Martedi
19/1 (diretta audio su Radio3) il Regio torinese inaugura le recite di Příhody lišky Bystroušky, letteralmente Le avventure della volpe Orecchiofino, che è conosciuta ormai come La piccola volpe astuta, terz’ultima
opera di Leóš Janáček (1923, preceduta di
pochissimo dalla Kabanová e cui seguiranno Makropoulos e Casa di morti: quattro opere composte nell’ultimo decennio di vita
del musicista moravo).
Opera che si
presenta in superficie come una fiaba per bambini, o come una simpatica parodia
della vita degli umani come vista dalla prospettiva degli animali; ma che in
realtà nasconde significati e concetti assai seri, che spaziano dall’etica
alla politica, al senso più profondo dell'esistenza. Sempre però evocati con grande equilibrio e con un certo pacato
distacco.
All’origine del
soggetto pare esserci proprio una volpe in carne ed ossa, che nei primi anni
dell’800 era diventata quasi una leggenda in Moravia, per la sua incredibile
capacità di sfuggire a mille tentativi di cattura da parte di un guardiacaccia.
Verso il 1890 uno studente aspirante pittore – che poi divenne infatti
abbastanza famoso come paesaggista - tale Stanislav Lolek, fece per qualche
tempo il guardiacaccia-aggiunto ed apprese dal suo superiore – che a sua volta
da quegli animali aveva continui grattacapi - le storie della volpe leggendaria:
così decise di rappresentare sia il suo superiore che le vicende di quella
guerra volpe-guardiacaccia in una lunga serie di disegni. I quali rimasero poi ad
ammuffire per 30 anni, finchè nel 1920 un responsabile editoriale del
quotidiano Lidové noviny (Notiziario
popolare) di Brno, incaricato di cercare spunti per racconti illustrati, ci incappò quasi per caso e così la storia della volpe, illustrata da 193 disegni di Lolek e romanzata con i testi
di Rudolf Těsnohlídek, comparve in 51
puntate del giornale, con il titolo La
volpe Orecchiofino, titolo in realtà dovuto ad un errore tipografico,
causato da un correttore di bozze che travisò, ma tutto sommato senza
stravolgerne la pertinenza, quello (La
volpe Pièveloce) originariamente deciso da Těsnohlídek. (Nel 1958 Fedele D’Amico intitolò curiosamente, ma con molta perspicacia, la sua traduzione del libretto di Janacek Le avventure della volpe Briscola.) Il tutto finì poi in un racconto in 23 capitoli pubblicato a Brno nel
1921.
Orbene, il giornale circolava, neanche a farlo apposta, proprio in casa Janáček, e per la verità fu
la sua fedele domestica di lungo corso (Marie Stejskalová) a rimanere talmente
affascinata da quella bizzarra storia a fumetti da consigliarla al compositore
come soggetto per un’opera. E così Janáček stese di sua mano il libretto, consultandosi con Těsnohlídek, ma allo stesso tempo
rivoltandone il testo come un calzino: il racconto chiude infatti con il vissero-felici–e-contenti
della famigliola delle volpi, mentre l’opera ci mostra, nel seguito, la morte quasi
accidentale della protagonista, e si chiude poi come era iniziata, con un
pisolino del guardiacaccia che ora però ha modo di ragionare sul fluire del
tempo, delle stagioni e delle generazioni. Steso il libretto, Janáček passò
subito a musicarlo. E tanta fu la passione che ci mise, da convincerlo a disporre
che il finale dell’opera venisse suonato – cosa che puntualmente avvenne - al
suo funerale!
___
Il soggetto si struttura in tre atti e nove quadri
(2-4-3) ambientati di volta in volta nella foresta (l’habitat degli animali selvatici, frequentato anche dagli uomini,
che accoglie 6 quadri) e in insediamenti umani (casa e osteria, in 3 quadri)
dove al più possono vivere animali domestici, con l’unica eccezione
rappresentata proprio dalla volpina, che per qualche tempo abita nella casa del
guardiacaccia che l’ha catturata. Fra animali e cristiani emergono, esplicitamente
o sotterraneamente, dei paralleli (atteggiamenti e comportamenti) dei quali il
più smaccato è quello fra un tasso e il curato della parrocchia.
