XIV

da prevosto a leone
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05 aprile, 2025

Orchestra Sinfonica di Milano - Tjeknavorian & Babayan soli al comando

Come intermezzo fra le due serate del 23° concerto, i suoi due protagonisti sono tornati sul palco dell’Auditorium per uno straordinario da camera dove hanno spaziato da Mozart a Janàček a Brahms, per poi chiudere sul festeggiato Ravel (150 anni dalla nascita).  

Programma parzialmente modificato rispetto all’annuncio originale, con Brahms a sostituire Prokofiev, più Mozart (due sonate - K301+K305 - invece della K367) e con l’aggiunta di un intermezzo di Kreisler.

Come si po' dedurre, qui è il violino (del Tjek) a farla da protagonista, con un illustre pianista (Babayan) a supportarlo sontuosamente. Ecco la sequenza dei nove brani eseguiti:

1- Leóš Janàček: Sonata per violino e pianoforte (ultima versione, 1922); Con moto; Ballada; Allegretto; Adagio:

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2- Wolfgang Amadeus Mozart: Sonata per violino e pianoforte in Sol maggiore K 301 (1778, a Mannheim); Allegro con spirito; Allegro:

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3- Fritz Kreisler:

1. Rondino in stile Beethoven (1905): si tratta di una riduzione del Rondo per violino e piano, trasposto da SOL a MIb maggiore; le strofe del Rondo sono in MIb, SIb, DO minore, LAb maggiore:

2. Alt-Wiener Tanzweisen (<1905) è un trittico di tre danze viennesi:

a) Liebesfreud: struttura A-BB’-A; Allegro, DO maggiore / Grazioso, Allegro, FA maggiore / Allegro, DO maggiore:

b) Liebesleid: struttura A-B-A-B; Ländler, LA minore / Poco meno mosso, LA maggiore:

c) Schön Rosmarin: Struttura A-B-A; Grazioso, SOL maggiore / Meno mosso, SOL maggiore-minore, SIb maggiore, SOL maggiore / SOL maggiore:

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4- Johannes Brahms: Scherzo in Do minore per violino e pianoforte dalla sonata F.A.E. (1853). L’acronimo del brano sta per Frei aber einsam, composto in realtà a tre mani, per omaggiare il grande Joachim: I. Allegro, da Albert Dietrich; II. Intermezzo, da Robert Schumann; III. Scherzo, da Brahms; IV Finale, da Schumann:

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5- Wolfgang Amadeus Mozart: Sonata per violino e pianoforte in La maggiore K 305 (1778, Mannheim); Allegro di molto; Tema con variazioni:

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6- Maurice Ravel: Tzigane. Rapsodie de concert (1924); oltre a questa, per violino e pianoforte, esistono del brano altre due versioni: quella con accompagnamento di orchestra e quella con accompagnamento di Luthéal (un ibrido pianoforte-organo, oggi in disuso). L’atmosfera gitana si rivela già dall’esordio, esclusivamente assegnato al violino:

Poi diventa quasi schizofrenica prima della conclusione, con un funambolico susseguirsi di indicazioni di agogica e di diteggiatura:

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Dopo un esordio accidentato (colpa del tablet con gli spartiti di Babayan che non obbediva ai comandi via smartphone della ragazza addetta al volta-pagina) il programma è andato in continuo crescendo. Janàček (questo, almeno) non è facile da digerire, anche perché lo stesso Autore la tirò in lunga per un decennio, cambiando anche gli scenari della sua narrativa: è un’opera complessa e complicata, poco lineare, e c’è voluta tutta l’abilità e l’abnegazione dei due protagonisti per rendercela almeno accettabile, ecco.

Poi Mozart ha ovviamente aperto un primo squarcio di sano classicismo, con le sue leziosità giovanili. Kreisler ha anche scaldato i motori del virtuosismo. NB. la sequenza dei quattro brani è stata: Liebesleid, Rosmarin, Rondino, Liebesfreud, in modo da lasciare l’ultima parola nota prima dell’intervallo al pezzo forte, o quanto meno al più trascinante dei quattro.

