Nell’ultimo
dopoguerra (‘48-‘77) Norma fu messa in scena alla Scala per ben 7 stagioni (in media veniva proposta ogni 4 anni o poco più). Poi, per rivederla in
cartellone al Piermarini, son dovuti trascorrere quasi 10 lustri!
Finalmente fra pochi giorni assisteremo al gran ritorno della trasgressiva Sacerdotessa, portata in scena dalla coppia Luisi-Py, con Marina Rebeka a vedersela con lo spettro incombente di tale María de Montserrat Viviana Concepción Caballé y Folch, che monopolizzò il ruolo nelle ultime tre - ormai remote - stagioni (’72-’75-’77) quando un biglietto di platea costava l’equivalente di 15€ scarsi…
Per ingannare l’attesa mi dedicherò ad un po’ di cazzeggio su alcuni passaggi musicali che si prestano a una qualche curiosità.
Il primo riguarda Bellini e Wagner. È sempre emozionante ascoltare il finale di Norma, con quel mirabile concertato che nasce dal Deh, non volerli vittime, dove Norma – crescendo sempre e incalzando - canta Io più non chiedo, io son felice, a proposito del quale Ruggero Leoncavallo lasciò una sua testimonianza diretta su quanto accadde nel dicembre del 1876 a Bologna, in occasione della prima visita di Wagner, uno che Norma la conosceva assai bene, avendo anche composto un’aria alternativa di Oroveso. Orbene, dopo il ricevimento in suo onore, Wagner… visto in un cantuccio un pianoforte verticale, si accostò e con tre dita sole sonò meravigliosamente il finale della Norma, commentando con accento di profonda tristezza: “Wagner questo non lo sa scrivere!”
Beh, qualcosa di simile però lo scrisse, ad esempio in Tannhäuser, come osservò tale Eduard Hanslick, che individuò nel finale della Norma l’ispirazione wagneriana per la supplica di Elisabeth. Ma anche la Liebestod di Isolde deve certamente molto a quel finale:
La più celebre di tutte le melodie belliniane (ed una delle più celebri in assoluto) ha fatto scrivere fiumi d’inchiostro, e mi limiterò a qualche curiosità volta a sottolineare la minuziosa attenzione posta da Bellini agli aspetti relativi all’espressività del canto. Ecco le prime quattro misure della cavatina (Andante sostenuto assai) che sono in 12/8, cioè in quattro tempi di 3 crome ciascuno:
Esse sono precedute da un’introduzione affidata al flauto solo, che ripete pari-pari la stessa melodia (e anche parte del seguito) prima di interrompersi per lasciare il campo alla voce.
Una
prima piccolissima osservazione riguarda il tempo 2 della battuta 4: il DO qui
è privo di acciaccatura, che invece Bellini scrive per il flauto
nell’introduzione. Altre due acciaccature che compaiono poco dopo sono invece
suonate dal flauto ed anche eseguite dalla voce. Evidentemente qui Bellini non
voleva sporcare la purezza di quell’inargenti…
Osserviamo ora le battute 1 e 3. In entrambe – sempre nel terzo tempo della battuta - la voce parte dal LA e deve salire per raggiungere, nel primo caso, il DO e, nel secondo, il RE.
Nella
battuta 1 ciò si ottiene con la sequenza di croma puntata (LA) + due biscrome
(SIb-LA) + due semicrome (SOL-LA): queste ultime quattro note generano
una sottile increspatura nella melodia, che sia quasi un leggero singhiozzo
della voce della peccatrice Norma che sta invocando la benedizione di una casta divinità?
Si configurano come un gruppetto diritto imperfetto (SIb-LA veloce +
SOL-LA lento) e così sarebbero da eseguire. Un’altra possibile soluzione (più
semplice e… semplicistica per l’interprete) è ignorare la puntatura dopo
l’iniziale LA e sostituire il resto del tempo 3 con un gruppetto diritto
perfetto (tutte semicrome: SIb-LA-SOL-LA) col risultato di perdere quell’evidente
increspatura della frase in favore di una sua maggior scorrevolezza.
Nella
battuta 3 invece abbiamo una sola sillaba di testo (che) cantata su una semiminima puntata
(LA) che da sola riempirebbe il terzo tempo. Però Bellini aggiunge qui il segno
di un gruppetto diritto (SIb-LA-SOL#-LA) per evitare il balzo diretto
dal LA al RE sovrastante: come gestirlo (cioè dove rubare spazio per lui)?
Qui la soluzione più scolastica consisterebbe nel sostituire il gruppetto alla
terza croma (la puntatura) del LA, eseguendolo con la massima speditezza, cioè comprimendo
quattro biscrome in quella sola croma, con ciò confermando il
fremito che percorre il canto di Norma; oppure creando un artificioso ritardando…
A volte l’interprete qui fa una scelta assai diversa (ci sono vari esempi in
rete): dopo la semiminima del LA, invece delle quattro note del gruppetto, ne
esegue solo le ultime due in semicroma (SOL#-LA) per salire più
dolcemente al RE.
Beh, effettivamente un orecchio non attentissimo può non percepire troppa differenza fra queste diverse soluzioni, tuttavia ciascuna ha una sua peculiarità, che sta all’interprete privilegiare, anche in rapporto all’impostazione agogica del passaggio.
Tra gli innumerevoli interventi che Bellini operò sulla partitura dell’opera prima di darla alle stampe ce n’è uno abbastanza importante, costituito da un taglio che il compositore decise proprio poco prima della pubblicazione, e riguarda la chiusura del famoso, truce passaggio Guerra! Guerra! Dopo che il coro ha cantato a squarciagola A mirar il trionfo dei figli | Ecco il Dio sovra un raggio di sol, e prima che Oroveso interroghi Norma in merito al rito sacrificale, Bellini sul manoscritto aveva arricchito il passaggio al sereno LA maggiore con la ripetizione dei due citati versi, musicalmente accompagnandoli dalle 32 battute del quarto, sognante tema dell’Ouverture (là in SOL maggiore):
Questa transizione non è tuttavia riportata nella vecchia partitura Ricordi (che in chiusura del coro prevede solo cinque battute con una scarica di timpani e due colossali accordi di LA maggiore) e quindi è stata ed è spesso e volentieri omessa, sia nelle esecuzioni dal vivo che in quelle in sala di registrazione, come da numerosi esempi verificabili su youtube, che hanno come protagonisti:
- Sodero (1944, con Milanov) qui a 1’00”;
- Muti (1995, con Eaglen) qui a 52”;
- Haider (2006, con Gruberova) qui a 2h03’28”;
Ciò comporta che quelle mirabili battute rimangano confinate alla sola Sinfonia, senza mai più riapparire nel seguito. E quindi molte sono le occasioni in cui i Direttori hanno voluto rispettare l’originale belliniano, e ciò ancor prima della pubblicazione di edizioni critiche che lo contemplano. Ecco ad esempio:
- Serafin (1954, con Callas) qui a 55” (con i due accordi originali);
Staremo a sentire che scelta farà Luisi (che si dice innamorato di Bellini) ma giurerei – visti i precedenti scaligeri di Serafin, Molinari e Gavazzeni - che non ci vorrà risparmare questo ben-di-dio…