Poche le indicazioni temporali fornite da Janáček: il primo
quadro è ambientato in piena estate, il secondo in autunno, il sesto nuovamente
in estate, il settimo in autunno: si dovrebbe quindi dedurre che l’intera
vicenda si protragga per almeno un anno e più, ma di certo le famose unità
aristoteliche poco hanno a che fare con un soggetto come questo. Caso mai è
interessante notare la differenza fra i ritmi e i cicli di vita di animali e
uomini: nel lasso di tempo coperto dall’opera, la volpe passa dall’infanzia
alla maternità (e addirittura si sviluppano ben due generazioni di rane) mentre
per gli umani c’è solo un lento, sia pure inesorabile, invecchiamento.
Preludio – A sipario aperto, ci introduce al bosco in un pomeriggio estivo che
promette temporale. Facciamo così la conoscenza degli abitanti della foresta
(tasso con pipa, libellula, moscerini: sembra la versione morava del wagneriano
Waldweben...)
Atto I – Quadro I - Si apre con l’arrivo del guardiacaccia, che si ferma a riposare un poco,
benedicendo il suo fucile, strumento di lavoro e di potere. Concerti e
polifonie, con annessi balletti, di grillo, cavalletta e zanzare. Una di queste
(che deve evidentemente aver punto il guardiacaccia) si ubriaca di sangue e la
rana cerca inutilmente di catturarla, mentre la volpina protagonista domanda
alla madre (che non si vede, nè si sente) di che animale si tratti e se sia
commestibile. Spaventata, la rana spicca un salto e atterra sul naso del
guardiacaccia assopito. Costui la scaccia via, schifato, e si accorge della
volpina: con un balzo ferino la afferra per la collottola e decide di
portarsela a casa, neanche fosse un cagnolino.
Alla povera
libellula, che torna per ritrovare la sua amica volpina, non resta che danzare sul triste postludio strumentale.
Adesso
sono i ragazzi del guardiacaccia che si divertono a stuzzicare la volpina, che
reagisce mordendone uno alla gamba, poi cerca la
fuga, ma viene riacchiappata e così per punizione
viene legata con un guinzaglio. Durante la notte - uno sbudellante interludio strumentale - la volpina appare
incredibilmente sotto le spoglie di una fanciulla piangente; all’alba ritorna
volpe. Solitamente si usa interpretare questo strano fenomeno come il sogno –
irrealizzabile - della volpe di acquisire prerogative umane. Nel second’atto
(quadro all’osteria) ci saranno però delle allusioni, come dire, piuttosto
inquietanti...
Atto I – Quadro II – Un interludio orchestrale serve a... far passare il tempo: dall’estate
siamo ora arrivati in autunno ed eccoci nell’aia della casa del guardiacaccia, dove
troviamo la volpina alle prese con il cane (Lapák). La padrona di casa non pare entusiasta della
presenza della volpina. La quale si lamenta per la sua cattività, suscitando la
reazione del cane, che pure si dichiara infelice per mancanza di... amore: in
primavera canta alla luna le sue canzoni appassionate, e il padrone per tutta
risposta lo prende a bastonate. La volpina ammette di essere pure lei inesperta
di rapporti sessuali, ma racconta di aver udito altri animali parlarne in
termini osceni: in particolare narra di storni donnaioli impenitenti, o che se
la fanno con i cuculi o compromettono le gazze; una loro figlia ha persino una
relazione con un corvo! Il cane, arrapato da questi racconti piccanti, si
avventa su di lei e ne viene scacciato con gravi perdite.
Per adesso è interessante notare la differenza di
condizioni sociali che caratterizza i rapporti fra gli animali domestici (soggetti a vincoli atavicamente imposti loro
dall’uomo) e selvatici (che vivono esclusivamente in base a leggi naturali): ne
è specchio il conflitto insanabile che scoppia fra i domestici cane, gallo e galline e la selvatica volpina, che sconvolge le loro millenarie abitudini con
discorsi tanto rivoluzionari (quanto utopistici) come ...abolite
l’ordine antico! Create un nuovo mondo dove avrete la vostra parte di gioia e
felicità! Dopodichè, delusa dal mancato successo delle sue
sobillazioni, per sfuggire alla cattività usa lo stratagemma di fingersi morta e poi impone materialmente la legge della giungla, facendo strage
dell’intero pollaio!
La scena e l’atto si chiudono su una rapidissima ed
esilarante coda strumentale.
