XIV

da prevosto a leone
Visualizzazione post con etichetta spyres. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta spyres. Mostra tutti i post

10 ottobre, 2016

Un “Donizettino” gemella Bergamo e Firenze. 2


Ieri pomeriggio l’OF (riempita più o meno al 60%: quindi bastava la Pergola, caso mai sistemando il coro in qualche palco, he he!) ha tenuto a battesimo un Donizetti piuttosto desueto, mettendo in scena (beh, non proprio in scena: in forma di concerto) la Rosmonda d’Inghilterra. L’esecuzione è presentata pomposamente come una prima mondiale, quella della nuova edizione di Alberto Sonzogni per la Fondazione Donizetti. Edizione che si baserebbe sul manoscritto riscoperto a Napoli 40 anni fa e che diverge in alcuni punti dal libretto originale di Romani stampato a Firenze nel 1834, in occasione della prima mondiale (quella autentica) alla Pergola (appunto!)

Da ciò che si legge sul programma di sala non è per nulla facile desumere (ammesso che interessino...) quali siano stati i criteri seguiti da Sonzogni per mettere a punto la sua edizione della partitura. La quale pare un ibrido fra il citato libretto e il citato manoscritto autografo.

Del primo è stato conservato l’esordio di Leonora (Fè mi serba, mi seconda) al posto della (di gran lunga migliore!) sostitutiva Ti vedrò, donzella audace. Ma non – chissà perchè - l’intervento (fuori scena, delizioso invero) di Arturo, mentre Rosmonda canta la sua aria di esordio.

Del manoscritto viene ignorata la parte preponderante del finale, cioè la splendida cabaletta con coro di Leonora Tu spergiuro. In compenso l’opera termina con Ella spira!... Duolo, amor, poche battute che compaiono nel manoscritto prima di detta cabaletta, laddove il libretto originale reca invece la drammatica esternazione di Leonora: Trema Enrico! Io regno ancor!

Ok, ok, uno dice: ma chi se ne frega di questi bizantinismi... Fatto sta che su di essi c’è gente che campa e lucra, accipicchia! Personalmente non ho dubbi che la versione (per così dire) messa a punto anni e anni fa da OperaRara (a partire dallo stesso manoscritto napoletano) sia assai più accattivante (nonostante i continui abbassamenti di uno o due semitoni nella registrazione in studio!) di quella ascoltata ieri.

E allora vengo a ciò che si è udito a Firenze.  

Protagonista la sempre più italiana (e fiorentina) Jessica Pratt, fresca reduce dagli... stravizi babilonesi. Al suo fianco altri rossiniani: Michael Spyres, insieme ad Eva Mei, Nicola Ulivieri e – en-travesti – Raffaella Lupinacci. Sullo sfondo, dietro l’Orchestra, il Coro di Lorenzo Fratini e sul podio, a dirigere tutti quanti, Sebastiano Rolli.

La Pratt si conferma nel bene e nel male: quando può (e/o decide arbitrariamente di) sbizzarrirsi su acuti e sovracuti (ieri è andata su, credo, fin oltre il FA di Astrifiammante) strappa applausi da stadio; ma nell’ottava bassa (che lei cerca in tutti i modi di evitare) mostra la corda. Solo così si spiega che, dopo l’aria del second’atto (Senza pace e senza speme) il pubblico le abbia tributato tre minuti di orologio di ovazioni, chiuse però da qualche sonoro buh, che ha gettato parecchio scompiglio in sala.

La sua regal rivale, Eva Mei, non mi ha del tutto convinto: avrebbe anche un timbro di voce (la parte è indicata in libretto per mezzosoprano) ed il physique du rôle adatti ad impersonare l’autoritaria, cinica e pure... attempata (11 anni più del marito) sovrana, ma gli acuti sono decisamente sfocati e vetrosi e l’emissione piuttosto periclitante. Molto meglio l’Arturo della Lupinacci, soprattutto nelle parti solistiche e nei duetti, ma purtroppo meno udibile negli insiemi.

Spyres è un Enrico sempre spavaldo e sicuro, anche se la parte forse non è fra le più adatte ai suoi mezzi: comunque non c’è una sua nota che non risuoni splendidamente anche nei grandi spazi dell’OF. Ulivieri senza infamia e senza lode: fa il suo compitino onestamente, ma non molto di più.

