XIV

da prevosto a leone
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25 gennaio, 2016

La Volpina di Carsen al Regio

 

Ieri al Regio torinese (non proprio esaurito...) penultima recita di Příhody lišky Bystroušky di Leóš Janáček, nell’allestimento di Robert Carsen, già apparso a Strasburgo nel 2013 e derivato da quello originale di Gent del 2001.

Sul podio Jan Latham-Koenig (un britannico con ascendenze francesi, danesi, polacche e mauriziane...) che è un esperto di Janáček e lo ha confermato, con una direzione pulita e attenta ai dettagli, forse (se posso permettermi) leggermente sovraccarica nelle dinamiche.

Fra gli interpreti metterei in prima fila il Guardiacaccia di Svatopluk Sem, di cui mi hanno impressionato il bel timbro di voce e la grande espressività (nelle ultime due scene davvero lodevole).

Voce potente quella della Volpe Lucie Silkenová, forse ancora da... mettere meglio sotto controllo (alludo a qualche acuto un filino urlato) ma anche lei bravissima nel rendere la multiforme (!) personalità dell’animale.

Maestro e Curato+Tasso (rispettivamente Jaroslav Březina e Ladislav Mlejnek) si sono ben distinti, in particolare il primo, efficace nell’interpretare la personalità complessata del cattedratico (purtroppo non quella... fisica, ma per lui sarebbe stato difficile perdere il 40% del suo peso, smile!)   

Il banditesco Harašta è stato ben interpretato da Jakub Kettner: il personaggio compare soltanto nella prima scena dell’ultimo atto, ma ha un ruolo di primo piano, imprimendo la svolta drammatica (voluta da Janáček in barba al racconto originale di Těsnohlídek) a questa fiaba per adulti. Stesso discorso per la brava Michaela Kapustová, che ha ben interpretato le dolci ma infuocate passioni amorose del maritino della protagonista.

Tutti gli altri comprimari (cristiani e... bestie!) hanno lodevolmente contribuito al successo pieno della recita: fra essi anche le voci bianche del Regio e del Conservatorio, oltre al Coro, diretti da Claudio Fenoglio.
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Che dire dell’allestimento? A parte che si conosceva a menadito (per esperienze dirette o per sentito dire) essendo in giro – pur con rimaneggiamenti - da ormai tre lustri, espongo qui qualche mia considerazione e valutazione.

Comincio dagli aspetti di ambientazione. La scena quasi fissa e sempre spoglia (collinette coperte da fogliame o da un lenzuolone a simulare la neve) non mi pare renda giustizia alla componente naturalistica dell’opera. È vero che ci pensa la musica di Janáček ad evocare la Natura, e certo non si pretende di vedere alberi di cartapesta con foglioline di cartavelina mosse da ventilatori, per carità. Ma tra questo e il nulla quasi assoluto credo ci stia qualche soluzione più soddisfacente, ecco. Appropriati invece i costumi, che non eccedono in kitsch (parlo sia dei personaggi umani che, soprattutto, degli animali). Efficaci le luci, che Carsen sa bene come impiegare (quelle laterali, in particolare).

A proposito di Natura, anzi propriamente di fauna, mi ha lasciato invece perplesso la scelta del regista di ridurre drasticamente le specie animali che popolano la foresta di Janáček. Tutto il (wagneriano) Waldweben che il compositore ha voluto rappresentare (insetti, animaletti, zanzare, rane) qui non trova cittadinanza ed il bosco si riduce ad una specie di riserva per volpi! La cosa ha ripercussioni curiose laddove animali che Carsen elimina devono però cantare! Così accade che i versi assegnati alla Zanzara vengano cantati dal Guardiacaccia (il che ha del paradossale) e che la Volpina assuma anche il ruolo della rana, andando a mordere il Guardiacaccia e poi chiedendo alla madre se quell’animale sia commestibile (!?) Così poi nell’ultimissima scena dell’opera è ancora una volpettina (la figlia della protagonista) che sostituisce la rana e avverte il Guardiacaccia che l’animale da lui conosciuto all’inizio era suo nonno (!?!) Di facile effetto la discesa... dal cielo di Civetta, Ghiandaia e Picchio alla fine del second’atto (nozze volpine).