Atto II – Quadro III - Legge della giungla che ovviamente impera nella foresta, dove ci riporta l'introduzione orchestrale (inizialmente pesante, ma che progressivamente si illumina) e dove la volpina tornata in libertà si procura una comoda abitazione sloggiando – supportata dal tifo degli altri animali - dalla sua comoda tana un ricco tasso, fumatore di pipa come ogni borghese arrivato. Dai disegni di Lolek e dal testo di Těsnohlídek si evince chiaramente quale sia l’infallibile e prepotente metodo impiegato dalla volpina per cacciare il tasso dalla sua casa: inondarla letteralmente di pipì!
Janáček invece è meno truce e si limita a far alzare alla volpe la coda in faccia al tasso, che se ne va via offeso e imprecante con la pipa sotto il braccio... La scena evoca chiaramente problematiche sociali di
assoluta attualità: il borghese che fa affari magari poco commendevoli con i
quali procurarsi agiatezze e vizi, e i proletari che reagiscono con occupazioni
di case senza rispetto alcuno per il decoro.
Atto II – Quadro IV - In
compenso scopriamo subito dopo che c’è anche un esemplare umano di tasso: lo
spigliato interludio strumentale ci porta all’osteria, dove troviamo il curato
della parrocchia, che pure fuma la pipa, e che pure viene sloggiato dalla
canonica, perchè trasferito altrove. Ciò diventerà chiaro solo nel terz’atto,
per ora sentiamo il curato rispondere
evidentemente ad una domanda dell’oste (Pásek) affermando che ...a Stráni le cose andranno meglio; e poco dopo l’oste gli
comunicherà che i nuovi inquilini vi
cercano...
Intanto facciamo la conoscenza anche del maestro di scuola,
un tipo attempato, tutto pelle-e-ossa, che il guardiacaccia, fra una mano di
carte e l’altra, cerca di stuzzicare con una canzoncina che allude a vecchi
amori per una tale Verunka... che però ormai sarà pure sfiorita, come accade al
larice, verde in primavera e spoglio in autunno.
Mentre il curato sfoggia il suo latino per esortare i
maschi a non cedere il proprio corpo alle femmine, il maestro contrattacca
accennando alle disavventure del guardiacaccia con la volpina. E lo stesso farà
anche l’oste, a fine quadro, entrambi suscitando reazioni furibonde del
guardiacaccia. Ora ci si potrebbe chiedere il motivo di tanta attenzione da parte
dei conoscenti del guardiacaccia - e di tanta suscettibilità da parte di
quest’ultimo - in relazione ad un episodio in sè risibile (la cattura di un
animale selvatico allo scopo di addomesticarlo e la fuga dell’animale) in uno
scenario dove l’oggetto della conversazione sono invece delle contrastate vicende
amorose fra esseri umani! E adesso possiamo tornare al secondo quadro del
prim’atto, e a quella apparentemente gratuita trasformazione notturna della
volpina in una ragazza infelice. Insomma, vuoi vedere che la figura della
volpina nasconde qualche segreto inconfessabile del guardiacaccia? Qualcosa a
che vedere con il dualismo gazzella-imperatrice della straussiana Fr-o-Sch?
Il maestro, al canto del gallo, se ne va per tornare a
casa. Lo stesso fa il curato, avvertito dall’oste dell’arrivo dei nuovi
parrocchiani. Rimane solo il guardiacaccia, ormai ubriaco, che sproloquia
volgarità sui vangeli e infine, punzecchiato anche dall’oste sull’affaire-volpina, ha una reazione
scomposta e se ne va sbattendo la porta.
Atto II – Quadro V – Un nuovo interludio strumentale ci porta nella foresta, attraversata in sequenza dai tre personaggi
reduci dall’osteria e diretti alle proprie abitazioni. Dapprima ecco il
maestro, che procede barcollando appoggiandosi al bastone. Passa accanto ad un
campo di girasoli, spiato dalla volpina, nascosta dietro uno di questi. In preda
ai fumi dell’alcol crede di vedere nel girasole il volto della sua innamorata,
Terynka. Dopo due bizzarre esclamazioni (staccato!...
flageolett!) che richiamano termini
di agogica musicale, il maestro fa la sua dichiarazione d’amore al girasole e
infine si slancia su di esso, perdendo l’equilibrio e rovinando sulla siepe.