Ottimo il coro di Fratini e piacevolissima sorpresa (parlo per me, che lo vedevo all’opera per la prima volta) il 40enne (o poco più) Sebastiano Rolli: uno che penso farà ancora molta strada.

Credo che l’entusiasmo del pubblico si debba però a tale... Donizetti: è davvero incredibile come un’opera come questa, un autentico concentrato di splendida musica, sia rimasta per tanto tempo in cantina. C’è da augurarsi che non ci venga rimandata, sarebbe un vero peccato!
___
Quattro dei cinque interpreti (Spyres è l’escluso) traslocheranno, insieme al Concertatore, a Bergamo - al Festival Donizetti - per le rappresentazioni in forma scenica di fine novembre.

(Quindi... continua.)

15 agosto, 2016

ROF-37 La Donna del lago di... Strindberg

 

Ma quale Ossian. Ma quale Scott. Ma quale Tottola. Ma quale fiaba romantica a lieto fine... Qui siamo nel bel mezzo di un dramma esistenzialista, come minimo.

Il merito è di tale Damiano Michieletto, che ha capacità inventive imitative straordinarie: ha compiuto un’impresa riuscita più di tre lustri orsono al grande Robert Carsen, che trasformò incredibilmente un soggetto barocco, magico, fantastico, spettacolare e a lieto fine - come l’Alcina di Händel - in un pezzo strindberghiano sull’alienazione.

Certo, La Donna del Lago non è una storia tipo Harmony, il libretto di Tottola e la musica del Gioachino contengono mille sfumature psicologiche che gettano luci contrastanti sui personaggi principali, a partire proprio dalla protagonista, una ragazza sensibile e, perchè no, un tantino complessata (il padre ha in ciò una responsabilità non secondaria). Che le profferte di Uberto non la trovino insensibile è chiaro a tutti, ma è anche altrettanto chiaro come lei resti fedele al suo (primo) amore e addirittura si senta un po’ colpevole della delusione che arreca al sedicente cacciatore o pastore. La sua felicità finale è fuori discussione, il testo di Tottola e la musica di Rossini non lasciano adito al minimo dubbio al riguardo.
___
Qui invece ci viene raccontata una storia del... dopo la chiusura del sipario (ergo, per definizione: tutt’altra storia rispetto a quella di Scott e di Tottola, per la quale Rossini compose la sua musica!) Vissero tutti felici-e-contenti? E voi creduloni credete ancora a queste favole?

Sapeste quante volte Elena (controfigura da vecchia: Giusi Merli) ha rimpianto di non aver ceduto alle avances di Uberto: managgia! avrebbe potuto occupare lei il posto di Marie de Guise a Stirling, dove oltretutto era nata e dove avrebbe potuto tornare, lasciando il palazzo diroccato (così almeno ce lo presenta il regista) in cui il padre Duglas l’aveva trasferita dopo aver rotto i rapporti con il Re, del quale era stato nulla di meno che il precettore. E così, invece di essere servita minuto per minuto da stuoli di paggi e ancelle, eccola lì a dover lavare tutti i santi giorni le mutande puzzolenti di quel caprone di Malcom!

E Malcom (controfigura da vecchio: Alessandro Baldinotti)? Credete l’abbia presa tanto bene la scoperta che la sua donna pura-siccome-un-angelo era stata insidiata dal Re: cosa si nascondeva dietro l’apparente magnanimità del gesto finale di Giacomo? E cosa c’era stato veramente fra loro? Davvero soltanto incontri innocenti (come leggiamo nel libretto e ascoltiamo dalla musica) o anche molto, mooolto di più, come ci mostra esplicitamente l’informatissimo Michieletto? Forse questo spiega perchè Malcom (sempre nel dopo) si imbestialisca vedendo la moglie posare fiori freschi davanti al ritratto del Sovrano...

Insomma: una vita, quella che Michieletto si inventa nel dopo, costellata di rimpianti, dubbi, sospetti, ansie, che fanno rivivere ai due i fatti trascorsi (cioè le vicende narrate nell’opera di Rossini) in una luce sinistra e trasformano i ricordi del passato in autentici incubi, in ossessioni esistenziali da far curare dal dottor Freud. I due attempati Elena&Malcom restano quasi in permanenza in scena, talora come semplici spettatori per lo più inorriditi di ciò che avviene nella realtà (del libretto) talaltra addirittura tentando di forzarne il corso, come quando Elena-old spinge la Elena-young nelle braccia di Uberto o quando Malcom-old cerca di aggredire il trionfante Rodrigo! Durante il duettino del primo atto si raggiunge poi il grottesco: abbiamo addirittura in scena le due coppie, Malcom-old/Elena-young ed Elena-old/Malcom-young, che ballano un grazioso walzerino!