Quanto al fluire del tempo, il testo di Janáček è molto parco di indicazioni, tuttavia vi si possono fissare alcuni punti fermi: l’apertura è in estate (quadro I) mentre la scena in fattoria (quadro II) è in autunno. Quindi sono passate alcune settimane da quando la Volpina è in cattività, come confermano anche le esternazioni di animali e cristianiInvece lo scenario ci mostra in entrambi i quadri lo stesso paesaggio autunnale e poi all’inizio del quadro II Carsen fa arrivare a casa il Guardiacaccia con la Volpina appena catturata. La cosa potrebbe essere considerata veniale, però resta il fatto che così viene a mancare il cambio di stagione, il che non mi pare una banalità. Lo stesso dicasi (atto II) nel passaggio fra il quadro V (le peripezie dei tre uomini nel bosco) e il quadro VI (l’incontro e il matrimonio delle volpi) dove, secondo il testo originale, si dovrebbe ancora avere un cambio di stagione (poichè si torna in estate, dall’autunno dove erano verosimilmente rimasti ambientati i quadri precedenti, che non presentano fra loro evidenti salti di tempo: fuga della Volpina, espropriazione del Tasso, scena in osteria e successiva scena nel bosco). Invece Carsen ci mostra sempre lo stesso paesaggio brullo, coperto di fogliame secco. All’inizio del terz’atto (quadro VII, quello della morte della Volpina) c’è un cambio di stagione che dovrebbe essere estate-autunno, mentre Carsen ci fa invece piombare in pieno inverno, con tanto di neve che copre ogni cosa. Neve che poi sparisce per lasciar spazio ad erba verde, come fosse primavera: ma il testo non lascia dubbi che si dovrebbe essere sempre in autunno (fra i quadri VII, VIII e IX non paiono esserci soluzioni di continuità temporale) e il mirabile monologo finale del Guardiacaccia accenna al prossimo ritorno del maggio, quando la Natura si risveglierà, e dovrebbe contrastare proprio con il malinconico presente autunnale. Insomma, scelte registiche che mi paiono francamente discutibili.

Vengo ora a qualche ulteriore (importante) dettaglio. Carsen immagina che la trasformazione della Volpina in ragazza (quadro II) sia in realtà un sogno del Guardiacaccia, che appunto in sogno si accoppia con lei, prima che tutto torni normale. L’idea che fra Volpina e Guardiacaccia ci sia sotto qualcosa di particolare e di sospetto è giustificata da quanto avviene nel second’atto (quadro IV, in osteria) dove il Maestro e poi l’Oste fanno al Guardiacaccia (che se ne risente in modo esagerato) allusioni che parrebbero gratuite se riferite ad un animaletto, e invece pertinenti se riferite ad un essere umano. Quindi l’idea di Carsen non è proprio da buttare, anzi!     

Quando (atto II, quadro III) vediamo la Volpina fare abbondante pipì nella tana casa del Tasso (cosa che non si trova nel testo di Janáček) dobbiamo ricordare che questa scena è invece rappresentata con grande enfasi in uno dei disegni di Stanislav Lolek che ispirarono il racconto originale di Těsnohlídek, dove il fattaccio è descritto per filo e per segno.

Carsen pare essersi poi ispirato alle idee di Max Brod (il traduttore in tedesco dei testi di Janáček) per rappresentare quanto avviene nel quadro V (atto II) dove il Maestro e il Curato, ricordando le loro avventure e/o infatuazioni sentimentali, hanno al loro fianco la Volpina, che in pratica assume il ruolo della Terinka del racconto. Orbene, va ricordato che Janáček si oppose sempre fieramente a questa (come ad altre) interpretazioni di Brod (di cui peraltro aveva grande stima): nella fattispecie il Maestro, ubriaco, crede di vedere Terinka in un girasole, il cui fiore viene mosso dalla brezza, mentre la Volpina è soltanto nascosta nei pressi, occhieggiando poi alle esternazioni del Curato. Invece Carsen fa sparire anche i girasoli! Peccato...