Brahms ha poi degnamente tirato la volata al secondo Mozart, le cui variazioni hanno davvero incantato. I due moschettieri si son presi un minuto di pausa prima della Tzigane, che ha chiuso il programma ufficiale con grande trionfo per questa coppia davvero unica nel suo genere.

Praticamente scontato (e preparato) il bis di congedo: ancora Ravel, con il pezzo in forma di Habanera. Ma il pubblico – anche oggi oceanico - non se n’è dato per inteso, e così l’ultima parola musica l’ha avuta ancora il kreisleriano Liebesleid, romantiche pene d’amore… come quelle che ormai sembrano accumunare il pubblico e il suo nuovo Direttore Musicale!

Orchestra Sinfonica di Milano - 24-25.23 – Tjeknavorian & Babayan

Da qui a Pasqua l’Auditorium vedrà il Tjek protagonista di altri tre programmi, culminanti nel rossiniano Stabat Mater della Settimana Santa. I primi due sono dedicati ai 150 anni di Maurice Ravel: ieri e domani il 23° concerto della stagione principale e questo pomeriggio uno straordinario da camera, due programmi in cui il Direttore Musicale sarà affiancato dal 64enne compatriota armeno Sergei Babayan (stabilitosi in USA dopo la caduta dell’URSS) oggi uno dei pianisti più acclamati, e già ospite qui nel 2018 con il celebre Concerto di Ciajkovski.

L’impaginazione del concerto ha qualche rassomiglianza con quella del 9 giugno 2023 (interprete Kirill Gerstein con Wayne Marshall sul podio) per la contemporanea presenza dei due concerti pianistici (in SOL e in RE per la mano sinistra) e del conclusivo Boléro.

In un Auditorium letteralmente preso d’assalto, Babayan ha quindi aperto la serata con il Concerto per pianoforte e orchestra in Sol maggiore. Questo lavoro è praticamente contemporaneo dell’altro, ma ha una struttura assai più tradizionale, quindi più abbordabile, oltre a risentire ancor più dell’influsso americano (Ravel aveva viaggiato in USA) e così jazz e blues vi hanno una parte fondamentale: evidentissima già all’attacco del tema del clarinetto, che pare proprio Gershwin (Rapsody in blue)!

Tutto il concerto (a parte l'Adagio) mostra chiare influenze jazzistiche, con ampio uso di ritmi sincopati; nell'iniziale Allegramente sentiamo anche del blues, come qui:

Il lungo centrale Adagio assai è noto per aver impegnato Ravel fino alla consunzione fisica (parole sue). Le prime 33 battute (3/4, MI maggiore) sono affidate al solo pianista, che con la mano sinistra scandisce un ritmo quasi di walzer in 3/8 (battere su nota singola, levare su accordi di due note, e continuerà così – con rare eccezioni - per il resto del movimento) mentre la mano destra descrive la melodia:

In esso compare, fra gli altri e verso la fine, un bellissimo intervento del corno inglese, ieri suonato dalla bravissima Paola Scotti.

Il breve Presto conclusivo è una palestra di virtuosismo, e non solo per il pianista. Ad esempio i due fagotti (ieri Orsolya Juhasz e Andrea Magnani) sono chiamati, nella sezione centrale, ad autentiche acrobazie, con inebrianti volate di semicrome, e lo stesso avviene verso la fine per tutti gli strumentini.

Babayan ne dà un’interpretazione trascendentale: sapiente impiego del rubato nel movimento iniziale; tensione massima nell’Adagio, senza peraltro cadere in eccessiva sostenutezza; tecnica stupefacente nel Presto conclusivo.

Uragano di applausi per lui, per il Direttore e tutta l’orchestra, con i suoi solisti.  