Mica male davvero come fedeltà al soggetto che ti abbiamo profumatamente pagato per rappresentarci, caro Damiano! Perchè un conto è cogliere tutte le sfumature e anche le ombre della personalità dei protagonisti, mettendole in giusto risalto, altro è amplificare indebitamente e a dismisura questi aspetti fino a farli assurgere a tema dominante dell’opera, a cui così si cambiano letteralmente i connotati.

Si dirà: e che c’è di strano in un’operazione come questa? Perchè meravigliarsi tanto? In fondo persino il dopo del Barbiere di Siviglia non è proprio un idillio edificante: lo svenevole innamoratissimo Lindoro si rivela essere un Conte accanito donnaiolo e la povera Rosina, promossa a Contessa, nelle trappole ci casca lei, altro che farle giocare... Tutto vero, però lì qualcuno si è preso la briga di scriverci un altro libretto e comporci altra musica, o vogliamo mettere in scena – caro Michieletto - il Barbiere come fosse un flash-back delle Nozze? Dove un Lindoro arrapato cerca di farsela persino con la Berta? E dove Rosina è vittima delle reiterate molestie di un Figaro libidinoso?

E la Natura romantica e poetica (quella di Ossian-Scott) autentico personaggio in musica di Rossini, dov’è finita? L’idilliaco ambiente del lago Katrine, i boschi, le vaste pianure, la dimora umile ma accogliente di Elena (il Felice albergo) che fine hanno fatto? Il tutto è ridotto ad un unico, claustrofobico e vomitevole ambiente (un palazzone diroccato e invaso da sterpaglie) in cui si svolge l’intera vicenda: precisamente l’ambiente più adatto a supportare il pretenzioso Konzept del regista.    

Mamma mia, diciamo la verità: una Donna del Lago così non si era mai vista... ehm, a parte alcune evidenti scopiazzature del team di Michieletto, come i fastosi lampadari che calano dal cielo a nobilitare la reggia (!?) di Giacomo. Idea non solo trita-e-ritrita, ma già applicata proprio alla stessa opera in un allestimento di qualche anno fa (dato anche alla Scala) di Lluìs Pasqual. Confrontare per credere:

E poi, e poi... la foto della cerimonia di fidanzamento con tanto di lampo al magnesio, la parrucca che scopre la vecchia Elena sotto quella giovane, il canneto del Lohengrin scaligero di Guth, il duello alla pistola Rodrigo-Uberto (o Lenskij-Onegin?) con tanto di spari che abbrutiscono l’accordo orchestrale che chiude la scena II del second’atto; e poi altre trovate per le quali Michieletto potrebbe ricevere valanghe di richieste di pagamento di copyright!   

Ora, il bello è che una genialata simile si abbierà molto probabilmente un qualche importante premio, elargito da una claque travestita da paludato simposio di critici musicali. Così è, se gli pare
___  
Meno male che Rossini c’è! Sì, perchè sul fronte delle note le cose sono andate assai meglio (anche qui non tutto è incantevole, peraltro). Soprattutto grazie alla premiata coppia JDF-Spyres, che personalmente ritengo essere oggi la meglio assortita per impersonare i ruoli dei due tenori: il primo per la nobiltà e la raffinatezza del portamento, perfettamente tagliate sul personaggio di Uberto(-Giacomo) tutto lirismo e passione; il secondo per la strabordante, quasi proterva esuberanza del suo canto di forza, mirabilmente appropriato ad impersonare il rude, spavaldo e bellicoso carattere di Rodrigo. Il terzetto che apre il second’atto, dove con altre coppie tenorili spesso si fatica a distinguere una voce dall’altra, ne è stata la prova più eclatante.