Per ultimo vengo al quadro VII (inizio atto III) e alla fine della Volpina. Carsen ci mostra una specie di sfida all’OK Corral fra l’animale e il bracconiere (e fin qui tutto... OK) facendo però sparire dalla scena i volpacchiotti che invece dovrebbero fare razzìa di galline nella sua cesta. Così lo sbifido Harašta spara un primo colpo a caso (come da libretto) senza che nulla accada (si dovrebbero invece vedere i volpacchiotti scappare in una nuvola di piume...) e poi, a sangue freddo e prendendo bene la mira, esplode un gratuito secondo colpo (mortale) in pieno petto alla Volpina. Tutto ciò contraddice profondamente non solo la lettera ma anche lo spirito del testo originale, dove la morte della protagonista è un fatto del tutto accidentale, come mille ne accadono nella vita di tutti i giorni... e per questo Janáček non le riserva alcuna particolare enfasi (tipo esequie in pompa magna, o cose simili). Fin troppo realistico poi l’atto della scuoiatura dell’animale, di cui il bracconiere si porta via la pelliccia (ciò che Janáček invece ci chiarisce con discrezione nel quadro successivo, in osteria).

Ecco, elencate queste (per me) ombre nell’allestimento, resta ovviamente la grande maestria che Carsen sa impiegare per proporci uno spettacolo comunque di alto livello, che merita la fama da cui è circondato. E questo è solo l’inizio del ciclo-Carsen-Janáček che il Regio lodevolmente ha messo in programma per le stagioni a venire. 

17 gennaio, 2016

A Torino si prepara la caccia alla volpe

 

Martedi 19/1 (diretta audio su Radio3) il Regio torinese inaugura le recite di Příhody lišky Bystroušky, letteralmente Le avventure della volpe Orecchiofino, che è conosciuta ormai come La piccola volpe astuta, terz’ultima opera di Leóš Janáček (1923, preceduta di pochissimo dalla Kabanová e cui seguiranno Makropoulos e Casa di morti: quattro opere composte nell’ultimo decennio di vita del musicista moravo).

Opera che si presenta in superficie come una fiaba per bambini, o come una simpatica parodia della vita degli umani come vista dalla prospettiva degli animali; ma che in realtà nasconde significati e concetti assai seri, che spaziano dall’etica alla politica, al senso più profondo dell'esistenza. Sempre però evocati con grande equilibrio e con un certo pacato distacco.   

All’origine del soggetto pare esserci proprio una volpe in carne ed ossa, che nei primi anni dell’800 era diventata quasi una leggenda in Moravia, per la sua incredibile capacità di sfuggire a mille tentativi di cattura da parte di un guardiacaccia. Verso il 1890 uno studente aspirante pittore – che poi divenne infatti abbastanza famoso come paesaggista - tale Stanislav Lolek, fece per qualche tempo il guardiacaccia-aggiunto ed apprese dal suo superiore – che a sua volta da quegli animali aveva continui grattacapi - le storie della volpe leggendaria: così decise di rappresentare sia il suo superiore che le vicende di quella guerra volpe-guardiacaccia in una lunga serie di disegni. I quali rimasero poi ad ammuffire per 30 anni, finchè nel 1920 un responsabile editoriale del quotidiano Lidové noviny (Notiziario popolare) di Brno, incaricato di cercare spunti per racconti illustrati, ci incappò quasi per caso e così la storia della volpe, illustrata da 193 disegni di Lolek e romanzata con i testi di Rudolf Těsnohlídek, comparve in 51 puntate del giornale, con il titolo La volpe Orecchiofino, titolo in realtà dovuto ad un errore tipografico, causato da un correttore di bozze che travisò, ma tutto sommato senza stravolgerne la pertinenza, quello (La volpe Pièveloce) originariamente deciso da Těsnohlídek(Nel 1958 Fedele D’Amico intitolò curiosamente, ma con molta perspicacia, la sua traduzione del libretto di Janacek Le avventure della volpe Briscola.) Il tutto finì poi in un racconto in 23 capitoli pubblicato a Brno nel 1921.