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Come intermezzo fra i due Concerti (e/o come bis anticipato…) Babayan ci ha proposto Menuet sur le nom d’Haydn, che Ravel compose in omaggio al grande vecchio della Prima Suola di Vienna, da lui quasi venerato. Un breve brano il cui tema (SI-LA-RE-RE-SOL) è costituito da note collegate alle lettere del cognome del musicista secondo un bizzarro processo (valido per la sola scala diatonica con notazione tedesca) pare utilizzato anche da Bach:

- le lettere H, A e D (in blu nel seguito) sono direttamente riconducibili (notazione tedesca, dove H è SI naturale, mentre B è SIb) a SI, LA e RE;

- per decodificare le altre lettere (nel nostro caso Y e N) basta affiancare alle 26 lettere dell’alfabeto gruppi di 7 lettere (A-G) corrispondenti alla scala diatonica (LA-SOL) trovando quindi la corrispondenza fra la lettera da codificare in musica e la nota corrispondente nella notazione inglese-tedesca (e da qui a quella latina)!

Ecco quindi il risultato finale per HAYDN: H=SI / A=LA / Y>D=RE / D=RE / N>G=SOL

[Applicando questo metodo il nome RAVEL diventerebbe R>D=RE / A=LA / V>A=LA / E=MI / L>E=MI, quindi la sigla musicale sarebbe RE-LA-LA-MI-MI]

Ravel sottopone poi il tema ad alcuni classici trattamenti fiamminghi…

Insomma, un brano più… matematico che musicale! Che però Babayan ha saputo impreziosire con il suo estro. 

Una curiosità: solo per questo brevissimo brano, lui si è portato dietro un tablet con lo spartito…

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Ecco quindi il Concerto per pianoforte e orchestra in Re maggiore per la mano sinistracomposto su commissione dello sfortunato quanto ricco pianista Paul Wittgenstein, tornato anni addietro dal fronte ukraino della Grande Guerra (e dalla conseguente prigionia in Siberia) con il solo braccio sinistro…

Qui Ravel ha cercato in tutti i modi di dissimulare la presenza di una sola mano, con una scrittura che – impegnando il solista al massimo – dà l’impressione che il suono provenga da tasti percossi da entrambi gli arti! Il Concerto è in un solo movimento, anche se vi si distinguono alcune sezioni in agogica cangiante: dapprima c’è un rigido alternarsi fra strumenti e solista (introduzione in Lento degli strumenti gravi) poi il pianoforte solo con una prima cadenza, quindi ancora la sola orchestra e poi il solista in tempo Più lentoOra abbiamo il dialogo (Andante) che sfocia nell’Allegro (6/8) di piglio marziale e sapore jazzistico, un lungo passaggio con interventi improvvisi del solista e di strumenti diversi. Dopo una grande accelerazione, dove si sentono quasi degli accenti del Bolero, torna il tempo lento iniziale, orchestra e solista dialogano accanitamente, finchè si arriva alla virtuosistica cadenza conclusiva, chiusa infine da 5 battute di crome martellanti dell’intera orchestra. 

Babayan davvero si supera, aggredendo letteralmente questa ostica partitura, le sue massacranti cadenze, i rari squarci di sereno: sono meno di 20 minuti tutti divorati d’un fiato, che trascinano il pubblico ad un entusiasmo al calor rosso.

Così ci viene servito anche il bis finale (con il Tjek accomodatosi in prima fila di platea a goderselo): quasi a voler riportare la pace in sala, Babayan ci gratifica di un autentico atto d’amore, firmato Arvo Pärt!

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La seconda parte del concerto torna ad affiancare Ravel al tanto amato Haydn, con due brani che – come giustamente si fa rilevare nella presentazione sul sito web, sono accumunati da un fenomeno di natura opposta: in Ravel il Boléro parte con il solo tamburino in pp, appena accompagnato da pizzicati di viole e celli, e poi progressivamente ingrossa le file dell’orchestra fino all’esplosione generale; in Haydn la Sinfonia in FA# minore (degli addii, appunto) compie il percorso inverso: gli strumentisti se ne vanno alla spicciolata, spegnendo i lumini dei leggii, e alla fine due soli violini esalano le ultime note, in FA# maggiore, chiudendo baracca e burattini.

