittare di questa possibilità, almeno a giudicare dal pienone mantenutosi fino alla fine della recita.

Buca quasi deserta (sui leggii ancora le parti aperte sull'ultima pagina, da giovedi scorso, evidentemente) con il solo pianoforte di Andrea Severi impegnato nel massacrante lavoro di accompagnare il canto per più di tre ore filate. Sul podio un sostituto di Roberto Abbado, Andriy Yurkevych, a dare con buona efficacia gli attacchi a Severi e ai cantanti sul palco.

La regìa di Graham Vick è assolutamente tradizionale: sia nelle scene e costumi, che nei movimenti (o immobilità, smile!) dei personaggi. Solo qualche sesquipedale esagerazione, come i giganteschi cavalli che reggono le chiappe di Enrico e Anna nella scena della caccia, o l'enorme corona di spine che campeggia nel primo atto, o la durlindana di 10 metri che cala dall'alto, una copia in scala normale della quale viene consegnata da Enrico a tale Jean Rombaud, spadaccino francese specializzato in decollazioni a garanzia totale (soddisfatti o… ri-collati). 

Per difendere le sue scelte registiche, Vick non esita a pontificare, sul programma di sala: Non si può mica fare un Enrico VIII nazista! Come non concordare… ma verrebbe da chiedergli perché allora si possa invece fare un Mosè terrorista, come quello che lui medesimo ci ha propinato l'estate scorsa al ROF!

Che dire del Cast? La Sonia Ganassi ha i suoi limiti, ma è anche sufficientemente smaliziata per mascherarli al meglio. Per lei ovazioni dopo Ah! Pensate che rivolti terra e cielo, chiusa dal SI naturale.

Josè Maria Lo Monaco è uno Smeton appena discreto, con voce scarsina. Così pure Konstantin Gorny nei panni di Rochefort. 

Shalva Mukeria impersona un dignitoso Percy: voce leggera ma bene impostata e acuti squillanti, DO incluso.

Roberto Scandiuzzi se la cava alla bell'e meglio come Enrico, e più per la presenza scenica che per il canto.

Luca Casalin è un onesto Hervey.

Buona la prova del coro di Piero Monti.

Ma va da sé che la mattatrice è lei, Mariella Devia. Già dopo Non v'ha sguardo e il MIb sovracuto che la chiude ci sono per lei 10 minuti di applausi, che dico, di delirio, mentre in scena è rimasta solo la Ganassi, che si sbraccia per richiamarla fuori, finquando lei finalmente torna per un supplemento di ovazioni. Alla fine, dopo Al cospetto d'un Dio pietà (sul cui MIb sovracuto qui si chiude l'opera, tagliando i commenti finali degli astanti) il trionfo è davvero senza precedenti, una cosa proprio da stadio. E dopo innumerevoli chiamate per tutti, l'ultima levata di sipario è per lei sola, che saluta e scappa via – immagino – con le lacrime agli occhi.

16 marzo, 2012

Una questione di coscienza…


Premetto che parlo da egoista.

Ho da tempo (precisamente dal primo minuto secondo in cui sono state aperte le vendite online) acquistato un biglietto per questa Anna Bolena. Confesso, cospargendomi il capo di tutta la cenere del rogo del Wahlall: mai ancora l'ho ascoltata dal vivo. 

Avevo già da tempo in mente la mia domenica 18 aprile, 2012: preparativi a casa, metropolitana, poi treno (acquistato biglietto con settimane di anticipo, per sfruttare la tariffa mini, praticamente non rimborsabile) sbarco a SMN, passeggiata in centro, lampredotto di ordinanza, e poi… una comoda poltrona del comunale per godermi finalmente questo capolavoro (così dicono…) del mio quasi-conterraneo Gaetano.

In questo momento - sto per dare il click sul bottone publish della platform che mi ospita - tutto il mio castello di carte sembra stia per crollare miseramente al suolo. Perché? 

Perché agli uomini e alle donne che lavorano per rendere possibile questo - come tutti gli altri – spettacoli del Maggio viene prospettato un futuro di lacrime e sangue, o direttamente un non-futuro. E questi uomini e queste donne intendono far di tutto per scongiurarlo, ne va delle loro esistenze – hai detto nulla - prima ancora che della loro nobile professione.
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Mi verrebbe spontaneo obiettare con considerazioni fredde, asettiche, contabili, che uno sciopero ha senso solo se danneggia principalmente il padrone, e non se danneggia esclusivamente i clienti affezionati al prodotto che (tramite quel magari indegno padrone) viene messo sul mercato. E che invece questo sciopero colpisce esclusivamente proprio quegli uomini e quelle donne che più sono affezionati al prodotto e a chi lo confeziona con amore e fatica, avendo magari contemporaneamente in disprezzo i padroni che su quel lavoro si limitano a lucrare immeritati profitti. 
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Qualcuno ha già pubblicato altri appelli, a cui mi sento di aggiungere la mia modestissima voce. In gioco non è solo una recita, per quanto importante, ma il futuro di tutti coloro che traggono linfa vitale da questa straordinaria manifestazione della nostra cultura tout cour, prima ancora che della nostra civiltà.

Ma lo ripeto, scusatemi: sono solo un misero egoista.