Orbene, il giornale circolava, neanche a farlo apposta, proprio in casa Janáček, e per la verità fu la sua fedele domestica di lungo corso (Marie Stejskalová) a rimanere talmente affascinata da quella bizzarra storia a fumetti da consigliarla al compositore come soggetto per un’opera. E così Janáček stese di sua mano il libretto, consultandosi con Těsnohlídek, ma allo stesso tempo rivoltandone il testo come un calzino: il racconto chiude infatti con il vissero-felici–e-contenti della famigliola delle volpi, mentre l’opera ci mostra, nel seguito, la morte quasi accidentale della protagonista, e si chiude poi come era iniziata, con un pisolino del guardiacaccia che ora però ha modo di ragionare sul fluire del tempo, delle stagioni e delle generazioni. Steso il libretto, Janáček passò subito a musicarlo. E tanta fu la passione che ci mise, da convincerlo a disporre che il finale dell’opera venisse suonato – cosa che puntualmente avvenne - al suo funerale!
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Il soggetto si struttura in tre atti e nove quadri (2-4-3) ambientati di volta in volta nella foresta (l’habitat degli animali selvatici, frequentato anche dagli uomini, che accoglie 6 quadri) e in insediamenti umani (casa e osteria, in 3 quadri) dove al più possono vivere animali domestici, con l’unica eccezione rappresentata proprio dalla volpina, che per qualche tempo abita nella casa del guardiacaccia che l’ha catturata. Fra animali e cristiani emergono, esplicitamente o sotterraneamente, dei paralleli (atteggiamenti e comportamenti) dei quali il più smaccato è quello fra un tasso e il curato della parrocchia.

Poche le indicazioni temporali fornite da Janáček: il primo quadro è ambientato in piena estate, il secondo in autunno, il sesto nuovamente in estate, il settimo in autunno: si dovrebbe quindi dedurre che l’intera vicenda si protragga per almeno un anno e più, ma di certo le famose unità aristoteliche poco hanno a che fare con un soggetto come questo. Caso mai è interessante notare la differenza fra i ritmi e i cicli di vita di animali e uomini: nel lasso di tempo coperto dall’opera, la volpe passa dall’infanzia alla maternità (e addirittura si sviluppano ben due generazioni di rane) mentre per gli umani c’è solo un lento, sia pure inesorabile, invecchiamento.

Preludio – A sipario aperto, ci introduce al bosco in un pomeriggio estivo che promette temporale. Facciamo così la conoscenza degli abitanti della foresta (tasso con pipa, libellula, moscerini: sembra la versione morava del wagneriano Waldweben...)

Atto I – Quadro ISi apre con l’arrivo del guardiacaccia, che si ferma a riposare un poco, benedicendo il suo fucile, strumento di lavoro e di potere. Concerti e polifonie, con annessi balletti, di grillo, cavalletta e zanzare. Una di queste (che deve evidentemente aver punto il guardiacaccia) si ubriaca di sangue e la rana cerca inutilmente di catturarla, mentre la volpina protagonista domanda alla madre (che non si vede, nè si sente) di che animale si tratti e se sia commestibile. Spaventata, la rana spicca un salto e atterra sul naso del guardiacaccia assopito. Costui la scaccia via, schifato, e si accorge della volpina: con un balzo ferino la afferra per la collottola e decide di portarsela a casa, neanche fosse un cagnolino.


Alla povera libellula, che torna per ritrovare la sua amica volpina, non resta che danzare sul triste postludio strumentale. 

Atto I – Quadro II – Un interludio orchestrale serve a... far passare il tempo: dall’estate siamo ora arrivati in autunno ed eccoci nell’aia della casa del guardiacaccia, dove troviamo la volpina alle prese con il cane (Lapák). La padrona di casa non pare entusiasta della presenza della volpina. La quale si lamenta per la sua cattività, suscitando la reazione del cane, che pure si dichiara infelice per mancanza di... amore: in primavera canta alla luna le sue canzoni appassionate, e il padrone per tutta risposta lo prende a bastonate. La volpina ammette di essere pure lei inesperta di rapporti sessuali, ma racconta di aver udito altri animali parlarne in termini osceni: in particolare narra di storni donnaioli impenitenti, o che se la fanno con i cuculi o compromettono le gazze; una loro figlia ha persino una relazione con un corvo! Il cane, arrapato da questi racconti piccanti, si avventa su di lei e ne viene scacciato con gravi perdite.

Adesso sono i ragazzi del guardiacaccia che si divertono a stuzzicare la volpina, che reagisce mordendone uno alla gamba, poi cerca la fuga, ma viene riacchiappata e così per punizione viene legata con un guinzaglio. Durante la notte - uno sbudellante interludio strumentale - la volpina appare incredibilmente sotto le spoglie di una fanciulla piangente; all’alba ritorna volpe. Solitamente si usa interpretare questo strano fenomeno come il sogno – irrealizzabile - della volpe di acquisire prerogative umane. Nel second’atto (quadro all’osteria) ci saranno però delle allusioni, come dire, piuttosto inquietanti...  