Qui in Auditorium la sequenza si inverte ed è Haydn a salutare per primo noi del pubblico proprio come salutò, in quel lontanissimo 1772, i ruvidi Esterhazy: con la sua Abschieds-Symphonie. Rispettata sostanzialmente anche la coreografia: niente candela lampadina da spegnere sui leggii, ma orchestrali che si dileguano lasciando costernato il povero KapellmeisterChe viene lasciato solo (a far alzare le… sedie) da Lycia Viganò e Luca Santaniello, gli ultimi a salutarlo.

Poi tutti quanti rientrano in scena per godersi il meritato trionfo.

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Del Boléro si è detto e scritto di tutto e null’altro si potrebbe aggiungere. Anche qui in Auditorium è ormai risuonato millanta volte e nessuno se ne può dire annoiato. [Credo nemmeno il tamburino Ivan Fossati, a dispetto della… ehm, ripetitività della sua parte, per la quale all’esecutore andrebbe effettivamente riconosciuta una speciale indennità, oltre alla nomina a tamburino emerito…]

Che dire? Che il calor rosso è diventato bianco!!!


04 maggio, 2024

Orchestra Sinfonica di Milano – Stagione 23-24.21

Yoel Gamzou ha fatto il suo gradito ritorno sul podio dell’Auditorium – a quasi due anni dal suo esordio, ancora in era post-Covid - per dirigere il settimanale concerto della stagione principale dell’Orchestra Sinfonica di MilanoSala non certo affollatissima, ma piacevolmente vivacizzata da scolaresche di ragazzini, cosa che di per sé risolleva il morale.

Il cosmopolita Direttore, oggi 36enne, ci ha offerto un programma bipartito di musiche (del ‘900 e ‘8-‘900) ispirate da pittori e pitture.

La prima opera era la Sinfonia Mathis der Maler di Paul Hindemith, che ha risuonato qui quasi undici anni dopo l’ultima esecuzione (che fu anche la prima per laVerdi) allora di Zhang Xian, in occasione della quale avevo scritto alcune note cui rimando gli eventuali interessati.    

Il Direttore israelo-americano ha messo in risalto tutte le qualità di questa difficile partitura, valorizzandone adeguatamente i tratti ora religiosi, ora lirici, ora (ultima parte, soprattutto) anche persino infernali. Un’opera forse guardata con sospetto (di ammiccamenti alla tradizione solo per non inimicarsi i censori nazionalsocialisti) che tuttavia meriterebbe più ospitalità nelle sale da concerto. E di conseguenza più dimestichezza da parte del pubblico, che anche ieri, attaccando uno sparuto applauso dopo la prima parte, ne ha rivelato la sua scarsa conoscenza.

L’Orchestra è stata impeccabile, presa davvero per mano da Gamzou, che alla fine ha fatto il periplo del palco per felicitarsi di persona con prime parti e non solo.
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È poi seguita l’opera di Modest Musorgski - del 1874, per pianoforte, divenuta celeberrima ed eseguitissima grazie alla straordinaria orchestrazione di Maurice Ravel del 1922 – Quadri di un’esposizione. (Anche per questa rimando il lettore ad un mio precedente intervento, basato peraltro sull’originale per pianoforte).

A differenza della Mathis, questa partitura è universalmente nota ed eseguita, e quindi è diventata uno dei cavalli di battaglia dell’Orchestra, che l’ha già suonata almeno una dozzina di volte, la prima addirittura nella stagione dell’esordio, 30 anni orsono, sotto la bacchetta del venerabile fondatore Vladimir Delman.

E il risultato è stato un trionfo epocale. Gamzou alla fine, spalleggiato da un interminabile applauso ritmato, ha impiegato almeno cinque minuti a girare da un leggìo all’altro per complimentarsi e ringraziare quasi uno ad uno i ragazzi per questa strepitosa esecuzione, che tale è stata ovviamente anche per merito suo.