È poi la volta del curato, che si siede cercando
invano di accendere un fiammifero, e comincia a ricordare un suo amore
giovanile, che lo tradì con un garzone di macellaio, lasciando su di lui i sospetti
di averla compromessa... e gli occhi della volpina brillano per un paio di
volte da dietro la siepe (!) Si sente
infine arrivare il guardiacaccia - sempre a caccia della volpina - che esplode
anche un paio di colpi della sua doppietta. Maestro e curato si rialzano a
fatica e si avviano verso casa, accompagnati da un motivo che ricorda... la
volpina (!?) Il guardiacaccia compare imbracciando il fucile ancora fumante.
Atto II – Quadro VI – Restiamo
nella foresta, ma è tornata l’estate, ed è quindi verosimilmente trascorso
(almeno) un anno dall’inizio della fiaba. È una bella notte di luna,
perfettamente attrezzata per una scena d’amore tra... volpi! Mentre si
odono cori senza parole di animali che creano un’atmosfera romantica, nei
pressi della casa del tasso della volpina si presenta un bellissimo esemplare maschio,
dall’aspetto elegante e dai comportamenti nobili. La volpina se ne innamora
perdutamente a prima vista, e gli racconta la sua storia, infarcendola
subdolamente (non per
nulla è femmina e pure... volpe!) di bugie e di vittimismo: la casa l’ha ereditata (!) da uno zio
tasso, e poi lei ha vissuto – e ne fa un lungo racconto furbescamente romanzato
- presso la famiglia del guardiacaccia, che la vessava continuamente,
minacciandola di farci una pelliccia, finchè lei non riuscì a riguadagnare la
sua libertà... Dopo
qualche ammiccamento e un finto arrivederci, che serve alla volpina per convincersi
della sua bellezza e del suo fascino, al punto da auto-cantarsi una specie di
romanza, il maschio torna con del cibo e i due, dopo una bella mangiata e una tipica
scaramuccia da innamorati, quasi all’alba si dichiarano il loro amore ed
entrano nella tana di lei per... passare dalle parole ai fatti!
La
libellula arriva e danza per la sua amata volpina (pare una Brangäne che veglia
Isolde e Tristan...) mentre la civetta, che ha spiato tutto insieme alla
ghiandaia, avverte l’intera foresta del misfatto! La volpina è la prima ad
uscire dalla tana, seguita dal maschio, al quale comunica la dolce notizia:
avranno dei cuccioli! Ma fuori dal matrimonio? No di certo, sentenzia lui, e
guarda caso lì sopra c’è il parroco (un picchio) che li sposa seduta stante! Il quadro si chiude con una strepitosa festa nuziale di tutta la foresta.
Atto III – Quadro VII – É tornato l’autunno, siamo sempre nella foresta, a mezzogiorno, dove ora transita un nuovo personaggio (Harašta) che si rivelerà determinante per il successivo svolgersi dei fatti: trattasi di un venditore ambulante di polli (che a tempo perso fa pure il bracconiere...) L’introduzione orchestrale ha preparato il terreno (piuttosto lugubre) all’esternazione del vagabondo, che reca una cesta vuota e canta una sbracata filastrocca amorosa. Scopre sul sentiero una lepre uccisa (dalle volpi, evidentemente) ma mentre sta per raccoglierla... arriva il guardiacaccia, al quale comunica di essere prossimo al matrimonio. Con chi? Ma con la bella Terynka (l’amore del maestro!) Il guardiacaccia lo ammonisce a non fare il bracconiere, così il venditore gli indica la lepre morta, vantandosi di non averla raccolta. Il guardiacaccia, imprecando contro gli animali, monta sull’istante una trappola per volpi, poi i due se ne vanno in direzioni opposte.
Atto III – Quadro VII – É tornato l’autunno, siamo sempre nella foresta, a mezzogiorno, dove ora transita un nuovo personaggio (Harašta) che si rivelerà determinante per il successivo svolgersi dei fatti: trattasi di un venditore ambulante di polli (che a tempo perso fa pure il bracconiere...) L’introduzione orchestrale ha preparato il terreno (piuttosto lugubre) all’esternazione del vagabondo, che reca una cesta vuota e canta una sbracata filastrocca amorosa. Scopre sul sentiero una lepre uccisa (dalle volpi, evidentemente) ma mentre sta per raccoglierla... arriva il guardiacaccia, al quale comunica di essere prossimo al matrimonio. Con chi? Ma con la bella Terynka (l’amore del maestro!) Il guardiacaccia lo ammonisce a non fare il bracconiere, così il venditore gli indica la lepre morta, vantandosi di non averla raccolta. Il guardiacaccia, imprecando contro gli animali, monta sull’istante una trappola per volpi, poi i due se ne vanno in direzioni opposte.