Per adesso è interessante notare la differenza di condizioni sociali che caratterizza i rapporti fra gli animali domestici (soggetti a vincoli atavicamente imposti loro dall’uomo) e selvatici (che vivono esclusivamente in base a leggi naturali): ne è specchio il conflitto insanabile che scoppia fra i domestici cane, gallo e galline e la selvatica volpina, che sconvolge le loro millenarie abitudini con discorsi tanto rivoluzionari (quanto utopistici) come ...abolite l’ordine antico! Create un nuovo mondo dove avrete la vostra parte di gioia e felicità! Dopodichè, delusa dal mancato successo delle sue sobillazioni, per sfuggire alla cattività usa lo stratagemma di fingersi morta e poi impone materialmente la legge della giungla, facendo strage dell’intero pollaio!


La scena e l’atto si chiudono su una rapidissima ed esilarante coda strumentale. 

Atto II – Quadro III - Legge della giungla che ovviamente impera nella foresta, dove ci riporta l'introduzione orchestrale (inizialmente pesante, ma che progressivamente si illumina) e dove la volpina tornata in libertà si procura una comoda abitazione sloggiando – supportata dal tifo degli altri animali - dalla sua comoda tana un ricco tasso, fumatore di pipa come ogni borghese arrivato. Dai disegni di Lolek e dal testo di Těsnohlídek si evince chiaramente quale sia l’infallibile e prepotente metodo impiegato dalla volpina per cacciare il tasso dalla sua casa: inondarla letteralmente di pipì! 



Janáček invece è meno truce e si limita a far alzare alla volpe la coda in faccia al tasso, che se ne va via offeso e imprecante con la pipa sotto il braccio... La scena evoca chiaramente problematiche sociali di assoluta attualità: il borghese che fa affari magari poco commendevoli con i quali procurarsi agiatezze e vizi, e i proletari che reagiscono con occupazioni di case senza rispetto alcuno per il decoro.

Atto II – Quadro IVIn compenso scopriamo subito dopo che c’è anche un esemplare umano di tasso: lo spigliato interludio strumentale ci porta all’osteria, dove troviamo il curato della parrocchia, che pure fuma la pipa, e che pure viene sloggiato dalla canonica, perchè trasferito altrove. Ciò diventerà chiaro solo nel terz’atto, per ora sentiamo il curato rispondere evidentemente ad una domanda dell’oste (Pásek) affermando che ...a Stráni le cose andranno meglio; e poco dopo l’oste gli comunicherà che i nuovi inquilini vi cercano...

Intanto facciamo la conoscenza anche del maestro di scuola, un tipo attempato, tutto pelle-e-ossa, che il guardiacaccia, fra una mano di carte e l’altra, cerca di stuzzicare con una canzoncina che allude a vecchi amori per una tale Verunka... che però ormai sarà pure sfiorita, come accade al larice, verde in primavera e spoglio in autunno.


Mentre il curato sfoggia il suo latino per esortare i maschi a non cedere il proprio corpo alle femmine, il maestro contrattacca accennando alle disavventure del guardiacaccia con la volpina. E lo stesso farà anche l’oste, a fine quadro, entrambi suscitando reazioni furibonde del guardiacaccia. Ora ci si potrebbe chiedere il motivo di tanta attenzione da parte dei conoscenti del guardiacaccia - e di tanta suscettibilità da parte di quest’ultimo - in relazione ad un episodio in sè risibile (la cattura di un animale selvatico allo scopo di addomesticarlo e la fuga dell’animale) in uno scenario dove l’oggetto della conversazione sono invece delle contrastate vicende amorose fra esseri umani! E adesso possiamo tornare al secondo quadro del prim’atto, e a quella apparentemente gratuita trasformazione notturna della volpina in una ragazza infelice. Insomma, vuoi vedere che la figura della volpina nasconde qualche segreto inconfessabile del guardiacaccia? Qualcosa a che vedere con il dualismo gazzella-imperatrice della straussiana Fr-o-Sch?