E a quel numero ha dato il suo contributo Salome Jicia, un prodotto dell’allevamento di Zedda. C’è chi si lamenta di scelte come questa (mandare un’esordiente allo sbaraglio in un’occasione così importante) dimenticando però che il ROF (tramite la sua Accademia) si è dato (anche) la missione di formare voci rossiniane, il che giustifica di per sè che a quelle reputate più interessanti venga concessa l’opportunità di presentarsi al grande pubblico. Dopodichè non è sempre detto che le ciambelle escano con il buco, ma nella circostanza mi sentirei di dire che almeno un... forellino ci sia. Il soprano georgiano ha quanto meno sfoggiato uno strumento adeguato, di cui certo è da migliorare l’impiego (ad esempio: gli acuti tenuti di forza escono bene, quelli da eseguire in agilità e virtuosismo fanno invariabilmente cilecca; la cosiddetta ottava bassa lascia assai a desiderare). Insomma, prima di parlare di una novella Colbran ci vorranno barili di olio di gomito... ma insomma le premesse/promesse almeno paiono confortanti.

Varduhi Abrahamyan alla radio mi era sembrata un filino... molle, ma devo dire che dal vivo mi ha fatto migliore impressione: il suo è un Malcom accorato, il portamento è convincente: al contrario della Jicia, lei sembra assai più preparata, peccato che la voce sia proprio deboluccia, ecco.    

Marko Mimica è un Duglas tanto protervo quanto insopportabile: canto perennemente ingolato, voce cavernosa e schiamazzi da osteria. Dignitose le prove dei comprimari Ruth Iniesta e Francisco Brito.  

Il coro di Andrea Faidutti ha evidentemente tratto profitto dalla seconda recita, e ieri sera l’ho trovato in gran forma, proprio senza una sbavatura.

Il Figliolo del Sovrintendente (anche l’Abbado giovine aveva santi in paradiso, quindi nessuno scandalo a sfondo nepotista, per carità...) è sempre più in perfetta sintonia con la sua Orchestra, che ne segue il gesto con precisione quasi robotica. Anche qui la ripresa radiofonica aveva evidentemente appiattito assai le dinamiche, che invece dal vivo sono emerse in tutta la loro varietà di sfumature ed accenti. Se si escludono un paio di impertinenze foniche (una ha quasi coperto una frase di JDF) la direzione di Mariotti mi è parsa assolutamente all’altezza, dovendo il Direttore oltretutto calibrare i suoni degli strumenti fuori-scena (e qui lo richiede Rossini) e quelli del coro, che Michieletto tiene spesso e volentieri rintanato dietro pannelli più o meno fono-assorbenti.


Adriatic-Arena presa d’assalto (non una seggiola vuota) e pubblico osannante, soprattutto per JDF, Spyres e il Kapellmeister di casa.    

23 agosto, 2014

ROF XXXV live: Aureliano in Palmira

 

Il ROF-35 ha chiuso ieri sera i battenti con la quarta ed ultima replica di Aureliano in Palmira al Teatro Rossini. Dico subito che questa proposta (si tratta dell’ultima opera importante che mancava al carnet del Festival) merita comunque un encomio: probabilmente per la prima volta da… 200 anni si è ascoltato questo prodotto del 21enne Rossini in tutta la sua interezza. Grazie alla Fondazione e a Will Crutchfield che hanno reso possibile l’impresa.

L’ascolto integrale dell’opera lascia peraltro intuire le ragioni del suo scarso successo lungo gli anni, e degli innumerevoli tagli cui è stata regolarmente sottoposta: a dispetto del grande spessore della musica, incredibilmente innovativa se pensiamo al 1813, la sua lunghezza smisurata e la scarsa consistenza del soggetto la rendono difficilmente digeribile. Soprattutto – e vengo a questa proposta del ROF – se la messinscena (di Mario Martone, mi spiace per lui) è di sconsolante banalità, tanto che si può star certi che meglio sarebbe stato affidare la realizzazione dello spettacolo ai ragazzi e ai docenti dell’Accademia di Belle Arti di Urbino (Barbiere docet!)