02 dicembre, 2023

Orchestra Sinfonica di Milano – Stagione 23-24.5

Dopo aver diretto tre settimane fa la Quinta nel Mahler-Festival con la OSN-RAI, Robert Treviño torna sul podio dell’Auditorium per offrirci un programma tutto francese, che procede a ritroso nel tempo per 70 anni, dal primo ‘900 al profondo ’800: da Ravel a Berlioz.

Di Maurice Ravel erano originariamente in programma due brani sullo stesso soggetto fiabesco, quello delle Mille e una notte. Si sarebbe dovuto partire con Shéhérazade, ouverture de féerie, che rimase nel cassetto per quasi 80 anni prima di essere pubblicata (1975); ma qualcosa dev’essere andato storto, e così il concerto si è aperto con Shéhérazade, Trois poèmes pour chant et orchestre, del 1903, dedicati a tre rispettabili Madame e qui interpretati dalla 37enne mezzosoprano lituana Justina Gringyté, che spesso si esibisce con il Direttore texan-mexicano.

Di chiaro ascendente Debussy-iano, questo trittico è basato su testi poetici (di carattere piuttosto decadente e con sfumature simboliste) tratti da una collana di cento poesie, ispirate a Shéhérazade, di tale Léon Leclère, che già a quei tempi si ammantava di un bifronte nick wagneriano (Tristan Klingsor) e con il quale Ravel condivideva la frequentazione dell’appena neonato gruppo di artisti d’avanguardia (e appunto sfegatati per Debussy) noto come Les Apaches.

Anche le tre dedicatarie delle liriche avevano a che fare con quell’ambiente: Janne Hatto (dedicataria di Asie) fu la prima interprete del trittico; Marguerite de Saint-Moceaux (dedicataria di La Flûte enchantée) era famosa per i suoi prestigiosi ricevimenti e come mecenate di musicisti ed artisti, fra i quali proprio Debussy e Ravel; Emma Léa Moyse (dedicataria di L’Indifférent) già amante di Fauré, fu la seconda moglie proprio di Debussy, dopo aver divorziato dal banchiere Sigismond Bardac.  

1. Asie  
È il più lungo dei tre testi, un autentico viaggio nei misteri e nel fascino orientale: dopo una breve introduzione - davvero orientaleggiante - dell’oboe sul triplice richiamo Asie! Asie! Asie! e sull’evocazione, sostenuta dal corno inglese, di quel mondo che sa di fiabe che si raccontano ai bambini, ecco l’inizio del lungo e affascinante viaggio. Per ben 14 volte il testo ripete Je voudrais, il desiderio di conoscere, di esplorare, di immergersi in quel magico universo. E a quel vorrei segue di volta in volta: 1. una goletta che solca il mare spinta dalla sua vela violetta; 2. un’isola fiorita sperduta in mezzo al mare tempestoso; 3. Damasco o una città persiana, con gli agili minareti; 4. turbanti di seta sopra volti scuri e bianche dentature; 5. occhi e pupille piene d’amore e pelli ingiallite; 6. vesti di velluto con lunghe frange; 7. calumet risucchiati da bocche avvolte da bianche barbe; 8. sguardi ambigui di mercanti, visir che muovendo un dito decretano vita o morte; 9. Persia, India e Cina, Mandarini, Principesse e letterati che discettano di poesia e bellezza; 10. un palazzo incantato ornato da preziose stoffe raffiguranti personaggi al centro di un giardino: 11. assassini che assistono divertiti all’esecuzione di un innocente operata da un boia con una curva scimitarra; 12. povera gente e regine; 13. rose e sangue; 14. chi muore d’amore e chi di odio.     