Il maestro, al canto del gallo, se ne va per tornare a casa. Lo stesso fa il curato, avvertito dall’oste dell’arrivo dei nuovi parrocchiani. Rimane solo il guardiacaccia, ormai ubriaco, che sproloquia volgarità sui vangeli e infine, punzecchiato anche dall’oste sull’affaire-volpina, ha una reazione scomposta e se ne va sbattendo la porta.

Atto II – Quadro V – Un nuovo interludio strumentale ci porta nella foresta, attraversata in sequenza dai tre personaggi reduci dall’osteria e diretti alle proprie abitazioni. Dapprima ecco il maestro, che procede barcollando appoggiandosi al bastone. Passa accanto ad un campo di girasoli, spiato dalla volpina, nascosta dietro uno di questi. In preda ai fumi dell’alcol crede di vedere nel girasole il volto della sua innamorata, Terynka. Dopo due bizzarre esclamazioni (staccato!... flageolett!) che richiamano termini di agogica musicale, il maestro fa la sua dichiarazione d’amore al girasole e infine si slancia su di esso, perdendo l’equilibrio e rovinando sulla siepe.


È poi la volta del curato, che si siede cercando invano di accendere un fiammifero, e comincia a ricordare un suo amore giovanile, che lo tradì con un garzone di macellaio, lasciando su di lui i sospetti di averla compromessa... e gli occhi della volpina brillano per un paio di volte da dietro la siepe (!) Si sente infine arrivare il guardiacaccia - sempre a caccia della volpina - che esplode anche un paio di colpi della sua doppietta. Maestro e curato si rialzano a fatica e si avviano verso casa, accompagnati da un motivo che ricorda... la volpina (!?) Il guardiacaccia compare imbracciando il fucile ancora fumante.  

Atto II – Quadro VI – Restiamo nella foresta, ma è tornata l’estate, ed è quindi verosimilmente trascorso (almeno) un anno dall’inizio della fiaba. È una bella notte di luna, perfettamente attrezzata per una scena d’amore tra... volpi! Mentre si odono cori senza parole di animali che creano un’atmosfera romantica, nei pressi della casa del tasso della volpina si presenta un bellissimo esemplare maschio, dall’aspetto elegante e dai comportamenti nobili. La volpina se ne innamora perdutamente a prima vista, e gli racconta la sua storia, infarcendola subdolamente (non per nulla è femmina e pure... volpe!) di bugie e di vittimismo: la casa l’ha ereditata (!) da uno zio tasso, e poi lei ha vissuto – e ne fa un lungo racconto furbescamente romanzato - presso la famiglia del guardiacaccia, che la vessava continuamente, minacciandola di farci una pelliccia, finchè lei non riuscì a riguadagnare la sua libertà... Dopo qualche ammiccamento e un finto arrivederci, che serve alla volpina per convincersi della sua bellezza e del suo fascino, al punto da auto-cantarsi una specie di romanza, il maschio torna con del cibo e i due, dopo una bella mangiata e una tipica scaramuccia da innamorati, quasi all’alba si dichiarano il loro amore ed entrano nella tana di lei per... passare dalle parole ai fatti!

La libellula arriva e danza per la sua amata volpina (pare una Brangäne che veglia Isolde e Tristan...) mentre la civetta, che ha spiato tutto insieme alla ghiandaia, avverte l’intera foresta del misfatto! La volpina è la prima ad uscire dalla tana, seguita dal maschio, al quale comunica la dolce notizia: avranno dei cuccioli! Ma fuori dal matrimonio? No di certo, sentenzia lui, e guarda caso lì sopra c’è il parroco (un picchio) che li sposa seduta stante! Il quadro si chiude con una strepitosa festa nuziale di tutta la foresta.




Atto III – Quadro VII – É tornato l’autunno, siamo sempre nella foresta, a mezzogiorno, dove ora transita un nuovo personaggio (Harašta) che si rivelerà determinante per il successivo svolgersi dei fatti: trattasi di un venditore ambulante di polli (che a tempo perso fa pure il bracconiere...) L’introduzione orchestrale ha preparato il terreno (piuttosto lugubre) all’esternazione del vagabondo, che reca una cesta vuota e canta una sbracata filastrocca amorosa. Scopre sul sentiero una lepre uccisa (dalle volpi, evidentemente) ma mentre sta per raccoglierla... arriva il guardiacaccia, al quale comunica di essere prossimo al matrimonio. Con chi? Ma con la bella Terynka (l’amore del maestro!) Il guardiacaccia lo ammonisce a non fare il bracconiere, così il venditore gli indica la lepre morta, vantandosi di non averla raccolta. Il guardiacaccia, imprecando contro gli animali, monta sull’istante una trappola per volpi, poi i due se ne vanno in direzioni opposte.