Sopraggiungono
la volpina, il marito e i volpacchiotti loro, cantando allegramente (una
canzoncina popolare morava!) Scoprono
che qualcuno è passato accanto alla lepre, ma non l’ha raccolta, così si insospettiscono
e si accorgono della trappola installata dal guardiacaccia (la catena puzza
della sua pipa!) e si fanno beffe di lui. Il maschio trova il tempo per fare
altre avances (quando avremo altri
cuccioli?) alla volpina, che lo invita ad aspettare... maggio! L’ultima parte
del dolce approccio fra le due volpi è sovrapposta al canto di Harašta, che sta tornando dopo
essersi approvvigionato di polli di cui ha riempito la cesta, e pensa alla sua
bella. La volpina gli si para davanti deliberatamente, quasi a provocarne
la reazione. Lui già pensa a impallinarla per farci un manicotto di pelliccia
per Terynka, ma la volpina, provocandolo ancora e sfidandolo ad ucciderla, lo
disorienta con mosse repentine tanto che lui cade a faccia in giù, sbattendo il
naso. Mentre ancora si sta lamentando e impreca verso la volpina, i
volpacchiotti hanno già azzannato tutti i polli nella sua cesta!
Esasperato, Harašta spara a casaccio un colpo di fucile: una nuvola di piume avvolge i volpacchiotti in fuga, mentre al suolo giace moribonda la volpina. L’orchestra le dedica una scarna e modesta orazione funebre.
Atto III – Quadro VIII – Un lungo
interludio strumentale, caratterizzato da un tempo moderato, ma con un paio di
irruzioni in allegro, ci riaccompagna nell’osteria di Pásek, dove regna un’insolita
quiete. L’oste è assente ed è la moglie a servire gli avventori. Che sono
ancora il guardiacaccia e il maestro: manca il curato, di cui ora abbiamo
contezza del trasferimento (si è fatto vivo per lettera dalla nuova parrocchia
di Stráni, dove dice di sentirsi
solo...) Il guardiacaccia rivela di aver trovato la tana della volpe deserta,
quindi è evidente che sia stata uccisa: così ci sarà una lingua essiccata (miracolosa)
per il maestro e ci saranno pellicce per farci manicotti per le signore! E
infatti la moglie dell’oste rivela che Terynka, di cui il maestro ha annunciato
le nozze, ha ricevuto un manicotto nuovo. Dopo aver confortato il povero
maestro, invitandolo a prenderla con filosofia, il guardiacaccia se ne va per
rincasare e trovare il suo cane, che ormai è invecchiato e malandato al punto da
non poter più uscire con lui.
Atto III – Quadro IX – Un
ultimo, lungo interludio orchestrale, dal sapore romantico e pastorale, ci
riporta nello stesso luogo in cui la fiaba si era aperta. Ha appena smesso di
piovere e il guardiacaccia sale la collina ricordando con nostalgia mista a
serenità analoghe passeggiate fatte in compagnia dell’amata, ai tempi della
gioventù, appena sposati. Si siede, appoggiando l’inseparabile fucile ad un ginocchio, e
comincia ad ammirare estasiato la natura circostante: al ritorno della
primavera tutte le creature godranno della divina beatitudine della vita (pare
l’incantesimo del venerdì santo...!) Si
addormenta, mentre compaiono gli abitanti della foresta, proprio come nel primo
quadro. Sogna la volpina, e al suo risveglio gli pare di vedere una sua cucciolotta, tal quale la mamma, venirgli incontro. È tentato
di acchiapparla, per allevarla come fece con sua madre, ma stavolta con i
migliori propositi di evitarle qualunque disagio e... pubblicità sui giornali.
Allunga il braccio, chiude il pugno e si ritrova in mano... una gelida ranocchia.
Che subito lo avverte: guarda che ti sbagli, io non sono quello che ti immagini: il nonno mi ha raccontato tutto di te!
Senza che
lui se ne accorga nè ci faccia caso, il fucile gli scivola a terra... In tempo maestoso è il motivo della morte della
volpina, mirabilmente trasfigurato in modo maggiore (REb) a chiudere la fiaba.
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