Ciascuno di questi desideri è accompagnato da delicate figurazioni impressioniste, che sfociano in un drammatico crescendo dell’intera orchestra, che poi va sfumando per dare spazio all’epilogo: l’onirico viaggio lascia al poeta il desiderio di raccontarlo a chi ama sognare, sorseggiando di tanto in tanto - alla maniera di Sinbad - una tazza araba, per interrompere sapientemente il racconto… 

Chissà, potrebbe essere proprio la bella Shéhérazade a raccontare questo squarcio notturno: introdotta dalla sensuale melodia del flauto, la favorita del sultano, che lei ha abilmente addormentato con uno dei suoi mille ammalianti racconti, comincia ad udire – mentre il tempo, da Très lent diventa improvvisamente Allegro – una melodia, ora mesta, ora gioiosa, suonata dal suo amante. Il tempo torna Lent, per farle assaporare quelle note che, dalla finestra, arrivano sulla sua guancia come un misterioso bacio. La figurazione iniziale del flauto ritorna per chiudere questo delicato siparietto.

Qui siamo all’Oriente più… confuciano: come non pensare all’atmosfera (Er stieg vom Pferd und reichte ihm den Trunk) del mahleriano Abschied? Un passante dai tratti effeminati transita davanti ad una porta a cui si affaccia il soggetto recitante (maschio o femmina? chissà…): che ne è attirato sensualmente, e lo invita a fermarsi per bere del vino con lui. Finora il tempo è continuamente Lent, anzi, poi, ancora Plus lent. Ma il passante (mentre il tempo si agita un poco) si allontana con un grazioso gesto di efebica indifferenza, dopodichè il tempo torna alla perenne lentezza. 
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Davvero encomiabile la prestazione della bella Justina, che ha sfoggiato la sua voce ben tornita e la sua raffinata sensibilità, pienamente in sintonia con il sapore decadente di testo e musica. Musica di cui Treviño ha a sua volta messo in luce tutte le sfumature e le nuances, ben assecondato dall’orchestra, soprattutto i legni che sono protagonisti assoluti.

Accoglienza calorosissima del pur non oceanico pubblico.
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E infine l’inflazionata FantasticaUn’interpretazione da manuale, quella del Direttore, che mai si è abbandonato (e di occasioni e… tentazioni questa Sinfonia ne presenta a josa) a gratuite e facili iniziative. Da incorniciare l’introduzione al primo movimento, dove la musica sembra davvero nascere e crescere dal nulla; poi la raffinatezza del Bal (protagoniste le arpe di Elena Piva e Marta Pettoni); mirabile la resa della Scène aux Champs (il corno inglese di Paola Scotti e l’oboe fuori scena di Emiliano Greci) con tratti da impressionismo ante-litteram; e quindi, sempre senza soluzione di continuità, la Marcia al supplizio e il Sabba conclusivo, dove Treviño ha scatenato le furie degli ottoni (le tube di Davide Viana e Alberto Tondi sugli scudi, in un protervo Dies Irae) portando il pubblico ad un parossistico entusiasmo, con ripetuti battimani ritmati e ovazioni per Kapellmeister e Musikanten!  

Si replica domani, ma anche oggi pomeriggio sarà ancora e sempre Treviño, per... collaudare l’Orchestra under-25.

21 luglio, 2023

Muti con la sua Cherubini a Ravenna

Il Ravenna Festival si avvia alla conclusione e, come consuetudine, è toccato al padrone di casa (acquisito) Riccardo Muti di dirigere l’ultimo concerto sinfonico del 2023 alla testa della sua Cherubini.

PalaDeAndré pieno come un uovo, il che rende inspiegabile perchè due delle sei sezioni delle tribune laterali fossero chiuse al pubblico (che poi le ha in parte occupate…) 

L’apertura era riservata a Nino Rota - che fu tra i primi a scoprire in Riccardo Muti un futuro protagonista della vita musicale italiana e internazionale – con la Suite in 8 movimenti da Il Padrino (parti I e II).

1. Sicilian Pastorale (I)
2. The Immigrant (II)
3. The Pickup (I, non usato)
4. Kay (II)
5. Love Theme (I)
6. A New Carpet (II)
7. Waltz (I)
8. End Title (II)

Ecco qui come Muti la registrò nel 1997 con i Trepper PhilharmonikerE anche ieri ne ha cavato tutta la raffinatezza e la profondità.