Sopraggiungono la volpina, il marito e i volpacchiotti loro, cantando allegramente (una canzoncina popolare morava!) Scoprono che qualcuno è passato accanto alla lepre, ma non l’ha raccolta, così si insospettiscono e si accorgono della trappola installata dal guardiacaccia (la catena puzza della sua pipa!) e si fanno beffe di lui. Il maschio trova il tempo per fare altre avances (quando avremo altri cuccioli?) alla volpina, che lo invita ad aspettare... maggio! L’ultima parte del dolce approccio fra le due volpi è sovrapposta al canto di Harašta, che sta tornando dopo essersi approvvigionato di polli di cui ha riempito la cesta, e pensa alla sua bella. La volpina gli si para davanti deliberatamente, quasi a provocarne la reazione. Lui già pensa a impallinarla per farci un manicotto di pelliccia per Terynka, ma la volpina, provocandolo ancora e sfidandolo ad ucciderla, lo disorienta con mosse repentine tanto che lui cade a faccia in giù, sbattendo il naso. Mentre ancora si sta lamentando e impreca verso la volpina, i volpacchiotti hanno già azzannato tutti i polli nella sua cesta!


Esasperato, Harašta spara a casaccio un colpo di fucile: una nuvola di piume avvolge i volpacchiotti in fuga, mentre al suolo giace moribonda la volpina. L’orchestra le dedica una scarna e modesta orazione funebre.

Atto III – Quadro  VIII – Un lungo interludio strumentale, caratterizzato da un tempo moderato, ma con un paio di irruzioni in allegro, ci riaccompagna nell’osteria di Pásek, dove regna un’insolita quiete. L’oste è assente ed è la moglie a servire gli avventori. Che sono ancora il guardiacaccia e il maestro: manca il curato, di cui ora abbiamo contezza del trasferimento (si è fatto vivo per lettera dalla nuova parrocchia di Stráni, dove dice di sentirsi solo...) Il guardiacaccia rivela di aver trovato la tana della volpe deserta, quindi è evidente che sia stata uccisa: così ci sarà una lingua essiccata (miracolosa) per il maestro e ci saranno pellicce per farci manicotti per le signore! E infatti la moglie dell’oste rivela che Terynka, di cui il maestro ha annunciato le nozze, ha ricevuto un manicotto nuovo. Dopo aver confortato il povero maestro, invitandolo a prenderla con filosofia, il guardiacaccia se ne va per rincasare e trovare il suo cane, che ormai è invecchiato e malandato al punto da non poter più uscire con lui.

Atto III – Quadro IX – Un ultimo, lungo interludio orchestrale, dal sapore romantico e pastorale, ci riporta nello stesso luogo in cui la fiaba si era aperta. Ha appena smesso di piovere e il guardiacaccia sale la collina ricordando con nostalgia mista a serenità analoghe passeggiate fatte in compagnia dell’amata, ai tempi della gioventù, appena sposati. Si siede, appoggiando l’inseparabile fucile ad un ginocchio, e comincia ad ammirare estasiato la natura circostante: al ritorno della primavera tutte le creature godranno della divina beatitudine della vita (pare l’incantesimo del venerdì santo...!) Si addormenta, mentre compaiono gli abitanti della foresta, proprio come nel primo quadro. Sogna la volpina, e al suo risveglio gli pare di vedere una sua cucciolotta, tal quale la mamma, venirgli incontro. È tentato di acchiapparla, per allevarla come fece con sua madre, ma stavolta con i migliori propositi di evitarle qualunque disagio e... pubblicità sui giornali. Allunga il braccio, chiude il pugno e si ritrova in mano... una gelida ranocchia. Che subito lo avverte: guarda che ti sbagli, io non sono quello che ti immagini: il nonno mi ha raccontato tutto di te!   

Senza che lui se ne accorga nè ci faccia caso, il fucile gli scivola a terra... In tempo maestoso è il motivo della morte della volpina, mirabilmente trasfigurato in modo maggiore (REb) a chiudere la fiaba.