Ecco, parto subito da Martone. Veramente censurabile la sua proposta, priva di una qualunque cifra interpretativa: sembra il compitino in classe di un ragazzino cui si è fatta leggere la favola della regina Zenobia. Una cosa fra la scimmiottatura di Zeffirelli e la parodia di un filmaccio di Maciste. La scena dei pastori è di un deprimente… realismo: quattro caprette che entrano sul palco a brucare stoppie! Velleitaria l’idea di mettere in scena i due strumentisti al continuo (Lucy Tucker Yates e David Ethève). Ma davvero insopportabile è la trovata finale: per mostrare a tutti che la sua è una regìa impegnata, Martone che ti inventa? Mentre i protagonisti stanno cantando il concertato conclusivo, lui fa scendere il velario trasparente e vi proietta sopra la storia vera (!?) di Zenobia. Così il pubblico si impegna per leggere il pistolotto e si perde tutto il finale! Pistolotto che si conclude con un riferimento di tutta attualità: ciò che accade oggi in medioriente altro non è se non uno strascico di quelle vicende di 2000 anni fa; insomma, i criminali dell’ISIS sono i nipotini di Zenobia! Ma bravo!
___
Ma torniamo alla musica. Dicevo: opera altamente innovativa, e non a caso Rossini dedicò alla composizione di Aureliano tempo e fatica insoliti per lui, in quei primi e vorticosi anni della sua produzione. Un chiaro indizio di ciò è il trattamento riservato alla Sinfonia: a differenza dei suoi successivi imprestiti (ad Elisabetta e Barbiere, opere dove non ha alcun riferimento ai contenuti)  motivati quasi esclusivamente da fretta e mancanza di tempo, qui la Sinfonia è parte integrante dell’opera, anticipandone alcuni motivi peculiari: l’introduzione lenta in MI maggiore, che udremo nel second’atto, allorquando Arsace si inoltra nei boschi dopo essere fuggito dalla prigione di Aureliano; la sezione finale del primo tema (in MI minore); il cantabile in SOL maggiore (seconda sezione del secondo tema) e il successivo famoso crescendo e cadenza conclusiva che chiudono il primo atto.

Insomma, Rossini qui fece le cose con il massimo impegno e la massima cura, e i risultati si sentono! E se ne rese conto lo stesso Rossini che, a dispetto dello scarso successo delle prime rappresentazioni alla Scala, pescò abbondantemente nell’Aureliano per successive opere; a parte la sinfonia, ne riutilizzò, rielaborandole ma senza renderle irriconoscibili, alcune melodie: il coro iniziale (Sposa del grande Osiride) fu impiegato nel Barbiere per la cavatina d’esordio di Lindoro (Ecco ridente); la cabaletta di Arsace (Non lasciarmi in tal momento) divenne parte dell’aria di Rosina (sempre nel Barbiere); e di lì a poco anche il Sigismondo mutuerà più di uno spunto dall’Aureliano.
___
Il pubblico (teatro quasi esaurito) ha avuto solo apprezzamenti per tutti, ma Jessica Pratt è stata l’autentica trionfatrice della serata: dopo il suo MIb sovracuto (Per donarvi libertà) gli applausi e le urla si sono prolungati per minuti e minuti (forse sperando che la cantante australiana tornasse in scena a rispondere all’omaggio)! In effetti la giunonica Jesica ha sfoderato tutta la sua splendida voce, e solo qualche appunto mi sentirei di muoverle alla scarsa penetrazione nelle note più gravi.

Acclamato anche Michael Spyres, che pure non mi è parso al 100% delle sue possibilità: acuti non perfetti e gravi piuttosto sforzati.

Lena Belkina non mi ha convinto del tutto (rispetto all’ascolto radiofonico): voce poco… contraltile e con timbro che nelle note acute tende a metallizzarsi. Mi verrebbe da dire che al suo posto, come Arsace, avrei visto (sentito) meglio la Raffaella Lupinacci, che invece è stata una più che apprezzabile Publia.

Degli altri, bene il Licinio di Sergio Vitale, mentre non esaltanti mi son parsi Dempsey Rivera (Oraspe) e Dimitri Pkhaladze (Gran Sacerdote). Raffaele Costantini si è dignitosamente comportato nella piccola parte del pastore. Su buoni standard il coro di Andrea Faidutti.

Will Crutchfield ha tenuto un approccio veramente (e direi doverosamente) serioso a questa partitura che lui ha personalmente riportato all’originale splendore, e della quale non ci ha risparmiato nulla (in ciò, come dicevo più sopra, può anche risiedere il limite della sua proposta, che mette a dura prova la… resistenza fisica del pubblico): la sua è una direzione sempre sostenuta, con tempi mediamente dilatati e accenti ieratici; in sostanza, una lettura coerente con l’intera operazione… filologica. L’orchestra Rossini lo asseconda dignitosamente e perdoneremo qualche piccolo inciampo dei fiati.

Tutto sommato direi che si è trattato della più riuscita, musicalmente parlando, delle tre opere del cartellone principale.        
___
Ma ecco che, chiuso il 35, già si profila all’orizzonte il 36:


Come si usa precisare in simili circostanze: la Direzione si riserva la facoltà di apportare in qualunque momento modifiche al programma… etc. etc.