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Ancora di Rota, Il 54enne Tamás Varga da Budapest, primo violoncello dei Wiener Philharmoniker (che il  Maeschtre evidentemente conosce assai bene…) ci ha poi offerto il bellissimo Secondo Concerto.  
  
Che fu composto nel 1973 e dedicato al sommo Mstislav, con uno sguardo retrospettivo (ma per nulla anacronistico) alla grande tradizione classico-romantica, come dimostrano l’impianto rigorosamente tonale (SOL maggiore, con tanto di accidenti in chiave) e la struttura solo apparentemente eterodossa: due soli movimenti espressamente indicati ma, come osserva Bruno Moretti nell’introduzione alla partitura Schott, il secondo (Variazioni e finale) è in realtà una micro-sinfonia. Nella quale si possono distinguere Andante(tema)/Scherzo(variazioni 1-5)/Adagio(variazione 6) e Finale (variazione 7).
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Seguiamo il concerto accompagnati dal grande Mario Brunello con la SantaCecilia diretta da Robin Ticciati.  

L’iniziale Allegro moderato (4/4) si struttura come una forma-sonata liberamente interpretata. Vi si distinguono due temi principali (T1 e T2) e un motivo di raccordo (R). Sono i primi violini (1’40”) ad esporre T1, dal carattere giocoso e danzante, su un accompagnamento ostinato in crome di viole e celli:

Dopo alcune modulazioni cromatiche si torna a SOL maggiore, dove compare (2’09”) il motivo R, esposto ancora (in pizzicato) dai primi violini (ora in unisono con i secondi e le viole) su un martellante tappeto dei corni:

Ecco quindi (2’30”) il maschio e puntato tema T2, nei legni (qui il primo oboe):

Proprio sulla chiusura di T2 (2’42”) attacca il solista, con una svolazzata di semicrome che porta (2’53”) alla ri-esposizione di T1, qui completato (3’20”) da una sua variante, che si snoda dal SI anziché dal RE, per portare quindi, dopo il passaggio da R (3’32”), a T2 (3’54”).

E proprio T2 viene manipolato assai, dando inizio a ciò che si può intendere come sviluppo. Dove infatti torniamo ad udire (4’32”) spezzoni di T1 nei fiati, accompagnati languidamente dal solista, poi ancora (5’23”) T2, protervo, fino ad una perorazione grandiosa (5’43”) dell’incipit di T1.

Il solista si imbarca in volate di semicrome mentre i corni ripetono T2, seguiti da oboe e tromba (6’09”).

Il tema T1 (6’21”) ritorna largamente per dare inizio ad una specie di ricapitolazione, dove gli segue (7’09”) il motivo R pizzicato. Poi il solista (7’30”) attacca crudamente T2, quindi tutti tornano (7’44”) su T1, con un finale sberleffo (8’15”) di violini e viole. 

Siamo ora all’Andantino cantabile, con grazia (4/4, SOL maggiore) aperto da solista che ne espone (8’27”) il nobile tema conduttore, che poi verrà sottoposto a sette variazioni:

La seconda frase (8’50”) vira momentaneamente (8’56”) a REb maggiore, per poi modulare ancora (9’12”) a LAb maggiore, dove i violini, poi raggiunti dal solista, ri-espongono il tema. Che viene ulteriormente ripreso, dopo il ritorno al SOL maggiore di impianto, dal solista (9’45”) che però lo chiude anzitempo con una leggera accelerazione. È poi il fagotto (10’06”) ad esibirsi in una sommessa cadenza, prima che il solista (10’20”) riprenda solo l’attacco del tema, portandone la tonalità a LAb, su un tremolo che ne chiude l’esposizione.

Hanno ora inizio le variazioni sul tema. Come premesso, le prime cinque hanno un carattere mosso e nervoso, testimoniato dalla continua accelerazione del tempo (come da indicazioni metronomiche).

Il solista (10’37”) attacca la prima scendendo di un semitono per ripristinare il SOL maggiore, mentre il tempo accelera moderatamente (da 76-80 a 88 semiminime di metronomo). Assistiamo qui ad un serrato dialogo (a base di semicrome) fra solista e flauto, che si palleggiano spezzoni dell’incipit del tema, chiuso dal solista con il ritorno a LAb.

A 11’53” ecco quindi la seconda variazione, in buona parte in RE maggiore, con il tempo che ancora accelera (metronomo a 96) e che il solista esegue integralmente in pizzicato, frantumando letteralmente il tema principale, sempre rimbeccato da fagotti e corni, da ultimo anche dal flauto.

Chiude a 13’00” sul REb, da dove inizia (13’05”) in SIb maggiore, la terza variazione (3/4, Tempo di valzer calmo e cantabile) e metronomo ancora aumentato a 104-112:

È una variazione assai corposa, dove il solista è inizialmente accompagnato da oboe, clarinetto e corno, poi (13’28”) nella ripresa, anche dal flauto. La melodia viene successivamente sottoposta ad ardite modulazioni (come a 13’52”, SI maggiore, nel corno, poi a FA minore, 14’22” nel flauto e poi nel clarinetto). Si torna a 4/4 (Liberamente, con fantasia) e il solista chiude e infine sul LA.

Qui (15’30”) dal LA dominante parte la quarta variazione, in RE maggiore (Alla marcia, allegramente) con il metronomo ancora accelerato a 132-138. La melodia del solista si distende sull’arpeggio discendente di RE (da dominante a dominante) e viene accompagnata da oboe, poi da flauto e infine da squilli di trombetta. Il solista modula provvisoriamente a LAb maggiore (16’02”) poi l’orchestra torna sulla melodia in RE.

Siamo così arrivati alla quinta variazione, con il metronomo ancora accelerante a 144, dove il solista (16’23”) riprende i suoi arpeggi in SOL maggiore; quindi l’orchestra (16’45”) prepara il terreno per la lunga cadenza solistica (16’55”) che porta alla conclusione sul DO grave.

Nella sesta variazione (18’27”, Calmo, contemplativo) il metronomo torna a 76-80, quello dell’Andantino cantabile che aveva originato le variazioni. È una pagina di straordinaria bellezza, dove la melodia sale sempre più in alto per volute successive (cosa degna del Liebestod, per dire…) passando progressivamente dall’iniziale DO minore al celestiale SI maggiore (Tristan, appunto!) prima di ricadere sul SOL minore che la chiude.

SOL che torna maggiore a 21’57” (Allegro vivo) dove inizia la settima ed ultima variazione, un vero e proprio Finale, come indica la partitura. Qui il tema viene ripreso nella sua interezza, ma sottoposto a variazioni e modulazioni continue, affidate anche ai fiati (oboe, corni, flauto, trombe) e con squarci di virtuosismo per il solista. La conclusione è asciutta, due classici e semplici accordi (dominante-tonica) della smagrita orchestra.
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Splendida l’esecuzione di Varga, ben supportato dai ragazzi paternamente guidati da Muti. Bis con un nobile Adagio, concordato con il Maestro fra un bagno e l’altro (…)
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La seconda parte del concerto era tutta di marca spagnola. Ecco infatti di Manuel De Falla la Seconda Suite dal Cappello a tre punte, brano che Muti incise già nel 1980 con la Philadelphia.

Vi sono incorporate tre danze del second’atto del balletto, e precisamente:

- una Seguidilla (I vicini)

- poi una Farruca (3’11”, Danza del mugnaio)

- e infine l’indiavolata Jota (6’14”, Danza finale)

Ha chiuso il concerto il brano più eseguito in assoluto nella storia della musica: il Bolerodiravel!

Che come al solito ha portato il pubblico ad un delirante entusiasmo. Prima di salutare tutti, Muti ha voluto sottolineare il valore della sua creatura, fatta di giovani e giovanissimi che ogni anno ne rinforzano i ranghi; e dando a tutti appuntamento per il 2024, quando si festeggerà il 20° compleanno di questa che ormai è a pieno titolo una delle più solide realtà nel panorama musicale italiano.